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Titolo originale Ursprung des deutscben Trauerspiels © 1974 Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main © 1999 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Flavio Cuniberto www.einaudi.it ISBN 978-88-06· I 52 I }·O

Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

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Walter Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

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Page 1: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Titolo originale Ursprung des deutscben Trauerspiels

© 1974 Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main

© 1999 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Traduzione di Flavio Cuniberto

www.einaudi.it

ISBN 978-88-06· I 52 I }·O

Walter Benjamin n dramma barocco tedesco

Introduzione di Giulio Schiavoni

Nuova edizione

Einaudi

Page 2: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Titolo originale Ursprung des deutscben Trauerspiels

© 1974 Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main

© 1999 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Traduzione di Flavio Cuniberto

www.einaudi.it

ISBN 978-88-06· I 52 I }·O

Walter Benjamin n dramma barocco tedesco

Introduzione di Giulio Schiavoni

Nuova edizione

Einaudi

Page 3: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Indice

p.vu Fuori dal coro di Giulio Schiavoni

Il dramma barocco tedesco

3 Premessa gnoseologica

Dramma e tragedia

32 I.

76 II.

II4 m.

Allegoria e dramma barocco

134 I.

164 II.

I9I m.

Page 4: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Indice

p.vu Fuori dal coro di Giulio Schiavoni

Il dramma barocco tedesco

3 Premessa gnoseologica

Dramma e tragedia

32 I.

76 II.

II4 m.

Allegoria e dramma barocco

134 I.

164 II.

I9I m.

Page 5: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Fuori dal coro

I.

Il Dramma barocco tedesco avrebbe dovuto schiudere a W alter Benjamin le porte del mondo accademico. _Per il suo taglio non con­venzionale esso ne sand invece l'esclusione. E sorprendente che, quan­do venne pubblicato a Berlino nel 1928, il libro recasse il semplice ti­tolo Ursprung des deutschen Trauerspiels, senza neppure un accenno o una nota a piè di pagina che facessero intravedere al lettore che quella trattazione sull'«origine del dramma tedesco» (tale il signifi­cato letterale del titolo) costituiva una tesi presentata per ottenere la libera docenza (Habilitation) e rifiutata dalla Facoltà di Filosofia dell'Università di Francoforte. L'editore Ernst Rowohlt, al quale esso era stato raccomandato dallo scrittore Franz Hessel e il quale pubbli­cava nel medesimo anno anche la raccolta di prose e aforismi benja­miniani intitolata Strada a senso unico (Einbahnstrafte), lo mandava in stampa mantenendo un velo di pietoso silenzio su uria vicenda che di certo non faceva onore all'istituzione accademica e che di fatto rive­lava l'inconciliabilità fra Benjamin e l'università tedesca (anche se, pro­babilmente, il rifiuto avrebbe potuto provenire da qualsiasi altra uni­versità, non solo tedesca). Con un'«irtfame e sfrontata battuta» e non senza compiacimento, riferendosi a Benjamin, un professore univer­sitario, Erich Rothacker, avrebbe in seguito commentato: «All'intel­ligenza non. si può conferire la libera docenza»1

A guisa di amara e ironica glossa a tale esclusione, Benjamin re­dasse nel luglio del 1925 un commento concepito come «Premessa» retrospettiva al suo libro sul barocco e pubblicato soltanto circa mez­zo secolo piu tardi. Era una nuova versione della fiaba della Bella Ad­dormentata raccolta dai fratelli Grimm, adattata alla vicenda perso­nale occorsagli nella 'selva' dell'Università, nella quale Benjamin fa­ceva comprendere di aver già in un certo senso previsto l'impossibilità

1 « Den Geist kann man nicht habilitieremo. ll giudizio è riferito in GERSHOM SCHOLEM,

W alter Ben;amin: die Geschichte einer Freundscha/t, Frankfurt am Main 1975; trad. it. W al­ter Benjamin.Storia di un'amicizia, Milano 1992, p. 183.

Page 6: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Fuori dal coro

I.

Il Dramma barocco tedesco avrebbe dovuto schiudere a W alter Benjamin le porte del mondo accademico. _Per il suo taglio non con­venzionale esso ne sand invece l'esclusione. E sorprendente che, quan­do venne pubblicato a Berlino nel 1928, il libro recasse il semplice ti­tolo Ursprung des deutschen Trauerspiels, senza neppure un accenno o una nota a piè di pagina che facessero intravedere al lettore che quella trattazione sull'«origine del dramma tedesco» (tale il signifi­cato letterale del titolo) costituiva una tesi presentata per ottenere la libera docenza (Habilitation) e rifiutata dalla Facoltà di Filosofia dell'Università di Francoforte. L'editore Ernst Rowohlt, al quale esso era stato raccomandato dallo scrittore Franz Hessel e il quale pubbli­cava nel medesimo anno anche la raccolta di prose e aforismi benja­miniani intitolata Strada a senso unico (Einbahnstrafte), lo mandava in stampa mantenendo un velo di pietoso silenzio su uria vicenda che di certo non faceva onore all'istituzione accademica e che di fatto rive­lava l'inconciliabilità fra Benjamin e l'università tedesca (anche se, pro­babilmente, il rifiuto avrebbe potuto provenire da qualsiasi altra uni­versità, non solo tedesca). Con un'«irtfame e sfrontata battuta» e non senza compiacimento, riferendosi a Benjamin, un professore univer­sitario, Erich Rothacker, avrebbe in seguito commentato: «All'intel­ligenza non. si può conferire la libera docenza»1

A guisa di amara e ironica glossa a tale esclusione, Benjamin re­dasse nel luglio del 1925 un commento concepito come «Premessa» retrospettiva al suo libro sul barocco e pubblicato soltanto circa mez­zo secolo piu tardi. Era una nuova versione della fiaba della Bella Ad­dormentata raccolta dai fratelli Grimm, adattata alla vicenda perso­nale occorsagli nella 'selva' dell'Università, nella quale Benjamin fa­ceva comprendere di aver già in un certo senso previsto l'impossibilità

1 « Den Geist kann man nicht habilitieremo. ll giudizio è riferito in GERSHOM SCHOLEM,

W alter Ben;amin: die Geschichte einer Freundscha/t, Frankfurt am Main 1975; trad. it. W al­ter Benjamin.Storia di un'amicizia, Milano 1992, p. 183.

Page 7: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

vm Giulio Schiavoni

che allibro arridesse qualche successo in ambito accademico e nella quale traspariva anche un comprensibile desiderio di rivalsa:

Vorrei raccontare, per la seconda volta, la fiaba della Bella Addormentata. Lei dorme entro il suo roveto. Poi, dopo tanti anni, si risveglia. Ma non per un bacio del Bel Principe. A risvegliarla è stato il capocuoco, quando dà allo sguattero lo schiaffo che

echeggia per il castello con tutta la forza accumulata in tanti anni. Una bella fanciulla è assopita dietro i cespugli spinosi delle pagine che se­

guono.

Ma che nessun Bel Principe adorno dell'armatura lucente della scienza si avvicini troppo, perché se abbraccerà la sua fidanzata per baciarla lei gli darà un morso.

Per risvegliarla, l'autore ha riservato a se stesso il ruolo del capocuoco. Da troppo tempo ormai si attende lo schiaffo che dovrà echeggiare nei padiglio­ni della scienza.

Solo allora si risveglierà anche quella povera verità che ·si è punta con la conocchia antiquata quando, entrando abusivamente in uno sgabuzzino di ro­be vecchie, ha voluto tessersi un abito da professore.

Francoforte sul Meno, luglio 1925

(Premessa allibro sul Trauerspielf.

È come se, in questa laconica e allusiva risposta alle autorità ac­cademiche che «non avevano compreso una sola parola» del suo scritto3 e che gli avevano appena rifiutato quell' Habilitation indi­spensabile in Germania per chiunque ambisse a divenire professo­re universitario, il mancato 'libero docente', imprigionato entro gli steccati accademici, nelle vesti del cuoco avesse voluto infliggere all'Università uno schiaffo rimasto a lungo in sospeso. Ed è come se, nel fragore di quel ceffone, avesse preso a rianimarsi la «povera verità» (la principessa), condannata all'assopimento in seguito alla

2 W ALTER BENJAMIN, Vorrede zum Trauerspielbuch, in GesammelteSchri/ten, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhauser, Frankfurt am Main 1974, I{3, pp. 901-2. In una lettera del5 aprile 1926, parlando della sua produzione letteraria piu recente, Benjamin riferiva all'amico Gershom Scholem in proposito: «Per il resto non sono venute alla lu­ce cose di particolare entità. La cosa piu degna di menzione è la Premessa di dieci righe che sul libro sul Trauerspiel ho scritto all'indirizzo dell'Università di Francoforte e che considero fra i miei pezzi piu riusciti» (cfr. W ALTER BENJAMIN, Briefe, a cura di G. Scho­lem e Th. W. Adorno, Frankfurt am Main 1966, I, p. 416). Nel suo Moskauer Tagebuch (trad. it. Diario moscovita, Torino 1983, p. 46) Benjamin ricorda di aver letto questa «Premessa contro l'università di Francoforte» ad Asja Lacis alla vigilia di Natale del 1926: «Per me può essere importante quel che mi ha detto Asja, e cioè che nonostante tutto devo semplicemente scrivere: Respinto dall'Università di Francoforte sul Meno».

' Questo avrebbero raccontato a Benjamin i professori Franz Schultz e Hans Corne­lius, ai quali era spettata l'ultima parola sul caso Benjamin. Cfr. SCHOLEM, W alter Betzia­min cit., p. 200.

Fuori dal coro ·IX

puntura di un fuso avvelenato durante la preparazione di un abito da professore, quella «povera verità» a cui le persone coinvolte nel­la vicenda francofortese non parevano essersi accostate seriamente. Non era poi molto diversa, del resto, la prospettiva che Benjamin dischiudeva nelle ultime pagine del libro ragionando di un divario incolmabile fra Wissenschaft (scienza o sapere) ed Erkenntnis (cono­scenza).

Ci si è domandati piu volte se e in che misura Benjamin, di fronte alla prospettiva accademica, che da un lato avrebbe posto fine alla precarietà delle sue condizioni di vita ma che dall'altro gli ripugnava, non abbia in fondo contribuito lui stesso a provocare quel verdetto negativo e quello scacco, o se egli perlomeno non abbia rincorso sol­tanto per metà quell'inseriinento nella vita universitaria, se non l'ab­bia cioè tentato sapendo di attuare una sorta di «esperienza sociolo­gica», non priva di qualche analogia- pur nella diveristà dei contesti -con quella che egli, nel 1931, avrebbe attribuita a Charles Baude­laire, il quale aveva presentato la propria candidatura all' Académie française, venendone però respinto4

Certo è che la vicenda francofortese, che si situava peraltro nel mo­mento di una radicalizzazione del suo impegno politico, in coinci­denza con la frequentazione di autori della sinistra rivoluzionaria co­me Bert Brecht,. Ernst Bloch, Georg Lukacs o della regista teatrale russa Asja Lacis, costituf nella vita di Benjamin una cesura, un gesto di 'interruzione', una perdita da cui egli ebbe forse solo da guada­gnare, almeno sotto il profilo dell'indipendenza intellettuale. (D'al­tronde non era forse stata proprio la dimensione della rovina, dello scacco piu che della salvezza, ad apparirgli peculiare e produttiva nel sentire degli autori barocchi da lui studiati?) In tal senso il suo diffi­cile ma tutt'altro che illeggibile libro sul dramma barocco tedesco, prefigurabile come uno «schiaffo» non soltanto destinato a restare sospeso o collocato in un vago futuro ma affibbiato di fatto alle vuo­te certezze della 'scienza' accademica (fosse essa Kunstwissenscha/t, Literaturwissenschaft o quant'altro), rappresentava in primo luogo un atto d'amore nei confronti del pieno e negletto orizzonte della Verità e della parola pura, che per i vari Schultz e Cornelius restava assolu­tamente impenetrabile e alla quale andava subordinata ogni ricerca. In pari tempo esso veniva a configurarsi anche come uno fra i molte-

' Sulle implicazioni della vicenda francofortese di Benjamin e sul significato di questa Premessa retrospettiva anche per i commentatori di Benjamin, cfr. IRVING WOHLFARTH,

Riabilitazione di Ben;amin? Per un'autocritica, in L. BELLOI e L. LO'ITI (a cura di), W alter Beniamin. Tempo storia linguaggio, Roma 1983, pp. 239-43, e m., Hors-d'reuvre, Prefazio-ne a W ALTER BENJAMIN, Origine du drame baroque allemand, Paris 1985, pp. 9 sgg. ·

Page 8: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

vm Giulio Schiavoni

che allibro arridesse qualche successo in ambito accademico e nella quale traspariva anche un comprensibile desiderio di rivalsa:

Vorrei raccontare, per la seconda volta, la fiaba della Bella Addormentata. Lei dorme entro il suo roveto. Poi, dopo tanti anni, si risveglia. Ma non per un bacio del Bel Principe. A risvegliarla è stato il capocuoco, quando dà allo sguattero lo schiaffo che

echeggia per il castello con tutta la forza accumulata in tanti anni. Una bella fanciulla è assopita dietro i cespugli spinosi delle pagine che se­

guono.

Ma che nessun Bel Principe adorno dell'armatura lucente della scienza si avvicini troppo, perché se abbraccerà la sua fidanzata per baciarla lei gli darà un morso.

Per risvegliarla, l'autore ha riservato a se stesso il ruolo del capocuoco. Da troppo tempo ormai si attende lo schiaffo che dovrà echeggiare nei padiglio­ni della scienza.

Solo allora si risveglierà anche quella povera verità che ·si è punta con la conocchia antiquata quando, entrando abusivamente in uno sgabuzzino di ro­be vecchie, ha voluto tessersi un abito da professore.

Francoforte sul Meno, luglio 1925

(Premessa allibro sul Trauerspielf.

È come se, in questa laconica e allusiva risposta alle autorità ac­cademiche che «non avevano compreso una sola parola» del suo scritto3 e che gli avevano appena rifiutato quell' Habilitation indi­spensabile in Germania per chiunque ambisse a divenire professo­re universitario, il mancato 'libero docente', imprigionato entro gli steccati accademici, nelle vesti del cuoco avesse voluto infliggere all'Università uno schiaffo rimasto a lungo in sospeso. Ed è come se, nel fragore di quel ceffone, avesse preso a rianimarsi la «povera verità» (la principessa), condannata all'assopimento in seguito alla

2 W ALTER BENJAMIN, Vorrede zum Trauerspielbuch, in GesammelteSchri/ten, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhauser, Frankfurt am Main 1974, I{3, pp. 901-2. In una lettera del5 aprile 1926, parlando della sua produzione letteraria piu recente, Benjamin riferiva all'amico Gershom Scholem in proposito: «Per il resto non sono venute alla lu­ce cose di particolare entità. La cosa piu degna di menzione è la Premessa di dieci righe che sul libro sul Trauerspiel ho scritto all'indirizzo dell'Università di Francoforte e che considero fra i miei pezzi piu riusciti» (cfr. W ALTER BENJAMIN, Briefe, a cura di G. Scho­lem e Th. W. Adorno, Frankfurt am Main 1966, I, p. 416). Nel suo Moskauer Tagebuch (trad. it. Diario moscovita, Torino 1983, p. 46) Benjamin ricorda di aver letto questa «Premessa contro l'università di Francoforte» ad Asja Lacis alla vigilia di Natale del 1926: «Per me può essere importante quel che mi ha detto Asja, e cioè che nonostante tutto devo semplicemente scrivere: Respinto dall'Università di Francoforte sul Meno».

' Questo avrebbero raccontato a Benjamin i professori Franz Schultz e Hans Corne­lius, ai quali era spettata l'ultima parola sul caso Benjamin. Cfr. SCHOLEM, W alter Betzia­min cit., p. 200.

Fuori dal coro ·IX

puntura di un fuso avvelenato durante la preparazione di un abito da professore, quella «povera verità» a cui le persone coinvolte nel­la vicenda francofortese non parevano essersi accostate seriamente. Non era poi molto diversa, del resto, la prospettiva che Benjamin dischiudeva nelle ultime pagine del libro ragionando di un divario incolmabile fra Wissenschaft (scienza o sapere) ed Erkenntnis (cono­scenza).

Ci si è domandati piu volte se e in che misura Benjamin, di fronte alla prospettiva accademica, che da un lato avrebbe posto fine alla precarietà delle sue condizioni di vita ma che dall'altro gli ripugnava, non abbia in fondo contribuito lui stesso a provocare quel verdetto negativo e quello scacco, o se egli perlomeno non abbia rincorso sol­tanto per metà quell'inseriinento nella vita universitaria, se non l'ab­bia cioè tentato sapendo di attuare una sorta di «esperienza sociolo­gica», non priva di qualche analogia- pur nella diveristà dei contesti -con quella che egli, nel 1931, avrebbe attribuita a Charles Baude­laire, il quale aveva presentato la propria candidatura all' Académie française, venendone però respinto4

Certo è che la vicenda francofortese, che si situava peraltro nel mo­mento di una radicalizzazione del suo impegno politico, in coinci­denza con la frequentazione di autori della sinistra rivoluzionaria co­me Bert Brecht,. Ernst Bloch, Georg Lukacs o della regista teatrale russa Asja Lacis, costituf nella vita di Benjamin una cesura, un gesto di 'interruzione', una perdita da cui egli ebbe forse solo da guada­gnare, almeno sotto il profilo dell'indipendenza intellettuale. (D'al­tronde non era forse stata proprio la dimensione della rovina, dello scacco piu che della salvezza, ad apparirgli peculiare e produttiva nel sentire degli autori barocchi da lui studiati?) In tal senso il suo diffi­cile ma tutt'altro che illeggibile libro sul dramma barocco tedesco, prefigurabile come uno «schiaffo» non soltanto destinato a restare sospeso o collocato in un vago futuro ma affibbiato di fatto alle vuo­te certezze della 'scienza' accademica (fosse essa Kunstwissenscha/t, Literaturwissenschaft o quant'altro), rappresentava in primo luogo un atto d'amore nei confronti del pieno e negletto orizzonte della Verità e della parola pura, che per i vari Schultz e Cornelius restava assolu­tamente impenetrabile e alla quale andava subordinata ogni ricerca. In pari tempo esso veniva a configurarsi anche come uno fra i molte-

' Sulle implicazioni della vicenda francofortese di Benjamin e sul significato di questa Premessa retrospettiva anche per i commentatori di Benjamin, cfr. IRVING WOHLFARTH,

Riabilitazione di Ben;amin? Per un'autocritica, in L. BELLOI e L. LO'ITI (a cura di), W alter Beniamin. Tempo storia linguaggio, Roma 1983, pp. 239-43, e m., Hors-d'reuvre, Prefazio-ne a W ALTER BENJAMIN, Origine du drame baroque allemand, Paris 1985, pp. 9 sgg. ·

Page 9: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

x Giulio Schiavoni

plici gesti di ribellione di W alter Benjamin (q~ali saranno, sul fi~e degli anni Venti, ad esempio Strada a senso unzco o, poco dopo, l In­fanzia berlinese [Berliner Kindheit .um ~eunze.hnhundert]) alla ~tura weimariana, agli autoinganni deg~ a~ Vent~, c~me un modo ~h por­si cioè al di fuori anche dei rituali dell eserc1taz10ne accadem1ca, ol-tre che dei giochi ingannevoli della letteratura.

L'inquietante disavventura ~cca~emica fr~c?~ortese avrebbe co­stretto Benjamin a una precaria esistenza di cnuco, traduttore, re­censore e radiocronista. L'iter di tale disavventura è stato rece~te­mente ricostruito - con coraggiosa ostinazione - da ~';ll'khardt Lu~d­ner' sulla base del materiale presente sotto la d1c1tura «Pratica Benjamin per l'abilitazione alla. libera doce~a?> (H~bilita~ons.akte Beniamin) nell'Archivio dell'antica Facoltà d1 Fil?sof1a dell Uruver­sità di Francoforte, la st~ssa Facoltà che avrebbe, m~ece ~c:olto st~­diosi come Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Puo g10vare r1-

' Cfr BURJ<HAliDT LINDNER Habilitationsakte Ben;amin. O ber ein .rakadernisches Trauer­spiel» und uber ein Vorkapitetd.er .. Frankfurter Schule» (Horkheimer Adorno)! in ID. ~a ~­radi), W alter Ben;amin im Kontext, Konigstein 198~, P~· 32.4-41. L~ «Pratt~a BenJamm per l'abilitazione alla libera docenza» contiene (nell ordine): x. cumcu/um Vltae_<!.ebens: /auj),

2• domanda di abilitazion~ alla li~er,a d<><;enza (Habilita.tion~gesuck), 3; c~tftcato dt

buona condotta (Fuhrungszeugms), 4· dichiaraztone del commtSsarto dell Uruversttà, 5. let­tera del Preside professar Schultz al professar Comeli~s, ?· parere .del pro!essor C~rn~­lius (Gutachten Corne/ius) 7. descrizione di W alter BenJamm della d1Ssertaztone per l ab~­litazione alla libera doce~za, 8.lettera del Preside a Benjantin, 9.lettera della ~egretena della Presidenza sulla restituzione dei documenti presentati, e 10. documenta~tone re~a­tiva alla richiesta di Rolf Tiedemann, in quanto curato~ d~ e Ges~~/te ~chri/ten ~nJa· miniane di poter prendere visione della «Pratica BenJamm per l abilitaztone alla hbera docenza'» e di citarla. Può valere la pena ricordare le motivazioni addotte nel negare l' ac­cesso agli Atti a Rolf Tiedemann: secondo una pre~isazi~~e scrit~a del5 settembre 1973 dell'ufficio legale dell'Università di Francoforte, gh Attltn guesttone non ~onterrebbero nulla di «onorevole» (EhrenrUhriges) per le persone allora comvolte n~ vtcenda. ll_pro­fessor Becker Preside della Facoltà di Filosofia, assicurava che «non susst~t~no dubb1 che lo stile di BenJantin è difficilmente comprensibile o addirittura !n~omp~enstbile (n_u~ schwer zu verstehen oder uberhaupt nicht zu verstehen)», e comurtque 1 giudizi formulat~ m ~ca­sione del tentativo di W alter Benjamin di ottenere la libera docenza erano tali da rie~­trare nella «sfera privata protetta dal diritto costiruzionale» ed erano pertanto da const-derare riservati. , .

Ampio materiale documentario (annotazioni, appunti occasionali, un.a pref.aZtone me-dita) su tutta la vicenda è presente anche in BE.NJAMIN, Gesam_me/te Schri/ten c1t., I/3, PP·

868-84 e 895·914. . . . • Non va tuttavia dimenticato che neppure Adorno ebbe vtta facile. con la sua. libera

docenza presso la stesso Facoltà dell'Università~ Francoforte: il su~ prtmo tentattvo nel

1927 (con il lavoro pubblicato postumo Der Begriffdes Unbewuftten m der transz~denta/en See/en/ehre), infatti, non ebbe successo. Egli riusd nell'impresa soltanto successivamente,

Fuori dal coro XI

percorrerne ora nei dettagli alcuni dei momenti piu salienti, prima di enucleare alcune peculiarità dello studio benjaminiano.

Benjamin sembrava intenzionato in un primo tempo ad accogliere l'offerta di conseguire la libera docenza con il professar Richard Her­bertz, personalità «quanto mai incolore»7 sotto la cui guida egli si era laureato all'Università di Berna nel giugno 1919 sul Concetto di critica d'arte nel romanticismo tedesco (Der Begriff der Kunstkritik in der deut­sch~ Romantik). A part,ire dal 1922, tuttavia, in una situazione di pre­canetà economica e di conflitto con i genitori (pur coabitando ancora con loro insieme alla moglie Dora), il suo progetto di conseguire la li­bera docenza si fece impellente. A trent'anni compiuti, Benjamin av­v_ertiva l'urgenza di ottenere un «riconoscimento pubblico», sf da far ncredere i propri genitori nei confronti di attività in sé nobilissime co­me il lavoro da antiquario o la ricerca storico-letteraria, considerate però dagli estranei buoni borghesi come« arti che non danno pane» e da tron­care cosi la torturante dipendenza dai familiari: «Quanto piu i miei ge­nitori si mostrano testardi, tanto piu devo preoccuparmi·di ottenere un riconoscimento pubblico che li richiami all'ordine»8

• La carriera uni­versitaria gli appariva come un'occasione per veder confermata la pro­pria scelta di studioso, nella convinzione che, dopo il suo conseguimento della venia legendi, i genitori si sarebbero sentiti moralmente vincolati a garantire al suo spirito un maggiore sostegno materiale e indotti "'" se­condo il suo proposito - a liquidargli in anticipo la sua eredità assicu­randogli «una pur limitatissima rendita annua».

Nel 1922, dopo che i rapporti con Herbertz si erano affievoliti a causa del lungo tergiversare di quest'ultimo, le tenui speranze di con­seguire la libera docenza a Berna erano definitivamente tramontate. Benjamin sondò allora la possibilità di conseguire l' Habilitation all'Università di Heidelberg, dove prese parte alle lezioni tenute da Fri~drich G?n~olf, ~ece la s,onoscenza di Karl]aspers e riprese i con­tat~I con Hemnch Rtckert, suo ex professore a Friburgo. Dovette tut­tavia constatare che la Facoltà di Filosofia stava favorendo un altro candidato: Karl Mannheim. Benjamin decise allora di tentare l'ultima spiaggia: provare con Francoforte, in cui viveva ancora lo zio mater­no Arthur Moritz Schèinflies, ex rettore della locale Università e da poco in pensione. Riferimento chiave nella nuova situazione divenne Gottfried Salomon-Delatour, libero docente di sociologia nella stessa

nel 1930, con ill~voro Kierkega~rd. Konstruktiat; des Asthetischen. Meno nitido appare il compo:tamento d1 Max Horkhetmer, allora ass1Stente del professar Hans Cornelius, In propostto cfr. LINDNER, Habi/itationsakte Beniamin cit., pp. 335-38,

7 Cfr. SCHOLE.M, W alter Ben;amin cit., p. 79· • Cfr. BE~AMIN, Briefe cit., l, p. 2.93 (lettera del 14 ottobre 1922. a Florens Christian

Rang); trad. It. Lettere I9IJ·I940, Torma 1978, p, 59·

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x Giulio Schiavoni

plici gesti di ribellione di W alter Benjamin (q~ali saranno, sul fi~e degli anni Venti, ad esempio Strada a senso unzco o, poco dopo, l In­fanzia berlinese [Berliner Kindheit .um ~eunze.hnhundert]) alla ~tura weimariana, agli autoinganni deg~ a~ Vent~, c~me un modo ~h por­si cioè al di fuori anche dei rituali dell eserc1taz10ne accadem1ca, ol-tre che dei giochi ingannevoli della letteratura.

L'inquietante disavventura ~cca~emica fr~c?~ortese avrebbe co­stretto Benjamin a una precaria esistenza di cnuco, traduttore, re­censore e radiocronista. L'iter di tale disavventura è stato rece~te­mente ricostruito - con coraggiosa ostinazione - da ~';ll'khardt Lu~d­ner' sulla base del materiale presente sotto la d1c1tura «Pratica Benjamin per l'abilitazione alla. libera doce~a?> (H~bilita~ons.akte Beniamin) nell'Archivio dell'antica Facoltà d1 Fil?sof1a dell Uruver­sità di Francoforte, la st~ssa Facoltà che avrebbe, m~ece ~c:olto st~­diosi come Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Puo g10vare r1-

' Cfr BURJ<HAliDT LINDNER Habilitationsakte Ben;amin. O ber ein .rakadernisches Trauer­spiel» und uber ein Vorkapitetd.er .. Frankfurter Schule» (Horkheimer Adorno)! in ID. ~a ~­radi), W alter Ben;amin im Kontext, Konigstein 198~, P~· 32.4-41. L~ «Pratt~a BenJamm per l'abilitazione alla libera docenza» contiene (nell ordine): x. cumcu/um Vltae_<!.ebens: /auj),

2• domanda di abilitazion~ alla li~er,a d<><;enza (Habilita.tion~gesuck), 3; c~tftcato dt

buona condotta (Fuhrungszeugms), 4· dichiaraztone del commtSsarto dell Uruversttà, 5. let­tera del Preside professar Schultz al professar Comeli~s, ?· parere .del pro!essor C~rn~­lius (Gutachten Corne/ius) 7. descrizione di W alter BenJamm della d1Ssertaztone per l ab~­litazione alla libera doce~za, 8.lettera del Preside a Benjantin, 9.lettera della ~egretena della Presidenza sulla restituzione dei documenti presentati, e 10. documenta~tone re~a­tiva alla richiesta di Rolf Tiedemann, in quanto curato~ d~ e Ges~~/te ~chri/ten ~nJa· miniane di poter prendere visione della «Pratica BenJamm per l abilitaztone alla hbera docenza'» e di citarla. Può valere la pena ricordare le motivazioni addotte nel negare l' ac­cesso agli Atti a Rolf Tiedemann: secondo una pre~isazi~~e scrit~a del5 settembre 1973 dell'ufficio legale dell'Università di Francoforte, gh Attltn guesttone non ~onterrebbero nulla di «onorevole» (EhrenrUhriges) per le persone allora comvolte n~ vtcenda. ll_pro­fessor Becker Preside della Facoltà di Filosofia, assicurava che «non susst~t~no dubb1 che lo stile di BenJantin è difficilmente comprensibile o addirittura !n~omp~enstbile (n_u~ schwer zu verstehen oder uberhaupt nicht zu verstehen)», e comurtque 1 giudizi formulat~ m ~ca­sione del tentativo di W alter Benjamin di ottenere la libera docenza erano tali da rie~­trare nella «sfera privata protetta dal diritto costiruzionale» ed erano pertanto da const-derare riservati. , .

Ampio materiale documentario (annotazioni, appunti occasionali, un.a pref.aZtone me-dita) su tutta la vicenda è presente anche in BE.NJAMIN, Gesam_me/te Schri/ten c1t., I/3, PP·

868-84 e 895·914. . . . • Non va tuttavia dimenticato che neppure Adorno ebbe vtta facile. con la sua. libera

docenza presso la stesso Facoltà dell'Università~ Francoforte: il su~ prtmo tentattvo nel

1927 (con il lavoro pubblicato postumo Der Begriffdes Unbewuftten m der transz~denta/en See/en/ehre), infatti, non ebbe successo. Egli riusd nell'impresa soltanto successivamente,

Fuori dal coro XI

percorrerne ora nei dettagli alcuni dei momenti piu salienti, prima di enucleare alcune peculiarità dello studio benjaminiano.

Benjamin sembrava intenzionato in un primo tempo ad accogliere l'offerta di conseguire la libera docenza con il professar Richard Her­bertz, personalità «quanto mai incolore»7 sotto la cui guida egli si era laureato all'Università di Berna nel giugno 1919 sul Concetto di critica d'arte nel romanticismo tedesco (Der Begriff der Kunstkritik in der deut­sch~ Romantik). A part,ire dal 1922, tuttavia, in una situazione di pre­canetà economica e di conflitto con i genitori (pur coabitando ancora con loro insieme alla moglie Dora), il suo progetto di conseguire la li­bera docenza si fece impellente. A trent'anni compiuti, Benjamin av­v_ertiva l'urgenza di ottenere un «riconoscimento pubblico», sf da far ncredere i propri genitori nei confronti di attività in sé nobilissime co­me il lavoro da antiquario o la ricerca storico-letteraria, considerate però dagli estranei buoni borghesi come« arti che non danno pane» e da tron­care cosi la torturante dipendenza dai familiari: «Quanto piu i miei ge­nitori si mostrano testardi, tanto piu devo preoccuparmi·di ottenere un riconoscimento pubblico che li richiami all'ordine»8

• La carriera uni­versitaria gli appariva come un'occasione per veder confermata la pro­pria scelta di studioso, nella convinzione che, dopo il suo conseguimento della venia legendi, i genitori si sarebbero sentiti moralmente vincolati a garantire al suo spirito un maggiore sostegno materiale e indotti "'" se­condo il suo proposito - a liquidargli in anticipo la sua eredità assicu­randogli «una pur limitatissima rendita annua».

Nel 1922, dopo che i rapporti con Herbertz si erano affievoliti a causa del lungo tergiversare di quest'ultimo, le tenui speranze di con­seguire la libera docenza a Berna erano definitivamente tramontate. Benjamin sondò allora la possibilità di conseguire l' Habilitation all'Università di Heidelberg, dove prese parte alle lezioni tenute da Fri~drich G?n~olf, ~ece la s,onoscenza di Karl]aspers e riprese i con­tat~I con Hemnch Rtckert, suo ex professore a Friburgo. Dovette tut­tavia constatare che la Facoltà di Filosofia stava favorendo un altro candidato: Karl Mannheim. Benjamin decise allora di tentare l'ultima spiaggia: provare con Francoforte, in cui viveva ancora lo zio mater­no Arthur Moritz Schèinflies, ex rettore della locale Università e da poco in pensione. Riferimento chiave nella nuova situazione divenne Gottfried Salomon-Delatour, libero docente di sociologia nella stessa

nel 1930, con ill~voro Kierkega~rd. Konstruktiat; des Asthetischen. Meno nitido appare il compo:tamento d1 Max Horkhetmer, allora ass1Stente del professar Hans Cornelius, In propostto cfr. LINDNER, Habi/itationsakte Beniamin cit., pp. 335-38,

7 Cfr. SCHOLE.M, W alter Ben;amin cit., p. 79· • Cfr. BE~AMIN, Briefe cit., l, p. 2.93 (lettera del 14 ottobre 1922. a Florens Christian

Rang); trad. It. Lettere I9IJ·I940, Torma 1978, p, 59·

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xn Giulio Schiavoni

università, il quale suggerf a Benjamin di tentare ,dira~iunge~e la sua meta optando per la storia della letteratura o~ l estetlc~, anz1ché per la filosofia (il carteggio fra loro intercorso fra il 1922 e~ 1926 è una miniera di informazioni dettagliatissime su tutta la v~cenda fran­cofortese). Benjamin accettò allora la proposta del preSlde ~ella Fa­coltà di Filosofia, il germanista Franz ScJ;ultz. (al 9~al<: ~el d1c~mbre 1922 Salomon aveva trasmesso due scrittl benJamiruaru: il saggio sul: le Affinità elettive (Goethes Wahlverwandtschaften) '!i Goe~e e la .tesl di laurea sul romanticismo tedesco) di scrivere una dissertazione ~clen­tifica concernente la «letteratura barocca tedesc~». ~em~ra che Sla sta­to proprio Gottfried Salomon a sugged:e a Be~J.amin di lavorare « s~­la forma del Trauerspiel», senza ~uttav1a specificare ancora quale di-sciplina la libera docenza avrebbe: poi. do~.to rigu~dare. . .

Incoraggiato da Schultz, che gli ass1curo il pr?~r~o appoggio! Ben]a­min trascorse a Francoforte l'inizio del I 9 2 3 e Vi ns.1edette stabilmente nel semestre estivo del medesimo anno, durante il q~ale ~rese p~te anche al seminario di sociologia tenuto da Salorno~, m Cl;ll aveva In­

contrato un confidente disposto a prendere le sue difese riguardo all~ questioni accademiche franc~forte~ e a ~f~r~~l~ regolarmente S?B~ sviluppi della situ.azione9• ~li entu~ia~mllnlZlali d~ Sc?ultz tu~taVla s1 smorzarono via v1a, ed egli cercò di dirott~e B~nJ~ vers? ~ setto­re dell'estetica. Avrebbe dovuto però fare 1 conti c~m l opp<_>SlZlo~e del docente della disciplina, il professar Hans Cornelius. ~ «ld~e di fon­do» della ricerca sul Trauerspiel barocco erano. «fissate. m nuce» nell'aprile 192310• Sul finire dell'autunno le tematt~he.dellibro a~pa­rivano già ben delineate11

• Nel dicembre 192 3 BenJamin ~a co.nvmto che il progetto non lo avrebbe impegnato t7oppo a lungo : D1 ~atto, però, la raccolta del materiale per le sue «ncerche letterari~» s_i ~r~­trasse sino al marzo del 1924, e la stesura del lavoro, che Ben]amin lnl-

, Cfr. eH. KAMBAS, W alter Benjamin ~n Gottfried Sa~m~n, in «DVjs», 798~, PP· 6oi: 62.1 La situazione vennè cosi riassunta m una lettera mvtata a Salomon il I agosto di qudl'anno: dn queste settimane ho avuto ampio motivo di rimpiangere la ~ua assenza, poiché se ci fosse stato Lei alcune cose sarebbero probabilment~ andate megliocll .. ~da~ che Cornelius non vuole che io ottenga la libera docenza con lw, adesso tutt~ pe ed Schultz ... È positivo il fatto che Cornelius intenda yotare. a favore della ~a libera o· cenza» (citata in W alter Benjamin 1892-1940, a cura di R. Ttedemann, C. GOdde e H. Lo· nitz, in «Marbacher Magazin», LV (I990), p. 68). . .

•• Lettera dd I 4 aprile I 923 a G. Salomon (Nachla.B Salomon, Amsterda~), clt. m M. BRO~JERSEN, Spinne im eigenen Netz. Walter Benjamin. Leben und Werk, Biihl-Moos,

I990, P· I49· il · · 'al r: ersp' l tra u «Nd complesso, si direbbe tornato in primo piano tema UllZl e, rau ~~ e ali.

gedia. È un confronto fra le due forme, concluso deducendo la ~o~ dd Tra.uersptel d a teoria dell'allegoria»: lettera dd 7 ottobre I923 a Florens Christian Rang, m BENJAMlN,

Briefe cit., l, p. 304. . • l' ff · 1 · u «Le mie ricerche letterarie sono ormat pressoché t~te, e e etuva eone ustone

dd lavoro, come sempre in questi casi, è soltanto un fatto di volontà. E una volta che la

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ziò ai primi di maggio13, lontano dalla sua Germania, a Capri, in un' at­

mosfera spirituale e geografica sicuramente meno deprimente e in una fase della sua vita di 'svolta' marxista14

, lo impegnò sino alla fine dell'anno. Tornato a Berlino, nel dicembre ultimò la «prima stesura» del lavoro, perlomeno le parti che egli intendeva presentare a Fran­coforte, come egli riferf in una lettera a Salomon il29 dicembre 1924u.

Poco tempo dopo, Benjamin deve aver completato anche l'intro­duzione nella sua prima stesura, come si deduce da un'altra lettera dei primi di febbraio al suo confidente francofortese nella quale egli affermava di aver attuato quanto si era «prefisso »16

• Alla fine di mar-

red~ione scritta sia terminata, cosa che comunque ovviamente richiede ancora qualche settimana, sono abbastanza fiducioso di riuscire a consegnare il lavoro. Mi sono dedicato alla cosa con la massima intensità e credo che la materia estremamente ostica vi si presen­ti quasi seducente e· misteriosa. Ormai ho scoperto molti nessi estremamente sorprenden· ti»: lettera del2 I dicembre I 92 3 a Gottfried Salomon, in W alter Beniamin z 892·1940 cit.; p. 68.

" Va tuttavia ricordato che già nel I9I6 Benjamin aveva dedicato ad alcune tematiche centrali del suo lavoro in particolare il saggio Ursprung und Tragadie. In questo senso risul­ta comprensibile la dedica del lavoro alla moglie Dora Kdlner «Abbozzato nel 1916, com­posto nel I925. Allora come oggi dedicato a mia moglie», riportata nell'edizione dell'Ur­sprung des deutschen Trauerspie/s proposta dall'editore Suhrkamp di Francoforte nel 1963.

" In una cdebre lettera del22 dicembre I924 a Gershom Scholem, Benjamin parlò di «segnali comunisti» come «segni di una svolta» che aveva destato in lui «la volontà di non mascherare piu i momenti attuali e politici» dei suoi pensieri, «ma di svilupparli, speri· mentalmente, in forma estrema» (cfr. BENJAMlN, Lettere 1913·1940 cit., p. 109). Tale «svol­ta», oggetto di controversie e di roventi polemiche fra gli interpreti dd!' opera benjami· niana, è connessa all'esplicito riconoscimento da parte di Benjamin ddl'importanza del ma­terialismo storico, in seguito all'incontro caprese con la «rivoluzionaria russa» Asja Lacis e alla lettura del testo di GYORGY wx.ks, Storia e coscienza di classe (I9I I).

" «Come si richiedeva, ho scritto e scritto senza sosta, ma non a Lei. Nella sua prima stesura (Rohschrift), il lavoro è pronto ndla forma in cui voglio presentarlo a Francoforte, ossia senza la parte puramente metodologica dd!' introduzione e della conclusione. Queste ultime non le posso scrivere prima di osservare da una certa distanza il corpus dell'intero lavoro. Inoltre l'introduzione metodologica comporta talune complicazioni che risultano scoraggianti a prima vista. Il lavoro, come lo presento, non è un frammento, ma un qual­cosa di organico (nicht Fragment, sondern Totalitiit); a nessuno può venire in mente che pri· ma e dopo ci sia ancora qualcosa. Esso si presenta con il titolo di Ursprung des deutschen Trauerspie/s [Origine del dramma barocco tedesco] in due patti: I: <KTrauerspiel» e tragedia, II: Allegoria e <KTrauerspiel». Ognuna di queste parti si suddivide in tre altre parti, che so­no adorne di sei motti fra i piu preziosi, tutti desunti dai testi barocchi maggiormente fuo­ri mano. Questo per quanto concerne il lavoro nel suo insieme. Negli ultimi giorni ho ral­lentato a causa della Diirers Melencolial di Saxl e Panofsky, Leipzig I922, sfuggitomi non so come, ottimo e molto importante. (E uscito nelle Schriften der Bibliothek Warburg [Pub­blicazioni ddla Biblioteca Warburg]). Per mettere a punto il dattiloscritto ci vorranno 20 giorni, piuttosto qualche giorno in piu che in meno. Sono ancora nei tempi, se concludo al­la fine di gennaio? Lo spero molto. Poiché chissà chi sarà Preside nel prossimo semestre. La faccenda deve decidersi sicuramente in questo»: lettera del 29 dicembre 1924 a Gott­fried Salomon, riferita in Walter Beniamin 1892-1940 cit., p. 68.

" «Terminato il lavoro non lo è; non era fattibile. Invece sono nei tempi l'introdu?>k>­ne e la I parte, già redatte (però a mano, non ancora a macchina), la II parte in forma ma-

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università, il quale suggerf a Benjamin di tentare ,dira~iunge~e la sua meta optando per la storia della letteratura o~ l estetlc~, anz1ché per la filosofia (il carteggio fra loro intercorso fra il 1922 e~ 1926 è una miniera di informazioni dettagliatissime su tutta la v~cenda fran­cofortese). Benjamin accettò allora la proposta del preSlde ~ella Fa­coltà di Filosofia, il germanista Franz ScJ;ultz. (al 9~al<: ~el d1c~mbre 1922 Salomon aveva trasmesso due scrittl benJamiruaru: il saggio sul: le Affinità elettive (Goethes Wahlverwandtschaften) '!i Goe~e e la .tesl di laurea sul romanticismo tedesco) di scrivere una dissertazione ~clen­tifica concernente la «letteratura barocca tedesc~». ~em~ra che Sla sta­to proprio Gottfried Salomon a sugged:e a Be~J.amin di lavorare « s~­la forma del Trauerspiel», senza ~uttav1a specificare ancora quale di-sciplina la libera docenza avrebbe: poi. do~.to rigu~dare. . .

Incoraggiato da Schultz, che gli ass1curo il pr?~r~o appoggio! Ben]a­min trascorse a Francoforte l'inizio del I 9 2 3 e Vi ns.1edette stabilmente nel semestre estivo del medesimo anno, durante il q~ale ~rese p~te anche al seminario di sociologia tenuto da Salorno~, m Cl;ll aveva In­

contrato un confidente disposto a prendere le sue difese riguardo all~ questioni accademiche franc~forte~ e a ~f~r~~l~ regolarmente S?B~ sviluppi della situ.azione9• ~li entu~ia~mllnlZlali d~ Sc?ultz tu~taVla s1 smorzarono via v1a, ed egli cercò di dirott~e B~nJ~ vers? ~ setto­re dell'estetica. Avrebbe dovuto però fare 1 conti c~m l opp<_>SlZlo~e del docente della disciplina, il professar Hans Cornelius. ~ «ld~e di fon­do» della ricerca sul Trauerspiel barocco erano. «fissate. m nuce» nell'aprile 192310• Sul finire dell'autunno le tematt~he.dellibro a~pa­rivano già ben delineate11

• Nel dicembre 192 3 BenJamin ~a co.nvmto che il progetto non lo avrebbe impegnato t7oppo a lungo : D1 ~atto, però, la raccolta del materiale per le sue «ncerche letterari~» s_i ~r~­trasse sino al marzo del 1924, e la stesura del lavoro, che Ben]amin lnl-

, Cfr. eH. KAMBAS, W alter Benjamin ~n Gottfried Sa~m~n, in «DVjs», 798~, PP· 6oi: 62.1 La situazione vennè cosi riassunta m una lettera mvtata a Salomon il I agosto di qudl'anno: dn queste settimane ho avuto ampio motivo di rimpiangere la ~ua assenza, poiché se ci fosse stato Lei alcune cose sarebbero probabilment~ andate megliocll .. ~da~ che Cornelius non vuole che io ottenga la libera docenza con lw, adesso tutt~ pe ed Schultz ... È positivo il fatto che Cornelius intenda yotare. a favore della ~a libera o· cenza» (citata in W alter Benjamin 1892-1940, a cura di R. Ttedemann, C. GOdde e H. Lo· nitz, in «Marbacher Magazin», LV (I990), p. 68). . .

•• Lettera dd I 4 aprile I 923 a G. Salomon (Nachla.B Salomon, Amsterda~), clt. m M. BRO~JERSEN, Spinne im eigenen Netz. Walter Benjamin. Leben und Werk, Biihl-Moos,

I990, P· I49· il · · 'al r: ersp' l tra u «Nd complesso, si direbbe tornato in primo piano tema UllZl e, rau ~~ e ali.

gedia. È un confronto fra le due forme, concluso deducendo la ~o~ dd Tra.uersptel d a teoria dell'allegoria»: lettera dd 7 ottobre I923 a Florens Christian Rang, m BENJAMlN,

Briefe cit., l, p. 304. . • l' ff · 1 · u «Le mie ricerche letterarie sono ormat pressoché t~te, e e etuva eone ustone

dd lavoro, come sempre in questi casi, è soltanto un fatto di volontà. E una volta che la

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ziò ai primi di maggio13, lontano dalla sua Germania, a Capri, in un' at­

mosfera spirituale e geografica sicuramente meno deprimente e in una fase della sua vita di 'svolta' marxista14

, lo impegnò sino alla fine dell'anno. Tornato a Berlino, nel dicembre ultimò la «prima stesura» del lavoro, perlomeno le parti che egli intendeva presentare a Fran­coforte, come egli riferf in una lettera a Salomon il29 dicembre 1924u.

Poco tempo dopo, Benjamin deve aver completato anche l'intro­duzione nella sua prima stesura, come si deduce da un'altra lettera dei primi di febbraio al suo confidente francofortese nella quale egli affermava di aver attuato quanto si era «prefisso »16

• Alla fine di mar-

red~ione scritta sia terminata, cosa che comunque ovviamente richiede ancora qualche settimana, sono abbastanza fiducioso di riuscire a consegnare il lavoro. Mi sono dedicato alla cosa con la massima intensità e credo che la materia estremamente ostica vi si presen­ti quasi seducente e· misteriosa. Ormai ho scoperto molti nessi estremamente sorprenden· ti»: lettera del2 I dicembre I 92 3 a Gottfried Salomon, in W alter Beniamin z 892·1940 cit.; p. 68.

" Va tuttavia ricordato che già nel I9I6 Benjamin aveva dedicato ad alcune tematiche centrali del suo lavoro in particolare il saggio Ursprung und Tragadie. In questo senso risul­ta comprensibile la dedica del lavoro alla moglie Dora Kdlner «Abbozzato nel 1916, com­posto nel I925. Allora come oggi dedicato a mia moglie», riportata nell'edizione dell'Ur­sprung des deutschen Trauerspie/s proposta dall'editore Suhrkamp di Francoforte nel 1963.

" In una cdebre lettera del22 dicembre I924 a Gershom Scholem, Benjamin parlò di «segnali comunisti» come «segni di una svolta» che aveva destato in lui «la volontà di non mascherare piu i momenti attuali e politici» dei suoi pensieri, «ma di svilupparli, speri· mentalmente, in forma estrema» (cfr. BENJAMlN, Lettere 1913·1940 cit., p. 109). Tale «svol­ta», oggetto di controversie e di roventi polemiche fra gli interpreti dd!' opera benjami· niana, è connessa all'esplicito riconoscimento da parte di Benjamin ddl'importanza del ma­terialismo storico, in seguito all'incontro caprese con la «rivoluzionaria russa» Asja Lacis e alla lettura del testo di GYORGY wx.ks, Storia e coscienza di classe (I9I I).

" «Come si richiedeva, ho scritto e scritto senza sosta, ma non a Lei. Nella sua prima stesura (Rohschrift), il lavoro è pronto ndla forma in cui voglio presentarlo a Francoforte, ossia senza la parte puramente metodologica dd!' introduzione e della conclusione. Queste ultime non le posso scrivere prima di osservare da una certa distanza il corpus dell'intero lavoro. Inoltre l'introduzione metodologica comporta talune complicazioni che risultano scoraggianti a prima vista. Il lavoro, come lo presento, non è un frammento, ma un qual­cosa di organico (nicht Fragment, sondern Totalitiit); a nessuno può venire in mente che pri· ma e dopo ci sia ancora qualcosa. Esso si presenta con il titolo di Ursprung des deutschen Trauerspie/s [Origine del dramma barocco tedesco] in due patti: I: <KTrauerspiel» e tragedia, II: Allegoria e <KTrauerspiel». Ognuna di queste parti si suddivide in tre altre parti, che so­no adorne di sei motti fra i piu preziosi, tutti desunti dai testi barocchi maggiormente fuo­ri mano. Questo per quanto concerne il lavoro nel suo insieme. Negli ultimi giorni ho ral­lentato a causa della Diirers Melencolial di Saxl e Panofsky, Leipzig I922, sfuggitomi non so come, ottimo e molto importante. (E uscito nelle Schriften der Bibliothek Warburg [Pub­blicazioni ddla Biblioteca Warburg]). Per mettere a punto il dattiloscritto ci vorranno 20 giorni, piuttosto qualche giorno in piu che in meno. Sono ancora nei tempi, se concludo al­la fine di gennaio? Lo spero molto. Poiché chissà chi sarà Preside nel prossimo semestre. La faccenda deve decidersi sicuramente in questo»: lettera del 29 dicembre 1924 a Gott­fried Salomon, riferita in Walter Beniamin 1892-1940 cit., p. 68.

" «Terminato il lavoro non lo è; non era fattibile. Invece sono nei tempi l'introdu?>k>­ne e la I parte, già redatte (però a mano, non ancora a macchina), la II parte in forma ma-

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zo il lavoro tecnico e noioso di dettatura, assolto da Benjamin a Fran­coforte era terminato. Il dattiloscritto venne consegnato al profes­sar Schultz poco alla volta: dapprima l'introduzione, composta sol­tanto dalla «seconda metà, quella piu mansueta» della P~emessa g~o­seologica (Erkenntniskritische Y_orrede) che. fig?I'~ nel libro, pot.la prima parte intitolata «Trauersptel» e tragedta e infme la second~, m­titolàta Allegoria e «Trauerspiel», mentre venne escluso un capttolo conclusivo, progettato in un primo tempo. . ·

Per lungo tempo, tuttavia, dal professar Schultz non ~unsero cen-ni in proposito, e ben presto il «silenz~o» del rdator~ f~ Per: all~­mare Benjamin17 • Si rese evidente che l'illustre germarusta (il cw scnt­to Klassik und Romantik der Deutschen [Classicismo e romanticismo dei tedeschi] avrebbe costituito un manuale in uso fino ~ anni _Ses­santa) si stava defilando sempre piu, forse preoccupato alltdea di po­ter essere offuscato da quell'ebreo berli:nese es.troso; ~trap~n~ente. Schultz mostrava di volersi sottrarre a1 proprt obblighi e di mtrru:e -elegantemente - a dirottare Benjamin verso il collega Hans Cornelius, ordinario di filosofia all'Università di Francoforte e contempor~ea­mente incaricato dell'insegnamento di discipline artistiche (di 's~en­za generale dell'arte' (Allgemeine Kunstwiss;nschaft) ~eco!ldo l'altiso­nante dicitura germanica). In una lettera di sfogo :ili amtc~ Scholem Benjamin esprimeva il6 aprile di quell'anno tutto il proprto sconcer­to di fronte a quel professore «vigliacco»; «formai~»'. «freddo:, sco­stante» oltre che «male informato», che s1 contraddtstmgueva ptu per le rdazioni mondane che la competenza scientifica, e che avev~ ~­messo («persino con sincera autoironia») di rimproverare a Be~Jamm il solo fatto di «non essere suo allievo»18

• Analogamen~e, nel nspo_n­dere a \ma lettera chiarificatrice di Salomon, il I

0 maggto 1925 Ben]a­min ne lamentava il comportamento «ignobile» e si mostrava ancora incerto se tentare o meno la via dell'Habilitation19

noscritta, mentre la conclusione non è ancora scritta. La conclusio~e è però fa~oltativa; il lavoro è concluso con la II parte. In fondo già la I parte, « Trauerspz~l» ~ tragedza, è un tut· to unico, ma non voglio fondarmi esclusivamente su questo ... <?btettlvamente, con q~e­sto lavoro ho attuato ciò che avevo in mente e, a parte q~~sto, m rap~rt? al tempo tm· piegato, e malgrado esso, ho anche sicuramen~e realizzato~ ~e era poSSibile~ (lettera del

9 febbraio 1925 a Gottfried Salomon, citata m W alter Benr~mm 1~92-I94~ ctt., P· 69). 11 «Approdato presso gli accademici dopo. queste traverste, e~p~o la mta suprema ~­

goscia sul persistente silenzio di Schultz, che chiaramente non L ha. t~ormata di nulla pn· ma della sua partenza. Spero che, una volta tornato, non Le sfug~ua; atten~o un,su~ pa· rere personale prima eventualmente di consegnare la documentazione relativa all abilita-zione alla libera docenza» (ibid .) .

•• Cfr. BENJAMIN, Let~ 191)•1940 cit., p. II3· • • •• «Dalla Sua lettera deduco molte cose, nulla di buono; una cosa però .non mt è cht~­

ra. Cosa sia accaduto che potrebbe spiegare la svolta che comunque è da registrare nella VI: cenda. Poiché, anche se nella presa di posizione.esplicita di Schultz non v'è nulla che egli

Fuori dal coro xv

Nondimeno, il 12 maggio 1925 egli inoltrò formale domanda per conseguire la libera docenza in estetica. Tra la documentazione alle­gata20 appare significativo il suo curriculum vitae, -che lascia intrave­dere il tentativo &mettere in collegamento l'estetica (settore che gli era stato imposto quale ambito di specializzazione) e la storia della letteratura, che costituiva la disciplina per la quale intendeva optare originariamente:

Curriculum vitae

Sono nato il 15luglio 1892 dal commerciante Emil Benjamin e da sua mo­glie Pauline Schonflies. Entrambi i miei genitori vivono ancora. Sono di con­fessione mosaica. Ho ricevuto la mia formazione scolastica nel ginnasio della Kaiser-Friedrich-Schule di Charlottenburg. Questi studi furono interrotti da due anni di permanenza presso il «Landerziehungsheim» di Haubinda in Tu­ringia dal quattordicesimo al quindicesimo anno di età. Ho superato l'esame di maturità nel periodo pasquale del 1912. Ho studiato alle università di Fri­burgo, Berlino, Monaco e Berna. I miei interessi principali furono la filosofia, la storia della letteratura tedesca e la storia dell'arte. Ho pertanto seguito le le­zioni dei professori Cohn, Klilge, Rickert e Witkop a Friburgo, Cassirer, Erd­mann, Goldschrnidt, Hermann e Simmel a Berlino, Geiger, von der Leyen e Wolfflin a Monaco, Haberlin, Herbertz e Maync a Berna. Nel giugno del I 919 ho conseguito la laurea a Berna summa cum laude con un lavoro intitolato Il concetto della critica d'arte nel romanticismo tedesco. Ho avuto come materia fondamentale la filosofia e come materie complementari la storia della lettera­tura tedesca moderna e la psicologia. Dato che mi interesso soprattutto di este­tica, si è fatto sempre piu stretto il legame fra i miei interessi storico-letterari e quelli filosofici. Da un approfondimento delle concezioni e delle tendenze dei Parnassiens è derivato il tentativo di una traduzione di Baudelaire, la qua­le ha un suo momento di centrale importanza nella prefazione intitolata Sul compito del traduttore (Oberdie Aufgabe des Obersetzers), che affronta anche teo­ricamente la questione del linguaggio. Partendo da un'altra prospettiva, mi so­no occupato del rapporto fra la bellezza (das Schone) e l'apparenza (der Schein)

nòn abbia preparato con accortezza, tuttavia gli elementi imponderabili a mio sfavore mi sembrano diventare a poco a poco ponderabili: ad esempio il fatto che egli abbia evitato di portare ditettamente il discorso sul mio caso. Oppure: il fatto che le cose stiano in modo che Lei può scrivere che Schultz "probabilmente" farà da relatore al mio lavoro ... In ba­se al modo in cui adesso la faccenda si presenta, anch'io devo riconoscere, con calma e fred­dezza, che Schultz inizia a comportarsi in maniera ignobile ... Se, in questa situazione, pre­senterò davvero i documenti per ottenere la libera docenza lo devo valutare a Francofor­te. Determinato non lo sono piu affatto. E che cosa posso sperare da Comelius - una via esaurita -, il quale riveste lui stesso un incarico nelle discipline artistiche (Kunstwissen­schaft) ?»(lettera citata in W alter Beniamin 1892-I940 cit., p. 71).

"' Oltre al dattiloscritto dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels allegò alcuni attestati relativi ai suoi precedenti studi universitari a Friburgo, Berlino, Monaco e Berna, il diplo­ma di laurea, il certificato di buona condotta, un curriculum vitae, una copia della sua te­si di laurea discussa all'Università di Berna, del suo saggio sulle Affinità elettive di Goethe, della sua traduzione dei Tableaux Parisiens di Baudelaire e del suo saggio Destino e caratte­re (Schicksal und Charakter) e infine la dichiarazione del commissario presso l'Università di Francoforte.

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zo il lavoro tecnico e noioso di dettatura, assolto da Benjamin a Fran­coforte era terminato. Il dattiloscritto venne consegnato al profes­sar Schultz poco alla volta: dapprima l'introduzione, composta sol­tanto dalla «seconda metà, quella piu mansueta» della P~emessa g~o­seologica (Erkenntniskritische Y_orrede) che. fig?I'~ nel libro, pot.la prima parte intitolata «Trauersptel» e tragedta e infme la second~, m­titolàta Allegoria e «Trauerspiel», mentre venne escluso un capttolo conclusivo, progettato in un primo tempo. . ·

Per lungo tempo, tuttavia, dal professar Schultz non ~unsero cen-ni in proposito, e ben presto il «silenz~o» del rdator~ f~ Per: all~­mare Benjamin17 • Si rese evidente che l'illustre germarusta (il cw scnt­to Klassik und Romantik der Deutschen [Classicismo e romanticismo dei tedeschi] avrebbe costituito un manuale in uso fino ~ anni _Ses­santa) si stava defilando sempre piu, forse preoccupato alltdea di po­ter essere offuscato da quell'ebreo berli:nese es.troso; ~trap~n~ente. Schultz mostrava di volersi sottrarre a1 proprt obblighi e di mtrru:e -elegantemente - a dirottare Benjamin verso il collega Hans Cornelius, ordinario di filosofia all'Università di Francoforte e contempor~ea­mente incaricato dell'insegnamento di discipline artistiche (di 's~en­za generale dell'arte' (Allgemeine Kunstwiss;nschaft) ~eco!ldo l'altiso­nante dicitura germanica). In una lettera di sfogo :ili amtc~ Scholem Benjamin esprimeva il6 aprile di quell'anno tutto il proprto sconcer­to di fronte a quel professore «vigliacco»; «formai~»'. «freddo:, sco­stante» oltre che «male informato», che s1 contraddtstmgueva ptu per le rdazioni mondane che la competenza scientifica, e che avev~ ~­messo («persino con sincera autoironia») di rimproverare a Be~Jamm il solo fatto di «non essere suo allievo»18

• Analogamen~e, nel nspo_n­dere a \ma lettera chiarificatrice di Salomon, il I

0 maggto 1925 Ben]a­min ne lamentava il comportamento «ignobile» e si mostrava ancora incerto se tentare o meno la via dell'Habilitation19

noscritta, mentre la conclusione non è ancora scritta. La conclusio~e è però fa~oltativa; il lavoro è concluso con la II parte. In fondo già la I parte, « Trauerspz~l» ~ tragedza, è un tut· to unico, ma non voglio fondarmi esclusivamente su questo ... <?btettlvamente, con q~e­sto lavoro ho attuato ciò che avevo in mente e, a parte q~~sto, m rap~rt? al tempo tm· piegato, e malgrado esso, ho anche sicuramen~e realizzato~ ~e era poSSibile~ (lettera del

9 febbraio 1925 a Gottfried Salomon, citata m W alter Benr~mm 1~92-I94~ ctt., P· 69). 11 «Approdato presso gli accademici dopo. queste traverste, e~p~o la mta suprema ~­

goscia sul persistente silenzio di Schultz, che chiaramente non L ha. t~ormata di nulla pn· ma della sua partenza. Spero che, una volta tornato, non Le sfug~ua; atten~o un,su~ pa· rere personale prima eventualmente di consegnare la documentazione relativa all abilita-zione alla libera docenza» (ibid .) .

•• Cfr. BENJAMIN, Let~ 191)•1940 cit., p. II3· • • •• «Dalla Sua lettera deduco molte cose, nulla di buono; una cosa però .non mt è cht~­

ra. Cosa sia accaduto che potrebbe spiegare la svolta che comunque è da registrare nella VI: cenda. Poiché, anche se nella presa di posizione.esplicita di Schultz non v'è nulla che egli

Fuori dal coro xv

Nondimeno, il 12 maggio 1925 egli inoltrò formale domanda per conseguire la libera docenza in estetica. Tra la documentazione alle­gata20 appare significativo il suo curriculum vitae, -che lascia intrave­dere il tentativo &mettere in collegamento l'estetica (settore che gli era stato imposto quale ambito di specializzazione) e la storia della letteratura, che costituiva la disciplina per la quale intendeva optare originariamente:

Curriculum vitae

Sono nato il 15luglio 1892 dal commerciante Emil Benjamin e da sua mo­glie Pauline Schonflies. Entrambi i miei genitori vivono ancora. Sono di con­fessione mosaica. Ho ricevuto la mia formazione scolastica nel ginnasio della Kaiser-Friedrich-Schule di Charlottenburg. Questi studi furono interrotti da due anni di permanenza presso il «Landerziehungsheim» di Haubinda in Tu­ringia dal quattordicesimo al quindicesimo anno di età. Ho superato l'esame di maturità nel periodo pasquale del 1912. Ho studiato alle università di Fri­burgo, Berlino, Monaco e Berna. I miei interessi principali furono la filosofia, la storia della letteratura tedesca e la storia dell'arte. Ho pertanto seguito le le­zioni dei professori Cohn, Klilge, Rickert e Witkop a Friburgo, Cassirer, Erd­mann, Goldschrnidt, Hermann e Simmel a Berlino, Geiger, von der Leyen e Wolfflin a Monaco, Haberlin, Herbertz e Maync a Berna. Nel giugno del I 919 ho conseguito la laurea a Berna summa cum laude con un lavoro intitolato Il concetto della critica d'arte nel romanticismo tedesco. Ho avuto come materia fondamentale la filosofia e come materie complementari la storia della lettera­tura tedesca moderna e la psicologia. Dato che mi interesso soprattutto di este­tica, si è fatto sempre piu stretto il legame fra i miei interessi storico-letterari e quelli filosofici. Da un approfondimento delle concezioni e delle tendenze dei Parnassiens è derivato il tentativo di una traduzione di Baudelaire, la qua­le ha un suo momento di centrale importanza nella prefazione intitolata Sul compito del traduttore (Oberdie Aufgabe des Obersetzers), che affronta anche teo­ricamente la questione del linguaggio. Partendo da un'altra prospettiva, mi so­no occupato del rapporto fra la bellezza (das Schone) e l'apparenza (der Schein)

nòn abbia preparato con accortezza, tuttavia gli elementi imponderabili a mio sfavore mi sembrano diventare a poco a poco ponderabili: ad esempio il fatto che egli abbia evitato di portare ditettamente il discorso sul mio caso. Oppure: il fatto che le cose stiano in modo che Lei può scrivere che Schultz "probabilmente" farà da relatore al mio lavoro ... In ba­se al modo in cui adesso la faccenda si presenta, anch'io devo riconoscere, con calma e fred­dezza, che Schultz inizia a comportarsi in maniera ignobile ... Se, in questa situazione, pre­senterò davvero i documenti per ottenere la libera docenza lo devo valutare a Francofor­te. Determinato non lo sono piu affatto. E che cosa posso sperare da Comelius - una via esaurita -, il quale riveste lui stesso un incarico nelle discipline artistiche (Kunstwissen­schaft) ?»(lettera citata in W alter Beniamin 1892-I940 cit., p. 71).

"' Oltre al dattiloscritto dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels allegò alcuni attestati relativi ai suoi precedenti studi universitari a Friburgo, Berlino, Monaco e Berna, il diplo­ma di laurea, il certificato di buona condotta, un curriculum vitae, una copia della sua te­si di laurea discussa all'Università di Berna, del suo saggio sulle Affinità elettive di Goethe, della sua traduzione dei Tableaux Parisiens di Baudelaire e del suo saggio Destino e caratte­re (Schicksal und Charakter) e infine la dichiarazione del commissario presso l'Università di Francoforte.

Page 15: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

XVI Giulio Schiavoni

nella sua particolare espressione linguistica. È stato questo uno dei motivi da cui ha preso le mosse il mio saggio sulle Affinità elettive di Goethe, al quale in­tendo farne seguire un altro sulla Nuova Melusina (Neue Melusine). Alle rifles­sioni teoriche sul linguaggio presenti in alcuni capitoli della mia dissertazione che ha per titolo Origine del dramma barocco tedesco ho cercato di dare una con­creta impronta storico-letteraria. Nello stringato collegamento da me tentato fra le problematiche estetiche e le· grandi opere della letteratura tedesca vedo prefigurato il metodo dei miei futuri lavori21

Poco tempo dopo, Benjamin espresse esplicitamente le proprie per­plessità all'amico Scholem, affermando di considerare ormai «irrile­vanti» le proprie chance22. Schultz, in quanto Preside della Facoltà di Filosofia, incaricò quindi il 27 maggio 1925 Hans Cornelius di pre­parare una relazione sul lavoro presentato da Benjamin. Tale relazio­ne fu redatta soltanto a distanza di sei settimane (in data 7 luglio 1925), durante le quali è pensabile che, piu che dedicarsi a un'ap­profondita lettura del testo, Cornelius si preoccupò di chiedere all' au­tore di redigeme una breve sintesi. Le tre pagine dattiloscritte in cui Benjamin condensò sotto forma di tesi le sue ricerche sul dramma ba­rocco tedesco sono state in seguito pubblicate nell'apparato critico delle Gesammelte Schriften benjaminiane:

Relazione

1. Il lavoro concerne il contenuto artistico del dtamma barocco tedesco. n. La sua problematica estetica la risolve in strettissimo collegamento con i do­

cumenti storico-letterari di questa stessa forma: quindi non deducendo este­ticamente, ma analizzando secondo la critica d'arte (Kunstwissenscha/t).

m. Metodologicamente esso cerca di giustificare nel concetto di«origine» (Ur­sprung) la stretta connessione esistente fra l'intenzione di tipo kunstwissen­schaftlich, che è orientata sull'essenza del Trauerspielbarocco e del Trauer­rpiel in generale, e la materia letteraria.

21 Riportato in LINDNER (a cura di), W alter Beniamin im Kontext ci t., pp. 330-3 I.

22 Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p. 379; trad. it. Lettere I9IJ·I940 cit., p. n6: «Da una settimana la mia richiesta formale di libera docenza si trova presso la Facoltà. Le mie chan­ces sono cosi irrilevanti che ho esitato fino all'ultimo, prima di avanzare la mia candidatu­ra. Infatti la libera docenza per storia della letteratura tedesca mi era dichiarata da ultimo e irrevocabilmente impossibile, a causa della mia «preparazione culturale», sicché ero sbat­tuto sulla spiaggia dell' «estetica»; e qui minacciano nuovamente le resistenze di Comelius. Poiché ha un incarico per l'insegnamento di «scienza generale dell'arte», che appartiene alla stessa specialità dell'estetica. Si aggiunga l'inattendibilità di Schultz, che non vuole compromettersi nei miei confronti, è vero, e ha pronunciato riguardo al lavoro, perché co· stretto, poche parole di massimo riconoscimento, ma non ha neanche nessuna voglia di im­pegnarsi. Cosi in questo momento nessuno può dire che cosa ne verrà fuori. Conto, nella Facoltà, un certo numero di benevoli signori neutrali, ma nessuno sa chi dovrebbe pren­dere veramente in mano la cosa. Se la cosa verrà decisa negativàmente a priori, lo saprò en­tro pochi giorni. Ma è piu probabile che sia insediata una commissione che lavorerà sino alla fine del semestre, e devo rallegrarmi se si prenderà una decisione prima delle vacanze estive».

Fuori dal coro XVII

rv. Il concetto di origine (Ursprung) è cosf definito: L'origine (Ursprung), pur es­sendo una categoria pienamente storica, non ha nulla in comune con la ge­nesi (Entstehung). Per «origine» non si intende il divenire di ciò che scatu­risce, bensf al contrario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L'ori­gine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria genesi. Nella nuda e palese compagine del fattua­le, l'originario non si dà mai a conoscere, e il suo ritmo si dischiude soltan­to a una duplice visione. Essa vuoi essere intesa da un lato come restaura­zione, come ripristino, e dall'altro e proprio per questo come qualcosa di im­perfetto e di inconcluso [cfr. Gesammelte Schriften, I/ x, p. 236]. Per tale ragione nel corso del lavoro si offrono degli excursus sul tardo Trauerspiel e sulle tendenze affini al Trauerspiel barocco in epoca medievale. La conse­guenza di questa definizione storico-logica dell'origine, tuttavia, non è che il vecchio «fatto» diventa di colpo un momento costitutivo dell'essenza. Il compito dello studioso comincia anzi proprio qui, nell'accettare il fatto co­me genuino soltanto se ha l'inequivocabile affinità dell'essenza con il prima e con il dopo. Nei fenomeni piu singolari e intricati, nelle prove piu incerte e piu ingenue come nelle forme piu mature di una civiltà al tramonto la sco­perta è in grado di portare alla luce l'autentico. Non è per costruire un'unità, e tanto meno per estrarne un elemento comune, che l'idea riassume la serie delle forme storiche. Il rapporto fra il singolo el'idea non ha nulla a che fa­re col rapporto fra il singolo e il concetto: nel secondo caso esso cade sotto il concetto e rimane quello che era - singolarità; nel primò esso sta nell'idea e diventa ciò che non era.., totalità. E questa è la sua platonica «salvazione» [cfr. Gesammelte Schriften, I/ x, pp. zz6-z7].

v. Dì conseguenza l'« Ursprung» des deutschen Trauerspiels («origine» del dtam­ma. tedesco) è~ sua idea, sv~';lPPata in una ~assa di casi concreti. In quan­to 1dea (Idee), m contrappos1z1one all'allegonco concetto (J3egrif/J, il concet­to estetico del genere (Gattungsbegrif/J viene difeso contro coloro che lo con­futano, principalmente Croce e Burdach.

VI. La prima parte della dissertazione, intitolata «Trauerspiel» e tragedia, culmina in una sinossi di queste due opposte categorie:

Tragedia Trauerspiel Saga Colpa naturale Unità dell'eroe Pluralità degli individui sgomenti Immortalità Vita da spettri Contrasto con la commedia Commistione con la commedia

VII. La seconda parte della dissertazione, Allegoria e «Trauerspiel», è dedicata a un'indagine sull'allegoria. Quest'ultima viene presentata, in un'analisi non di tipo storico bensf kunstwissenschaftlich~ come lo schema stilistico del Trauerspielbarocco.

VIII. L'allegoria entra in contrasto con il simbolo, ma non in quello dell'uso lin­guistico convenzionale. Piuttosto: «Non è possibile pensare qualcosa di piu lontano dal simbolo artistico, dal simbolo plastico, dall'immagine della to­talità organica, di questo frammento amorfo che è l'ideogramma allegorico. In essa il barocco si dimostra un pendant perfetto del classicismo. E non si tratta tanto di un correttivo del classicismo, quanto di un correttivo dell'ar­te come tale. Cogliere la non-libertà, l'incompiutezza e la fragilità della na-

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nella sua particolare espressione linguistica. È stato questo uno dei motivi da cui ha preso le mosse il mio saggio sulle Affinità elettive di Goethe, al quale in­tendo farne seguire un altro sulla Nuova Melusina (Neue Melusine). Alle rifles­sioni teoriche sul linguaggio presenti in alcuni capitoli della mia dissertazione che ha per titolo Origine del dramma barocco tedesco ho cercato di dare una con­creta impronta storico-letteraria. Nello stringato collegamento da me tentato fra le problematiche estetiche e le· grandi opere della letteratura tedesca vedo prefigurato il metodo dei miei futuri lavori21

Poco tempo dopo, Benjamin espresse esplicitamente le proprie per­plessità all'amico Scholem, affermando di considerare ormai «irrile­vanti» le proprie chance22. Schultz, in quanto Preside della Facoltà di Filosofia, incaricò quindi il 27 maggio 1925 Hans Cornelius di pre­parare una relazione sul lavoro presentato da Benjamin. Tale relazio­ne fu redatta soltanto a distanza di sei settimane (in data 7 luglio 1925), durante le quali è pensabile che, piu che dedicarsi a un'ap­profondita lettura del testo, Cornelius si preoccupò di chiedere all' au­tore di redigeme una breve sintesi. Le tre pagine dattiloscritte in cui Benjamin condensò sotto forma di tesi le sue ricerche sul dramma ba­rocco tedesco sono state in seguito pubblicate nell'apparato critico delle Gesammelte Schriften benjaminiane:

Relazione

1. Il lavoro concerne il contenuto artistico del dtamma barocco tedesco. n. La sua problematica estetica la risolve in strettissimo collegamento con i do­

cumenti storico-letterari di questa stessa forma: quindi non deducendo este­ticamente, ma analizzando secondo la critica d'arte (Kunstwissenscha/t).

m. Metodologicamente esso cerca di giustificare nel concetto di«origine» (Ur­sprung) la stretta connessione esistente fra l'intenzione di tipo kunstwissen­schaftlich, che è orientata sull'essenza del Trauerspielbarocco e del Trauer­rpiel in generale, e la materia letteraria.

21 Riportato in LINDNER (a cura di), W alter Beniamin im Kontext ci t., pp. 330-3 I.

22 Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p. 379; trad. it. Lettere I9IJ·I940 cit., p. n6: «Da una settimana la mia richiesta formale di libera docenza si trova presso la Facoltà. Le mie chan­ces sono cosi irrilevanti che ho esitato fino all'ultimo, prima di avanzare la mia candidatu­ra. Infatti la libera docenza per storia della letteratura tedesca mi era dichiarata da ultimo e irrevocabilmente impossibile, a causa della mia «preparazione culturale», sicché ero sbat­tuto sulla spiaggia dell' «estetica»; e qui minacciano nuovamente le resistenze di Comelius. Poiché ha un incarico per l'insegnamento di «scienza generale dell'arte», che appartiene alla stessa specialità dell'estetica. Si aggiunga l'inattendibilità di Schultz, che non vuole compromettersi nei miei confronti, è vero, e ha pronunciato riguardo al lavoro, perché co· stretto, poche parole di massimo riconoscimento, ma non ha neanche nessuna voglia di im­pegnarsi. Cosi in questo momento nessuno può dire che cosa ne verrà fuori. Conto, nella Facoltà, un certo numero di benevoli signori neutrali, ma nessuno sa chi dovrebbe pren­dere veramente in mano la cosa. Se la cosa verrà decisa negativàmente a priori, lo saprò en­tro pochi giorni. Ma è piu probabile che sia insediata una commissione che lavorerà sino alla fine del semestre, e devo rallegrarmi se si prenderà una decisione prima delle vacanze estive».

Fuori dal coro XVII

rv. Il concetto di origine (Ursprung) è cosf definito: L'origine (Ursprung), pur es­sendo una categoria pienamente storica, non ha nulla in comune con la ge­nesi (Entstehung). Per «origine» non si intende il divenire di ciò che scatu­risce, bensf al contrario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L'ori­gine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria genesi. Nella nuda e palese compagine del fattua­le, l'originario non si dà mai a conoscere, e il suo ritmo si dischiude soltan­to a una duplice visione. Essa vuoi essere intesa da un lato come restaura­zione, come ripristino, e dall'altro e proprio per questo come qualcosa di im­perfetto e di inconcluso [cfr. Gesammelte Schriften, I/ x, p. 236]. Per tale ragione nel corso del lavoro si offrono degli excursus sul tardo Trauerspiel e sulle tendenze affini al Trauerspiel barocco in epoca medievale. La conse­guenza di questa definizione storico-logica dell'origine, tuttavia, non è che il vecchio «fatto» diventa di colpo un momento costitutivo dell'essenza. Il compito dello studioso comincia anzi proprio qui, nell'accettare il fatto co­me genuino soltanto se ha l'inequivocabile affinità dell'essenza con il prima e con il dopo. Nei fenomeni piu singolari e intricati, nelle prove piu incerte e piu ingenue come nelle forme piu mature di una civiltà al tramonto la sco­perta è in grado di portare alla luce l'autentico. Non è per costruire un'unità, e tanto meno per estrarne un elemento comune, che l'idea riassume la serie delle forme storiche. Il rapporto fra il singolo el'idea non ha nulla a che fa­re col rapporto fra il singolo e il concetto: nel secondo caso esso cade sotto il concetto e rimane quello che era - singolarità; nel primò esso sta nell'idea e diventa ciò che non era.., totalità. E questa è la sua platonica «salvazione» [cfr. Gesammelte Schriften, I/ x, pp. zz6-z7].

v. Dì conseguenza l'« Ursprung» des deutschen Trauerspiels («origine» del dtam­ma. tedesco) è~ sua idea, sv~';lPPata in una ~assa di casi concreti. In quan­to 1dea (Idee), m contrappos1z1one all'allegonco concetto (J3egrif/J, il concet­to estetico del genere (Gattungsbegrif/J viene difeso contro coloro che lo con­futano, principalmente Croce e Burdach.

VI. La prima parte della dissertazione, intitolata «Trauerspiel» e tragedia, culmina in una sinossi di queste due opposte categorie:

Tragedia Trauerspiel Saga Colpa naturale Unità dell'eroe Pluralità degli individui sgomenti Immortalità Vita da spettri Contrasto con la commedia Commistione con la commedia

VII. La seconda parte della dissertazione, Allegoria e «Trauerspiel», è dedicata a un'indagine sull'allegoria. Quest'ultima viene presentata, in un'analisi non di tipo storico bensf kunstwissenschaftlich~ come lo schema stilistico del Trauerspielbarocco.

VIII. L'allegoria entra in contrasto con il simbolo, ma non in quello dell'uso lin­guistico convenzionale. Piuttosto: «Non è possibile pensare qualcosa di piu lontano dal simbolo artistico, dal simbolo plastico, dall'immagine della to­talità organica, di questo frammento amorfo che è l'ideogramma allegorico. In essa il barocco si dimostra un pendant perfetto del classicismo. E non si tratta tanto di un correttivo del classicismo, quanto di un correttivo dell'ar­te come tale. Cogliere la non-libertà, l'incompiutezza e la fragilità della na-

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tura sensibile, del bello naturale, al classicismo non era dato. Ma sono pro­prio questi i caratteri che l'allegoria barocca propone, nascosti sotto la sua pompa sfarzosa, con una insistenza fino a quel punto ignota [cfr. Gesam­melte Schriften, l/x, pp . .351-52].

IX. L'opera d'arte allegorica reca già in sé in una certa misura la dissoluzione critica, in essa si compie la nascita della critica dallo spirito dell'arte. Con rara chiarezza la critica sta nell'ulteriore durata di queste opere. Sin dal prin­cipio esse mirano a quella dissoluzione critica che il corso del tempo ha pra­ticato su di esse. La critica filosofica non deve contestare il fatto di ridesta­re, proprio lei, la bellezza dell'opera. Si dice: La scienza non può condurre a un godimento ingenuo dell'opera d'arte, cos{ come i geologi e i botanici non possono risvegliare la sensibilità per un bel paesaggio [Petersen]. Ma questa affermazione è discutibile: senza intuire in qualche modo la vita del dettaglio nella struttura, ogni aspirazione alla bellezza rimane pura faptasia. Struttura e dettaglio sono sempre, in definitiva, carichi di storicità. E com· pito della critica filosofica mostrare che la funzione della forma artistica è appunto questa: trasformare i dati storici che stanno alla base di ogni opera significativa in contenuti di verità. Questa metamorfosi dei dati di fatto in contenuti di verità fa s{ che l'affievolirsi, decennio dopo decennio, del fa­scino originario dell'opera, diventi il germe di una nuova nascita, in cui ogni bellezza effimera viene completamente a cadere e l'opera si afferma come rovina. Nella costruzione allegorica del dramma barocco tedesco si delinea­no fin dall'inizio le forme in rovina dell'opera d'arte giunta alla sua salvez· za [cfr. Gesammelte Schriften, I/r, pp. 351-52]23

Dopo aver preso visione di questo sconcertante Exposé, vibrante di risentimento per i cultori del 'simbolo estetico' (in primis la scuola di Stefan George, da Benjamin attaccata nella persona di Gundolf nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe) e per quanti finivano per ri­cadere nella ricerca di un «godimento ingenuo dell'opera d'arte, nel suo giudizio il professar Cornelius (che possiamo immaginare anche lui - per quanto implicitamente - tra i bersagli di Benjamin) cosf scri-veva:

Il lavoro del dottor Benjamin, su cui devo riferire in merito ai contenuti inerenti alla 'scienza dell'arte', presenta un'estrema difficoltà di lettura. Ven· go no usate molte parole di cui l'autore non ritiene doveroso spiegare il senso e che però o non hanno un significato generalmente sicuro o che, se vengono intese nel loro significato comune, non offrono alcun senso chiaro nel conte­sto in cui vengono utilizzate. Per tale motivo, in parte io non sono in grado di riferire il significato del lavoro, e in parte non sono perlomeno in grado di riferirlo con esattezza.

Oggetto del lavoro è il dramma barocco tedesco, o meglio- secondo l'in­tenzione dell'autore- il contenuto artistico del dramma barocco tedesco. Ol­tre a una serie di considerazioni inerenti alla 'scienza dell'arte', su cui ritor­nerò piu tardi, in questo contesto vengono radunati con gran cura una quan­tità di interessanti materiali storici. Queste esposizioni storiche costituiscono,

" Cfr. W ALTER BENJAMIN, Exposé, in Gesamme!te Schriften eit., I/3, pp. 950-52.

Fuori dal coro XIX

a quanto posso giudicare, la parte piu cospicua dell'opera· esse non hanno un rilievo dal punto di vista della 'scienza dell'arte', sebben~ d'altro canto con­tengano interessanti e importanti osservazioni sulla storia della letteratura cosa che non spetta a me giudicare. '

«lntenzi.oni pertinenti la scienza dell'arte» sembra anzitutto perseguire l' «lntrod~o~~». Malgrado ~~ò i ffi:iei ripetuti sforzi, non è stato possibile trarne un signif1cato comprensibile. D1 contenuto inerente alla 'scienza dell' ar­t:' è poi una cz?.tica piuttosto es~uriente della teoria di Volkelt sul tragico, che glUstamente disapprova come infondate le premesse di questa teoria, senza che però l'autore riesca a esprimere con sufficiente chiarezza la sua opinione sulla costituzione 'storico-filosofica' del tragico. «<ntenzioni dal punto di vi­sta della scienza dell'arte» infine persegue l'ampia esposizione sull'elemento allegorico; m_a ne~p~e in questo caso sono riuscito a comprendere il signifi­cato delle sp1egaz1oru, per quanto nuovamente munite di una gran quantità di interessantissimo materiale storico.

Non riuscendo a riconoscere il risultato inerente alla 'scienza dell'arte' che l' ~Ut<?Je si prefigge, mi ~no rivolto a lui per via"epistolare, pregandolo di for­rurml un. breve .compendio del suo lavoro. Ho quindi da lui ricevuto un prospetto s~e vane partl dd suo lavoro da lui considerate come il proprio risultato scien­tiflCO; ma ancora una volta non sono riuscito a comprendere tali esposizioni. In questo imbarazzo mi sono rivolto al dottor [Adhemar] Gdb e al dottor [Max] Horkh~er pregan~oli di leggere questa relazione sintetica e di dirmi in quale senso ess1 potessero mterpretare tali elaborazioni. Da entrambi mi sono sentito rispondere che per loro esse erano incomprensibili. Allego agli atti lo scritto in discussione.

. In simili condizioni non sono in grado di poter raccomandare alla Facoltà di accettare come testo per la libera docenza il lavoro del dottor Benjamin. Non posso infatti esimermi dall'esprimere il dubbio- pur con tutta la mia simpatia pe: l'autore, a me peraltro noto per la sua perspicacia e ingegnosità - che, con il suo incomprensibile modo di esprimersi, da intendere sicura­mente come un indice di confusione obiettiva (sachliche Unklarheit), egli non può essere una guida per gli studenti in queste discipline.

7 luglio 1925 H. Cornelius2

•.

La Facoltà. non ritenne di doversi giovare di ulteriori relatori e, ap­pena una settunana dopo, nella seduta del r 3 luglio, respinse la doman­da di Benjamin, come si evince dal registro dei verbali~. Sull' <<Ultimo stadio» della sua impresa Benjaminriferisce il2r luglio 1925 in una let­tera da Berlino all'amico Gershom Scholem. Senza risparmiarsi toni iro­nici e senza farsi alcuna illusione- a proposito dell'infrangersi dei 'pro­getti francofortesi' e dei tentativi intrapresi da parte accademica per con-

"' Cfr. Walter Benjamin x892·1940 cit., pp. 72-73. . " « S~ b~e ~el. ~udizio d~ professor Cornelius, la Facoltà delibera di consigliare al

dottor BenJamm di rttirare lo scntto presentato per ottenere la libera docenza. La Facoltà de~bera inoltre ~ n~>n ammetterlo all'esame per l' Habilitation qualora egli non dovesse se· gurre questo collSlglio» (LINDNER, Walter Beniamin im Kontextcit., p . .333).

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tura sensibile, del bello naturale, al classicismo non era dato. Ma sono pro­prio questi i caratteri che l'allegoria barocca propone, nascosti sotto la sua pompa sfarzosa, con una insistenza fino a quel punto ignota [cfr. Gesam­melte Schriften, l/x, pp . .351-52].

IX. L'opera d'arte allegorica reca già in sé in una certa misura la dissoluzione critica, in essa si compie la nascita della critica dallo spirito dell'arte. Con rara chiarezza la critica sta nell'ulteriore durata di queste opere. Sin dal prin­cipio esse mirano a quella dissoluzione critica che il corso del tempo ha pra­ticato su di esse. La critica filosofica non deve contestare il fatto di ridesta­re, proprio lei, la bellezza dell'opera. Si dice: La scienza non può condurre a un godimento ingenuo dell'opera d'arte, cos{ come i geologi e i botanici non possono risvegliare la sensibilità per un bel paesaggio [Petersen]. Ma questa affermazione è discutibile: senza intuire in qualche modo la vita del dettaglio nella struttura, ogni aspirazione alla bellezza rimane pura faptasia. Struttura e dettaglio sono sempre, in definitiva, carichi di storicità. E com· pito della critica filosofica mostrare che la funzione della forma artistica è appunto questa: trasformare i dati storici che stanno alla base di ogni opera significativa in contenuti di verità. Questa metamorfosi dei dati di fatto in contenuti di verità fa s{ che l'affievolirsi, decennio dopo decennio, del fa­scino originario dell'opera, diventi il germe di una nuova nascita, in cui ogni bellezza effimera viene completamente a cadere e l'opera si afferma come rovina. Nella costruzione allegorica del dramma barocco tedesco si delinea­no fin dall'inizio le forme in rovina dell'opera d'arte giunta alla sua salvez· za [cfr. Gesammelte Schriften, I/r, pp. 351-52]23

Dopo aver preso visione di questo sconcertante Exposé, vibrante di risentimento per i cultori del 'simbolo estetico' (in primis la scuola di Stefan George, da Benjamin attaccata nella persona di Gundolf nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe) e per quanti finivano per ri­cadere nella ricerca di un «godimento ingenuo dell'opera d'arte, nel suo giudizio il professar Cornelius (che possiamo immaginare anche lui - per quanto implicitamente - tra i bersagli di Benjamin) cosf scri-veva:

Il lavoro del dottor Benjamin, su cui devo riferire in merito ai contenuti inerenti alla 'scienza dell'arte', presenta un'estrema difficoltà di lettura. Ven· go no usate molte parole di cui l'autore non ritiene doveroso spiegare il senso e che però o non hanno un significato generalmente sicuro o che, se vengono intese nel loro significato comune, non offrono alcun senso chiaro nel conte­sto in cui vengono utilizzate. Per tale motivo, in parte io non sono in grado di riferire il significato del lavoro, e in parte non sono perlomeno in grado di riferirlo con esattezza.

Oggetto del lavoro è il dramma barocco tedesco, o meglio- secondo l'in­tenzione dell'autore- il contenuto artistico del dramma barocco tedesco. Ol­tre a una serie di considerazioni inerenti alla 'scienza dell'arte', su cui ritor­nerò piu tardi, in questo contesto vengono radunati con gran cura una quan­tità di interessanti materiali storici. Queste esposizioni storiche costituiscono,

" Cfr. W ALTER BENJAMIN, Exposé, in Gesamme!te Schriften eit., I/3, pp. 950-52.

Fuori dal coro XIX

a quanto posso giudicare, la parte piu cospicua dell'opera· esse non hanno un rilievo dal punto di vista della 'scienza dell'arte', sebben~ d'altro canto con­tengano interessanti e importanti osservazioni sulla storia della letteratura cosa che non spetta a me giudicare. '

«lntenzi.oni pertinenti la scienza dell'arte» sembra anzitutto perseguire l' «lntrod~o~~». Malgrado ~~ò i ffi:iei ripetuti sforzi, non è stato possibile trarne un signif1cato comprensibile. D1 contenuto inerente alla 'scienza dell' ar­t:' è poi una cz?.tica piuttosto es~uriente della teoria di Volkelt sul tragico, che glUstamente disapprova come infondate le premesse di questa teoria, senza che però l'autore riesca a esprimere con sufficiente chiarezza la sua opinione sulla costituzione 'storico-filosofica' del tragico. «<ntenzioni dal punto di vi­sta della scienza dell'arte» infine persegue l'ampia esposizione sull'elemento allegorico; m_a ne~p~e in questo caso sono riuscito a comprendere il signifi­cato delle sp1egaz1oru, per quanto nuovamente munite di una gran quantità di interessantissimo materiale storico.

Non riuscendo a riconoscere il risultato inerente alla 'scienza dell'arte' che l' ~Ut<?Je si prefigge, mi ~no rivolto a lui per via"epistolare, pregandolo di for­rurml un. breve .compendio del suo lavoro. Ho quindi da lui ricevuto un prospetto s~e vane partl dd suo lavoro da lui considerate come il proprio risultato scien­tiflCO; ma ancora una volta non sono riuscito a comprendere tali esposizioni. In questo imbarazzo mi sono rivolto al dottor [Adhemar] Gdb e al dottor [Max] Horkh~er pregan~oli di leggere questa relazione sintetica e di dirmi in quale senso ess1 potessero mterpretare tali elaborazioni. Da entrambi mi sono sentito rispondere che per loro esse erano incomprensibili. Allego agli atti lo scritto in discussione.

. In simili condizioni non sono in grado di poter raccomandare alla Facoltà di accettare come testo per la libera docenza il lavoro del dottor Benjamin. Non posso infatti esimermi dall'esprimere il dubbio- pur con tutta la mia simpatia pe: l'autore, a me peraltro noto per la sua perspicacia e ingegnosità - che, con il suo incomprensibile modo di esprimersi, da intendere sicura­mente come un indice di confusione obiettiva (sachliche Unklarheit), egli non può essere una guida per gli studenti in queste discipline.

7 luglio 1925 H. Cornelius2

•.

La Facoltà. non ritenne di doversi giovare di ulteriori relatori e, ap­pena una settunana dopo, nella seduta del r 3 luglio, respinse la doman­da di Benjamin, come si evince dal registro dei verbali~. Sull' <<Ultimo stadio» della sua impresa Benjaminriferisce il2r luglio 1925 in una let­tera da Berlino all'amico Gershom Scholem. Senza risparmiarsi toni iro­nici e senza farsi alcuna illusione- a proposito dell'infrangersi dei 'pro­getti francofortesi' e dei tentativi intrapresi da parte accademica per con-

"' Cfr. Walter Benjamin x892·1940 cit., pp. 72-73. . " « S~ b~e ~el. ~udizio d~ professor Cornelius, la Facoltà delibera di consigliare al

dottor BenJamm di rttirare lo scntto presentato per ottenere la libera docenza. La Facoltà de~bera inoltre ~ n~>n ammetterlo all'esame per l' Habilitation qualora egli non dovesse se· gurre questo collSlglio» (LINDNER, Walter Beniamin im Kontextcit., p . .333).

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xx Giulio Schiavoni

vincer lo a rinunciare al progettd6• Il 2 7 luglio r 9 2 5, esattamente tre set­

timane dopo aver formulato il suo giudizio, Schultz raccomandò a Benja­min di ritirare la sua domanda di libera docenza per prevenire il suo ri­fiuto da parte della Facoltà27 • Pare che, già prima di questa lettera uffi­ciale, Gottfried Salomon avesse riferito della situazione ormai chiaramente sfavorevole che si era venuta delineando, come si desume dalla risposta fiera ed energica del5 agosto 1925 dell'interessatd

8, che

ritirò la domanda, risparmiando cosi all'Università uno scandalo, e il r2 ottobre 1925 si vide rispedire l'incartamento relativo alla sua pratica (non però il dattiloscritto dell'Ur.sprung, che pare sia andato smarrito).

,. ~<Pareva proprio che il mio quarto o quinto viaggio colà, all'inizio di luglio, avrebbe dowto procedere bene, quando mi arrivava, attraverso i miei suoceri, una lettera del ro­manista [Matthias] Friedwagner, che annunciava a Vienna la completa assenza di prospet­tive dei miei passi. L'amicizia per mio suocero lo aveva indotto a sondare il terreno, ed era cosf risultato che le due vecchie gerle Cornelius e Kautsch, il primo, forse, con benevolen­za, il secondo piuttosto malevolmente, comunque non volevano saper nulla del mio lavoro. Subito mi rivolgevo a Salomon, per avere informazioni piu precise. Quest'ultimo non po­teva dirmi nulla, fuorché questo: che in genere si consigliava di ritirare l'istanza al piu pre­sto, per risparmiarmi il rifiuto ufficiale. È vero che Schultz mi aveva assicurato che me l'avrebbe risparmiato in ogni caso. Non si faceva vivo. Ho validi motivi per supporre che abbia agito in modo estremamente sleale. Tutto sommato sono contento. Il viaggio attra­verso la vecchia diligenza attraverso le fermate dell'università di qui non è adatto a me­dopo la morte di Rang, Francoforte è addirittura il piu arido deserto. Tuttavia non ho ri­tirato l'istanza, perché voglio lasciare alla Facoltà tutto il rischio di una decisione negati­va. Quali sviluppi potrà avere la cosa è un enigma. Naturalmente una revisione in senso positivo è del tutto esclusa, però il posto di storia della letteratura è attualmente assai sguar­nito, a causa di alcuni cambiamenti nel corpo docente. E in questo caso per me la prima condizione sarebbe che mi mettessi in congedo per l'inverno ... Con il rifiuto dei miei ge­nitori di migliorare la pensione in caso di libera docenza, con la svolta del mio pensiero in senso politico, con la morte di Rang, l'anno scorso sono cadute, una dopo l'altra, tutte le premesse per questa impresa. Ciò non può modificare per nulla il fatto che questo ignobi­le giocherellare con le mie fatiche e i miei lavori nel caso che oggi non ayessi ancora ab­bandonato il progetto mi irriterebbe e amareggerebbe in modo estremo. E una cosa vera­mente inaudita che un lavoro come il mio sia prima dato in incarico e poi ignorato in que­sta maniera» (BENJAMIN, Lettere 1913-1940 cit., pp. 127-28).

v «Dopo che è stato presentato il primo giudizio sulla Sua dissertazione per ottenere la libera docenza sono stato incaricato dalla Facoltà di consigliarLe di ritirare la domanda di abilitazione alla libera docenza. Mentre assolvo questo incarico, mi permetto di comu­nicarLe che resto a Sua disposizione in qualsiasi momento per un colloquio fino al6 ago­sto» (W alter Beniamin 1892-1940 cit., p. 73).

" «Caro Salomon, Lei comprenderà se ho taciuto per qualche tempo. Ciò è dipeso pe­raltro anche dalla Sua ultima lettera. Era cosf afflitta e abbattuta, mentre a me avrebbero fatto bene energiche imprecazioni. Poiché, se motivazioni interiori hon mi facessero con­siderare come qualcosa di irrilevante la vita accademica, a lungo andare gli effetti della cu­ra che mi è stata data sarebbero stati distruttivi. Se nella mia autostima io dipendessi an­che minimamente da quei pareri i modi irresponsabili e sconsiderati con cui le influenti au­torità hanno trattato il mio caso mi avrebbero procurato uno choc da cui la mia produttività non si sarebbe riawta in fretta. Il fatto che tutto questo - fino a prova contraria - non è accaduto resta un fatto privato. Richiedere e poi respingere, come è stato fatto, il lavoro da me scritto resta un modo di comportarsi che rimarrà ben fisso nella mia memoria. Per-

Fuori dal coro xxr

.. In tal modo sfumav~o definitivamente per Benjamin le speranze di. mtrap:endere una c~ era universitaria, essendosi egli in precedenza alienato il favore dell'uruco altro gruppo che in Germania avrebbe po­tuto appoggiarlo, ossia l'avanguardia che si raccoglieva intorno a Ste­fan ~eor~e, ~er aver atta~cato- nel commento alle Affinità elettive­la b10grafta di Goethe scrttta da Gundolf, uno dei suo membri.

Nel fr~tte~po, tuttavia, Benjamin era riuscito nell'estate a stipu­lare. con l.edttore Rowohlt un contratto per la pubblicazione di tre s?otl~vort: la raccolta Strada a senso unico, il saggio sulle Affinità elet­tzv~ dt .~oe~he, che aveva incontrato nel 1924 gli apprezzamenti en­tustasttc~ ~ Hugo von Hofmannsthal ed era già uscito in due punta­te sulla rtvtsta «Neue Deutsche Beitrlige»29

, e Origine del dramma ba­rocco tedesc~. Quest'ultimo sarebbe uscito- fra non poche esitazioni -nel gennruo del 1928, dopo che nel frattempo la rivista diretta da Hofm~nnsthal «~eue De~tsche Beitriige» ne aveva anticipato alcu­ne pagtne del capttolo dedicato alla malinconia}0

. Il D_ramma ha:oc:o tedesco ottenne, tra il 1928 e il 1931, una doz­zma di segnalaz10ru, alcune delle quali positive (sulla «Literarische Welt» a firma di Willy Haas, sulla «Weltbiihne» di Cari von Os­sietzky? U: m:a rivista f~ologica ung~erese, sulle riviste francesi «Nou­velles litter;ure~» ~ « Vte~t de parrutre») .. Dopo il 1931 fu però con­dan!lato a_ll oblio, m segutto all affermarst del nazionalsocialismo e al­la dtstruzJ.one della comunità ebraico-tedesca. Soltanto a partire dal I?55, :ùlorché venn~ riproposto nell'edizione delle Schri/ten benjami­ruane m due volunu a cura di Theodor Wiesengrund Adorno, parve tornare a nuo~a lu~e e:-: malgrado ';In c~rto perdurante disprezzo da p~te acca~enuc~ e il dismteress~ net ~uot co~onti durante la 'Benja­~m-Renrussance ma~ata negli anru della rtvolta studentesca- poté m~o.ntr~e un ~um~ pni ~ront~ a riconoscervi uno degli apporti piu ortgmali della riflesstone filosoftco-letteraria del Novecentd1

~ò ut;~a esort~ione a ~itir~e la mia domanda come quella che mi è stata rivolta in questi g10:ru dal. PreSlde per mc~co della Facoltà non è per me la benvenuta, sebbene come un restduo di decenza sensaztonale, in quanto per la stampa del libro meditavo un blando ac­cenno alla ~~rte fr~co~or~ese del manoscritto. Invece soddisferò sicuramente quell'invito. Ma no~ ut~zerò il chiar1mento con cui i!Preside dice di essere a mia disposizione per un colloqUio fmo al6 agosto». (W alter Beniamin 1892-1940 cit., p. 73).

29 Questo scritto verrà poi di fatto pubblicato dal V erlag der Bremer Presse ,. Cfr . .. • .~ALTER BENJAMIN, Ursprung des deutschen Trauerspiels, in «Neue Deutsche Bei-

trage», .Munchen 192.7, pp. 89-100. Si tratta di alcune pagine relative alla·terza sezione ?ella p=a parte ~el libro .(<~'Tr~uerspiel» e tragedia). Il progetto di pubblicare in anteprima il c~p1tolo con~ustvo del libro m uno Jahrbuch della casa editrice di Ernst Cassirer non si era mvece realizzato.

" Sulla ricezio11:e dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels si vedano in particolare· BENJA­MIN, .Gesammelte Schriften ~it., ~/3, pp. 903-II; KLAUS GARBER, Rezeption und Rettu~g. Drei Studzen zu Walter Ben1amzn, Nzemeyer, Tiibingen 1987, pp. 59-81; MOMME BRODERSEN,

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vincer lo a rinunciare al progettd6• Il 2 7 luglio r 9 2 5, esattamente tre set­

timane dopo aver formulato il suo giudizio, Schultz raccomandò a Benja­min di ritirare la sua domanda di libera docenza per prevenire il suo ri­fiuto da parte della Facoltà27 • Pare che, già prima di questa lettera uffi­ciale, Gottfried Salomon avesse riferito della situazione ormai chiaramente sfavorevole che si era venuta delineando, come si desume dalla risposta fiera ed energica del5 agosto 1925 dell'interessatd

8, che

ritirò la domanda, risparmiando cosi all'Università uno scandalo, e il r2 ottobre 1925 si vide rispedire l'incartamento relativo alla sua pratica (non però il dattiloscritto dell'Ur.sprung, che pare sia andato smarrito).

,. ~<Pareva proprio che il mio quarto o quinto viaggio colà, all'inizio di luglio, avrebbe dowto procedere bene, quando mi arrivava, attraverso i miei suoceri, una lettera del ro­manista [Matthias] Friedwagner, che annunciava a Vienna la completa assenza di prospet­tive dei miei passi. L'amicizia per mio suocero lo aveva indotto a sondare il terreno, ed era cosf risultato che le due vecchie gerle Cornelius e Kautsch, il primo, forse, con benevolen­za, il secondo piuttosto malevolmente, comunque non volevano saper nulla del mio lavoro. Subito mi rivolgevo a Salomon, per avere informazioni piu precise. Quest'ultimo non po­teva dirmi nulla, fuorché questo: che in genere si consigliava di ritirare l'istanza al piu pre­sto, per risparmiarmi il rifiuto ufficiale. È vero che Schultz mi aveva assicurato che me l'avrebbe risparmiato in ogni caso. Non si faceva vivo. Ho validi motivi per supporre che abbia agito in modo estremamente sleale. Tutto sommato sono contento. Il viaggio attra­verso la vecchia diligenza attraverso le fermate dell'università di qui non è adatto a me­dopo la morte di Rang, Francoforte è addirittura il piu arido deserto. Tuttavia non ho ri­tirato l'istanza, perché voglio lasciare alla Facoltà tutto il rischio di una decisione negati­va. Quali sviluppi potrà avere la cosa è un enigma. Naturalmente una revisione in senso positivo è del tutto esclusa, però il posto di storia della letteratura è attualmente assai sguar­nito, a causa di alcuni cambiamenti nel corpo docente. E in questo caso per me la prima condizione sarebbe che mi mettessi in congedo per l'inverno ... Con il rifiuto dei miei ge­nitori di migliorare la pensione in caso di libera docenza, con la svolta del mio pensiero in senso politico, con la morte di Rang, l'anno scorso sono cadute, una dopo l'altra, tutte le premesse per questa impresa. Ciò non può modificare per nulla il fatto che questo ignobi­le giocherellare con le mie fatiche e i miei lavori nel caso che oggi non ayessi ancora ab­bandonato il progetto mi irriterebbe e amareggerebbe in modo estremo. E una cosa vera­mente inaudita che un lavoro come il mio sia prima dato in incarico e poi ignorato in que­sta maniera» (BENJAMIN, Lettere 1913-1940 cit., pp. 127-28).

v «Dopo che è stato presentato il primo giudizio sulla Sua dissertazione per ottenere la libera docenza sono stato incaricato dalla Facoltà di consigliarLe di ritirare la domanda di abilitazione alla libera docenza. Mentre assolvo questo incarico, mi permetto di comu­nicarLe che resto a Sua disposizione in qualsiasi momento per un colloquio fino al6 ago­sto» (W alter Beniamin 1892-1940 cit., p. 73).

" «Caro Salomon, Lei comprenderà se ho taciuto per qualche tempo. Ciò è dipeso pe­raltro anche dalla Sua ultima lettera. Era cosf afflitta e abbattuta, mentre a me avrebbero fatto bene energiche imprecazioni. Poiché, se motivazioni interiori hon mi facessero con­siderare come qualcosa di irrilevante la vita accademica, a lungo andare gli effetti della cu­ra che mi è stata data sarebbero stati distruttivi. Se nella mia autostima io dipendessi an­che minimamente da quei pareri i modi irresponsabili e sconsiderati con cui le influenti au­torità hanno trattato il mio caso mi avrebbero procurato uno choc da cui la mia produttività non si sarebbe riawta in fretta. Il fatto che tutto questo - fino a prova contraria - non è accaduto resta un fatto privato. Richiedere e poi respingere, come è stato fatto, il lavoro da me scritto resta un modo di comportarsi che rimarrà ben fisso nella mia memoria. Per-

Fuori dal coro xxr

.. In tal modo sfumav~o definitivamente per Benjamin le speranze di. mtrap:endere una c~ era universitaria, essendosi egli in precedenza alienato il favore dell'uruco altro gruppo che in Germania avrebbe po­tuto appoggiarlo, ossia l'avanguardia che si raccoglieva intorno a Ste­fan ~eor~e, ~er aver atta~cato- nel commento alle Affinità elettive­la b10grafta di Goethe scrttta da Gundolf, uno dei suo membri.

Nel fr~tte~po, tuttavia, Benjamin era riuscito nell'estate a stipu­lare. con l.edttore Rowohlt un contratto per la pubblicazione di tre s?otl~vort: la raccolta Strada a senso unico, il saggio sulle Affinità elet­tzv~ dt .~oe~he, che aveva incontrato nel 1924 gli apprezzamenti en­tustasttc~ ~ Hugo von Hofmannsthal ed era già uscito in due punta­te sulla rtvtsta «Neue Deutsche Beitrlige»29

, e Origine del dramma ba­rocco tedesc~. Quest'ultimo sarebbe uscito- fra non poche esitazioni -nel gennruo del 1928, dopo che nel frattempo la rivista diretta da Hofm~nnsthal «~eue De~tsche Beitriige» ne aveva anticipato alcu­ne pagtne del capttolo dedicato alla malinconia}0

. Il D_ramma ha:oc:o tedesco ottenne, tra il 1928 e il 1931, una doz­zma di segnalaz10ru, alcune delle quali positive (sulla «Literarische Welt» a firma di Willy Haas, sulla «Weltbiihne» di Cari von Os­sietzky? U: m:a rivista f~ologica ung~erese, sulle riviste francesi «Nou­velles litter;ure~» ~ « Vte~t de parrutre») .. Dopo il 1931 fu però con­dan!lato a_ll oblio, m segutto all affermarst del nazionalsocialismo e al­la dtstruzJ.one della comunità ebraico-tedesca. Soltanto a partire dal I?55, :ùlorché venn~ riproposto nell'edizione delle Schri/ten benjami­ruane m due volunu a cura di Theodor Wiesengrund Adorno, parve tornare a nuo~a lu~e e:-: malgrado ';In c~rto perdurante disprezzo da p~te acca~enuc~ e il dismteress~ net ~uot co~onti durante la 'Benja­~m-Renrussance ma~ata negli anru della rtvolta studentesca- poté m~o.ntr~e un ~um~ pni ~ront~ a riconoscervi uno degli apporti piu ortgmali della riflesstone filosoftco-letteraria del Novecentd1

~ò ut;~a esort~ione a ~itir~e la mia domanda come quella che mi è stata rivolta in questi g10:ru dal. PreSlde per mc~co della Facoltà non è per me la benvenuta, sebbene come un restduo di decenza sensaztonale, in quanto per la stampa del libro meditavo un blando ac­cenno alla ~~rte fr~co~or~ese del manoscritto. Invece soddisferò sicuramente quell'invito. Ma no~ ut~zerò il chiar1mento con cui i!Preside dice di essere a mia disposizione per un colloqUio fmo al6 agosto». (W alter Beniamin 1892-1940 cit., p. 73).

29 Questo scritto verrà poi di fatto pubblicato dal V erlag der Bremer Presse ,. Cfr . .. • .~ALTER BENJAMIN, Ursprung des deutschen Trauerspiels, in «Neue Deutsche Bei-

trage», .Munchen 192.7, pp. 89-100. Si tratta di alcune pagine relative alla·terza sezione ?ella p=a parte ~el libro .(<~'Tr~uerspiel» e tragedia). Il progetto di pubblicare in anteprima il c~p1tolo con~ustvo del libro m uno Jahrbuch della casa editrice di Ernst Cassirer non si era mvece realizzato.

" Sulla ricezio11:e dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels si vedano in particolare· BENJA­MIN, .Gesammelte Schriften ~it., ~/3, pp. 903-II; KLAUS GARBER, Rezeption und Rettu~g. Drei Studzen zu Walter Ben1amzn, Nzemeyer, Tiibingen 1987, pp. 59-81; MOMME BRODERSEN,

Page 21: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

xx n Giulio Schiavoni

Per l'arditezza speculativa e l'ampiezza dei riferimenti e degli am­biti disciplinari chiamati in causa, il Dramma barocco tedesco presup­pone un lettore non frettoloso, disposto a intraprendere una molte­plicità di percorsi: da quello epistemologico-filosofico a quello religio­so-culturale, da quello storico-letterario a quello iconografico. Ci si trova infatti di fronte non soltanto all' «opera piu evoluta sul piano

W alter Benjamin.Bibliografza critica generale, Palermo 1984, pp. 28-29 e 147 sgg.; R. MARK­NER e TH. WEBER (a cura di),,Literatur uber Walter Benjamin. Kommentierte Bibliographie z')SJ-1992, Hamburg 199.3. E innegabile che, nell'ambito della piu recente riabilitazione di questo scritto benjaminiano, sia comunque tuttora viva nei suoi confronti la 'congiura del silenzio' da parte dei grandi specialisti del barocco tedesco, ad eccezione in particola­re di ALBRECHT SCHONE (Emblematik und Drama im Zeitalterdes Barock, Miinchen 1968). In linea generale, ancora oggi nella ricerca sul barocco (a proposito della quale si veda l'uti­le lavoro di HANS-HARALD Miiu.ER, Barockforschung: Ideologie und Methode. Ein Kapitel deut­scher Wissenschaftsgeschichte I870·I9JO, Darmstadt 197.3) il libro benjaminiano viene sf ri­cordato come un'importante lavoro critico, ma viene poi di fatto neutralizzato nel momento in cui ci si mantiene a rispettosa distanza da esso. Non è mancato chi ne ha contestato le pretese di scientificità (cfr. in particolare MICHAEL RUMPF, Spekulative Literaturtheorie. Zu W alter Benjamins Trauerspielbuch, Hanstein 1980), o- in forma piu mitigata- una «me­tafisica privata~ e un'«autorità soggettiva~ che risulterebbero nocive sotto il profilo criti­co-scientifico (cfr. BERND WITI'E, W alter Benjamin- Der Intellektuelle als Kritiker, Stuttgart 1976).

In Italia la valorizzazione dell' Ursprung des deutschen Trauerspiels è stata avviata dalla traduzione di Enrico Filippini (Einaudi, Torino I97I), corredata da una postilla di Cesa­re Cases che aiutava il lettore a districarsi nellabirintico universo del Seicento tedesco e nell'ambito delle ricerche sul barocco sia all'epoca di Benjamin che in epoca piu recente, e che accentuava la denuncia benjaminiana nei confronti dell'ottimismo di tipo idealistico e della sintesi del classicismo, sottolineandone in prevalenza- in sintonia con la linea di let­tura di Renato Solmi (nell'Introduzione all'antologia benjaminiana Angelus Novus, Torino 1962) -i possibili raccordi con l'avanguardia novecentesca, come suggerito da Gyorgy Lukiics. Cases faceva notare che «l'invito al barocco» registrabile negli anni Venti in Ger­mania (e rispetto a cui la fatica benjaminiana costituisce un insostituibile pendant) non era scevro da pericoli: «Nel revival degli anni venti, antologizzato da Alewyn che era stato uno dei suoi protagonisti, erano implicite - egli scriveva - tendenze che non a caso condusse­ro alcuni di quegli studiosi (come Herbert Cysarz, spesso citato da Benjamin) nelle braccia del nazismo. Visto non già come un'allegoria del presente, ma come una soluzione lettera­le dei suoi problemi, il barocco poteva diventare un richiamo all'autorità e alle gerarchie, alla sottomissione e al sacrificio assoluto, alla vanità della politica e all'eccellenza dell'iden­tificazione mistica, all'accettazione e al culto della morte ... Che il nuovo mondo borghe­se ... portasse in sé il germe della morte e della distruzione totale, è oggi visibile a tutti». A parte la penetrante e specifica lettura di Cases, si direbbe tuttavia che alla sua uscita ita­liana lo scritto benjaminiano sia rimasto ostico, se non impenetrabile, a buona parte dei re­censori, che hanno esibito una certa frettolosità di giudizio di fronte al groviglio dei piani teorici e all'impianto piuttosto esoterico del volume. Fuori del coro e in posizione anti-Ca­ses si è posto in tale occasione in particolare Roberto Calasso (La storia al guinzaglio, in «L'Espresso», 4 luglio 1971) che, muovendosi in una linea interpretativa di tipo ermeti­co-metafisico, ha insistito su di un Benjamin «cabalista naufragato nella visione di una na­tura tutta irretita nella rovina della concatenazione delle colpe~ e sulla dimensione del «lut­to» nella ricerca benjaminiana, dimensioni che sfuggirebbero invece ai critici di prove-

Fuori dal coro XXIII

teorico» di W alter Benjamin (a detta di Adorno)32, ma anche a una

ricerca che, nella sua struttura compatta e nel gioco ad intarsio delle sue seicento citazioni, funziona da pretesto saggistico per portarsi al cuore delle metodologie interpretati ve care all'autore stesso, delle istanze morali caratteristiche del xvn secolo e infine delle tendenze estetiche piu vivaci dell'arte moderna, di cui la letteratura barocca è considerata allegoria.

Questa complessità di piani di lettura si profila con esasperante ni­tidezza già nel capitolo introduttivo, in quella Premessa gnoseologica che, con le sue provocatorie oscurità e torsioni stilistiche, costituisce a quanto pare la parte del libro pensata per prima, ma scritta per ulti­ma e che si presenta obiettivamente come una sorta di barriera, pron­ta a scoraggiare anziché a favorire l'approfondimento di un testo a vol­te anche un po' farraginoso. Da un certo punto di vista, le reazioni di sconcerto dei primi lettori, i professori Schultz, Cornelius e lo stesso Horkheimer, potrebbero apparire persino comprensibili, dato che la Premessa sembra stare- secondo Gershom Scholem- «davanti alli­bro come l'angelo con la spada fiammeggiante del concetto all'ingres­so di un paradiso della scrittura»". Benjamin stesso era solito citare al riguardo - come ricordò Adorno durante un seminario da lui dedica­to proprio a quest'opera all'Università di Francoforte nel semestre esti­vo del r932 (mentre sulla Germariia si stavano addensando nubi fo­sche non soltanto per gli esponenti dell' intelligencija) - due versi di una famosa canzone per bambini dedicata a un cavalluccio di legno, versi Pt.:~visti originariamente come motto da premettere all'intero libro: « Uber Stock und iiber Steine l aber brich dir nicht die Beine! » (Sca-

nienza marxista e «adoratori~ di Lukacs. Una replica al vetriolo a questo intervento si eb­be successivamente (su «Quaderni piacentini» del luglio 197.3, pp. 1.37-.38) da parte dello stesso Cases. Fra gli studiosi che successivamente hanno sondato con variegate imposta­zioni ermeneutiche il Dramma barocco tedesco si possono ricordare, oltre a GIORGIO AGAM­BEN (Lingua e storia. Categorie storiche e categorie linguistiche nel pensiero di Benjamin, in BEL­

LO! e LOTII (a cura di), Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio cit.), in particolare FER­RUCCIO MASINI, W alter Ben;amin: allegoria e dialettica, in Brecht e Benjamin, Bari r 977, pp. 105·.3I, MASSIMO CACCIARI, Di alcuni motivi in W alter Benjamin. Da .rUrsprung des deutschen Trauerspieis» a ..-Der Autorals Produzent», in FRANCO RELLA (a cura di), Critica e storia Ve­nezia 1980, pp. 41-71, MARIO PEZZELLA, L'immagine dialettica. Saggio su Ben;amin,'Pisa 1982, pp. 51 sgg. e BRUNO MORONCINI, Walter Benjamin e la moralità del moderno, Napoli 1984, pp . .3.32-418). Per una rassegna delle varie posizioni si vedano: ENZO RUGLIANO e GIU­uo SCHIAVONI (a cura di), Caleidoscopio benjaminiano, Istituto Italiano di Studi Germani­ci, Roma 1987, pp . .382 sgg., e STEFANO BERETI'A, Sui rapporti dialettici interni al testo ba­rocco di Walter Beniamin, in «Studia theodisca», V (1998), pp . .31-58.

" Cfr. TIIEODOR w. ADORNO, Ober Walter Benjamin, a cura di R. Tiedemann, Frankfurt am Main 1970, p. 1.3.

" Cfr. GERSHOM SCHOLEM, W alter Ben;amin undsein Engel, Frankfurt am Main 1975· trad. it. Wa/ter Beniamine il suo angelo, Milano 1978, p. 90. '

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xx n Giulio Schiavoni

Per l'arditezza speculativa e l'ampiezza dei riferimenti e degli am­biti disciplinari chiamati in causa, il Dramma barocco tedesco presup­pone un lettore non frettoloso, disposto a intraprendere una molte­plicità di percorsi: da quello epistemologico-filosofico a quello religio­so-culturale, da quello storico-letterario a quello iconografico. Ci si trova infatti di fronte non soltanto all' «opera piu evoluta sul piano

W alter Benjamin.Bibliografza critica generale, Palermo 1984, pp. 28-29 e 147 sgg.; R. MARK­NER e TH. WEBER (a cura di),,Literatur uber Walter Benjamin. Kommentierte Bibliographie z')SJ-1992, Hamburg 199.3. E innegabile che, nell'ambito della piu recente riabilitazione di questo scritto benjaminiano, sia comunque tuttora viva nei suoi confronti la 'congiura del silenzio' da parte dei grandi specialisti del barocco tedesco, ad eccezione in particola­re di ALBRECHT SCHONE (Emblematik und Drama im Zeitalterdes Barock, Miinchen 1968). In linea generale, ancora oggi nella ricerca sul barocco (a proposito della quale si veda l'uti­le lavoro di HANS-HARALD Miiu.ER, Barockforschung: Ideologie und Methode. Ein Kapitel deut­scher Wissenschaftsgeschichte I870·I9JO, Darmstadt 197.3) il libro benjaminiano viene sf ri­cordato come un'importante lavoro critico, ma viene poi di fatto neutralizzato nel momento in cui ci si mantiene a rispettosa distanza da esso. Non è mancato chi ne ha contestato le pretese di scientificità (cfr. in particolare MICHAEL RUMPF, Spekulative Literaturtheorie. Zu W alter Benjamins Trauerspielbuch, Hanstein 1980), o- in forma piu mitigata- una «me­tafisica privata~ e un'«autorità soggettiva~ che risulterebbero nocive sotto il profilo criti­co-scientifico (cfr. BERND WITI'E, W alter Benjamin- Der Intellektuelle als Kritiker, Stuttgart 1976).

In Italia la valorizzazione dell' Ursprung des deutschen Trauerspiels è stata avviata dalla traduzione di Enrico Filippini (Einaudi, Torino I97I), corredata da una postilla di Cesa­re Cases che aiutava il lettore a districarsi nellabirintico universo del Seicento tedesco e nell'ambito delle ricerche sul barocco sia all'epoca di Benjamin che in epoca piu recente, e che accentuava la denuncia benjaminiana nei confronti dell'ottimismo di tipo idealistico e della sintesi del classicismo, sottolineandone in prevalenza- in sintonia con la linea di let­tura di Renato Solmi (nell'Introduzione all'antologia benjaminiana Angelus Novus, Torino 1962) -i possibili raccordi con l'avanguardia novecentesca, come suggerito da Gyorgy Lukiics. Cases faceva notare che «l'invito al barocco» registrabile negli anni Venti in Ger­mania (e rispetto a cui la fatica benjaminiana costituisce un insostituibile pendant) non era scevro da pericoli: «Nel revival degli anni venti, antologizzato da Alewyn che era stato uno dei suoi protagonisti, erano implicite - egli scriveva - tendenze che non a caso condusse­ro alcuni di quegli studiosi (come Herbert Cysarz, spesso citato da Benjamin) nelle braccia del nazismo. Visto non già come un'allegoria del presente, ma come una soluzione lettera­le dei suoi problemi, il barocco poteva diventare un richiamo all'autorità e alle gerarchie, alla sottomissione e al sacrificio assoluto, alla vanità della politica e all'eccellenza dell'iden­tificazione mistica, all'accettazione e al culto della morte ... Che il nuovo mondo borghe­se ... portasse in sé il germe della morte e della distruzione totale, è oggi visibile a tutti». A parte la penetrante e specifica lettura di Cases, si direbbe tuttavia che alla sua uscita ita­liana lo scritto benjaminiano sia rimasto ostico, se non impenetrabile, a buona parte dei re­censori, che hanno esibito una certa frettolosità di giudizio di fronte al groviglio dei piani teorici e all'impianto piuttosto esoterico del volume. Fuori del coro e in posizione anti-Ca­ses si è posto in tale occasione in particolare Roberto Calasso (La storia al guinzaglio, in «L'Espresso», 4 luglio 1971) che, muovendosi in una linea interpretativa di tipo ermeti­co-metafisico, ha insistito su di un Benjamin «cabalista naufragato nella visione di una na­tura tutta irretita nella rovina della concatenazione delle colpe~ e sulla dimensione del «lut­to» nella ricerca benjaminiana, dimensioni che sfuggirebbero invece ai critici di prove-

Fuori dal coro XXIII

teorico» di W alter Benjamin (a detta di Adorno)32, ma anche a una

ricerca che, nella sua struttura compatta e nel gioco ad intarsio delle sue seicento citazioni, funziona da pretesto saggistico per portarsi al cuore delle metodologie interpretati ve care all'autore stesso, delle istanze morali caratteristiche del xvn secolo e infine delle tendenze estetiche piu vivaci dell'arte moderna, di cui la letteratura barocca è considerata allegoria.

Questa complessità di piani di lettura si profila con esasperante ni­tidezza già nel capitolo introduttivo, in quella Premessa gnoseologica che, con le sue provocatorie oscurità e torsioni stilistiche, costituisce a quanto pare la parte del libro pensata per prima, ma scritta per ulti­ma e che si presenta obiettivamente come una sorta di barriera, pron­ta a scoraggiare anziché a favorire l'approfondimento di un testo a vol­te anche un po' farraginoso. Da un certo punto di vista, le reazioni di sconcerto dei primi lettori, i professori Schultz, Cornelius e lo stesso Horkheimer, potrebbero apparire persino comprensibili, dato che la Premessa sembra stare- secondo Gershom Scholem- «davanti alli­bro come l'angelo con la spada fiammeggiante del concetto all'ingres­so di un paradiso della scrittura»". Benjamin stesso era solito citare al riguardo - come ricordò Adorno durante un seminario da lui dedica­to proprio a quest'opera all'Università di Francoforte nel semestre esti­vo del r932 (mentre sulla Germariia si stavano addensando nubi fo­sche non soltanto per gli esponenti dell' intelligencija) - due versi di una famosa canzone per bambini dedicata a un cavalluccio di legno, versi Pt.:~visti originariamente come motto da premettere all'intero libro: « Uber Stock und iiber Steine l aber brich dir nicht die Beine! » (Sca-

nienza marxista e «adoratori~ di Lukacs. Una replica al vetriolo a questo intervento si eb­be successivamente (su «Quaderni piacentini» del luglio 197.3, pp. 1.37-.38) da parte dello stesso Cases. Fra gli studiosi che successivamente hanno sondato con variegate imposta­zioni ermeneutiche il Dramma barocco tedesco si possono ricordare, oltre a GIORGIO AGAM­BEN (Lingua e storia. Categorie storiche e categorie linguistiche nel pensiero di Benjamin, in BEL­

LO! e LOTII (a cura di), Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio cit.), in particolare FER­RUCCIO MASINI, W alter Ben;amin: allegoria e dialettica, in Brecht e Benjamin, Bari r 977, pp. 105·.3I, MASSIMO CACCIARI, Di alcuni motivi in W alter Benjamin. Da .rUrsprung des deutschen Trauerspieis» a ..-Der Autorals Produzent», in FRANCO RELLA (a cura di), Critica e storia Ve­nezia 1980, pp. 41-71, MARIO PEZZELLA, L'immagine dialettica. Saggio su Ben;amin,'Pisa 1982, pp. 51 sgg. e BRUNO MORONCINI, Walter Benjamin e la moralità del moderno, Napoli 1984, pp . .3.32-418). Per una rassegna delle varie posizioni si vedano: ENZO RUGLIANO e GIU­uo SCHIAVONI (a cura di), Caleidoscopio benjaminiano, Istituto Italiano di Studi Germani­ci, Roma 1987, pp . .382 sgg., e STEFANO BERETI'A, Sui rapporti dialettici interni al testo ba­rocco di Walter Beniamin, in «Studia theodisca», V (1998), pp . .31-58.

" Cfr. TIIEODOR w. ADORNO, Ober Walter Benjamin, a cura di R. Tiedemann, Frankfurt am Main 1970, p. 1.3.

" Cfr. GERSHOM SCHOLEM, W alter Ben;amin undsein Engel, Frankfurt am Main 1975· trad. it. Wa/ter Beniamine il suo angelo, Milano 1978, p. 90. '

Page 23: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

XXIV Giulio Schiavoni

valca pure pietre e bastoni l ma non romperti mai le gambe! »}'4• D'al­tro canto la provocatoria oscurità e la calcolata difficoltà di queste pri­me pagine sono probabilmente frutto, oltre che del misurarsi dell' au­tore con l'ostacolo accademico (l'esigenza dell"istante' essendo quel­la di vincere le difficoltà mediante un accumulo di difficoltà), soprattutto del suo misurarsi con il problema del metodo e dell'inter­pretazione mediante uno stile esso stesso condotto all'estremo. Per questo la Premessa gnoseologica resta un elemento portante del libro, un pezzo forte per comprendere la rilettura benjaminiana del Seicen­to non soltanto tedesco. Di conseguenza essa costituisce un punto di partenza obbligato per chi, superatane l'apparente impenetrabilità e i tecnicismi espressivi, voglia inoltrarsi nel testo benjaminiano e nel re­gno delle 'rovine' barocche.

Definendo la propria metodologia di ricerca, Benjamin vi presen­ta le linee di una teoria della conoscenza che si ricollega alle sue pre­cedenti riflessioni sul linguaggio, offrendo- come si legge in una let­tera del 1925 a Christian Rang- «una sorta di secondo stadio rispetto al lavoro giovanile sulla lingua, mascherato da dottrina delle idee »3

'.

Tale teoria si direbbe caratterizzata da un neoplatonismo di fondo che assume una curvatura messianica e che passa attraverso i filtri del­la qabbalaiY6

• In questa luce va letto il richiamo benjaminiano alla pu­ra lingua dei nomi adamitici posta in rapporto critico e dialettico con il linguaggio umano, richiamo cioè a un fondamento del linguaggio che resiste a qualsiasi penetrazione tecnico-razionale3', gioia e croce di ogni misurarsi con il codice ultimo. Nel ricercare l'Ursprung di un genere letterario 'minore' o scarsamente valorizzato come il Trauer­spiel (categoria che in italiano, piu che a 'dramma', potrebbe equiva­lere a 'rappresentazione luttuosa', trattandosi di un terminus com­posto di Trauer, «lutto» e Spie!, «gioco o rappresentazione») Benja­min si muove proprio entro queste coordinate teoriche. Interrogare l'Ursprung di quel 'genere' letterario che ha nome Trauerspiel, egli di­ce, è tutt'altra cosa che illustrarne la 'genesi'; il compito non può esau-

" Cfr. anche BENJAMIN, Brie/e cit., I, p. 372 (lettera del I9 febbraio r925 a G. Scho­lem). I versi sono tratti dal Kinderlied: Hopp, hopp, hopp (testo di Cari Hahn, melodia di Cari Gottlieb Hering).

" Lettera del I9 febbraio 1925 a G. Scholem. Cfr. BENJAMIN, Brie/e cit., I, p. 372. •• Gershom Scholem ha ricordato che Benjamin, riguardo alla sua Premessa, confidò al

critico Max Rychner e ad Adorno che essa potrebbe essere compresa soltanto da lettori che avessero qualche dimestichezza con la qabbalah, la tradizione della mistica ebraica che ol­tre a Kafka stava interessando lo stesso Scholem.

J7 In proposito dr. soprattutto AGAMBEN, Lingua e storia. Categorie storiche e categorie linguistiche nel pensiero di Benjamin, in BELLOI e LOTn (a cura di), Walter Benjamin. Tem­po storia linguaggio cit., pp. 65-82.

Fuori dal coro xxv

rirsi nel ricostruire un quadro di carattere prettamente storico-lette­rario del 'dramma' moderno. Il termine Ursprung rinvia infatti non tanto a 'g~n~si' '. 'orig~~e' o ·~orgente', ma piuttosto a «quel salto (Sprung) ortgmarto nell essere che, al contempo, rivela e determina la struttura disvelantesi e le dinamiche centrali della forma in un fe­nomeno organico o spirituale»3S, rinvia cioè a quella tensione dina­mica - potremmo intendere - in virtU della quale materiali e com­mentatore mantengono la loro costante relazione con l'orizzonte del­la Verità, che è rappresentata e attualizzata dalle Idee.

Agisce in ciò la volontà di salvare la frammentazione dei fenome­ni, adu?ati attorno all'idea stessa di Trauefspiel nella sua compiutezza monadtca, attraverso un accurato procedimento analitico che ricor­da la sistemazione dei tasselli di un mosaico e in cui la ricostruzione del tutto è garantita mediante la combinazione delle varie parti. Que­sta 'salvazione del fenomeno' viene da Benjamin prospettata nel sol­co della dottrina platonica delle idee anziché nello spirito della re­ductio ad unum caratteristica dello storicismo che risolve la dialet­tica ricchezza della storia in funzione di ciò ~he è definitivamente ratificato. Il critico appare qui chiamato a «rappresentare» (darstel­len) filosoficamente determinati contenuti di verità sfuggendo all'os­sessione di realizzare la sintesi dei dati storici tipica delle tradizio­nali scienze storiche. Nell'articolare la propria interrogazione della Veri.tà, che rappresenta «la morte dell'intenzione», egli resta consa­pevole che alla conoscenza non è dato di coincidere con la Verità stessa senza d~struggerla: «Quel che importa sarà la pratica di que­sta forma [ossia la Darstellung della verità], e non la sua anticipazio­ne sistematica». In questo modo egli si predispone a sfuggire alla ma­ledizione del concetto e al suo maniacale domandare per catturare. Solo in questa luce diviene comprensibile l'insistenza benjaminiana sul mostrarsi delle idee nel linguaggio senza tuttavia coincidere con esso, senza esaurirsi nella comprensione, nella rappresentazione e nel concetto.

Le idee, che (secondo una lettera di Benjamin all'amico Christian Rang) «non brillano nel giorno della storia, ma vi sono attive solo in modo invisibile»39

) non possono infatti essere colte con approccio in­tuitivo e ancor meno con l'approccio di tipo scientifico-induttivo dei positivisti. Per differenziarsi dall'intuizionismo e dal vitalismo, da un lato, e dal neopositivismo dall'altro, Benjamin chiama «visione» que­sta particolare esperienza conoscitiva delle idee, che si danno, re-

'8 Cfr. GEORGE STEINER, Introduction a W ALTER BENJAMIN, The Origin o/German Tragic

Drama, London r977, pp. r6-r7. "Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p. 323; trad. it. Lettere 1913-I940 cit., p. 72.

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valca pure pietre e bastoni l ma non romperti mai le gambe! »}'4• D'al­tro canto la provocatoria oscurità e la calcolata difficoltà di queste pri­me pagine sono probabilmente frutto, oltre che del misurarsi dell' au­tore con l'ostacolo accademico (l'esigenza dell"istante' essendo quel­la di vincere le difficoltà mediante un accumulo di difficoltà), soprattutto del suo misurarsi con il problema del metodo e dell'inter­pretazione mediante uno stile esso stesso condotto all'estremo. Per questo la Premessa gnoseologica resta un elemento portante del libro, un pezzo forte per comprendere la rilettura benjaminiana del Seicen­to non soltanto tedesco. Di conseguenza essa costituisce un punto di partenza obbligato per chi, superatane l'apparente impenetrabilità e i tecnicismi espressivi, voglia inoltrarsi nel testo benjaminiano e nel re­gno delle 'rovine' barocche.

Definendo la propria metodologia di ricerca, Benjamin vi presen­ta le linee di una teoria della conoscenza che si ricollega alle sue pre­cedenti riflessioni sul linguaggio, offrendo- come si legge in una let­tera del 1925 a Christian Rang- «una sorta di secondo stadio rispetto al lavoro giovanile sulla lingua, mascherato da dottrina delle idee »3

'.

Tale teoria si direbbe caratterizzata da un neoplatonismo di fondo che assume una curvatura messianica e che passa attraverso i filtri del­la qabbalaiY6

• In questa luce va letto il richiamo benjaminiano alla pu­ra lingua dei nomi adamitici posta in rapporto critico e dialettico con il linguaggio umano, richiamo cioè a un fondamento del linguaggio che resiste a qualsiasi penetrazione tecnico-razionale3', gioia e croce di ogni misurarsi con il codice ultimo. Nel ricercare l'Ursprung di un genere letterario 'minore' o scarsamente valorizzato come il Trauer­spiel (categoria che in italiano, piu che a 'dramma', potrebbe equiva­lere a 'rappresentazione luttuosa', trattandosi di un terminus com­posto di Trauer, «lutto» e Spie!, «gioco o rappresentazione») Benja­min si muove proprio entro queste coordinate teoriche. Interrogare l'Ursprung di quel 'genere' letterario che ha nome Trauerspiel, egli di­ce, è tutt'altra cosa che illustrarne la 'genesi'; il compito non può esau-

" Cfr. anche BENJAMIN, Brie/e cit., I, p. 372 (lettera del I9 febbraio r925 a G. Scho­lem). I versi sono tratti dal Kinderlied: Hopp, hopp, hopp (testo di Cari Hahn, melodia di Cari Gottlieb Hering).

" Lettera del I9 febbraio 1925 a G. Scholem. Cfr. BENJAMIN, Brie/e cit., I, p. 372. •• Gershom Scholem ha ricordato che Benjamin, riguardo alla sua Premessa, confidò al

critico Max Rychner e ad Adorno che essa potrebbe essere compresa soltanto da lettori che avessero qualche dimestichezza con la qabbalah, la tradizione della mistica ebraica che ol­tre a Kafka stava interessando lo stesso Scholem.

J7 In proposito dr. soprattutto AGAMBEN, Lingua e storia. Categorie storiche e categorie linguistiche nel pensiero di Benjamin, in BELLOI e LOTn (a cura di), Walter Benjamin. Tem­po storia linguaggio cit., pp. 65-82.

Fuori dal coro xxv

rirsi nel ricostruire un quadro di carattere prettamente storico-lette­rario del 'dramma' moderno. Il termine Ursprung rinvia infatti non tanto a 'g~n~si' '. 'orig~~e' o ·~orgente', ma piuttosto a «quel salto (Sprung) ortgmarto nell essere che, al contempo, rivela e determina la struttura disvelantesi e le dinamiche centrali della forma in un fe­nomeno organico o spirituale»3S, rinvia cioè a quella tensione dina­mica - potremmo intendere - in virtU della quale materiali e com­mentatore mantengono la loro costante relazione con l'orizzonte del­la Verità, che è rappresentata e attualizzata dalle Idee.

Agisce in ciò la volontà di salvare la frammentazione dei fenome­ni, adu?ati attorno all'idea stessa di Trauefspiel nella sua compiutezza monadtca, attraverso un accurato procedimento analitico che ricor­da la sistemazione dei tasselli di un mosaico e in cui la ricostruzione del tutto è garantita mediante la combinazione delle varie parti. Que­sta 'salvazione del fenomeno' viene da Benjamin prospettata nel sol­co della dottrina platonica delle idee anziché nello spirito della re­ductio ad unum caratteristica dello storicismo che risolve la dialet­tica ricchezza della storia in funzione di ciò ~he è definitivamente ratificato. Il critico appare qui chiamato a «rappresentare» (darstel­len) filosoficamente determinati contenuti di verità sfuggendo all'os­sessione di realizzare la sintesi dei dati storici tipica delle tradizio­nali scienze storiche. Nell'articolare la propria interrogazione della Veri.tà, che rappresenta «la morte dell'intenzione», egli resta consa­pevole che alla conoscenza non è dato di coincidere con la Verità stessa senza d~struggerla: «Quel che importa sarà la pratica di que­sta forma [ossia la Darstellung della verità], e non la sua anticipazio­ne sistematica». In questo modo egli si predispone a sfuggire alla ma­ledizione del concetto e al suo maniacale domandare per catturare. Solo in questa luce diviene comprensibile l'insistenza benjaminiana sul mostrarsi delle idee nel linguaggio senza tuttavia coincidere con esso, senza esaurirsi nella comprensione, nella rappresentazione e nel concetto.

Le idee, che (secondo una lettera di Benjamin all'amico Christian Rang) «non brillano nel giorno della storia, ma vi sono attive solo in modo invisibile»39

) non possono infatti essere colte con approccio in­tuitivo e ancor meno con l'approccio di tipo scientifico-induttivo dei positivisti. Per differenziarsi dall'intuizionismo e dal vitalismo, da un lato, e dal neopositivismo dall'altro, Benjamin chiama «visione» que­sta particolare esperienza conoscitiva delle idee, che si danno, re-

'8 Cfr. GEORGE STEINER, Introduction a W ALTER BENJAMIN, The Origin o/German Tragic

Drama, London r977, pp. r6-r7. "Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p. 323; trad. it. Lettere 1913-I940 cit., p. 72.

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stando tuttavia sottratte alla sfera soggettivo-intenzionale, prive cioè di residui teleologici40

Alla via diretta della dimostrazione deduttiva che è orientata al 'si-stema' (come nel caso della tradizionale storia letteraria di classifica­zioni dei fatti culturali) Benjamin contrappone qui la «via indiretta» del trattato, una forma di scrittura dall'andamento discontinuo che è basata sull'indugio micrologico e che trasforma il testo in spazio di un'esperienza anziché in una chiarificazione concettuale. Nel 'trat­tato' la 'rappresentazione' assume l'andamento dell'esegesi del testo sacro, procede all'identificazione progressiva degli innumerevoli si­gnificati presenti nella trama ~estuale. In questo modo essa è in gra­do di assicurare respiro alla ricerca, di praticare un «movimento me­todico» del respiro («ll pensiero riprende sempre da capo, di circo­stanza in circostanza ritorna alla cosa stessa. Questo interrotto riprender fiato è la piu specifica forma di esistenza della contempla­zione»), frenando e interrompendo il movimento di un pensiero che miri a proporre una relazione di continuità fra verità e scrittura.

Grande interprete di una totalità dispersa, Benjamin interroga il frammento, gli emblemi e i geroglifici di una cultura come quella ba­rocca che ha confinato le possibilità di riscatto sotto i detriti della vi­ta falsa. V'è infatti in lui la convinzione di trovarsi di fronte a un' epo­ca dotata di una coerenza interna che si tratta di riscoprire proprio nei dettagli minimi e negli aspetti piu contraddittori, negli 'estremi', anziché negli aspetti normativi. Contro ogni trionfalismo storicista, si tratta di far emergere tutto ciò che la storia ufficiale ha escluso o annichilito e fargli acquistare un volto. Considerando irrilevanti le di­stinzioni gerarchiche fra 'maggiori' e 'minori', egli sembra esaltarsi nel salvare testi e autori poco noti proprio perché trascurati: dai vari Opitz, Gryphius, Lohenstein (che pure godono di una qualche con­siderazione nelle storie letterarie) a drammaturghi come Haugwitz o Hallmann e agli autori di vecchi e dimenticati libri di emblemi da lui raccolti per diletto personale o reperiti nella Staatsbibliothek di Ber­lino. Nel riaccedere al passato egli sembra dunque privilegiare la pic­cola porta dei particolari insignificanti, delle arti minori e degli og­getti desueti, di ciò che è stato scartato o dimenticato. In tal senso il suo metodo risente del procedere filologico caro soprattutto a espo­nenti della Scuola Viennese quali Max Dvoak e Alois Riegl41

, attenti a recuperare ciò che la storiografia ottocentesca aveva emarginato per

"" In ciò si può ravvisare anche !"avanzamento' di Benjamin rispetto alla fenomenologia di Husserl. In proposito cfr. CACCIARI, Di alcuni motivi in W alter Beniamin cit., pp. 41·71.

· ., Nella sua SpiitrOmische Kunstindustrie, 1911 [L'industria artistica tardoromana], della cui importanza Benjarnin fu convinto «per tutta la vita» (G. Scholem) e di cui nella sua re-

Fuori dal coro xxvn

pre~iudizio este.ticistico. Proprio. nel dime?-ticato e nel messo da par­te l autore del libro sul Trauerspzel non es1ta a scorgere testimoniata e se~olt~ la presenza dell'autentico, con un gusto 'micrologico' che è ravv1sabile m larga parte della sua produzione e che pone il Dramma ba;~c~o te~esco sulla scia della scuola di Aby W arburg, dei cui apporti cr1t1c1 egli fa tesoro nella sezione dedicata all'allegoria. Giacché an­c~e pe; Benj~in resta viva l'idea warburghiana che «nel minimo si nvela il mass1mo» e che «Dio abita nel dettaglio».

La sfida di Benjamin nei confronti dell'estetica e della Kunstwissen­scha(t tedesca ~ già chiara nella scelta di campo da lui attuata, ossia nell approfondimento delle problematiche artistiche del Seicento. Per l~ngo tempo ~atti l'intera epoca barocca, e in particolare la produ­zlon~ letterar1a_te~esca del periodo era stata oggetto di valutazioni ri­duttlve, che la 1s~n_vevano nella prospettiva di una presunta decaden­za m?rale o la deflruvano come un mero periodo di transizione &a il Ri­nasc~ento e l'~tà dell~ ragione (si pensi ad esempio alla condanna e~tetlc_a pro_n~clata al rtguardo nel Settecento dai protoilluministi zu­nghesl B~elt~nger e Bodmer). Le opere di scrittori quali Gryphius e Lo~enstem, 1 due drammaturghi piu citati nel libro di Benjamin, di Op1tz, Hallmann e cosi via erano pressoché dimenticate e non veniva­no quasi piu ra~presentate. Benjamin invece accoglieva come oggetto della sua trattaz1?ne no~ soltanto il barocco europeo piu caduco- quel­lo ~edesco .- ma m esso mtendeva dare un pieno riconoscimento di di­gmtà poetlca al genere del Trauerspiel, quello dalle riuscite meno evi­denti e che da alcuni era visto come una pedante imitazione della tra­gedia greca. . Soltant~ con gli studi di Heinrich Wolfflin, in particolare con il suo

hbro Renazssance und Barock. Bine Untersuchung uber Wesen und En­stehung des Barockstils in Italien, Miinchen 1888 [Rinascimento e ba­roc~o. R_icerche intorno _all'essenza e all'origine dello stile barocco in Italia], s1 era fatto largo il concetto di autonomia estetica dell'arte ba­rocca, per quanto tale concetto avrebbe incontrato ostacoli ad affer­n:ars! ~nche nel corso del Novecento, come, ad esempio, nel severo gmd1z10. es~r~sso da Benedetto Croce, un anno dopo l'uscita del li­bro benJarrumano, nella Storia dell'età barocca in Italia (Bari 1929).

c~nsione Libri che sono rimasti attuali (1929, in W ALTER BENJAMIN, Critiche e recensioni, To­nno 1979, p. 105) apprezzava «il modo di procedere rivoluzionario» Riegl aveva rivaluta­to un periodo le cui ~sperienze artistiche (al pari di quelle del barocco' tedesco) valevano co­me morte, secondane e sgraziate per i canoni dell'estetica imperante.

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stando tuttavia sottratte alla sfera soggettivo-intenzionale, prive cioè di residui teleologici40

Alla via diretta della dimostrazione deduttiva che è orientata al 'si-stema' (come nel caso della tradizionale storia letteraria di classifica­zioni dei fatti culturali) Benjamin contrappone qui la «via indiretta» del trattato, una forma di scrittura dall'andamento discontinuo che è basata sull'indugio micrologico e che trasforma il testo in spazio di un'esperienza anziché in una chiarificazione concettuale. Nel 'trat­tato' la 'rappresentazione' assume l'andamento dell'esegesi del testo sacro, procede all'identificazione progressiva degli innumerevoli si­gnificati presenti nella trama ~estuale. In questo modo essa è in gra­do di assicurare respiro alla ricerca, di praticare un «movimento me­todico» del respiro («ll pensiero riprende sempre da capo, di circo­stanza in circostanza ritorna alla cosa stessa. Questo interrotto riprender fiato è la piu specifica forma di esistenza della contempla­zione»), frenando e interrompendo il movimento di un pensiero che miri a proporre una relazione di continuità fra verità e scrittura.

Grande interprete di una totalità dispersa, Benjamin interroga il frammento, gli emblemi e i geroglifici di una cultura come quella ba­rocca che ha confinato le possibilità di riscatto sotto i detriti della vi­ta falsa. V'è infatti in lui la convinzione di trovarsi di fronte a un' epo­ca dotata di una coerenza interna che si tratta di riscoprire proprio nei dettagli minimi e negli aspetti piu contraddittori, negli 'estremi', anziché negli aspetti normativi. Contro ogni trionfalismo storicista, si tratta di far emergere tutto ciò che la storia ufficiale ha escluso o annichilito e fargli acquistare un volto. Considerando irrilevanti le di­stinzioni gerarchiche fra 'maggiori' e 'minori', egli sembra esaltarsi nel salvare testi e autori poco noti proprio perché trascurati: dai vari Opitz, Gryphius, Lohenstein (che pure godono di una qualche con­siderazione nelle storie letterarie) a drammaturghi come Haugwitz o Hallmann e agli autori di vecchi e dimenticati libri di emblemi da lui raccolti per diletto personale o reperiti nella Staatsbibliothek di Ber­lino. Nel riaccedere al passato egli sembra dunque privilegiare la pic­cola porta dei particolari insignificanti, delle arti minori e degli og­getti desueti, di ciò che è stato scartato o dimenticato. In tal senso il suo metodo risente del procedere filologico caro soprattutto a espo­nenti della Scuola Viennese quali Max Dvoak e Alois Riegl41

, attenti a recuperare ciò che la storiografia ottocentesca aveva emarginato per

"" In ciò si può ravvisare anche !"avanzamento' di Benjamin rispetto alla fenomenologia di Husserl. In proposito cfr. CACCIARI, Di alcuni motivi in W alter Beniamin cit., pp. 41·71.

· ., Nella sua SpiitrOmische Kunstindustrie, 1911 [L'industria artistica tardoromana], della cui importanza Benjarnin fu convinto «per tutta la vita» (G. Scholem) e di cui nella sua re-

Fuori dal coro xxvn

pre~iudizio este.ticistico. Proprio. nel dime?-ticato e nel messo da par­te l autore del libro sul Trauerspzel non es1ta a scorgere testimoniata e se~olt~ la presenza dell'autentico, con un gusto 'micrologico' che è ravv1sabile m larga parte della sua produzione e che pone il Dramma ba;~c~o te~esco sulla scia della scuola di Aby W arburg, dei cui apporti cr1t1c1 egli fa tesoro nella sezione dedicata all'allegoria. Giacché an­c~e pe; Benj~in resta viva l'idea warburghiana che «nel minimo si nvela il mass1mo» e che «Dio abita nel dettaglio».

La sfida di Benjamin nei confronti dell'estetica e della Kunstwissen­scha(t tedesca ~ già chiara nella scelta di campo da lui attuata, ossia nell approfondimento delle problematiche artistiche del Seicento. Per l~ngo tempo ~atti l'intera epoca barocca, e in particolare la produ­zlon~ letterar1a_te~esca del periodo era stata oggetto di valutazioni ri­duttlve, che la 1s~n_vevano nella prospettiva di una presunta decaden­za m?rale o la deflruvano come un mero periodo di transizione &a il Ri­nasc~ento e l'~tà dell~ ragione (si pensi ad esempio alla condanna e~tetlc_a pro_n~clata al rtguardo nel Settecento dai protoilluministi zu­nghesl B~elt~nger e Bodmer). Le opere di scrittori quali Gryphius e Lo~enstem, 1 due drammaturghi piu citati nel libro di Benjamin, di Op1tz, Hallmann e cosi via erano pressoché dimenticate e non veniva­no quasi piu ra~presentate. Benjamin invece accoglieva come oggetto della sua trattaz1?ne no~ soltanto il barocco europeo piu caduco- quel­lo ~edesco .- ma m esso mtendeva dare un pieno riconoscimento di di­gmtà poetlca al genere del Trauerspiel, quello dalle riuscite meno evi­denti e che da alcuni era visto come una pedante imitazione della tra­gedia greca. . Soltant~ con gli studi di Heinrich Wolfflin, in particolare con il suo

hbro Renazssance und Barock. Bine Untersuchung uber Wesen und En­stehung des Barockstils in Italien, Miinchen 1888 [Rinascimento e ba­roc~o. R_icerche intorno _all'essenza e all'origine dello stile barocco in Italia], s1 era fatto largo il concetto di autonomia estetica dell'arte ba­rocca, per quanto tale concetto avrebbe incontrato ostacoli ad affer­n:ars! ~nche nel corso del Novecento, come, ad esempio, nel severo gmd1z10. es~r~sso da Benedetto Croce, un anno dopo l'uscita del li­bro benJarrumano, nella Storia dell'età barocca in Italia (Bari 1929).

c~nsione Libri che sono rimasti attuali (1929, in W ALTER BENJAMIN, Critiche e recensioni, To­nno 1979, p. 105) apprezzava «il modo di procedere rivoluzionario» Riegl aveva rivaluta­to un periodo le cui ~sperienze artistiche (al pari di quelle del barocco' tedesco) valevano co­me morte, secondane e sgraziate per i canoni dell'estetica imperante.

Page 27: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

xxvm Giulio Schiavoni

E una certa valorizzazione dell'esperienza religiosa di autori tede­schi del Seicento si poteva riscontrare nel volume Deutsche Barock­dichtung, Leipzig r924 [La poesia barocca tedesca] di Herbert Cysarz, che però finiva per considerare la drammaturgia tedesca del periodo come un gradino imperfetto verso il dramma classico di Goethe e di Schiller.

Il carattere innovativo dei giudizi di Benjamin sulla civiltà del xvn secolo, a proposito della quale egli respinge polemicamente l'idea di una dipendenza, anche solo negativa, tra il barocco e il Rinascimento, è te­stimoniato soprattutto dall'attenzione riservata, da un lato, al rappor­to fra Trauerspiel e tragedia (laddove il critico berlinese nega sostanza 'tragica' al barocco) e, dall'altro, alla struttura allegorica della produ­zione artistica del Seicento. Al tempo stesso Benjamin giudica di gran­de utilità l'allegoria barocca per comprendere le tendenze dell'avan­guardia (l'espressionismo in particolare) e l'autodistruzione della sog­gettività, come ha ben visto Gyorgy Lukacs, che ha scorto nel Dramma barocco tedesco benjaminiano la piu audace e coerente teorizzazione del­la problematica artistica novecentesca («Si ha l'impressione di veder cadere la maschera del barocco e apparire il teschio dell' avanguardia»)42

La tragedia (Tragodie) non si addice ai drammaturghi del XVII se­colo. La distanza che la separa dal Trauerspiel, in buona parte già pre­figurata da Nietzsche nella Nascita della tragedia, è per Benjamin in-· colmabile. Lo statuto di questi due generi viene precisato nel primo capitolo del Dramma barocco tedesco, in cui il critico berlinese fa te­soro soprattutto delle riflessioni sul tragico elaborate da due grandi esponenti della simbiosi ebraico-edesca da lui conosciuti e apprez­zati: Franz Rosenzweig e Florens Christian Rang. La questione era peraltro già stata affrontata in due saggi giovanili di Benjamin: « Trauerspiel» e tragedia" e Il significato del linguaggio nel« Trauerspiel» e nella tragedja44.

" Cfr. trad. it. GYORGY LUKAcs, Il significato attuale del realismo critico, Torino 1957, p. 48, dove il critico ungherese definisce lo scritto benjarniniano come «il riferimento piu intimo all'odierna letteratura di avanguardia». Cfr. anche trad. it. ID., Estetica, Torino 1970, vol. II, pp. 1505 sgg. Sulla questione si vedano: RENATO SOLMI, Introduzione aBENJA· MIN, Angelus Novus cit., pp. xv sgg.; P. BURGER, Theorie der Avantgarde, Frankfurt am Main 1974, pp. 93 sgg.; FERRUCCIO MASINI, Melancho!ia il/a allegorica, in Brecht e Beniamin cit., pp. 115 sgg .

., WALTERBENJAMIN, TrauerspielundTragOdie, in GesammelteSchriftencit., II/I, pp. 133-137; trad. it. inMetafzsica della gioventU, Torino 1982, pp. 168-72.

" W ALTER BENJAMIN, Die Bedeutung der Sprache in Trauerspiel und Tragodie, ibid.; trad. it. ibid., pp. 173•76. •

Fuori dal coro XXIX

La distinzione fra i due termini, per la quale l'italiano non ha equi­valenti, è di cruciale importanza per l'interpretazione benjim.iniana. Per quanto nell'uso corrente vengano considerati pressoché identici, essi rivestono significati profondamente diversi. Benjamin spiega in­fatti che la 'tragedia', in quanto dramma sacrificale in cui l'eroe viene offerto agli dèi in espiazione, va circoscritta alla Grecia antica. Il Trauer­spiel, per contro, che comprende tutto il barocco (sia gli elisabettiani e Calder6n che i drammaturghi tedeschi del xvn secolo) e che si presen­ta a guisa di una 'rappresentazione per malinconici' (Spielfur Traurige), nella sua accezione linguistica di Trauer («lutto, afflizione, tristezza») e di Spie l (ossia «gioco o rappresentazione»), è una sorta di 'mistero' in cui si mette in scena la disgregazione dell'uomo post-antico.

La tragedia perde la propria legittimità in un cont~sto non elleni­stico. Di qui il duro attacco benjaminiano contro l' Asthetik des Tra­gischen, I9I7 [Estetica del tragico] diJohannes Volkelt, il pontefice dell'estetica di quegli anni, il quale caldeggiava che «ancora oggi» si scrivessero tragedie. Dalla medesima convinzione scaturisce l'insof­ferenza benjaminiana per qualsiasi moderna pretesa di rinnovare la «grande forma drammatica», dai tentativi della tragédie classique francese (cui è significativo che il Dramma barocco tedesco non de­dichi il minimo spazio), al classicismo tedesco, fino al neoclassicismo epigonale di Paul Ernst.

La tragedia, insiste Benjamin, ha il suo fondamento nel mito e rap­presenta il sacrificio dell'eroe, che con la sua sofferenza distoglie dalla comunità l'ira degli dèi e con la sua morte risolve la situazione di con­flittualità permanente con il destino tragico e trionfa sull'ordinamento mitico degli Olimpici, recando nel suo silenzio tragico, oltre che il su­peramento delle forze irraziònali del mito, la muta promessa di un nuo­vo ordine. Nel Trauerspiel viceversa l'azione non è determinata dall' av­verarsi delle profezie dell'oracolo, ma discende da un atto di ribellio­ne, gravido di conseguenze: al sacrificio si sostituisce ora il martirio, accettato con stoica abnegazione e con ascetica malinconia (il modello del 'dramma martirologico' costituisce, per certi versi, una versione pa­rodistica della morte tragica, versione che Friedrich Nietzsche aveva scorto come già prefigurata nella morte di Socrate).

Si tratta, in parte, di considerazioni già sviluppate da Franz Ro­senzweig, di cui Benjamin riprende l'idea del tragico come «angoscia di fronte alla morte» e dello stato «metaetico» dell'uomo tragico pre­senti nella Stella della redenzion~', e soprattutto da Florens Christian

41 Cfr. FRANZ ROSENZWEIG, Stern der Erlosung, Frankfurt am Main 1921 (nell'ed. Suhrkamp, Frankfurt am Main 1988, pp. 83-84); trad. it. La stella della redenzione, Geno­va 1985.

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xxvm Giulio Schiavoni

E una certa valorizzazione dell'esperienza religiosa di autori tede­schi del Seicento si poteva riscontrare nel volume Deutsche Barock­dichtung, Leipzig r924 [La poesia barocca tedesca] di Herbert Cysarz, che però finiva per considerare la drammaturgia tedesca del periodo come un gradino imperfetto verso il dramma classico di Goethe e di Schiller.

Il carattere innovativo dei giudizi di Benjamin sulla civiltà del xvn secolo, a proposito della quale egli respinge polemicamente l'idea di una dipendenza, anche solo negativa, tra il barocco e il Rinascimento, è te­stimoniato soprattutto dall'attenzione riservata, da un lato, al rappor­to fra Trauerspiel e tragedia (laddove il critico berlinese nega sostanza 'tragica' al barocco) e, dall'altro, alla struttura allegorica della produ­zione artistica del Seicento. Al tempo stesso Benjamin giudica di gran­de utilità l'allegoria barocca per comprendere le tendenze dell'avan­guardia (l'espressionismo in particolare) e l'autodistruzione della sog­gettività, come ha ben visto Gyorgy Lukacs, che ha scorto nel Dramma barocco tedesco benjaminiano la piu audace e coerente teorizzazione del­la problematica artistica novecentesca («Si ha l'impressione di veder cadere la maschera del barocco e apparire il teschio dell' avanguardia»)42

La tragedia (Tragodie) non si addice ai drammaturghi del XVII se­colo. La distanza che la separa dal Trauerspiel, in buona parte già pre­figurata da Nietzsche nella Nascita della tragedia, è per Benjamin in-· colmabile. Lo statuto di questi due generi viene precisato nel primo capitolo del Dramma barocco tedesco, in cui il critico berlinese fa te­soro soprattutto delle riflessioni sul tragico elaborate da due grandi esponenti della simbiosi ebraico-edesca da lui conosciuti e apprez­zati: Franz Rosenzweig e Florens Christian Rang. La questione era peraltro già stata affrontata in due saggi giovanili di Benjamin: « Trauerspiel» e tragedia" e Il significato del linguaggio nel« Trauerspiel» e nella tragedja44.

" Cfr. trad. it. GYORGY LUKAcs, Il significato attuale del realismo critico, Torino 1957, p. 48, dove il critico ungherese definisce lo scritto benjarniniano come «il riferimento piu intimo all'odierna letteratura di avanguardia». Cfr. anche trad. it. ID., Estetica, Torino 1970, vol. II, pp. 1505 sgg. Sulla questione si vedano: RENATO SOLMI, Introduzione aBENJA· MIN, Angelus Novus cit., pp. xv sgg.; P. BURGER, Theorie der Avantgarde, Frankfurt am Main 1974, pp. 93 sgg.; FERRUCCIO MASINI, Melancho!ia il/a allegorica, in Brecht e Beniamin cit., pp. 115 sgg .

., WALTERBENJAMIN, TrauerspielundTragOdie, in GesammelteSchriftencit., II/I, pp. 133-137; trad. it. inMetafzsica della gioventU, Torino 1982, pp. 168-72.

" W ALTER BENJAMIN, Die Bedeutung der Sprache in Trauerspiel und Tragodie, ibid.; trad. it. ibid., pp. 173•76. •

Fuori dal coro XXIX

La distinzione fra i due termini, per la quale l'italiano non ha equi­valenti, è di cruciale importanza per l'interpretazione benjim.iniana. Per quanto nell'uso corrente vengano considerati pressoché identici, essi rivestono significati profondamente diversi. Benjamin spiega in­fatti che la 'tragedia', in quanto dramma sacrificale in cui l'eroe viene offerto agli dèi in espiazione, va circoscritta alla Grecia antica. Il Trauer­spiel, per contro, che comprende tutto il barocco (sia gli elisabettiani e Calder6n che i drammaturghi tedeschi del xvn secolo) e che si presen­ta a guisa di una 'rappresentazione per malinconici' (Spielfur Traurige), nella sua accezione linguistica di Trauer («lutto, afflizione, tristezza») e di Spie l (ossia «gioco o rappresentazione»), è una sorta di 'mistero' in cui si mette in scena la disgregazione dell'uomo post-antico.

La tragedia perde la propria legittimità in un cont~sto non elleni­stico. Di qui il duro attacco benjaminiano contro l' Asthetik des Tra­gischen, I9I7 [Estetica del tragico] diJohannes Volkelt, il pontefice dell'estetica di quegli anni, il quale caldeggiava che «ancora oggi» si scrivessero tragedie. Dalla medesima convinzione scaturisce l'insof­ferenza benjaminiana per qualsiasi moderna pretesa di rinnovare la «grande forma drammatica», dai tentativi della tragédie classique francese (cui è significativo che il Dramma barocco tedesco non de­dichi il minimo spazio), al classicismo tedesco, fino al neoclassicismo epigonale di Paul Ernst.

La tragedia, insiste Benjamin, ha il suo fondamento nel mito e rap­presenta il sacrificio dell'eroe, che con la sua sofferenza distoglie dalla comunità l'ira degli dèi e con la sua morte risolve la situazione di con­flittualità permanente con il destino tragico e trionfa sull'ordinamento mitico degli Olimpici, recando nel suo silenzio tragico, oltre che il su­peramento delle forze irraziònali del mito, la muta promessa di un nuo­vo ordine. Nel Trauerspiel viceversa l'azione non è determinata dall' av­verarsi delle profezie dell'oracolo, ma discende da un atto di ribellio­ne, gravido di conseguenze: al sacrificio si sostituisce ora il martirio, accettato con stoica abnegazione e con ascetica malinconia (il modello del 'dramma martirologico' costituisce, per certi versi, una versione pa­rodistica della morte tragica, versione che Friedrich Nietzsche aveva scorto come già prefigurata nella morte di Socrate).

Si tratta, in parte, di considerazioni già sviluppate da Franz Ro­senzweig, di cui Benjamin riprende l'idea del tragico come «angoscia di fronte alla morte» e dello stato «metaetico» dell'uomo tragico pre­senti nella Stella della redenzion~', e soprattutto da Florens Christian

41 Cfr. FRANZ ROSENZWEIG, Stern der Erlosung, Frankfurt am Main 1921 (nell'ed. Suhrkamp, Frankfurt am Main 1988, pp. 83-84); trad. it. La stella della redenzione, Geno­va 1985.

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xxx Giulio Schiavoni

Rang (il suo grande interlocutore durante la stesura dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels e insieme !'«autentico lettore» del suo scritto)46

,

di cui fa propria l'idea dell'«agonismo» dell'eroe quale superamento del mondo arcaico47

Non a caso Benjamin sottolinea la natura sostanzialmente 'anti­agonistica' della rappresentazione del mondo carattèristica del Trauer­spiel barocco, che - a suo giudizio - si aggrappa alla parola e al lin­guaggio con la medesima dispera~ione con cui la tragedi~ ~las~ca. esal­tava il 'silenzio' dell'eroe, non r1spetta alcuna delle uruta (di azione, di tempo-e di luogo) della Poetica aristotelica, perché nega loro la ra­gion d'essere, e sostituisce il ruolo_ dell'eroe tragico- c<;>me :i?a~t? nell' Exposé inviato a Hans Cornelius - con una «pluralità di mdivi­dui sgomenti».

Rispetto all'interpretazione dei suoi ispiratori Rosenzweig e Rang (ai quali occorre aggiungere il Lukacs della Metaphysik der Tragodi7, I 9 I I [Metafisica della tragedia]), nel rapportars1 alla drammaturgia barocca Benjamin enfatizza gli aspetti della secolarizzazione e dell'im­manenza, che ne costituirebbero i punti di forza. Il Trauerspiel non si inscrive in una prospettiva sacrale o salvifico-religiosa (peculiare ad esempio della compagine del Medioevo), né può essere accostato a una prospettiva profana (sorretta da tensioni e ideali per cui lottare)_qua­le si registrerà, ad esempio, nei drammi di Schiller. Esso appare mve­ce interamente radicato nella storia, si nutre di quell'immanenza che è la materia prima dei drammaturghi del xvn secolo, rispecchia la visio­ne barocca della storia come volgere inesorabile della ruota della for­tuna come vuoto avvicendarsi dei potenti del mondo sul palcosceni­co: principi, pontefici, imperatrici nei loro sontuosi costumi, cortigia­ni, personaggi in maschera e avvelenatori, tutti coinvolti in una danza di morte condotta con l'eleganza dei 'trionfi' rinascimentali.

Il fatto che il tempo storico si configuri agli occhi di molti dram­maturghi barocchi tedeschi come un mero e meccanico scorrere pri­vo di sviluppo e di novità fa emergere - a giudizio di Benjamin -un'idea di storia come natura: una storia che si intreccia con l'idea del-

.. Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p . .374· Si tratta di una lettera del 19 febbraio 1925 a G. Scholem nella quale Benjamin si duole de~ scomparsa del suo confidente, ~vvenut~ prima che fosse conclusa la redazion: del suo libr? sull Ursprun~: «C~n la. I?orte di Rang il mio libro sul barocco ... ha perduto il suo autentico lettore (seznen ezgentilichen Leser)».

41 Cfr. F. CH. RANG Agon und Theater, in BENJAMIN, Gesammelte Werke cit., I/.3. p. 89I. Non è da escludere che Benjamin possa aver fatto tesoro anche dei risultati delle ricerche di Rang sull'origine astronomica del carnevale esposti nel suo s~ggio Histo_rische Psycholo­gie des Karneva/s (trad. it. Psicologia storica del carnevale, Venezta 198.3), nsalente alx909 e pubblicato in «Die Kreatun, II (1927), ad esempio nel ritrarre il rituale spettacolare dell'alternanza dei sovrani sul trono, che rinvia alla caducità che investe lo stesso potere politico sullo sfondo del barocco.

Fuori dal coro XXXI

la 'caduta originale' e che viene fotografata nei suoi momenti di cor­ruzione e decadimento. In questa luce essa appare come spazio che ignora la redenzione, come eterno ritorno dell'uguale48

, come destino che regge l'accadere in forza di un'infrazione originaria responsabile del ciclo di catastrofi e violenze in cui l'uomo si dibatte, senza appa­renti vie d'uscita, senza intravedere un eschaton o un telos che lo tra­scenda. Chi si immerga in ciò che «di inopportuno, di doloroso, di sbagliato» la storia ha evidenziato ne delineerà un decorso inteso co­me caducità e mortificazione. In quanto luterani, i drammaturghi te­deschi barocchi (per lo piu slesiani) conoscono - secondo Benjamin -un mondo in cui la fede è del tutto separata dalle opere, e in cui nep­pure l'armonia della predestinazione calvinista può ridare significato alla catena di azioni insensate di cui la vita appare consistere.

L'espressione forse piu adeguata di questa storia-natura è costitui­ta dalla figura del martire, che è al centro del cosiddetto 'dramma mar­tirologico'. L'impassibilità che lo contraddistingue rispecchia una fe­de che riconosce la vanitas degli sforzi umani e predica la sopporta­zione, il permanere imperterriti di fronte alle violenze della storia vissute come evento pressoché naturale. In questo atteggiamento ca­ratteristico di autori di confessione luterana come Gryphius e Lohen­stein traspare, a giudizio di Benjamin, un cristianesimo dai tratti neo­stoici, che costituisce una sorta di etica sovraconfessionale scaturita dalle guerre di religione che hanno insanguinato l'epoca, etica connessa allo sfaldarsi dell'una societas christiana. Si tratta di autori (non a caso dislocati nella Slesia) scettici verso il cattolicesimo post-tridentino, i quali hanno assistito con rassegnazione al fallimento dei tentativi di emancipazione religiosa (nella battaglia della Montagna Bianca presso Praga nel I62o) e alla «brutale ri-cattolicizzazione» del loro paese49

A questa visione antiteleologica e controriformistica della storia sembra adeguarsi anche il personaggio del sovrano, le cui mire sono di «arginare la trascendenza». Egli unisce in sé i destini del tiranno giustamente assassinato e del martire che subisce, impassibile, la pro­pria passione. Il suo mondo, quello della corte, è il regno dell'intrigo, del calcolo e della cospirazione. Pur concentrando nelle proprie ma­ni il potere assoluto, il monarca finisce infatti per assumere parados­salmente - secondo Benjamin - una valenza esemplare per il concet­to barocco della vanitas e dell'inconstantia temporis. Anche quando­nella spietata concretezza della vita politica - veste gli abiti del ti­ranno, passando dall'esercizio della sovranità al ruolo di «detentore

" Cfr. ENRICO GUGLIELMINETII, Walter Ben;amin. Tempo, ripetizione, equivocità, Mila­no 1990, pp. 66 sgg.

" In proposito cfr. KLAUS GARBER, Benjamins Theorie des Ursprungs der Moderne, in« Stu­di germanici», n. s., XXIX (1991), n. 8.3-85, pp. 176 sgg.

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xxx Giulio Schiavoni

Rang (il suo grande interlocutore durante la stesura dell'Ursprung des deutschen Trauerspiels e insieme !'«autentico lettore» del suo scritto)46

,

di cui fa propria l'idea dell'«agonismo» dell'eroe quale superamento del mondo arcaico47

Non a caso Benjamin sottolinea la natura sostanzialmente 'anti­agonistica' della rappresentazione del mondo carattèristica del Trauer­spiel barocco, che - a suo giudizio - si aggrappa alla parola e al lin­guaggio con la medesima dispera~ione con cui la tragedi~ ~las~ca. esal­tava il 'silenzio' dell'eroe, non r1spetta alcuna delle uruta (di azione, di tempo-e di luogo) della Poetica aristotelica, perché nega loro la ra­gion d'essere, e sostituisce il ruolo_ dell'eroe tragico- c<;>me :i?a~t? nell' Exposé inviato a Hans Cornelius - con una «pluralità di mdivi­dui sgomenti».

Rispetto all'interpretazione dei suoi ispiratori Rosenzweig e Rang (ai quali occorre aggiungere il Lukacs della Metaphysik der Tragodi7, I 9 I I [Metafisica della tragedia]), nel rapportars1 alla drammaturgia barocca Benjamin enfatizza gli aspetti della secolarizzazione e dell'im­manenza, che ne costituirebbero i punti di forza. Il Trauerspiel non si inscrive in una prospettiva sacrale o salvifico-religiosa (peculiare ad esempio della compagine del Medioevo), né può essere accostato a una prospettiva profana (sorretta da tensioni e ideali per cui lottare)_qua­le si registrerà, ad esempio, nei drammi di Schiller. Esso appare mve­ce interamente radicato nella storia, si nutre di quell'immanenza che è la materia prima dei drammaturghi del xvn secolo, rispecchia la visio­ne barocca della storia come volgere inesorabile della ruota della for­tuna come vuoto avvicendarsi dei potenti del mondo sul palcosceni­co: principi, pontefici, imperatrici nei loro sontuosi costumi, cortigia­ni, personaggi in maschera e avvelenatori, tutti coinvolti in una danza di morte condotta con l'eleganza dei 'trionfi' rinascimentali.

Il fatto che il tempo storico si configuri agli occhi di molti dram­maturghi barocchi tedeschi come un mero e meccanico scorrere pri­vo di sviluppo e di novità fa emergere - a giudizio di Benjamin -un'idea di storia come natura: una storia che si intreccia con l'idea del-

.. Cfr. BENJAMIN, Briefe cit., I, p . .374· Si tratta di una lettera del 19 febbraio 1925 a G. Scholem nella quale Benjamin si duole de~ scomparsa del suo confidente, ~vvenut~ prima che fosse conclusa la redazion: del suo libr? sull Ursprun~: «C~n la. I?orte di Rang il mio libro sul barocco ... ha perduto il suo autentico lettore (seznen ezgentilichen Leser)».

41 Cfr. F. CH. RANG Agon und Theater, in BENJAMIN, Gesammelte Werke cit., I/.3. p. 89I. Non è da escludere che Benjamin possa aver fatto tesoro anche dei risultati delle ricerche di Rang sull'origine astronomica del carnevale esposti nel suo s~ggio Histo_rische Psycholo­gie des Karneva/s (trad. it. Psicologia storica del carnevale, Venezta 198.3), nsalente alx909 e pubblicato in «Die Kreatun, II (1927), ad esempio nel ritrarre il rituale spettacolare dell'alternanza dei sovrani sul trono, che rinvia alla caducità che investe lo stesso potere politico sullo sfondo del barocco.

Fuori dal coro XXXI

la 'caduta originale' e che viene fotografata nei suoi momenti di cor­ruzione e decadimento. In questa luce essa appare come spazio che ignora la redenzione, come eterno ritorno dell'uguale48

, come destino che regge l'accadere in forza di un'infrazione originaria responsabile del ciclo di catastrofi e violenze in cui l'uomo si dibatte, senza appa­renti vie d'uscita, senza intravedere un eschaton o un telos che lo tra­scenda. Chi si immerga in ciò che «di inopportuno, di doloroso, di sbagliato» la storia ha evidenziato ne delineerà un decorso inteso co­me caducità e mortificazione. In quanto luterani, i drammaturghi te­deschi barocchi (per lo piu slesiani) conoscono - secondo Benjamin -un mondo in cui la fede è del tutto separata dalle opere, e in cui nep­pure l'armonia della predestinazione calvinista può ridare significato alla catena di azioni insensate di cui la vita appare consistere.

L'espressione forse piu adeguata di questa storia-natura è costitui­ta dalla figura del martire, che è al centro del cosiddetto 'dramma mar­tirologico'. L'impassibilità che lo contraddistingue rispecchia una fe­de che riconosce la vanitas degli sforzi umani e predica la sopporta­zione, il permanere imperterriti di fronte alle violenze della storia vissute come evento pressoché naturale. In questo atteggiamento ca­ratteristico di autori di confessione luterana come Gryphius e Lohen­stein traspare, a giudizio di Benjamin, un cristianesimo dai tratti neo­stoici, che costituisce una sorta di etica sovraconfessionale scaturita dalle guerre di religione che hanno insanguinato l'epoca, etica connessa allo sfaldarsi dell'una societas christiana. Si tratta di autori (non a caso dislocati nella Slesia) scettici verso il cattolicesimo post-tridentino, i quali hanno assistito con rassegnazione al fallimento dei tentativi di emancipazione religiosa (nella battaglia della Montagna Bianca presso Praga nel I62o) e alla «brutale ri-cattolicizzazione» del loro paese49

A questa visione antiteleologica e controriformistica della storia sembra adeguarsi anche il personaggio del sovrano, le cui mire sono di «arginare la trascendenza». Egli unisce in sé i destini del tiranno giustamente assassinato e del martire che subisce, impassibile, la pro­pria passione. Il suo mondo, quello della corte, è il regno dell'intrigo, del calcolo e della cospirazione. Pur concentrando nelle proprie ma­ni il potere assoluto, il monarca finisce infatti per assumere parados­salmente - secondo Benjamin - una valenza esemplare per il concet­to barocco della vanitas e dell'inconstantia temporis. Anche quando­nella spietata concretezza della vita politica - veste gli abiti del ti­ranno, passando dall'esercizio della sovranità al ruolo di «detentore

" Cfr. ENRICO GUGLIELMINETII, Walter Ben;amin. Tempo, ripetizione, equivocità, Mila­no 1990, pp. 66 sgg.

" In proposito cfr. KLAUS GARBER, Benjamins Theorie des Ursprungs der Moderne, in« Stu­di germanici», n. s., XXIX (1991), n. 8.3-85, pp. 176 sgg.

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xxxn Giulio Schiavoni

di un potere dittatoriale nello stato di eccezione» (secondo le indica­zioni della Politische Theologie [Teologia politica] del cattolico Carl Schmitt, il controverso e conturbante teorico del 'decisionismo' e av­versario della liberaldemocrazia da Benjamin piu volte citato)'0 e di conseguenza scatenando la _reazione dei cortigiani, egli resta infatti conscio che, proprio in quanto tiranno, sarà destinato al supremo sa­crificio del martirio («11 tiranno e il martire sono nel Barocco i due volti di Giano della testa coronata. Sono le due modalità estreme, e necessarie, dell'essenza regale»). ·

Né il sovrano può sfuggire a quella melanconia che sembra ispirare il suo agire, che permea in diverso grado i protagonisti del Trauerspiel barocco e che al tempo stesso sembra costituire la sindrome storico-cul­turale di quest'epoca, una sorta di narcotico della psiche e insieme di risposta alla storia come rovina per l'intelligenciia del XVII secolo: Egli cade a motivo della propria indolenza, dell'acedia o 'pigrizia del cuore'.

La sua indecisione lo rivela come figlio di Saturno, che rende le persone 'apatiche, indecise, lente'. E dell'influenza del pianeta lento risente anche il carattere fluttuante dei parassiti e dei cortigiani che lo attorniano, sempre pronti alla slealtà e al tradimento. Di questo machiavellismo coniugato a una funesta capitolazione alla congiun­zione astrale e al mondo delle cose appaiono segnati i personaggi del dramma del destino, i cui esempi piu alti Benjamin rinviene nell' ope­ra di Calder6n de la Barca.

Nell'ultima parte del libro è peraltro evidente il tentativo di Benja­min di mostrare i limiti e i pericoli della contemplazione malinconica e di individuare un punto di svolta, di forzare l'oggettiva impermeabilità del destino, gli emblemi luttuosi della storia e i suoi torbidi scenari po­litici dominati dal ritorno all'identico ben noti allo sguardo del malin­conico, consapevole della lacerazione e della finitudine della creatura.

,. Cfr. CARL SCHMlTI', Politische Theologie. Vier KApitel :r.ur Lehre der Souveranitiit, Miin­chen-Leipzig 1922, p. u: «Souveriin ist, wer iiber den Ausnahmezustand entscheidet» (Sovrano è colui che decide sullo stato d'eccezione). Si direbbe che 'trasversalmente' Benja­min utilizzi sostanzialmente proprio la dottrina schmittiana dello 'stato di emergenza' (die­tro cui è cifrata la collisione fra logica istituzionale e democrazia. fra legalità e legittimità) per rappresentare la politica assolutistica dei regnanti del Trauerspiel barocco. Sui contro­versi rapporti fra Benjamin e Cari Schmitt (consigliere di stato prussiano che successiva­mente sarà nelle grazie del nazionalsocialismo) cfr. NORBERT BOLZ, Charisma und Souvera­nitiit. Cari Schmitt und W alter Benjamin im Schatten Max Weben, in JACOB TAUBES (a cura di), Religionstheorie und Politische Theologie, Miinchen 1983, vol. I, Der Furst dieser Welt. Carl Schmitt und die Folgen, pp. 249-62. Non è da escludere che Benjamin abbia fatto ri­corso alle teorie schmittiane per una forma di captatio benevolentiae nei confronti del pro­fessar Schultz dell'Università di Francoforte, del quale conosceva gli orientamenti con­servatori. Sulla maestria schmittiana nella dissimulazione e sullo «iato tra il vertiginoso or­dine della teoria di Schmitt e la modestia, o la miseria, o l'inaccettabilità, delle sue indicazioni pratiche» cfr. CARLO GALLI, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Il Mulino, Bologna 1986. ·

Fuori dal coro xxxm

Se il Rinascimento aveva visto in lui l'emblema del sapiente, per Benja­min egli sembra anticipare quella m~rna del filosofo nei suoi tratti estremi, nei tratti nihilistici della rl/~ione. In tal senso i vertici, non tedeschi, del dramma barocco sono in.dividuati dal critico berlinese in Calder6n e in Shakespeare: il movimento della riflessione è già in azio­ne in La vita è sogno e nell'Amleto. La ponderaciòn mysteriosa di Cal­der6n, ovvero la riflessione 'giocosa' e la razionalizzazione degli affet­ti e delle fatalità grazie al libero arbitrio (nella figura di Sigismondo, protagonista di La vida es suefio che era stata oggetto della rivisitazio­ne hofmammsthaliana di Der Turm [La torre]'1), costituisce una «pro­messa di felicità»'2 nel mondo dell'allegorico, quasi un miracolo che consente un innalzamento dello sguardo: fa comprendere che anche il mondo e lo spazio profano del destino sono soggettivi. Cosf come il pensiero del malinconico Amleto - irretito nelle polarità del desiderio di dominio e la follia creaturale- si rivela caratterizzato da un'inten­zionalità cosciente che vela di 'lutto' (Trauer) ogni possibile rapporto con la realtà («<l lutto ha la facoltà di una particolare intensificazione, di un continuo approfondimento della sua intenzione»).

6.

La consapevolezza barocca del disordine e dell' opacità della storia, anziché della prospettiva del trionfo, trova nella forma allegorica una modalità espressiva adeguata a un mondo in cui le cose sono separa­te dai significati, dallo spirito, da un'autenticità del vivere. L'allego­ria, grazie a cui «ogni persona, ogni cosa, ogni rapporto può signifi­carne qualsiasi altro», si rivela a Benjamin- contestualmente alla sco­perta del saggio di Panofsky e Saxl sulla Melencolia I di Diirer - come «un campo di ricerca affascinante»'3 e rimarrà una delle categorie cen­trali nei suoi scritti, fino al Passagen-Werk e· agli studi su Baudelaire. Da ciò deriva la convinzione della centralità degli elementi allegorici in quanto «originario fondo e ragione del barocco», come Benjamin confida in una lettera del 22 dicembre 1924 all'amico Scholem'4 • E

" In proposito cfr. MASSIMO CACCIARI, Intransitabi/i utopie, in trad. it. HUGO VON HOF·

MANNSTHAL, La torre, Milano 1973, pp. 193-216. Sui rapporti fra Benjamin e Hofmann­sthal cfr. LORENZ JGER, Hofmannsthal und der ... Ursprung des deutschen Trauerspiels», in «Hofmannsthal-Bliitter», 1986, n. 31-32, pp. 83-106.

" Cfr. PEZZELLA., L'immagine dialettica cit., p. 72. " Lettera del22 dicembre 1924 a G. Scholem, riportata in BENJAMIN, Briefe cit., I, p.

366; trad. it. Lettere I9IJ-I940 cit., p. 108. " Cfr. BENJAMIN, Lettere I9IJ-I940 cit., p. 107. Sull'allegoria Benjamin continuerà a

interrogarsi anche negli anni futuri, spostando l'accento dall'aspetto storico-artistico a quel­lo materialistico nel periodo del Passagen-W erk.

Page 32: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

xxxn Giulio Schiavoni

di un potere dittatoriale nello stato di eccezione» (secondo le indica­zioni della Politische Theologie [Teologia politica] del cattolico Carl Schmitt, il controverso e conturbante teorico del 'decisionismo' e av­versario della liberaldemocrazia da Benjamin piu volte citato)'0 e di conseguenza scatenando la _reazione dei cortigiani, egli resta infatti conscio che, proprio in quanto tiranno, sarà destinato al supremo sa­crificio del martirio («11 tiranno e il martire sono nel Barocco i due volti di Giano della testa coronata. Sono le due modalità estreme, e necessarie, dell'essenza regale»). ·

Né il sovrano può sfuggire a quella melanconia che sembra ispirare il suo agire, che permea in diverso grado i protagonisti del Trauerspiel barocco e che al tempo stesso sembra costituire la sindrome storico-cul­turale di quest'epoca, una sorta di narcotico della psiche e insieme di risposta alla storia come rovina per l'intelligenciia del XVII secolo: Egli cade a motivo della propria indolenza, dell'acedia o 'pigrizia del cuore'.

La sua indecisione lo rivela come figlio di Saturno, che rende le persone 'apatiche, indecise, lente'. E dell'influenza del pianeta lento risente anche il carattere fluttuante dei parassiti e dei cortigiani che lo attorniano, sempre pronti alla slealtà e al tradimento. Di questo machiavellismo coniugato a una funesta capitolazione alla congiun­zione astrale e al mondo delle cose appaiono segnati i personaggi del dramma del destino, i cui esempi piu alti Benjamin rinviene nell' ope­ra di Calder6n de la Barca.

Nell'ultima parte del libro è peraltro evidente il tentativo di Benja­min di mostrare i limiti e i pericoli della contemplazione malinconica e di individuare un punto di svolta, di forzare l'oggettiva impermeabilità del destino, gli emblemi luttuosi della storia e i suoi torbidi scenari po­litici dominati dal ritorno all'identico ben noti allo sguardo del malin­conico, consapevole della lacerazione e della finitudine della creatura.

,. Cfr. CARL SCHMlTI', Politische Theologie. Vier KApitel :r.ur Lehre der Souveranitiit, Miin­chen-Leipzig 1922, p. u: «Souveriin ist, wer iiber den Ausnahmezustand entscheidet» (Sovrano è colui che decide sullo stato d'eccezione). Si direbbe che 'trasversalmente' Benja­min utilizzi sostanzialmente proprio la dottrina schmittiana dello 'stato di emergenza' (die­tro cui è cifrata la collisione fra logica istituzionale e democrazia. fra legalità e legittimità) per rappresentare la politica assolutistica dei regnanti del Trauerspiel barocco. Sui contro­versi rapporti fra Benjamin e Cari Schmitt (consigliere di stato prussiano che successiva­mente sarà nelle grazie del nazionalsocialismo) cfr. NORBERT BOLZ, Charisma und Souvera­nitiit. Cari Schmitt und W alter Benjamin im Schatten Max Weben, in JACOB TAUBES (a cura di), Religionstheorie und Politische Theologie, Miinchen 1983, vol. I, Der Furst dieser Welt. Carl Schmitt und die Folgen, pp. 249-62. Non è da escludere che Benjamin abbia fatto ri­corso alle teorie schmittiane per una forma di captatio benevolentiae nei confronti del pro­fessar Schultz dell'Università di Francoforte, del quale conosceva gli orientamenti con­servatori. Sulla maestria schmittiana nella dissimulazione e sullo «iato tra il vertiginoso or­dine della teoria di Schmitt e la modestia, o la miseria, o l'inaccettabilità, delle sue indicazioni pratiche» cfr. CARLO GALLI, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Il Mulino, Bologna 1986. ·

Fuori dal coro xxxm

Se il Rinascimento aveva visto in lui l'emblema del sapiente, per Benja­min egli sembra anticipare quella m~rna del filosofo nei suoi tratti estremi, nei tratti nihilistici della rl/~ione. In tal senso i vertici, non tedeschi, del dramma barocco sono in.dividuati dal critico berlinese in Calder6n e in Shakespeare: il movimento della riflessione è già in azio­ne in La vita è sogno e nell'Amleto. La ponderaciòn mysteriosa di Cal­der6n, ovvero la riflessione 'giocosa' e la razionalizzazione degli affet­ti e delle fatalità grazie al libero arbitrio (nella figura di Sigismondo, protagonista di La vida es suefio che era stata oggetto della rivisitazio­ne hofmammsthaliana di Der Turm [La torre]'1), costituisce una «pro­messa di felicità»'2 nel mondo dell'allegorico, quasi un miracolo che consente un innalzamento dello sguardo: fa comprendere che anche il mondo e lo spazio profano del destino sono soggettivi. Cosf come il pensiero del malinconico Amleto - irretito nelle polarità del desiderio di dominio e la follia creaturale- si rivela caratterizzato da un'inten­zionalità cosciente che vela di 'lutto' (Trauer) ogni possibile rapporto con la realtà («<l lutto ha la facoltà di una particolare intensificazione, di un continuo approfondimento della sua intenzione»).

6.

La consapevolezza barocca del disordine e dell' opacità della storia, anziché della prospettiva del trionfo, trova nella forma allegorica una modalità espressiva adeguata a un mondo in cui le cose sono separa­te dai significati, dallo spirito, da un'autenticità del vivere. L'allego­ria, grazie a cui «ogni persona, ogni cosa, ogni rapporto può signifi­carne qualsiasi altro», si rivela a Benjamin- contestualmente alla sco­perta del saggio di Panofsky e Saxl sulla Melencolia I di Diirer - come «un campo di ricerca affascinante»'3 e rimarrà una delle categorie cen­trali nei suoi scritti, fino al Passagen-Werk e· agli studi su Baudelaire. Da ciò deriva la convinzione della centralità degli elementi allegorici in quanto «originario fondo e ragione del barocco», come Benjamin confida in una lettera del 22 dicembre 1924 all'amico Scholem'4 • E

" In proposito cfr. MASSIMO CACCIARI, Intransitabi/i utopie, in trad. it. HUGO VON HOF·

MANNSTHAL, La torre, Milano 1973, pp. 193-216. Sui rapporti fra Benjamin e Hofmann­sthal cfr. LORENZ JGER, Hofmannsthal und der ... Ursprung des deutschen Trauerspiels», in «Hofmannsthal-Bliitter», 1986, n. 31-32, pp. 83-106.

" Cfr. PEZZELLA., L'immagine dialettica cit., p. 72. " Lettera del22 dicembre 1924 a G. Scholem, riportata in BENJAMIN, Briefe cit., I, p.

366; trad. it. Lettere I9IJ-I940 cit., p. 108. " Cfr. BENJAMIN, Lettere I9IJ-I940 cit., p. 107. Sull'allegoria Benjamin continuerà a

interrogarsi anche negli anni futuri, spostando l'accento dall'aspetto storico-artistico a quel­lo materialistico nel periodo del Passagen-W erk.

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XXXIV Giulio Schiavoni

ciò spiega la straordinaria ricchezza di applicazione di Benjamin nel­la sua ricognizione nel capitolo secondo del suo libro sull'Ursprung.

Lungi dal costituire una «tecnica giocosa per produrre immagini» (come pretendeva Herbert Cysarz nella sua celebre monografia Deut­sche Barockdichtung), l'allegoria convoglia per Benjamin le tensioni estetico-filosofiche delle epoche che di essa si giovano. Essa esprime la profonda frattura fra particolare e universale presente nella cultu­ra del xvrr secolo" portando in primo piano «lafacies hippocratica del­la storia come irrigidito paesaggio primevo», l'immagine della storia come catastrofe, secondo gli stilemi di una theologia Crucis di sapore prettamente controriformistico.

Nella seconda sezione del libro sul Trauerspiel questa forma di espressione incompresa e messa ai margini dal classicismo e dall'idea­lismo viene difesa e 'salvata' da Benjamin nella sua peculiare accezio­ne di alternativa rispetto al «simbolo estetico» celebrato in particola­re da Winckelmann e da Creuzer e assurto a nuova gloria nell'accade­mismo restaurativo del circolo di Stefan George. In proposito occorre ricordare che, in generale, la riflessione benjaminiana su simbolo e al­legoria ha come premessa la constatazione di un venir meno della po­tenza rappresentativa del simbolo mistico-teologico (inteso come pa­radossale unità o sintesi di sensibile e sovrasensibile) e dell'esperien­za del sacro che ne costituiva il fondamento56

• li 'simbolo estetico' non offre che la vuota parvenza o apparenza del bello, di fronte alla quale - come Benjamin aveva sostenuto nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe- emerge in tutta la sua forza polemica il 'senza espressione' (das Ausdruckslose)57 • L'allegoria, viceversa, in quanto frammento e ru­na, non lascia persistere alcuna apparenza, nessuna illusione di recu­pero di totalità: non è possibile accedere ingenuamente al «volto tra­sfigurato della natura» promesso dal simbolo mistico; meno che mai ciò appare praticabile- a giudizio di Benjamin- tramite il simbolo pla­stico. Anziché la figura umana nella sua perfezione formale (secondo gli ideali del classicismo winckelmanniano) il Trauerspiel barocco fa emergere il teschio, l'individuo disfatto, il cadavere.

Nondimeno, con balzo repentino, Benjamin ci sorprende affer­mando che nell'allegoria barocca la finitezza viene annientata, ma al tempo stesso salvata: poiché - cosa che sfuggiva agli idealisti - essa

" Cfr. HARALD STEINHAGEN, Zu W alter Ben;amins Begriff der Allegorie, in W ALTER HAUG

(a cura di), Formen und Funktionen der Allegorie, Stuttgart 1979. ' 6 In proposito cfr. in particolare FURIO JESI, Mito, Milano 1973, pp. 47 sgg. n Sul rapporto antagonistico fra le due categorie nell'opera di Benjamin cfr. w. MEN­

NINGHAUS, Das Ausdrucks/ose: W alter Beniamins Metamorphosen der Bilderlosigkeit, in Fiir W alter Beniamin, a cura eli L e K. Scheuermann, Frankfurt am Main 1992, pp. 170-82.

Fuori dal coro xxxv

diviene cifra del trascendente, accoglie in sé un significato che la no­bilita. Griibler lui stesso, il critico berlinese è talmente affascinato dal carattere dialettico e prismatico dell'allegoria barocca (che conosce la saggezza ma non la «voce della rivelazione») da mostrarcela nel suo rovescio, predisponendo l'ordito in modo che alla fine l'allegoria «si capovolge rivelando la sua impotenza»58

• Non è difficile intravedere dietro questa esigenza di trasfigurazione, in cui l' Ursprung si rivela come metodo di redenzione dei fenomeni e di conferimento di sen­so, quel richiamo all'utopia e quel necessario raccordo fra apocalisse e messianismo che Benjamin ha mantenuto vivi in tutta la sua opera, malgrado l'opacità delle contingenze della storia.

,. Cfr. CESARE CASES, Postfa2ione a BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco cit. (ed. I97I), p. xn.

GIUUO SCIDAVONI

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XXXIV Giulio Schiavoni

ciò spiega la straordinaria ricchezza di applicazione di Benjamin nel­la sua ricognizione nel capitolo secondo del suo libro sull'Ursprung.

Lungi dal costituire una «tecnica giocosa per produrre immagini» (come pretendeva Herbert Cysarz nella sua celebre monografia Deut­sche Barockdichtung), l'allegoria convoglia per Benjamin le tensioni estetico-filosofiche delle epoche che di essa si giovano. Essa esprime la profonda frattura fra particolare e universale presente nella cultu­ra del xvrr secolo" portando in primo piano «lafacies hippocratica del­la storia come irrigidito paesaggio primevo», l'immagine della storia come catastrofe, secondo gli stilemi di una theologia Crucis di sapore prettamente controriformistico.

Nella seconda sezione del libro sul Trauerspiel questa forma di espressione incompresa e messa ai margini dal classicismo e dall'idea­lismo viene difesa e 'salvata' da Benjamin nella sua peculiare accezio­ne di alternativa rispetto al «simbolo estetico» celebrato in particola­re da Winckelmann e da Creuzer e assurto a nuova gloria nell'accade­mismo restaurativo del circolo di Stefan George. In proposito occorre ricordare che, in generale, la riflessione benjaminiana su simbolo e al­legoria ha come premessa la constatazione di un venir meno della po­tenza rappresentativa del simbolo mistico-teologico (inteso come pa­radossale unità o sintesi di sensibile e sovrasensibile) e dell'esperien­za del sacro che ne costituiva il fondamento56

• li 'simbolo estetico' non offre che la vuota parvenza o apparenza del bello, di fronte alla quale - come Benjamin aveva sostenuto nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe- emerge in tutta la sua forza polemica il 'senza espressione' (das Ausdruckslose)57 • L'allegoria, viceversa, in quanto frammento e ru­na, non lascia persistere alcuna apparenza, nessuna illusione di recu­pero di totalità: non è possibile accedere ingenuamente al «volto tra­sfigurato della natura» promesso dal simbolo mistico; meno che mai ciò appare praticabile- a giudizio di Benjamin- tramite il simbolo pla­stico. Anziché la figura umana nella sua perfezione formale (secondo gli ideali del classicismo winckelmanniano) il Trauerspiel barocco fa emergere il teschio, l'individuo disfatto, il cadavere.

Nondimeno, con balzo repentino, Benjamin ci sorprende affer­mando che nell'allegoria barocca la finitezza viene annientata, ma al tempo stesso salvata: poiché - cosa che sfuggiva agli idealisti - essa

" Cfr. HARALD STEINHAGEN, Zu W alter Ben;amins Begriff der Allegorie, in W ALTER HAUG

(a cura di), Formen und Funktionen der Allegorie, Stuttgart 1979. ' 6 In proposito cfr. in particolare FURIO JESI, Mito, Milano 1973, pp. 47 sgg. n Sul rapporto antagonistico fra le due categorie nell'opera di Benjamin cfr. w. MEN­

NINGHAUS, Das Ausdrucks/ose: W alter Beniamins Metamorphosen der Bilderlosigkeit, in Fiir W alter Beniamin, a cura eli L e K. Scheuermann, Frankfurt am Main 1992, pp. 170-82.

Fuori dal coro xxxv

diviene cifra del trascendente, accoglie in sé un significato che la no­bilita. Griibler lui stesso, il critico berlinese è talmente affascinato dal carattere dialettico e prismatico dell'allegoria barocca (che conosce la saggezza ma non la «voce della rivelazione») da mostrarcela nel suo rovescio, predisponendo l'ordito in modo che alla fine l'allegoria «si capovolge rivelando la sua impotenza»58

• Non è difficile intravedere dietro questa esigenza di trasfigurazione, in cui l' Ursprung si rivela come metodo di redenzione dei fenomeni e di conferimento di sen­so, quel richiamo all'utopia e quel necessario raccordo fra apocalisse e messianismo che Benjamin ha mantenuto vivi in tutta la sua opera, malgrado l'opacità delle contingenze della storia.

,. Cfr. CESARE CASES, Postfa2ione a BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco cit. (ed. I97I), p. xn.

GIUUO SCIDAVONI

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Il dramma barocco tedesco

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Il dramma barocco tedesco

Page 37: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Premessa gnoseologica

Poiché nel sapere come nella riflessione non si può mettere insieme un tutto, in quanto a quello manca l'in­terno, a questa l'esterno, noi dobbiamo di necessità pen­sare la scienza come arte se da essa ci aspettiamo un ge­nere qualsiasi di totalità. E questa, non dobbiamo cer­carla nel generale, nel ridondante, bensi, come l'arte si rappresenta sempre tutta in ogni singola opera d'arte, cosi anche la scienza dovrebbe ogni volta dimostrarsi totalmente in ogni singolo oggetto trattato.

JOHANN WOLFGANG VON GOETHE,

Materialien zur Geschichte der Farhen/ehre'.

È proprio della letteratura filosofica ritrovarsi, a ogni sua svol­ta, di nuovo di fronte al problema della rappresentazione [Dar­stellung]. Nella sua forma sistematica compiuta essa si presenterà si come dottrina [Lehre], ma non è tra i poteri del mero pensiero quello di conferirle una tale compiuta sistematicità. La dottrina fi­losofica poggia su una codificazione storica, e non è possibile evo­carla dal nulla, more geometrico. Cosi come la matematica mostra con chiarezza che la totale eliminazione del problema del rappre­sentare - a cui tende ogni didattica rigorosamente oggettiva - è il tratto distintivo della conoscenza autentica, cosi è altrettanto chia­ra la sua rinuncia all'ambito della verità, che è l'oggetto intenzio­nale delle lingue storiche. Quel che per i sis~emi filosofici è meto­do, non trapassa nel loro apparato didattico. E ciò significa: ai si­stemi filosofici inerisce un esoterismo di cui non possono liberarsi, che è loro proibito dissimulare, e, che tuttavia li condannerebbe se mai lo portassero in piena luce. E l'alternativa della forma filoso-

1 JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, Siimtfiche Werke, Stuttgart-Berlin s. d. [1907 sgg.), vol. XL: Schriften zur Naturwissenscha/t, 2, pp. 140 sgg.; trad. it. La teoria dei colori, Mila­no I979·

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Premessa gnoseologica

Poiché nel sapere come nella riflessione non si può mettere insieme un tutto, in quanto a quello manca l'in­terno, a questa l'esterno, noi dobbiamo di necessità pen­sare la scienza come arte se da essa ci aspettiamo un ge­nere qualsiasi di totalità. E questa, non dobbiamo cer­carla nel generale, nel ridondante, bensi, come l'arte si rappresenta sempre tutta in ogni singola opera d'arte, cosi anche la scienza dovrebbe ogni volta dimostrarsi totalmente in ogni singolo oggetto trattato.

JOHANN WOLFGANG VON GOETHE,

Materialien zur Geschichte der Farhen/ehre'.

È proprio della letteratura filosofica ritrovarsi, a ogni sua svol­ta, di nuovo di fronte al problema della rappresentazione [Dar­stellung]. Nella sua forma sistematica compiuta essa si presenterà si come dottrina [Lehre], ma non è tra i poteri del mero pensiero quello di conferirle una tale compiuta sistematicità. La dottrina fi­losofica poggia su una codificazione storica, e non è possibile evo­carla dal nulla, more geometrico. Cosi come la matematica mostra con chiarezza che la totale eliminazione del problema del rappre­sentare - a cui tende ogni didattica rigorosamente oggettiva - è il tratto distintivo della conoscenza autentica, cosi è altrettanto chia­ra la sua rinuncia all'ambito della verità, che è l'oggetto intenzio­nale delle lingue storiche. Quel che per i sis~emi filosofici è meto­do, non trapassa nel loro apparato didattico. E ciò significa: ai si­stemi filosofici inerisce un esoterismo di cui non possono liberarsi, che è loro proibito dissimulare, e, che tuttavia li condannerebbe se mai lo portassero in piena luce. E l'alternativa della forma filoso-

1 JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, Siimtfiche Werke, Stuttgart-Berlin s. d. [1907 sgg.), vol. XL: Schriften zur Naturwissenscha/t, 2, pp. 140 sgg.; trad. it. La teoria dei colori, Mila­no I979·

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4 Il dramma barocco tedesco

fica, posta dai concetti della dottrina e del saggio esoterico, a es­sere ignorata dal concetto ottocentesco di sistema. Nella misura in cui la filosofia è condizionata da tale concetto, essa rischia di adat­tarsi a un sincretismo che cerca di catturare la verità come in una ragnatela tesa fra le conoscenze, come se la verità arrivasse da fuo­ri, volando. Ma il suo universalismo d'accatto resta lontanissimo dal raggiungere l'autorità didattica della dottrina. Se la filosofia vuoi conservare la legge della sua forma non come propedeutica alla conoscenza ma come rappresentazione della verità, allora ciò che importa sarà la pratica di questa forma, e non la sua anticipa­zione sistematica. In tutte le epoche a cui era chiara l'essenza non delimitabile del vero, questa pratica si è imposta in una forma pro­pedeutica che può essere designata col termine scolastico di «trat­tato»: esso infatti contiene, sia pura in forma latente, quel rinvio agli oggetti della teologia, senza i quali non si può pensare alla ve­rità. I trattati possono essere dottrinari quanto al tono, ma la lo­ro indole profonda esclude quel rigore didattico che consente a un sistema dottrinale di affermarsi per autorità propria. Del pari, es­si rinunciano al mezzo coercitivo della dimostrazione matematica. L'unico elemento dottrinale- anzi piu educativo che dottrinale­reperibile nella loro forma canonica, sarà la citazione dell' auctori­tas. La rappresentazione è la quintessenza del loro metodo. Il me­todo è una via indiretta. La rappresentazione come via indiretta: è questo, dunque, il carattere metodico del trattato. Il suo primo segno caratteristico è la rinuncia a un percorso lineare e senza in­terruzioni. Il pensiero riprende continuamente da capo, ritorna con minuziosità alla cosa stessa. Questo movimento metodico del respiro è il modo d'essere specifico della contemplazioJ:le. Essa in­fatti, seguendo i diversi gradi di senso nell'osservazione di un uni­co e medesimo oggetto, trae l'impulso a un sempre rinnovato av­vio e giustifica nello stesso tempo la propria ritmica intermitten­te. Come nei mosaici la capricciosa varietà delle singole tessere non lede la maestà dell'insieme, cosf la considerazione filosofica non teme il frammentarsi dello slancio. Entrambi si compongono di elementi disparati; nulla potrebbe trasmettere con piu efficacia lo splendore trascendente dell'icona, o della verità. Il valore dei sin­goli frammenti di pensiero è tanto piu decisivo quanto meno im­mediato è il loro rapporto con l'insieme, e il fulgore della rappre­sentazione dipende dal valore di quei frammenti come lo splen­dore del mosaico dipende dalla qualità del vetro fuso. Il rapporto fra l'elaborazione micrologica e la forma globale esprime quella leg-

Premessa gnoseologica 5

ge per cui il contenuto di verità di una teoria si 1ascia cogliere so­lo nella piu precisa penetrazione dei singoli dettagli di un concet­to. Nella loro massima fioritura in Occidente, il mosaico e il trat­tato appartengono al Medioevo; ciò che .permette di confrontarli è un'autentica parentela. ·

La difficoltà che inerisce a una simile rappresentazione dimo­stra solo che essa è una forma congenitamente prosaica. Mentre l'oratore sostiene le singole frasi con la voce e con la mimica an­che là dove non sarebbero in grado di reggere da sole, e le con­nette in un flusso unitario di pensiero - spesso incerto e vago -quasi stesse abbozzando d'un sol tratto un disegno di ampio re­spiro, è proprio della scrittura fermarsi e ricominciare da capo a ogni frase. La rappresentazione contemplativa deve osservare piu di ogni altra questo principio. Essa non si propone di trascinare ed entusiasmare. Essa è sicura del fatto suo solo quando costrin­ge il lettore a fermarsi nelle «stazioni» del percorso. Quanto piu grande è il suo oggetto, tanto piu il percorso sarà spezzato. La sua sobrietà prosaica, ben lontano dal gesto imperioso del discorso dot­trinale, rimane l'unica forma di scrittura che si addica alla ricerca filosofica. Oggetto di questa ricerca sono le idee. Se la rappresen­tazione vuole imporsi quale metodo autentico del trattato filoso­fico, deve essere rappresentazione delle idee. La verità, attualiz­zata nella ridda delle idee rappresentate, sfugge a qualunque proie­zione nell'ambito della conoscenza. La conoscenza è un avere. Il suo stesso oggetto si determina in base al fatto che esso deve es­sere posseduto, seppure in via trascendentale, nella coscienza. Es­so conserva un carattere di proprietà in rapporto al quale la rap­presentazione è qualcosa di secondario. La conoscenza cosi intesa non esiste di per sé come qualcosa-che-si-rappresenta. Ma preci­samente questo è il caso della verità. Il metodo, che per la cono­scenza è una via per giungere a possedere il proprio oggetto - ma­gari producendolo nella coscienza - è per la verità la rappresenta­zione di se stesso e perciò è dato come forma insieme alla verità stessa. Questa forma non inerisce a un rapporto nella coscienza, come accade nella metodica del conoscere, bensf a un essere. Il principio per cui l'oggetto della conoscenza non coincide con la ve­rità risulterà sempre una delle intenzioni piu profonde della filoso­fia alle sue origini: la dottrina platonica delle idee. La conoscenza è interrogabile, ma non la verità. La conoscenza è orientata alla co­sa singola, ma non immediatamente all'unità. L'unità della cono-

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fica, posta dai concetti della dottrina e del saggio esoterico, a es­sere ignorata dal concetto ottocentesco di sistema. Nella misura in cui la filosofia è condizionata da tale concetto, essa rischia di adat­tarsi a un sincretismo che cerca di catturare la verità come in una ragnatela tesa fra le conoscenze, come se la verità arrivasse da fuo­ri, volando. Ma il suo universalismo d'accatto resta lontanissimo dal raggiungere l'autorità didattica della dottrina. Se la filosofia vuoi conservare la legge della sua forma non come propedeutica alla conoscenza ma come rappresentazione della verità, allora ciò che importa sarà la pratica di questa forma, e non la sua anticipa­zione sistematica. In tutte le epoche a cui era chiara l'essenza non delimitabile del vero, questa pratica si è imposta in una forma pro­pedeutica che può essere designata col termine scolastico di «trat­tato»: esso infatti contiene, sia pura in forma latente, quel rinvio agli oggetti della teologia, senza i quali non si può pensare alla ve­rità. I trattati possono essere dottrinari quanto al tono, ma la lo­ro indole profonda esclude quel rigore didattico che consente a un sistema dottrinale di affermarsi per autorità propria. Del pari, es­si rinunciano al mezzo coercitivo della dimostrazione matematica. L'unico elemento dottrinale- anzi piu educativo che dottrinale­reperibile nella loro forma canonica, sarà la citazione dell' auctori­tas. La rappresentazione è la quintessenza del loro metodo. Il me­todo è una via indiretta. La rappresentazione come via indiretta: è questo, dunque, il carattere metodico del trattato. Il suo primo segno caratteristico è la rinuncia a un percorso lineare e senza in­terruzioni. Il pensiero riprende continuamente da capo, ritorna con minuziosità alla cosa stessa. Questo movimento metodico del respiro è il modo d'essere specifico della contemplazioJ:le. Essa in­fatti, seguendo i diversi gradi di senso nell'osservazione di un uni­co e medesimo oggetto, trae l'impulso a un sempre rinnovato av­vio e giustifica nello stesso tempo la propria ritmica intermitten­te. Come nei mosaici la capricciosa varietà delle singole tessere non lede la maestà dell'insieme, cosf la considerazione filosofica non teme il frammentarsi dello slancio. Entrambi si compongono di elementi disparati; nulla potrebbe trasmettere con piu efficacia lo splendore trascendente dell'icona, o della verità. Il valore dei sin­goli frammenti di pensiero è tanto piu decisivo quanto meno im­mediato è il loro rapporto con l'insieme, e il fulgore della rappre­sentazione dipende dal valore di quei frammenti come lo splen­dore del mosaico dipende dalla qualità del vetro fuso. Il rapporto fra l'elaborazione micrologica e la forma globale esprime quella leg-

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ge per cui il contenuto di verità di una teoria si 1ascia cogliere so­lo nella piu precisa penetrazione dei singoli dettagli di un concet­to. Nella loro massima fioritura in Occidente, il mosaico e il trat­tato appartengono al Medioevo; ciò che .permette di confrontarli è un'autentica parentela. ·

La difficoltà che inerisce a una simile rappresentazione dimo­stra solo che essa è una forma congenitamente prosaica. Mentre l'oratore sostiene le singole frasi con la voce e con la mimica an­che là dove non sarebbero in grado di reggere da sole, e le con­nette in un flusso unitario di pensiero - spesso incerto e vago -quasi stesse abbozzando d'un sol tratto un disegno di ampio re­spiro, è proprio della scrittura fermarsi e ricominciare da capo a ogni frase. La rappresentazione contemplativa deve osservare piu di ogni altra questo principio. Essa non si propone di trascinare ed entusiasmare. Essa è sicura del fatto suo solo quando costrin­ge il lettore a fermarsi nelle «stazioni» del percorso. Quanto piu grande è il suo oggetto, tanto piu il percorso sarà spezzato. La sua sobrietà prosaica, ben lontano dal gesto imperioso del discorso dot­trinale, rimane l'unica forma di scrittura che si addica alla ricerca filosofica. Oggetto di questa ricerca sono le idee. Se la rappresen­tazione vuole imporsi quale metodo autentico del trattato filoso­fico, deve essere rappresentazione delle idee. La verità, attualiz­zata nella ridda delle idee rappresentate, sfugge a qualunque proie­zione nell'ambito della conoscenza. La conoscenza è un avere. Il suo stesso oggetto si determina in base al fatto che esso deve es­sere posseduto, seppure in via trascendentale, nella coscienza. Es­so conserva un carattere di proprietà in rapporto al quale la rap­presentazione è qualcosa di secondario. La conoscenza cosi intesa non esiste di per sé come qualcosa-che-si-rappresenta. Ma preci­samente questo è il caso della verità. Il metodo, che per la cono­scenza è una via per giungere a possedere il proprio oggetto - ma­gari producendolo nella coscienza - è per la verità la rappresenta­zione di se stesso e perciò è dato come forma insieme alla verità stessa. Questa forma non inerisce a un rapporto nella coscienza, come accade nella metodica del conoscere, bensf a un essere. Il principio per cui l'oggetto della conoscenza non coincide con la ve­rità risulterà sempre una delle intenzioni piu profonde della filoso­fia alle sue origini: la dottrina platonica delle idee. La conoscenza è interrogabile, ma non la verità. La conoscenza è orientata alla co­sa singola, ma non immediatamente all'unità. L'unità della cono-

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scenza sarebbe piuttosto - se sussistesse - un rapporto meramente indiretto, e cioè qualcosa di costruibile a partire dalle singol~ co­noscenze e, in certo modo, dalla loro reciproca compensazwne, mentre nell'essenza della verità l'unità è una determinazione asso­lutamente immediata e diretta. Ora, proprio in quanto diretta, que­sta determinazione non può venire interrogata. Se infatti l'unità integrale della verità nella sua essen~a fosse, in:~rroga~ile, la,?~­manda suonerebbe: in che misura la rtsposta e g1a data fm dallllli­zio nel corrispondere della verità alle nostre domande. Ma prima di rispondere a questa domanda bisognerebbe ripeterla nuova­mente, in modo tale che l'unità della verità sfuggirebbe a qualsiasi interrogazione. In quanto unità nell'essere e non nel concetto la ve­rità si sottrae a ogni domanda. Mentre il concetto procede dalla spontaneità dell'intelletto, le idee sono date alla considerazione. Le idee sono qualcosa di già dato. Cosf, il fatto di distinguere la,verità dall'ambito del conoscere definisce l'idea in quanto essere. Eque­sta la portata della dottrina delle idee per il concetto di verità. In quanto essere, verità e idea assumono quell'altissimo significato me­tafisica che il sistema platonico loro conferisce.

A questo riguardo è significativo soprattutto il Simposio. In par­ticolare esso contiene due asserzioni in questo senso decisive: il­lustra l~ verità - il regno delle idee - quale contenuto essenziale della bellezza; definisce bella la verità. La comprensione della con­cezione platonica del rapporto tra verità e bellezza è non soltanto il desiderio supremo di ogni filosofia dell'arte, ma anche uno sfor­zo insostituibile per determinare il concetto stesso di verità. Una concezione logico-sistematica che vedesse in queste proposizioni soltanto il venerando abbozzo di un panegirico della filosofia si se­parerebbe ipso facto dall'ambito di pensiero della dottrina delle idee. E il modo d'essere delle idee non risulta mai, forse, con tan­ta chiarezza come nelle due asserzioni citate. La seconda richiede anzitutto una precisazione. Se la verità è definita «bella», ciò va inteso nel contesto del Simposio, che descrive la gerarchia dei de­sideri erotici. L'eros - cosi va intesa la cosa - non diventa infede­le alla sua destinazione originaria se rivolge la sua tensione verso la verità, poiché anche la verità è bella. Lo è non tanto in se stes­sa quanto per l'eros. E infatti lo stesso rapporto si dà nell'amore umano: l'uomo è bello per l'amante ma non lo è in se stesso, e ciò perché il suo corpo si rappresenta in un ordine superiore a quello del bello. Cosi anche la verità: essa è bella non tanto in sé quanto

Premessa gnoseologica 7

per colui che la cerca. Se ciò comporta un soffio di relativismo, la bellezza che deve inerire alla verità non per questo diventa, nep­pure lontanamente, un epiteto metaforico. L'essenza della verità in quanto regno delle idee nel suo rappresentarsi garantisce anzi che il discorso sulla bellezza del vero non può mai venire pregiu­dicato. Nella verità il momento rappresentativo è il rifugio della bellezza in generale. E infatti il bello rimane provvisto di appa­renza, tangibile, finché si riconosce senz' altro come tale. Il suo ap­parire, che seduce finché non si propone altro che di apparire, si fa perseguitare dall'intelletto, e dà a riconoscere la sua innocenza soltanto laddove si rifugia presso l'altare della verità. Eros lo se­gue in questa fuga, non persecutore bensf amante, e in modo tale che la bellezza, per salvare il proprio apparire, li fugge entrambi: l'intelletto che la perseguita per timore, l'amante per ansietà. E solo quest'ultimo può testimoniare che la verità non è un disvela­mento che distrugga il mistero, bensf una rivelazione che gli ren­de giustizia. La verità può rendere giustizia al bello? è questa la domanda piu intima del Simposio. Platone risponde attribuendo alla verità la capacità di garantire l'essere del bello. In questo sen­so, dunque, egli presenta la verità come il contenuto del bello. Que­sto contenuto tuttavia non viene alla luce nello svelamento: esso si mostra piuttosto in un processo che, con espressione analogica, si potrebbe definire come l'infiammarsi dell'involucro che pene­tra nel regno delle idee, come la combustione dell'opera, nella qua­le la sua forma raggiunge il suo massimo di luminosità. Questa re­lazione tra verità e bellezza, che è la piu chiara dimostrazione di come la verità sia diversa dall'oggetto della conoscenza con cui si è soliti identificarla, contiene la chiave di un altro fatto, semplice e tuttavia sgradito, ossia l'attualità di quei sistemi filosofici il cui quoziente conoscitivo ha scontato da tempo il rapporto con la scienza. Le grandi filosofie rappresentano il mondo nell'ordine del­le idee. Di norma, i contorni concettuali entro i quali ciò è avve­nuto sono da tempo diventati incerti. Cionondimeno, questi si­stemi riaffermano la loro validità, in quanto abbozzi di una de­scrizione del mondo proposta da Platone con la dottrina dell~ idee, da Leibniz con la monadologia, da Hegel con la dialettica. E pro­prio infatti di tutti questi tentativi conservare il proprio senso, e anzi spesso dispiegarlo potenziato, quando, invece che al mondo empirico, sono riferiti alle idee. Queste formazioni di pensiero so­no sorte infatti come descrizione di un ordine di idee. Quanto piu intensamente i pensatori perseguivano in esse un'immagine del

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scenza sarebbe piuttosto - se sussistesse - un rapporto meramente indiretto, e cioè qualcosa di costruibile a partire dalle singol~ co­noscenze e, in certo modo, dalla loro reciproca compensazwne, mentre nell'essenza della verità l'unità è una determinazione asso­lutamente immediata e diretta. Ora, proprio in quanto diretta, que­sta determinazione non può venire interrogata. Se infatti l'unità integrale della verità nella sua essen~a fosse, in:~rroga~ile, la,?~­manda suonerebbe: in che misura la rtsposta e g1a data fm dallllli­zio nel corrispondere della verità alle nostre domande. Ma prima di rispondere a questa domanda bisognerebbe ripeterla nuova­mente, in modo tale che l'unità della verità sfuggirebbe a qualsiasi interrogazione. In quanto unità nell'essere e non nel concetto la ve­rità si sottrae a ogni domanda. Mentre il concetto procede dalla spontaneità dell'intelletto, le idee sono date alla considerazione. Le idee sono qualcosa di già dato. Cosf, il fatto di distinguere la,verità dall'ambito del conoscere definisce l'idea in quanto essere. Eque­sta la portata della dottrina delle idee per il concetto di verità. In quanto essere, verità e idea assumono quell'altissimo significato me­tafisica che il sistema platonico loro conferisce.

A questo riguardo è significativo soprattutto il Simposio. In par­ticolare esso contiene due asserzioni in questo senso decisive: il­lustra l~ verità - il regno delle idee - quale contenuto essenziale della bellezza; definisce bella la verità. La comprensione della con­cezione platonica del rapporto tra verità e bellezza è non soltanto il desiderio supremo di ogni filosofia dell'arte, ma anche uno sfor­zo insostituibile per determinare il concetto stesso di verità. Una concezione logico-sistematica che vedesse in queste proposizioni soltanto il venerando abbozzo di un panegirico della filosofia si se­parerebbe ipso facto dall'ambito di pensiero della dottrina delle idee. E il modo d'essere delle idee non risulta mai, forse, con tan­ta chiarezza come nelle due asserzioni citate. La seconda richiede anzitutto una precisazione. Se la verità è definita «bella», ciò va inteso nel contesto del Simposio, che descrive la gerarchia dei de­sideri erotici. L'eros - cosi va intesa la cosa - non diventa infede­le alla sua destinazione originaria se rivolge la sua tensione verso la verità, poiché anche la verità è bella. Lo è non tanto in se stes­sa quanto per l'eros. E infatti lo stesso rapporto si dà nell'amore umano: l'uomo è bello per l'amante ma non lo è in se stesso, e ciò perché il suo corpo si rappresenta in un ordine superiore a quello del bello. Cosi anche la verità: essa è bella non tanto in sé quanto

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per colui che la cerca. Se ciò comporta un soffio di relativismo, la bellezza che deve inerire alla verità non per questo diventa, nep­pure lontanamente, un epiteto metaforico. L'essenza della verità in quanto regno delle idee nel suo rappresentarsi garantisce anzi che il discorso sulla bellezza del vero non può mai venire pregiu­dicato. Nella verità il momento rappresentativo è il rifugio della bellezza in generale. E infatti il bello rimane provvisto di appa­renza, tangibile, finché si riconosce senz' altro come tale. Il suo ap­parire, che seduce finché non si propone altro che di apparire, si fa perseguitare dall'intelletto, e dà a riconoscere la sua innocenza soltanto laddove si rifugia presso l'altare della verità. Eros lo se­gue in questa fuga, non persecutore bensf amante, e in modo tale che la bellezza, per salvare il proprio apparire, li fugge entrambi: l'intelletto che la perseguita per timore, l'amante per ansietà. E solo quest'ultimo può testimoniare che la verità non è un disvela­mento che distrugga il mistero, bensf una rivelazione che gli ren­de giustizia. La verità può rendere giustizia al bello? è questa la domanda piu intima del Simposio. Platone risponde attribuendo alla verità la capacità di garantire l'essere del bello. In questo sen­so, dunque, egli presenta la verità come il contenuto del bello. Que­sto contenuto tuttavia non viene alla luce nello svelamento: esso si mostra piuttosto in un processo che, con espressione analogica, si potrebbe definire come l'infiammarsi dell'involucro che pene­tra nel regno delle idee, come la combustione dell'opera, nella qua­le la sua forma raggiunge il suo massimo di luminosità. Questa re­lazione tra verità e bellezza, che è la piu chiara dimostrazione di come la verità sia diversa dall'oggetto della conoscenza con cui si è soliti identificarla, contiene la chiave di un altro fatto, semplice e tuttavia sgradito, ossia l'attualità di quei sistemi filosofici il cui quoziente conoscitivo ha scontato da tempo il rapporto con la scienza. Le grandi filosofie rappresentano il mondo nell'ordine del­le idee. Di norma, i contorni concettuali entro i quali ciò è avve­nuto sono da tempo diventati incerti. Cionondimeno, questi si­stemi riaffermano la loro validità, in quanto abbozzi di una de­scrizione del mondo proposta da Platone con la dottrina dell~ idee, da Leibniz con la monadologia, da Hegel con la dialettica. E pro­prio infatti di tutti questi tentativi conservare il proprio senso, e anzi spesso dispiegarlo potenziato, quando, invece che al mondo empirico, sono riferiti alle idee. Queste formazioni di pensiero so­no sorte infatti come descrizione di un ordine di idee. Quanto piu intensamente i pensatori perseguivano in esse un'immagine del

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reale, tanto piu ricca doveva ·essere l'elaborazione di~ ordin~ ~on­cettuale che al futuro interprete della rappresentaziOne ongma­ria del ~ondo ideale sarebbe poi apparsa come il vero nucleo del­la teoria. Se il compito del filosofo è ~ esercitarsi ~~ila d~scrizio: ne del mondo ideale in modo tale che il mondo empmco v1 penetri e vi si risolva allora il filosofo occupa il punto elevato intermedio fra lo scienzi~to e l'artista. Quest'ultimo abbozza una piccola im­m~gine del mondo delle idee, e ciò perché lo fa nella f?r~,a di ~n.a similitudine che conserva in ogni momento la sua valid1ta defmi­tiva. Lo scienziato predispone il mondo àlla sua scomposizione nell'ambito dell'idea, 'e lo fa suddividendolo dall'interno in con­cetti. Ciò che lo lega al filosofo è l'interesse per il superamento della mera empiria, mentrè il filosofo è legato all'artista dal co~­pito della 'rappresentazione. Una.concezione corrente ha assocl~­to troppo il filosofo allo scienzi~to, e sp~sso n~e sue forme mi­nori. Mai è stata annoverata tra 1 compiti del filosofo la cura del­la rappresentazione. Il concetto di stile f~osofic? ;non è affatt? paradossale. Ha i suoi postulati, eh~ sono: l arte di mterromp~sl, contro il fluire della catena deduttiva; la durata.della trattazione contro il gesto del frammento; la ripresa dei motivi contro il piat­to universalismo; la pienezza di una positività pregnante contro la polemica distrutti':a; . · . . · . ·, . . ,

Affinché la venta s1 rappresenti, m quanto uruta e uruc1ta, non è affatto richiesta una concatenazione deduttiva rigorosa. Eppu­re è proprio questa assenza: di la~une l'unica ~orma in ~ui.la logi­ca del sistema si rapporta al pensiero della ventà. Una simile com: piutezza sistematica non si avvicina ~Ila verità piu ~i quan~o le SI

avvicini qualsiasi altra rappresentaziOne che cerchi. di. assic~a~­sela per mezzo di pure nozioni e conc~ten~~entl d1 noz10ru. Quanto piu la teoria della conoscenza scientifica cerca, penosa- . mente di andar dietro alle varie discipline, tanto piu chiaramen­te si p~esa la sua incoerenza meto~ca~. Ogni si~~ol? c~mpo di ri: cerca introduce nuovi presupposti md1mostrabili; m ciascuno di essi vengono dati per risolti problemi con la stessa decisione con la quale viene affermata in altri ambiti la loro ~nsolubilità

2

• E u?-o dei tratti piu afilosofici di quella epistemologia, che nelle su~ m­dagini procede non dalle singole dis~ipline be~sf da presunti I?o­stulati filosofici, sta proprio nel considerare accidentale questa m­coerenza. E nondimeno, questa discontinuità del metodo scien-

'Cfr. EMILE MEYERSON, De /'explication dans !es sciences, 2 voli., Paris 1921, passim.

Premessa gnoseologica 9

tifico è cosf lontana dal configurare uno stadio arcaico, provviso­rio, del conoscere, che potrebbe addirittura favorirne la teoria, se non si insinuasse la pretesa di impadronirsi della verità attraver­so un panorama enciclopedico di conoscenze inteso come unità senza salti. Il sistema ha una sua validità soltanto là dove la sua struttura è ispirata dalla costituzione stessa del mondo delle idee. Le grandi articolazioni che determinano non solo i sistemi ma an­che la terminologia filosofica -la logica, l'etica, l'estetica- han­no un significato non come nomi di discipline specialistiche, ma in quanto monumenti della struttura discontinua del mondo idea­le. I fenomeni però non entrano nel regno delle idee cosi, nella loro grezza configurazione empirica- a cui si mescola anche l'ap­parenza -, bensf soltanto, salvati, nei loro elementi. Essi si di­sfano della loro falsa unità per paitecipare, scomposti, a quella ge­nuina della verità. In questa scomposizione i fenomeni sotto­stanno ai concetti. Sono questi che risolvono le cose nei loro elementi. L'analisi concettuale si affranca da ogni sospetto di ca­villosità distruttiva soltanto ove miri a quel recupero dei feno­meni nelle idee che è il platonico 'tà <paLVOf.lEVa crrotew. Con la loro funzione mediatrice, i concetti permettono ai fenomeni di partecipare all'essere delle idee. E appunto questa funzione me­diatrice li rende idonei all'altro e non meno originario compito della filosofia: la rappresentazione delle idee. Mentre la salvazio­ne dei fenomeni si compie per mezzo delle idee, la rappresenta­zione delle idee si compie nel medium dell'empiria. Poiché le idee si rappresentano non in se stesse; ma solo e unicamente attraver­so una coordinazione di elementi cosali nel concetto: ossia in quanto configurazioni di elementi.

L'insieme dei concetti che serve alla rappresentazione di un'idea la concretizza in quanto configurazione appunto dei con­cetti. Poiché nelle idee non sono incorporati i fenomeni. Essi non vi sono contenuti. Piuttosto, le idee sono la loro coordinazione vir­tuale oggettiva, la loro interpretazione oggettiva. Ma se esse non contengono i fenomeni incorporandoli, né si volatilizzano in fun­zioni, in leggi fenomeniche, in «ipotesi», si pone la questione di come raggiungano i fenomeni. E la risposta sarà: nella rappresen­tazione dei fenomeni stessi. L'idea come tale appartiene per prin­cipio a un ambito diverso da quello a cui appartiene ciò che essa . coglie. Il criterio per valutare la realtà dell'idea non sarà dunque se essa comprenda sotto di sé ciò che raccoglie, cosf come il gene-

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reale, tanto piu ricca doveva ·essere l'elaborazione di~ ordin~ ~on­cettuale che al futuro interprete della rappresentaziOne ongma­ria del ~ondo ideale sarebbe poi apparsa come il vero nucleo del­la teoria. Se il compito del filosofo è ~ esercitarsi ~~ila d~scrizio: ne del mondo ideale in modo tale che il mondo empmco v1 penetri e vi si risolva allora il filosofo occupa il punto elevato intermedio fra lo scienzi~to e l'artista. Quest'ultimo abbozza una piccola im­m~gine del mondo delle idee, e ciò perché lo fa nella f?r~,a di ~n.a similitudine che conserva in ogni momento la sua valid1ta defmi­tiva. Lo scienziato predispone il mondo àlla sua scomposizione nell'ambito dell'idea, 'e lo fa suddividendolo dall'interno in con­cetti. Ciò che lo lega al filosofo è l'interesse per il superamento della mera empiria, mentrè il filosofo è legato all'artista dal co~­pito della 'rappresentazione. Una.concezione corrente ha assocl~­to troppo il filosofo allo scienzi~to, e sp~sso n~e sue forme mi­nori. Mai è stata annoverata tra 1 compiti del filosofo la cura del­la rappresentazione. Il concetto di stile f~osofic? ;non è affatt? paradossale. Ha i suoi postulati, eh~ sono: l arte di mterromp~sl, contro il fluire della catena deduttiva; la durata.della trattazione contro il gesto del frammento; la ripresa dei motivi contro il piat­to universalismo; la pienezza di una positività pregnante contro la polemica distrutti':a; . · . . · . ·, . . ,

Affinché la venta s1 rappresenti, m quanto uruta e uruc1ta, non è affatto richiesta una concatenazione deduttiva rigorosa. Eppu­re è proprio questa assenza: di la~une l'unica ~orma in ~ui.la logi­ca del sistema si rapporta al pensiero della ventà. Una simile com: piutezza sistematica non si avvicina ~Ila verità piu ~i quan~o le SI

avvicini qualsiasi altra rappresentaziOne che cerchi. di. assic~a~­sela per mezzo di pure nozioni e conc~ten~~entl d1 noz10ru. Quanto piu la teoria della conoscenza scientifica cerca, penosa- . mente di andar dietro alle varie discipline, tanto piu chiaramen­te si p~esa la sua incoerenza meto~ca~. Ogni si~~ol? c~mpo di ri: cerca introduce nuovi presupposti md1mostrabili; m ciascuno di essi vengono dati per risolti problemi con la stessa decisione con la quale viene affermata in altri ambiti la loro ~nsolubilità

2

• E u?-o dei tratti piu afilosofici di quella epistemologia, che nelle su~ m­dagini procede non dalle singole dis~ipline be~sf da presunti I?o­stulati filosofici, sta proprio nel considerare accidentale questa m­coerenza. E nondimeno, questa discontinuità del metodo scien-

'Cfr. EMILE MEYERSON, De /'explication dans !es sciences, 2 voli., Paris 1921, passim.

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tifico è cosf lontana dal configurare uno stadio arcaico, provviso­rio, del conoscere, che potrebbe addirittura favorirne la teoria, se non si insinuasse la pretesa di impadronirsi della verità attraver­so un panorama enciclopedico di conoscenze inteso come unità senza salti. Il sistema ha una sua validità soltanto là dove la sua struttura è ispirata dalla costituzione stessa del mondo delle idee. Le grandi articolazioni che determinano non solo i sistemi ma an­che la terminologia filosofica -la logica, l'etica, l'estetica- han­no un significato non come nomi di discipline specialistiche, ma in quanto monumenti della struttura discontinua del mondo idea­le. I fenomeni però non entrano nel regno delle idee cosi, nella loro grezza configurazione empirica- a cui si mescola anche l'ap­parenza -, bensf soltanto, salvati, nei loro elementi. Essi si di­sfano della loro falsa unità per paitecipare, scomposti, a quella ge­nuina della verità. In questa scomposizione i fenomeni sotto­stanno ai concetti. Sono questi che risolvono le cose nei loro elementi. L'analisi concettuale si affranca da ogni sospetto di ca­villosità distruttiva soltanto ove miri a quel recupero dei feno­meni nelle idee che è il platonico 'tà <paLVOf.lEVa crrotew. Con la loro funzione mediatrice, i concetti permettono ai fenomeni di partecipare all'essere delle idee. E appunto questa funzione me­diatrice li rende idonei all'altro e non meno originario compito della filosofia: la rappresentazione delle idee. Mentre la salvazio­ne dei fenomeni si compie per mezzo delle idee, la rappresenta­zione delle idee si compie nel medium dell'empiria. Poiché le idee si rappresentano non in se stesse; ma solo e unicamente attraver­so una coordinazione di elementi cosali nel concetto: ossia in quanto configurazioni di elementi.

L'insieme dei concetti che serve alla rappresentazione di un'idea la concretizza in quanto configurazione appunto dei con­cetti. Poiché nelle idee non sono incorporati i fenomeni. Essi non vi sono contenuti. Piuttosto, le idee sono la loro coordinazione vir­tuale oggettiva, la loro interpretazione oggettiva. Ma se esse non contengono i fenomeni incorporandoli, né si volatilizzano in fun­zioni, in leggi fenomeniche, in «ipotesi», si pone la questione di come raggiungano i fenomeni. E la risposta sarà: nella rappresen­tazione dei fenomeni stessi. L'idea come tale appartiene per prin­cipio a un ambito diverso da quello a cui appartiene ciò che essa . coglie. Il criterio per valutare la realtà dell'idea non sarà dunque se essa comprenda sotto di sé ciò che raccoglie, cosf come il gene-

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re comprende le specie. Perché il compito dell'idea no_n è q~esto. Si potrà illustrarne il significato con un paragone: le tdee s1 rap­portano alle cose come le costellazioni si rapportano alle stelle. Il che significa innazitutto: esse non sono né i concetti né le leggi delle cose. Non servono alla conoscenza dei fenomeni e questi ul­timi non possono in alcun modo fungere da criteri per valutare la consistenza delle idee. Piuttosto, il significato dei fenomeni per le idee si esaurisce nei loro elementi concettuali. Mentre i fenomeni determinano, con la loro esistenza, la loro comunanza, le loro dif­ferenze la portata e il contenuto dei concetti che li abbracciano, il loro r~pporto con le idee è opposto, nel senso che è proprio l'idea, quale oggettiva interpretazione dei fenomeni - o piuttosto de! lo­ro elementi - a determinarne la reciproca appartenenza. Le tdee sono costellazioni eterne, e se gli elementi vengono concepiti co­me punti di tali costellazioni, i fenomeni si troveranno ad essere, nello stesso tempo, analizzati e salvati. E va detto altresf che que­sti elementi, la cui estrapolazione dai fenomeni è compito del con­cetto vengono in luce con la massima precisione negli estremi. L'ide~ è definibile come configurazione del nesso che l'unico e l'estremo ha con ciò che gli è simile. E perciò errato intendere co­me concetti le norme generali della lingua, anziché riconoscer! e co­me idee. È assurdo identificare l'universale con la media statisti­ca. L'universale è l'idea. L'empirico è invece penetrato tanto piu a fondo quanto piu precisamente può essere considerato come qual­cosa di estremo. Dall'estremo procede il concetto. Come la madre comincia a vivere la sua vita piena quando la cerchia dei suoi pic­coli si stringe intorno a lei per sentirne la vicinanza, cosi le idee cominciano a vivere solo quando gli estremi si raccolgono intorno a loro. Le idee - nei termini di Goethe: gli ideali - sono le madri faustiane. Esse rimangono oscure là dove i fenomeni non si rico­noscono in esse e non si raccolgono intorno ad esse. La raccolta dei fenomeni è un'incombenza dei concetti, e la frammentazione operata in essi dall'intelletto analitico è tanto ~iu si_gnificativa per il fatto di conseguire in un s.olo colpo un duplice rtsultato: la sal­vazione dei fenomeni e la rappresentazione delle idee.

Le idee non sono date nel mondo dei fenomeni. Sorge allora la domanda di che natura sia la loro datità, a cui si accennava, e se il compito di giustificare la struttura del mondo delle idee vada pro­prio assegnato, inevitabilmente, alla famosa intuizione intellettua­le. Se c'è un luogo in cui si rivela in modo chiaro e imbarazzante la

Premessa gnoseologica II

debolezza di qualsiasi esoterismo filosofico, questo luogo è la «vi­sione», prescritta come atteggiamento filosofico agli adepti del pa­ganesimo neoplatonico in tutte le sue forme. L'essere delle idee non può assolutamente venir pensato come oggetto di un'intuizione, nep­pure dell'intuizione intellettuale. Poiché anche nella sua definizio­ne piu paradossale, quella di intellectus archetypus, essa non viene a capo del peculiare darsi della verità, un darsi che rimane sottratto a ogni genere di intenzione (né la verità potrà mai apparire come in­tenzione essa stessa). La verità non entra mai in relazione, tanto me­no in una relazione intenzionale. L'oggetto della conoscenza, quale si determina nell'intenzione concettuale, non è la verità. La verità è un essere inintenzionale formato di idee. Il comportamento che le si addice è perciò non già un intendere conoscitivo, bensf un risol­versi e uno scomparire in essa. La verità è la morte dell'intenzione. Precisamente questo può essere il significato della favola dell'im­magine velata di Sais, il cui svelamento provoca la distruzione di co­lui che voleva interrogare la verità. A determinare questo esito non è un'enigmatica crudeltà della situazione, bensf la natura stessa del­la verità, al cospetto della quale anche il piu puro fuoco della ricer­ca si spegne, come sott' acqua. In quanto ideale, l'essere della verità è diverso dal modo d'essere delle apparizioni. La struttura della ve­rità esige pertanto un essere che, per la sua estraneità all'intenzio­ne, somigli a quello puro e semplice delle cose, ma che lo superi per consistenza. La verità non consiste in un intendere che troverebbe nell'empiria la sua determinazione, ma è la potenza che plasma l'es­senza di quell'empiria. L'essere sottratto a ogni fenomenicità, l'uni­co essere a cui pertiene questa potenza, è quello del nome. Esso de­termina il darsi delle idee. Ma esse si danno non tanto in una lingua originaria, quanto ·in una percezione originaria, nella quale le paro­le non avrebbero ancora perduto la loro aura denotativa a vantag­gio del significato conoscitivo. «In un certo senso si può dubitare che la dottrina platonica delle "idee" sarebbe stata possibile se il si­gnificato linguistico non avesse suggerito al filosofo - che conosce­va soltanto la sua lingua madre- una divinizzazione del concetto, una divinizzazione delle parole: le "idee" di Platone sono in fondo, se per una volta è lecito valutarie da questo punto di vista unilate­rale, nient'altro che parole e concetti verbali divinizzati>~. L'idea è

'HERMANN GUNTERT, Von der Sprache der Giitter und Geister. Bedeutungsgèschichtliche Untersuchungen zur homerischen und eddischen Giittersprache, Halle 1921, p. 49· Cfr. HER­

MANN USENER, Giitternamen. Versuch einer Lehre von der religiosen Begriffibildung, Bonn 1896, p. J2I.

Page 46: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

IO Il dramma barocco tedesco

re comprende le specie. Perché il compito dell'idea no_n è q~esto. Si potrà illustrarne il significato con un paragone: le tdee s1 rap­portano alle cose come le costellazioni si rapportano alle stelle. Il che significa innazitutto: esse non sono né i concetti né le leggi delle cose. Non servono alla conoscenza dei fenomeni e questi ul­timi non possono in alcun modo fungere da criteri per valutare la consistenza delle idee. Piuttosto, il significato dei fenomeni per le idee si esaurisce nei loro elementi concettuali. Mentre i fenomeni determinano, con la loro esistenza, la loro comunanza, le loro dif­ferenze la portata e il contenuto dei concetti che li abbracciano, il loro r~pporto con le idee è opposto, nel senso che è proprio l'idea, quale oggettiva interpretazione dei fenomeni - o piuttosto de! lo­ro elementi - a determinarne la reciproca appartenenza. Le tdee sono costellazioni eterne, e se gli elementi vengono concepiti co­me punti di tali costellazioni, i fenomeni si troveranno ad essere, nello stesso tempo, analizzati e salvati. E va detto altresf che que­sti elementi, la cui estrapolazione dai fenomeni è compito del con­cetto vengono in luce con la massima precisione negli estremi. L'ide~ è definibile come configurazione del nesso che l'unico e l'estremo ha con ciò che gli è simile. E perciò errato intendere co­me concetti le norme generali della lingua, anziché riconoscer! e co­me idee. È assurdo identificare l'universale con la media statisti­ca. L'universale è l'idea. L'empirico è invece penetrato tanto piu a fondo quanto piu precisamente può essere considerato come qual­cosa di estremo. Dall'estremo procede il concetto. Come la madre comincia a vivere la sua vita piena quando la cerchia dei suoi pic­coli si stringe intorno a lei per sentirne la vicinanza, cosi le idee cominciano a vivere solo quando gli estremi si raccolgono intorno a loro. Le idee - nei termini di Goethe: gli ideali - sono le madri faustiane. Esse rimangono oscure là dove i fenomeni non si rico­noscono in esse e non si raccolgono intorno ad esse. La raccolta dei fenomeni è un'incombenza dei concetti, e la frammentazione operata in essi dall'intelletto analitico è tanto ~iu si_gnificativa per il fatto di conseguire in un s.olo colpo un duplice rtsultato: la sal­vazione dei fenomeni e la rappresentazione delle idee.

Le idee non sono date nel mondo dei fenomeni. Sorge allora la domanda di che natura sia la loro datità, a cui si accennava, e se il compito di giustificare la struttura del mondo delle idee vada pro­prio assegnato, inevitabilmente, alla famosa intuizione intellettua­le. Se c'è un luogo in cui si rivela in modo chiaro e imbarazzante la

Premessa gnoseologica II

debolezza di qualsiasi esoterismo filosofico, questo luogo è la «vi­sione», prescritta come atteggiamento filosofico agli adepti del pa­ganesimo neoplatonico in tutte le sue forme. L'essere delle idee non può assolutamente venir pensato come oggetto di un'intuizione, nep­pure dell'intuizione intellettuale. Poiché anche nella sua definizio­ne piu paradossale, quella di intellectus archetypus, essa non viene a capo del peculiare darsi della verità, un darsi che rimane sottratto a ogni genere di intenzione (né la verità potrà mai apparire come in­tenzione essa stessa). La verità non entra mai in relazione, tanto me­no in una relazione intenzionale. L'oggetto della conoscenza, quale si determina nell'intenzione concettuale, non è la verità. La verità è un essere inintenzionale formato di idee. Il comportamento che le si addice è perciò non già un intendere conoscitivo, bensf un risol­versi e uno scomparire in essa. La verità è la morte dell'intenzione. Precisamente questo può essere il significato della favola dell'im­magine velata di Sais, il cui svelamento provoca la distruzione di co­lui che voleva interrogare la verità. A determinare questo esito non è un'enigmatica crudeltà della situazione, bensf la natura stessa del­la verità, al cospetto della quale anche il piu puro fuoco della ricer­ca si spegne, come sott' acqua. In quanto ideale, l'essere della verità è diverso dal modo d'essere delle apparizioni. La struttura della ve­rità esige pertanto un essere che, per la sua estraneità all'intenzio­ne, somigli a quello puro e semplice delle cose, ma che lo superi per consistenza. La verità non consiste in un intendere che troverebbe nell'empiria la sua determinazione, ma è la potenza che plasma l'es­senza di quell'empiria. L'essere sottratto a ogni fenomenicità, l'uni­co essere a cui pertiene questa potenza, è quello del nome. Esso de­termina il darsi delle idee. Ma esse si danno non tanto in una lingua originaria, quanto ·in una percezione originaria, nella quale le paro­le non avrebbero ancora perduto la loro aura denotativa a vantag­gio del significato conoscitivo. «In un certo senso si può dubitare che la dottrina platonica delle "idee" sarebbe stata possibile se il si­gnificato linguistico non avesse suggerito al filosofo - che conosce­va soltanto la sua lingua madre- una divinizzazione del concetto, una divinizzazione delle parole: le "idee" di Platone sono in fondo, se per una volta è lecito valutarie da questo punto di vista unilate­rale, nient'altro che parole e concetti verbali divinizzati>~. L'idea è

'HERMANN GUNTERT, Von der Sprache der Giitter und Geister. Bedeutungsgèschichtliche Untersuchungen zur homerischen und eddischen Giittersprache, Halle 1921, p. 49· Cfr. HER­

MANN USENER, Giitternamen. Versuch einer Lehre von der religiosen Begriffibildung, Bonn 1896, p. J2I.

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12 n dramma barocco tedesco

qualcosa di linguistico, piu precisamente: qualcosa che, nell'essen­za della parola, coincide con quel momento per cui la parola è sim­bolo. Nella percezione empirica, in cui le parole si sono decompo­ste, alle parole inerisce, accanto alloro piu o meno n~costo signifi­cato simbolico, un esplicito significato profano. E compito del filosofo restituire il suo primato, mediante la rappresentazione, al carattere simbolico della parola: quel carattere nel quale l'idea giun­ge all'auto trasparenza, che è il contrario di una comunicazione ri­volta verso l'esterno. Poiché la filosofia non può pretendere di par­lare in tono rivelativo, ciò può avvenire solo attraverso un ramme­morare che risalga anzitutto a una percezione originaria. Forse l'anamnesi platonica non è lontana da questo rammemorare. Sol­tanto che qui non si tratta di richiamare delle immagini all'intui­zione; piuttosto, nella contemplazione filosofica l'idea si libera co­me parola dal nucleo piu intimo della realtà, e come una parola che rivendica di nuovo il suo diritto a nominare. Ma il primo ad assu­mere questo atteggiamento non è Platone, bensf Adamo, il padre degli uomini·in quanto padre della filosofia. Il nominare adamitico è cosi lontano dall'essere gioco ed arbitrio che proprio in esso si con­ferma anzi lo stato paradisiaco in quanto tale, non ancora impegna­to a lottare col significato informativo delle parole. Come le idee si danno, senza intenzione, nel nominare, cosi esse devono rinnovar­si nella contemplazione filosofica. In questo rinnovamento si ripri­stina la percezione originaria del linguaggio. Cosi la filosofia, che è stata cosi spesso un oggetto di scherno, è a ragione, nel corso della storia, una lotta per la rappresentazione di alcune parole, sempre le stesse: le idee. Perciò l'introduzione di nuove terminologie, se non si mantiene rigorosamente nell'ambito concettuale e mira invece agli oggetti ultimi del contemplare, è in.ambito filosofico estremamen­te discutibile. Tali terminologie- un denominare non riuscito, a cui partecipa piu l'intenzione che il linguaggio- restano estranee a quel­la oggettività che la storia ha attribuito ai prodotti piu alti del con­templare filosofico. Questi ultimi stanno, come le mere parole non possono stare, in un compiuto isolamento. E cosi le idee riconosco­no la legge che dice: tutte le essenze esistono in una compiuta au­tonomia e intangibilità, non solo rispetto ai fenomeni, ma anche l'una rispetto all'altra. Come l'armonia delle sfere si fonda sulla ro­tazione dei corpi celesti, che non si toccano mai, cosi il consistere del mundus intelligibilis si fonda sulla ineliminabile distanza tra le pure essenze. Ogni idea è un sole, e il suo rapporto con le altre idee è come un rapporto fra altrettanti soli. Il rapporto armonioso fra

Premessa gnoseologica 13

queste essenze è la verità. La loro molteplicità denominata è nume­rabile. Poiché il regime delle essenze è la discontinuità: quelle «es­senze ... che conducono una vita toto coelo diversa dagli oggetti e dalle loro proprietà, e la cui esistenza non si lascia dedurre dialetti­camente estraendo da un oggetto qualsiasi ... un certo insieme e ag­giungendogli la qualifica "in sé", xa-fr'a{rtò; perché il loro numero è finito e ciascuna di esse va cercata faticosamente nel luogo che nel suo mondo le spetta, fino a quando ci si imbatte in essa, come in un rocher de bronce, oppure fino a quando la speranza nella sua esistenza si rivela ingannevole»

4• Non di rado il mancato riconoscimento di

questa loro finitezza discontinua ha vanificato robusti tentativi di rinnovare la dottrina delle idee: in ultimo, quelli compiuti dal pri­mo Romanticismo. Nelle sue speculazioni la verità assumeva, in luo­go del suo carattere linguistico, quello di una coscienza riflettente.

Il dramma barocco, considerato dal punto di vista del trattato di filosofia dell'arte, è un'idea. La sua principale differenza dal trattato storico-letterario è che il primo presuppone un'unità pro­prio là dove il secondo ha il compito di dimostrare il molteplice. Le differenze e gli estremi, che l'analisi storico-letteraria tende a sfumare e a relativizzare, assumono nell'elaborazione concettuale il rango di energie complementari, e la storia si riduce alla frangia colorata di una simultaneità cristallina. Per la filosofia dell'arte so­no gli estremi ad apparire necessari, mentre il corso storico è con­tingente. E viceversa l'estremo di una forma o di un genere è l'idea, che non entra come tale nella storia letteraria. Il dramma baroc­co, in quanto concetto, entrerebbe senza difficoltà nelle classifi­cazioni concettuali dell'estetica. Altro è il rapporto dell'idea con l'ambito classificatorio. Essa non definisce una classe e non con­tiene quella universalità su cui poggiano, nei sistemi classificato­ri, i vari gradi del concetto: l'universalità della media. La preca­rietà dell'induzione nelle ricerche teoriche sull'arte doveva, prima o poi, venire alla luce. Gli studiosi piu giovani sono disorientati. Nel suo studio Zum Phiinomen des Tragischen [Sul fenomeno del tra­gico] Scheler dice: «Come ... occorre ... procedere? Dobbiamo cer­care di mettere insieme svariati esempi di tragico, cioè svariati eventi e accadimenti nei confronti dei quali gli uomini hanno l'im­pressione del tragico, e poi domandarci, per via induttiva, che co-

• JBAN HERING, Bemerkungen uber das Wesen, die Wesenheit und die Idee, in «]ahrbuch fiir Philosophie und phlinomenologische Forschung», IV (r9zr), p. 522.

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12 n dramma barocco tedesco

qualcosa di linguistico, piu precisamente: qualcosa che, nell'essen­za della parola, coincide con quel momento per cui la parola è sim­bolo. Nella percezione empirica, in cui le parole si sono decompo­ste, alle parole inerisce, accanto alloro piu o meno n~costo signifi­cato simbolico, un esplicito significato profano. E compito del filosofo restituire il suo primato, mediante la rappresentazione, al carattere simbolico della parola: quel carattere nel quale l'idea giun­ge all'auto trasparenza, che è il contrario di una comunicazione ri­volta verso l'esterno. Poiché la filosofia non può pretendere di par­lare in tono rivelativo, ciò può avvenire solo attraverso un ramme­morare che risalga anzitutto a una percezione originaria. Forse l'anamnesi platonica non è lontana da questo rammemorare. Sol­tanto che qui non si tratta di richiamare delle immagini all'intui­zione; piuttosto, nella contemplazione filosofica l'idea si libera co­me parola dal nucleo piu intimo della realtà, e come una parola che rivendica di nuovo il suo diritto a nominare. Ma il primo ad assu­mere questo atteggiamento non è Platone, bensf Adamo, il padre degli uomini·in quanto padre della filosofia. Il nominare adamitico è cosi lontano dall'essere gioco ed arbitrio che proprio in esso si con­ferma anzi lo stato paradisiaco in quanto tale, non ancora impegna­to a lottare col significato informativo delle parole. Come le idee si danno, senza intenzione, nel nominare, cosi esse devono rinnovar­si nella contemplazione filosofica. In questo rinnovamento si ripri­stina la percezione originaria del linguaggio. Cosi la filosofia, che è stata cosi spesso un oggetto di scherno, è a ragione, nel corso della storia, una lotta per la rappresentazione di alcune parole, sempre le stesse: le idee. Perciò l'introduzione di nuove terminologie, se non si mantiene rigorosamente nell'ambito concettuale e mira invece agli oggetti ultimi del contemplare, è in.ambito filosofico estremamen­te discutibile. Tali terminologie- un denominare non riuscito, a cui partecipa piu l'intenzione che il linguaggio- restano estranee a quel­la oggettività che la storia ha attribuito ai prodotti piu alti del con­templare filosofico. Questi ultimi stanno, come le mere parole non possono stare, in un compiuto isolamento. E cosi le idee riconosco­no la legge che dice: tutte le essenze esistono in una compiuta au­tonomia e intangibilità, non solo rispetto ai fenomeni, ma anche l'una rispetto all'altra. Come l'armonia delle sfere si fonda sulla ro­tazione dei corpi celesti, che non si toccano mai, cosi il consistere del mundus intelligibilis si fonda sulla ineliminabile distanza tra le pure essenze. Ogni idea è un sole, e il suo rapporto con le altre idee è come un rapporto fra altrettanti soli. Il rapporto armonioso fra

Premessa gnoseologica 13

queste essenze è la verità. La loro molteplicità denominata è nume­rabile. Poiché il regime delle essenze è la discontinuità: quelle «es­senze ... che conducono una vita toto coelo diversa dagli oggetti e dalle loro proprietà, e la cui esistenza non si lascia dedurre dialetti­camente estraendo da un oggetto qualsiasi ... un certo insieme e ag­giungendogli la qualifica "in sé", xa-fr'a{rtò; perché il loro numero è finito e ciascuna di esse va cercata faticosamente nel luogo che nel suo mondo le spetta, fino a quando ci si imbatte in essa, come in un rocher de bronce, oppure fino a quando la speranza nella sua esistenza si rivela ingannevole»

4• Non di rado il mancato riconoscimento di

questa loro finitezza discontinua ha vanificato robusti tentativi di rinnovare la dottrina delle idee: in ultimo, quelli compiuti dal pri­mo Romanticismo. Nelle sue speculazioni la verità assumeva, in luo­go del suo carattere linguistico, quello di una coscienza riflettente.

Il dramma barocco, considerato dal punto di vista del trattato di filosofia dell'arte, è un'idea. La sua principale differenza dal trattato storico-letterario è che il primo presuppone un'unità pro­prio là dove il secondo ha il compito di dimostrare il molteplice. Le differenze e gli estremi, che l'analisi storico-letteraria tende a sfumare e a relativizzare, assumono nell'elaborazione concettuale il rango di energie complementari, e la storia si riduce alla frangia colorata di una simultaneità cristallina. Per la filosofia dell'arte so­no gli estremi ad apparire necessari, mentre il corso storico è con­tingente. E viceversa l'estremo di una forma o di un genere è l'idea, che non entra come tale nella storia letteraria. Il dramma baroc­co, in quanto concetto, entrerebbe senza difficoltà nelle classifi­cazioni concettuali dell'estetica. Altro è il rapporto dell'idea con l'ambito classificatorio. Essa non definisce una classe e non con­tiene quella universalità su cui poggiano, nei sistemi classificato­ri, i vari gradi del concetto: l'universalità della media. La preca­rietà dell'induzione nelle ricerche teoriche sull'arte doveva, prima o poi, venire alla luce. Gli studiosi piu giovani sono disorientati. Nel suo studio Zum Phiinomen des Tragischen [Sul fenomeno del tra­gico] Scheler dice: «Come ... occorre ... procedere? Dobbiamo cer­care di mettere insieme svariati esempi di tragico, cioè svariati eventi e accadimenti nei confronti dei quali gli uomini hanno l'im­pressione del tragico, e poi domandarci, per via induttiva, che co-

• JBAN HERING, Bemerkungen uber das Wesen, die Wesenheit und die Idee, in «]ahrbuch fiir Philosophie und phlinomenologische Forschung», IV (r9zr), p. 522.

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I4 Il dramma barocco tedesco

sa hanno "in comune"? Si tratterebbe di una sorta di metodo in­duttivo, che potrebbe trovare anche sostegni sperimentali. Se­nonché ciò ci porterebbe ancora meno lontano di quanto possa fare l'osservazione del nostro io, quando il tragico agisce su di noi. Perché con quale diritto dovremmo accordare fiducia alle af­fermazioni della gente, e credere che ciò che essi chiamano tragi­co lo sia per davvero? »5

• N o n può condurre da nessuna parte il voler determinare le idee induttivamente - a partire dalla loro «estensione»- sulla base del linguaggio comune, per poi proce­dere alla fondazione essenziale di ciò che è stato definito in ex­tenso. L'uso linguistico ha infatti per il filosofo un valore incal­colabile quando nella interpretazione viene assunto come riman­do alle idee, ma è invece ingannevole quando viene assunto come base formale del concetto, partendo magari da un discorso e da un pensiero approssimativo. Questo stato di cose permette di af­fermare che il filosofo deve accostarsi con estrema cautela a quel modo di procedere corrente che trasforma le parole in concetti per consolidarne il significato. E proprio la filosofia dell'arte è non di rado vittima di questa suggestione. Quando ad esempio­per citare un caso emblematico fra molti - la Asthetik des Tragi­schen [Estetica del tragico] di Volkelt considera i lavori di Holz o di Halbe alla stessa stregua dei drammi di Eschilo o di Euripide, senza neppure domandarsi se il tragico sia una forma che può tro­vare contenuti attuali oppure una forma storicamente condizio­nata, ciò che ne risulta dal punto di vista del tragico in materie cosi diverse non è tensione ma una morta eterogeneità. Accumu­lando materiali cosi disparati - dove i piu originari ed acerbi so­no presto sepolti sotto la farragine dei «moderni» - l'indagine, che si era sottoposta a un tale tour de /orc;e per individuare l' «ele­mento comune», resterà con le mani vuote: non fosse per qual­che dato psicologico che nella soggettività dello studioso, o me­glio del cittadino medio, riesce a far coincidere elementi cosi di­versi fra loro attraverso l'uguaglianza di una reazione miserabile. I concetti della psicologia potranno.forse riprodurre una varietà morfologica di impressioni - provengano o meno da un'opera d' ar­te- ma non potranno determinare l'essenza propria di un ambi~ to artistico. Ciò avviene piuttosto attraverso una circostanziata esposizione del suo concetto formale, il cui contenuto metafisica

'MAX SCHELER, Vom Umsturz der Werte. Abhandlungen und Aufsiitze, a cura di Maria Scheler, Bern 1955, p. 152.

Premessa gnoseologica I5

non dovrà tanto trovarsi al suo interno, quanto mostrarsi attivo e irrorarlo come fa il sangue col corpo.

L'aderenza alla molteplicità delle forme da un lato, l'indiffe­renza nei confronti del pensiero rigoroso dali' altro, sono sempre state i tratti distintivi di una induzione acritica. E si tratta sem- · pre di un certo timore verso le idee costitutive - gli universalia in re- per usare l'espressione particolarmente acuta di Burdach. «Ho promesso di parlare dell'origine dell'Umanesimo come se esso fos­se un essere vivente, venuto al mondo in qualche momento e in qualche luogo come un tutto organico, e poi come tale cresciuto ... Noi procediamo qui come i cosiddetti scolastici realisti del Me­dioevo, che attribuivano realtà ai concetti generali, agli "univer­sali". Anche noi costruiamo ipostasi come le mitologie d'antichi tempi e poniamo un essere dotato di un'unica sostanza e di piena realtà, e lo chiamiamo, come se fosse un individuo vivente Uma­nesimo. Ma in questo come in altri innumerevoli casi affini' ... noi dovremmo acquistare chiara consapevolezza del fatto che tali con­cetti astratti ausiliari vengono costruiti soltanto per poter abbrac­ciare d'un solo sguardo infinite serie di molteplici fenomeni spiri­tuali e di differentissime personalità. Noi possiamo ottenere que­sto, secondo una legge fondamentale della percezione e della conoscenza umana, soltanto col dare maggiore rilievo e piu forte accentuazione, secondo il bisogno sistematico che ci è innato, a certe peculiarità che in queste serie di oggetti vari ci appaiono si­mili o concordanti, invece che alle differenze ... Le etichette di "Umanesimo", o "Rinascimento", sono arbitrarie, anzi erronee, dal momento che conferiscono a questa vita dalle molte origini, dai va­ri aspetti, dai molti spiriti, la falsa apparenza di una unità essen­ziale. E anche "l'uomo del Rinascimento", prediletto dopo il Burckhardt e il Nietzsche, è un personaggio altrettanto arbitrario

• 6 ' anz1 erroneo ... ». Una nota dell'autore a questo passaggio suona: «<l brutto parallelo dell'inestirpabile "uomo del Rinascimento" è l"'uomo gotico", che oggi provoca grave confusione con la parte che rappresenta, e vive la sua vita di fantasma.anche nel mondo di ricercatori storici importanti e degni di rispetto (E. Troeltsch!). E per soprammercato c'è anche l'"uomo barocco", nome col qua~

• KONRAD BURD4CH, Reformation, Renaissance, Humanismus. Zwei Abhandlungen uber die Grundlage modemer Bildung und Sprachkunst, Berlin 1918, pp. reo sgg.; trad it. Ri/or­ma-Rinascimento-Umanesimo. Due disseruuioni sui fondamenti della cultura e dell'arte della parola moderne, a cura di D. Cantimori, Firenze 1935, pp. 78 sgg.

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I4 Il dramma barocco tedesco

sa hanno "in comune"? Si tratterebbe di una sorta di metodo in­duttivo, che potrebbe trovare anche sostegni sperimentali. Se­nonché ciò ci porterebbe ancora meno lontano di quanto possa fare l'osservazione del nostro io, quando il tragico agisce su di noi. Perché con quale diritto dovremmo accordare fiducia alle af­fermazioni della gente, e credere che ciò che essi chiamano tragi­co lo sia per davvero? »5

• N o n può condurre da nessuna parte il voler determinare le idee induttivamente - a partire dalla loro «estensione»- sulla base del linguaggio comune, per poi proce­dere alla fondazione essenziale di ciò che è stato definito in ex­tenso. L'uso linguistico ha infatti per il filosofo un valore incal­colabile quando nella interpretazione viene assunto come riman­do alle idee, ma è invece ingannevole quando viene assunto come base formale del concetto, partendo magari da un discorso e da un pensiero approssimativo. Questo stato di cose permette di af­fermare che il filosofo deve accostarsi con estrema cautela a quel modo di procedere corrente che trasforma le parole in concetti per consolidarne il significato. E proprio la filosofia dell'arte è non di rado vittima di questa suggestione. Quando ad esempio­per citare un caso emblematico fra molti - la Asthetik des Tragi­schen [Estetica del tragico] di Volkelt considera i lavori di Holz o di Halbe alla stessa stregua dei drammi di Eschilo o di Euripide, senza neppure domandarsi se il tragico sia una forma che può tro­vare contenuti attuali oppure una forma storicamente condizio­nata, ciò che ne risulta dal punto di vista del tragico in materie cosi diverse non è tensione ma una morta eterogeneità. Accumu­lando materiali cosi disparati - dove i piu originari ed acerbi so­no presto sepolti sotto la farragine dei «moderni» - l'indagine, che si era sottoposta a un tale tour de /orc;e per individuare l' «ele­mento comune», resterà con le mani vuote: non fosse per qual­che dato psicologico che nella soggettività dello studioso, o me­glio del cittadino medio, riesce a far coincidere elementi cosi di­versi fra loro attraverso l'uguaglianza di una reazione miserabile. I concetti della psicologia potranno.forse riprodurre una varietà morfologica di impressioni - provengano o meno da un'opera d' ar­te- ma non potranno determinare l'essenza propria di un ambi~ to artistico. Ciò avviene piuttosto attraverso una circostanziata esposizione del suo concetto formale, il cui contenuto metafisica

'MAX SCHELER, Vom Umsturz der Werte. Abhandlungen und Aufsiitze, a cura di Maria Scheler, Bern 1955, p. 152.

Premessa gnoseologica I5

non dovrà tanto trovarsi al suo interno, quanto mostrarsi attivo e irrorarlo come fa il sangue col corpo.

L'aderenza alla molteplicità delle forme da un lato, l'indiffe­renza nei confronti del pensiero rigoroso dali' altro, sono sempre state i tratti distintivi di una induzione acritica. E si tratta sem- · pre di un certo timore verso le idee costitutive - gli universalia in re- per usare l'espressione particolarmente acuta di Burdach. «Ho promesso di parlare dell'origine dell'Umanesimo come se esso fos­se un essere vivente, venuto al mondo in qualche momento e in qualche luogo come un tutto organico, e poi come tale cresciuto ... Noi procediamo qui come i cosiddetti scolastici realisti del Me­dioevo, che attribuivano realtà ai concetti generali, agli "univer­sali". Anche noi costruiamo ipostasi come le mitologie d'antichi tempi e poniamo un essere dotato di un'unica sostanza e di piena realtà, e lo chiamiamo, come se fosse un individuo vivente Uma­nesimo. Ma in questo come in altri innumerevoli casi affini' ... noi dovremmo acquistare chiara consapevolezza del fatto che tali con­cetti astratti ausiliari vengono costruiti soltanto per poter abbrac­ciare d'un solo sguardo infinite serie di molteplici fenomeni spiri­tuali e di differentissime personalità. Noi possiamo ottenere que­sto, secondo una legge fondamentale della percezione e della conoscenza umana, soltanto col dare maggiore rilievo e piu forte accentuazione, secondo il bisogno sistematico che ci è innato, a certe peculiarità che in queste serie di oggetti vari ci appaiono si­mili o concordanti, invece che alle differenze ... Le etichette di "Umanesimo", o "Rinascimento", sono arbitrarie, anzi erronee, dal momento che conferiscono a questa vita dalle molte origini, dai va­ri aspetti, dai molti spiriti, la falsa apparenza di una unità essen­ziale. E anche "l'uomo del Rinascimento", prediletto dopo il Burckhardt e il Nietzsche, è un personaggio altrettanto arbitrario

• 6 ' anz1 erroneo ... ». Una nota dell'autore a questo passaggio suona: «<l brutto parallelo dell'inestirpabile "uomo del Rinascimento" è l"'uomo gotico", che oggi provoca grave confusione con la parte che rappresenta, e vive la sua vita di fantasma.anche nel mondo di ricercatori storici importanti e degni di rispetto (E. Troeltsch!). E per soprammercato c'è anche l'"uomo barocco", nome col qua~

• KONRAD BURD4CH, Reformation, Renaissance, Humanismus. Zwei Abhandlungen uber die Grundlage modemer Bildung und Sprachkunst, Berlin 1918, pp. reo sgg.; trad it. Ri/or­ma-Rinascimento-Umanesimo. Due disseruuioni sui fondamenti della cultura e dell'arte della parola moderne, a cura di D. Cantimori, Firenze 1935, pp. 78 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

le ci vien presentato per esempio lo Shakespeare»7

• Questa pres·a di posizione è evidentemente giustificata nella misura in cui si ri­volge contro l'ipostatizzazione di concetti generali- ma non sem­pré gli universali rientrano in questa categoria. Essa però ha senz' altro torto di fronte alle questioni di una teoria della scienza platonicamente orientata alla rappresentazione delle essenze, del­la quale essa misconosce la necessità. Questa teoria, ed essa sol­tanto, è in grado di preservare la forma linguistica delle esposizioni scientifiche che si muovono al di fuori dell'ambito matematico, da quella scepsi illimitata che trascina nel suo vortice ogni metodo in­duttivo per quanto raffinato, una scepsi in cui le argomentazioni di Burdach non potevano imbattersi. Perché le sue argomentazio­ni sono una reservatio mentalis privata, non una fondazione meto­dica. Per quanto riguarda, in particolare, i tipi e le epoche stori­che, non si potrà mai presupporre, è vero, che idee come quella di Rinascimento o di Barocco siano in grado di dominare concet­tualmente la materia, e l'opinione secondo cui una moderna vi­sione dei diversi periodi storici potrebbe venir convalidata da uno scontro aperto - dove le varie epoche si affronterebbero «a visie­ra alzata» - tradirebbe il contenuto delle fonti, che non dipende

. in genere da idee storiografiche ma da interessi attuali. Ma ciò che questi nomi non possono ottenere come concetti, lo ottengono in quanto idee, nelle quali non giunge a coincidenza l'omogeneo, ma gli estremi pervengono alla sintesi. Fermo restando il fatto che an­che l'analisi concettuale non sempre s'imbatte in fenomeni del tut­to discrepanti e che talora anche in essa si delinea il profilo di una sintesi, sia pure non legittimabile. Cosi, proprio del Barocco let­terario, nell'ambito del quale è sorto il dramma tedesco, Strich ha osservato con ragione «che i principi formativi sono rimasti gli stessi lungo tutto il secolo»

8•

La riflessione critica di Burdach procede non tanto dal progetto di una rivoluzione positiva del metodo quanto da una preoccupa­zione per gli errori concreti di dettaglio. Ma in ultima istanza il metodo non può essere in nessun caso guidato da mere preoccu­pazioni fattuali, non può presentarsi negativamente, come un sem­plice canone prudenziale. Esso deve procedere piuttosto da con­siderazioni di un ordine piu elevato di quelle offerte da un veri-

7 Ibid., p. 213, nota; trad. it. cit., p. 79, nota. ' FRITZ STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten Jahrhunderts, in Abhandlungen zur deut­

schen Literaturgeschichte. Franz Muncker zum 6o. Geburtstage dargebrachtvon Eduard Berend, Miinchen 1916, p. 52.

Premessa gnoseologica

smo scientifico. Quest'ultimo non potrà fare a meno di imbatter­si, di fronte al singolo problema, in quelle questioni di metodo che il suo credo scientifico ignora. Di regola, la loro soluzione passerà attraverso una revisione della problematica formulabile in questi termini: perché la scienza non possa rispondere alla domanda su «Come sono andate davvero le cose», ma debba limitarsi a parla. Que.sta riflessione, che abbiamo fin qui abbozzato e che dovremo portare a compimen~o, è la sola a poter decidere se l'idea sia un'ab­breviazione inopportuna o se la sua espressione linguistica non fon- . di invece il vero contenuto scientifico. Una scienza che si diffon­de in proteste contro il linguaggio delle sue stesse indagini è una mostruosità. Le parole sono, accanto ai segni della matematica, l'unico medium rappresentativo della scienza, e,.dal canto loro non sono segni. Il concetto infatti, che è ciò a cui corrisponde. ll segno, è un depotenziamento di quella stessa parola che trova nell'idea la sua realtà essenziale. Il verismo, al servizio del quale si pone il metodo induttivo della teoria dell'arte, non è nobilitato dal fatto che le problematiche discorsive e induttive convergereb­bero alla fine in una «visione intuitiva»: una visione intuitiva che risulterebbe - secondo le pretese illusorie di R. M. Meyer e di tan­ti altri - da una fusione sincretistica di vari metodt Come tutte le impostazioni ingenuamente realistiche del problema del meto­do, anche questa ci lascia al punto di partenza. Perché è precisa­mente l'intuizione che va interpretata. E il quadro dell'estetica a base induttiva mostra anche qui la consueta tinta fumosa: tale in­tuizione non ha infatti per oggetto la tosa stessa quale si dischiu­de nell'idea, ma gli stati soggettivi del fruitore proiettati sùll'ope­ra. Tale è il senso dell'empatia, che R. M. Meyer ha concepito co­me la chiave di volta del suo metodo. Questo metodo, che è l'esatto opposto di quello che andrà applicato nel corso di questa ricerca «vede nella forma artistica del dramma e anche della tragedia ~ della commedia, e poi della commedia di carattere o di intreccio grandezze con cui fare i conti. Dal confronto tra gli esempi di spie: co dei vari generi esso intende ricavare regole e leggi a cui il sin­golo prodotto andrà commisurato. E cosi poi dal confronto tra i vari generi cerca di estrarre leggi artistiche generali, valide per ogni opera»

10• La deduzione estetica del «genere» poggerebbe allora su

un procedimento induttivo e astrattivo, e la serie dei generi e del-

.. 'RICHAR? M. MEYER, Uberdas Verstiindnisvon Kunstwerken, in.«Die neuenJahrbiicher fur das klassische Altertum, Geschichte und deutsche Litteratur», IV (1901), p. 378.

IO Ibid., p. 372-

Page 52: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

le ci vien presentato per esempio lo Shakespeare»7

• Questa pres·a di posizione è evidentemente giustificata nella misura in cui si ri­volge contro l'ipostatizzazione di concetti generali- ma non sem­pré gli universali rientrano in questa categoria. Essa però ha senz' altro torto di fronte alle questioni di una teoria della scienza platonicamente orientata alla rappresentazione delle essenze, del­la quale essa misconosce la necessità. Questa teoria, ed essa sol­tanto, è in grado di preservare la forma linguistica delle esposizioni scientifiche che si muovono al di fuori dell'ambito matematico, da quella scepsi illimitata che trascina nel suo vortice ogni metodo in­duttivo per quanto raffinato, una scepsi in cui le argomentazioni di Burdach non potevano imbattersi. Perché le sue argomentazio­ni sono una reservatio mentalis privata, non una fondazione meto­dica. Per quanto riguarda, in particolare, i tipi e le epoche stori­che, non si potrà mai presupporre, è vero, che idee come quella di Rinascimento o di Barocco siano in grado di dominare concet­tualmente la materia, e l'opinione secondo cui una moderna vi­sione dei diversi periodi storici potrebbe venir convalidata da uno scontro aperto - dove le varie epoche si affronterebbero «a visie­ra alzata» - tradirebbe il contenuto delle fonti, che non dipende

. in genere da idee storiografiche ma da interessi attuali. Ma ciò che questi nomi non possono ottenere come concetti, lo ottengono in quanto idee, nelle quali non giunge a coincidenza l'omogeneo, ma gli estremi pervengono alla sintesi. Fermo restando il fatto che an­che l'analisi concettuale non sempre s'imbatte in fenomeni del tut­to discrepanti e che talora anche in essa si delinea il profilo di una sintesi, sia pure non legittimabile. Cosi, proprio del Barocco let­terario, nell'ambito del quale è sorto il dramma tedesco, Strich ha osservato con ragione «che i principi formativi sono rimasti gli stessi lungo tutto il secolo»

8•

La riflessione critica di Burdach procede non tanto dal progetto di una rivoluzione positiva del metodo quanto da una preoccupa­zione per gli errori concreti di dettaglio. Ma in ultima istanza il metodo non può essere in nessun caso guidato da mere preoccu­pazioni fattuali, non può presentarsi negativamente, come un sem­plice canone prudenziale. Esso deve procedere piuttosto da con­siderazioni di un ordine piu elevato di quelle offerte da un veri-

7 Ibid., p. 213, nota; trad. it. cit., p. 79, nota. ' FRITZ STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten Jahrhunderts, in Abhandlungen zur deut­

schen Literaturgeschichte. Franz Muncker zum 6o. Geburtstage dargebrachtvon Eduard Berend, Miinchen 1916, p. 52.

Premessa gnoseologica

smo scientifico. Quest'ultimo non potrà fare a meno di imbatter­si, di fronte al singolo problema, in quelle questioni di metodo che il suo credo scientifico ignora. Di regola, la loro soluzione passerà attraverso una revisione della problematica formulabile in questi termini: perché la scienza non possa rispondere alla domanda su «Come sono andate davvero le cose», ma debba limitarsi a parla. Que.sta riflessione, che abbiamo fin qui abbozzato e che dovremo portare a compimen~o, è la sola a poter decidere se l'idea sia un'ab­breviazione inopportuna o se la sua espressione linguistica non fon- . di invece il vero contenuto scientifico. Una scienza che si diffon­de in proteste contro il linguaggio delle sue stesse indagini è una mostruosità. Le parole sono, accanto ai segni della matematica, l'unico medium rappresentativo della scienza, e,.dal canto loro non sono segni. Il concetto infatti, che è ciò a cui corrisponde. ll segno, è un depotenziamento di quella stessa parola che trova nell'idea la sua realtà essenziale. Il verismo, al servizio del quale si pone il metodo induttivo della teoria dell'arte, non è nobilitato dal fatto che le problematiche discorsive e induttive convergereb­bero alla fine in una «visione intuitiva»: una visione intuitiva che risulterebbe - secondo le pretese illusorie di R. M. Meyer e di tan­ti altri - da una fusione sincretistica di vari metodt Come tutte le impostazioni ingenuamente realistiche del problema del meto­do, anche questa ci lascia al punto di partenza. Perché è precisa­mente l'intuizione che va interpretata. E il quadro dell'estetica a base induttiva mostra anche qui la consueta tinta fumosa: tale in­tuizione non ha infatti per oggetto la tosa stessa quale si dischiu­de nell'idea, ma gli stati soggettivi del fruitore proiettati sùll'ope­ra. Tale è il senso dell'empatia, che R. M. Meyer ha concepito co­me la chiave di volta del suo metodo. Questo metodo, che è l'esatto opposto di quello che andrà applicato nel corso di questa ricerca «vede nella forma artistica del dramma e anche della tragedia ~ della commedia, e poi della commedia di carattere o di intreccio grandezze con cui fare i conti. Dal confronto tra gli esempi di spie: co dei vari generi esso intende ricavare regole e leggi a cui il sin­golo prodotto andrà commisurato. E cosi poi dal confronto tra i vari generi cerca di estrarre leggi artistiche generali, valide per ogni opera»

10• La deduzione estetica del «genere» poggerebbe allora su

un procedimento induttivo e astrattivo, e la serie dei generi e del-

.. 'RICHAR? M. MEYER, Uberdas Verstiindnisvon Kunstwerken, in.«Die neuenJahrbiicher fur das klassische Altertum, Geschichte und deutsche Litteratur», IV (1901), p. 378.

IO Ibid., p. 372-

Page 53: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

r 8 Il dramma barocco tedesco

le specie non verrebbe tanto dedotta quanto presentata nello sche­ma della deduzione.

Mentre l'induzione degrada le idee a concetti rinunciando al­la loro articolazione e coordinazione, la deduzione ottiene lo stes­so risultato proiettandoli in un continuum pseudologico. Il regno del pensiero filosofico non si dipana lungo una linea ininterrotta di deduzioni concettuali, bensf attraverso la descrizione del mon­do delle idee. Tale attuazione ricomincia da capo con ogni idea in quanto ogni idea è originaria. Poiché le idee costituiscono una mol­teplicità non riducibile. Esse si offrono alla considerazione filoso­fica come una molteplicità finita, o, piu propriamente, denomi­nata. Di qui la critica violenta di Benedetto Croce al concetto de­duttivo di genere in filosofia dell'arte. A ragione egli vede nella classificazione in quanto intelaiatura delle deduzioni speculative il fondamento di una critica superficialmente schematizzante. E mentre il nominalismo di Burdach riguardo al concetto di epoca storica, la sua riluttanza a scostarsi anche di pochissimo dai puri fatti, nasce dal timore di allontanarsi dalla verità, un nominalismo del tutto analogo riguardo al concetto estetico di genere porta in Croce a un'analoga aderenza al particolare, alla preoccupazione che, allontanandosi da questo, ci si possa privare dell'essenziale. Proprio questo ci mette nelle condizioni migliori per chiarire il ve­ro significato dei nomi dei generi estetici. Il Breviario di estetica biasima «il pregiudizio della possibilità di distinguere parecchie o molte/orme particolari di arte, ciascuna determinabile nel suo par­ticolare concetto e nei suoi limiti, e fornita di proprie leggi ... Mol­ti esteti compongono ancora trattati sull'estetica del tragico o del comico o della lirica o dell'umorismo, o estetiche della pittura o della musica o della poesia ... e, quel ch'è peggio ... i critici, nel giudicare le opere d'arte, non hanno smesso del tutto l'abito di commisurarle al genere o all'arte particolare in cui, secondo essi, rientrerebbero ... »11

• « ... vale a dire, è infondata qualsiasi teoria della divisione delle arti. Il genere o la classe è, in questo caso, uno solo, l'arte stessa o l'intuizione, laddove le singole opere d'arte so­no poi infinite: tutte originali, ciascuna intraducibile nell'altra ... Tra l'universale e il particolare non s'interpone nessun elemento intermedio, nessuna serie di generi o di specie, di generalia)>

12• Que-

11 BENEDETIO CROCE, Breviario di estetica, Bari 1969, p. 52.

"Ibid., p. 55·

Premessa gnoseologica r 9

st~ consi~erazi':>~e è pie?amente giustificata riguardo ai concetti det genen estet1c1. Ma s1 ferma a metà strada. Infatti, per quanto un'enumerazione di opere d'arte che miri a coglierne l'elemento comune sia un'impresa oziosa, ove non si tratti di una collazione storica o stilistica di esempi bensf del loro nucleo essenziale è al­t~~tt~to impen~abile che la filosofia dell'arte si privi delle su~ idee p1u ncche, quali quella del tragico e del comico. Perché esse non sono distillati di regole, no: sono figure il cui spessore e la cui realtà è almeno pari a quelli del singolo dramma, e non commensurabili ad esso. Cosi, esse non avanzano affatto la pretesa di comprende­re un certo numero di opere sulla base di determinati elementi co­mu~ fra loro. Perché se anche la tragedia allo stato puro, la com­media allo stato puro, non esistessero come tali, le idee continue­r~bbero ad avere una loro consistenza. In tal senso, occorrerà una nce~ca che .non si leghi fin daJI'inizio a quanto può esser designa­to di volta m volta come tragico o come comico, ma che persegua l'esemplare, se anche dovesse attribuire quel carattere a un sem­plice frammento isolato. Essa non produrrà «criteri» per il recen­sore. La critica, cosi come i criteri di una terminologia, il banco di prova della dottrina filosofica delle idee dell'arte non si formano in base al criterio esteriore del confronto, bensl in modo imma­nente, .attraverso uno svilupp':> del linguaggio formale dell'opera, ~no ~vilup~o c~e n~ estragga il co~tenuto magari a spese dell'ef­ficacia .. A ctò s~ aggtunge che proprio le opere significative, a me­no che m esse il genere non appaia di colpo come ideale si situa­no al di fuori dei limiti del genere. Un'opera significativ~ o fonda il genere oppure lo liquida; nelle opere perfette le due cose si fon­dono.

L'impossibilità di uno sviluppo deduttivo delle forme artisti­che, la conseguente svalutazione della regola come istanza critica -. c~me istanza didatti.c~ la regola rimarrà sempre - gettano le ba­si dt un fecondo scetticiSmo. Esso è paragonabile al profondo ri­pr~nder fiato del pensiero, che può poi abbandonarsi con tutto ag1o, e senza la minima traccia di affanno, all'esame minuzioso del dettaglio. Ogni volta che la riflessione si china sull'opera e sulla f<:>rma dell'arte per valutarne il contenuto, sarà sempre questione ~ det~a~. La fret~a, che si esercita sull'opera d'arte col gesto fur­tivo dt chi fa sparue una cosa altrui, è propria dei routiniers e in nulla è migliore della bonomia del filisteo. Per la vera contempla­zione invece l'abbandono del procedimento deduttivo si connet-

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r 8 Il dramma barocco tedesco

le specie non verrebbe tanto dedotta quanto presentata nello sche­ma della deduzione.

Mentre l'induzione degrada le idee a concetti rinunciando al­la loro articolazione e coordinazione, la deduzione ottiene lo stes­so risultato proiettandoli in un continuum pseudologico. Il regno del pensiero filosofico non si dipana lungo una linea ininterrotta di deduzioni concettuali, bensf attraverso la descrizione del mon­do delle idee. Tale attuazione ricomincia da capo con ogni idea in quanto ogni idea è originaria. Poiché le idee costituiscono una mol­teplicità non riducibile. Esse si offrono alla considerazione filoso­fica come una molteplicità finita, o, piu propriamente, denomi­nata. Di qui la critica violenta di Benedetto Croce al concetto de­duttivo di genere in filosofia dell'arte. A ragione egli vede nella classificazione in quanto intelaiatura delle deduzioni speculative il fondamento di una critica superficialmente schematizzante. E mentre il nominalismo di Burdach riguardo al concetto di epoca storica, la sua riluttanza a scostarsi anche di pochissimo dai puri fatti, nasce dal timore di allontanarsi dalla verità, un nominalismo del tutto analogo riguardo al concetto estetico di genere porta in Croce a un'analoga aderenza al particolare, alla preoccupazione che, allontanandosi da questo, ci si possa privare dell'essenziale. Proprio questo ci mette nelle condizioni migliori per chiarire il ve­ro significato dei nomi dei generi estetici. Il Breviario di estetica biasima «il pregiudizio della possibilità di distinguere parecchie o molte/orme particolari di arte, ciascuna determinabile nel suo par­ticolare concetto e nei suoi limiti, e fornita di proprie leggi ... Mol­ti esteti compongono ancora trattati sull'estetica del tragico o del comico o della lirica o dell'umorismo, o estetiche della pittura o della musica o della poesia ... e, quel ch'è peggio ... i critici, nel giudicare le opere d'arte, non hanno smesso del tutto l'abito di commisurarle al genere o all'arte particolare in cui, secondo essi, rientrerebbero ... »11

• « ... vale a dire, è infondata qualsiasi teoria della divisione delle arti. Il genere o la classe è, in questo caso, uno solo, l'arte stessa o l'intuizione, laddove le singole opere d'arte so­no poi infinite: tutte originali, ciascuna intraducibile nell'altra ... Tra l'universale e il particolare non s'interpone nessun elemento intermedio, nessuna serie di generi o di specie, di generalia)>

12• Que-

11 BENEDETIO CROCE, Breviario di estetica, Bari 1969, p. 52.

"Ibid., p. 55·

Premessa gnoseologica r 9

st~ consi~erazi':>~e è pie?amente giustificata riguardo ai concetti det genen estet1c1. Ma s1 ferma a metà strada. Infatti, per quanto un'enumerazione di opere d'arte che miri a coglierne l'elemento comune sia un'impresa oziosa, ove non si tratti di una collazione storica o stilistica di esempi bensf del loro nucleo essenziale è al­t~~tt~to impen~abile che la filosofia dell'arte si privi delle su~ idee p1u ncche, quali quella del tragico e del comico. Perché esse non sono distillati di regole, no: sono figure il cui spessore e la cui realtà è almeno pari a quelli del singolo dramma, e non commensurabili ad esso. Cosi, esse non avanzano affatto la pretesa di comprende­re un certo numero di opere sulla base di determinati elementi co­mu~ fra loro. Perché se anche la tragedia allo stato puro, la com­media allo stato puro, non esistessero come tali, le idee continue­r~bbero ad avere una loro consistenza. In tal senso, occorrerà una nce~ca che .non si leghi fin daJI'inizio a quanto può esser designa­to di volta m volta come tragico o come comico, ma che persegua l'esemplare, se anche dovesse attribuire quel carattere a un sem­plice frammento isolato. Essa non produrrà «criteri» per il recen­sore. La critica, cosi come i criteri di una terminologia, il banco di prova della dottrina filosofica delle idee dell'arte non si formano in base al criterio esteriore del confronto, bensl in modo imma­nente, .attraverso uno svilupp':> del linguaggio formale dell'opera, ~no ~vilup~o c~e n~ estragga il co~tenuto magari a spese dell'ef­ficacia .. A ctò s~ aggtunge che proprio le opere significative, a me­no che m esse il genere non appaia di colpo come ideale si situa­no al di fuori dei limiti del genere. Un'opera significativ~ o fonda il genere oppure lo liquida; nelle opere perfette le due cose si fon­dono.

L'impossibilità di uno sviluppo deduttivo delle forme artisti­che, la conseguente svalutazione della regola come istanza critica -. c~me istanza didatti.c~ la regola rimarrà sempre - gettano le ba­si dt un fecondo scetticiSmo. Esso è paragonabile al profondo ri­pr~nder fiato del pensiero, che può poi abbandonarsi con tutto ag1o, e senza la minima traccia di affanno, all'esame minuzioso del dettaglio. Ogni volta che la riflessione si china sull'opera e sulla f<:>rma dell'arte per valutarne il contenuto, sarà sempre questione ~ det~a~. La fret~a, che si esercita sull'opera d'arte col gesto fur­tivo dt chi fa sparue una cosa altrui, è propria dei routiniers e in nulla è migliore della bonomia del filisteo. Per la vera contempla­zione invece l'abbandono del procedimento deduttivo si connet-

Page 55: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

20 Il dramma barocco tedesco

te con un recupero sempre piu ampio, sempre piu fervido, dei fe­nomeni, i quali non correranno mai il rischio di rimanere oggetti di un confuso stupore finché la loro rappresentazione sarà insie­me quella delle idee, e solo in esse sarà salva la loro propria singo­larità. Naturalmente, il radicalismo che priverebbe la terminolo­gia estetica di alcune tra le sue formule migliori, e che costringe­rebbe la filosofia dell'arte al silenzio, non è nemmeno per Croce l'ultima parola. Egli dice anzi: « ... negando valore teorico alle astratte classificazioni, non si è inteso negarlo a quella genetica e concreta classificazione, che non è poi "classificazione" e che si chiama la storia» n. Con quest'oscura proposizione l'autore sfiora, benché purtroppo con eccessiva frett!l, il nucleo della dottrina del­le idee. Uno psicologismo, che dissolve la sua definizione dell' ar­te come «espressione» in quella dell'arte come «intuizione», gli impedisce di afferrarlo. Gli rimane oscuro come quella considera­zione che egli definisce «classificazione genetica» possa conver­gere con una dottrina dei generi come idee proprio sul problema dell'origine. L'origine, pur essendo una categoria pienamente sto­rica, non ha nulla in comune con la genesi [Entstehung]. Per «ori­gine» non si intende il divenire di ciò che scaturisce, bensi al con­trario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L'origine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo rit­mo il materiale della propria nascita. Nella nuda e palese compa­gine del fattuale, l'originario non si dà mai a conoscere, e il suo ritmo si dischiude soltanto a una duplice visione. Essa vuol esse­re intesa come restaurazione, come ripristino da un lato, e dall'al­tro, e proprio per questo, come qualcosa di imperfetto e di incon­cluso. In ogni fenomeno originario si determina la forma sotto la quale un'idea continua a confrontarsi col mondo storico, finché essa non sta li, compiuta, nella totalità della sua storia. L'origine dunque non emerge dai dati di fatto, bensi riguarda la loro prei­storia e la storia successiva. Le linee guida della considerazione fi­losofica sono indicate nella dialettica che è intrinseca all'origine. Da essa risulta come in ogni processo essenziale l'unicità e lari­petizione si condizionino l'un l'altra. Sicché la categoria dell'ori­gine non è, cotpe ritiene Cohen14

, una categoria puramente logica, bensi storica. E noto l'hegeliano «tanto peggio per i fatti». In fon­do esso vuol dire: è compito del filosofo la comprensione dei nes-

"CROCE, Breviario di estetica cit., p. 57· •• HERMANN COHEN, Logik der reinen Erkenntnis, Berlin 1914, pp. 35 sgg.

Premessa gnoseologica 2I

si essenziali, e i nessi essenziali rimangono quelli che sono anche se nel mondo dei fatti essi non si manifestano nella loro purezza. Questo atteggiamento schiettamente idealistico ottiene a caro prezzo la propria sicurezza sacrificando il nucleo centrale dell'idea di origine. Perché ogni prova relativa all'origine deve essere in gra­do di provare l'autenticità di ciò che dimostra. Se non può accre­ditarsi come autentica, vuoi dire che si fregia ingiustamente del proprio titolo. Questa riflessione sembra eliminare, per gli ogget­ti supremi della filosofia, la distinzione fra quaestio juris e quaestio facti. Ciò è inconfutabile e inevitabile. La conseguenza tuttavia non è che il vecchio «fatto» diventa di colpo un momento costi­tutivo dell'essenza. Il compito dello studioso comincia anzi pro­prio qui, nell'accettare il fatto come genuino solo ove la sua strut­tura piu intima appaia cosi essenziale da farne un fatto originario. L'autentico- il marchio d'origine nei fenomeni- è oggetto di sco­perta, di una scoperta che, in modo singolare, coincide con l'atto del riconoscere. Nei fenomeni piu singolari e intricati, nelle pro­ve piu incerte e piu ingenue come nelle forme piu mature di una civiltà al tramonto la scoperta è in grado di portare alla luce l' au­tentico. Non è per costruire un'unità, e tanto meno per estrarne un elemento comune, che l'idea riassume la serie delle forme sto­riche. Il rapporto fra il singolo e l'idea non ha nulla a che fare col rapporto fra il singolo e il concetto: nel secondo caso esso cade sot­to il concetto e rimane quello che era- singolarità; nel primo es­so sta nell'idea e diventa ciò che non era - totalità. E questa è la sua «salvazione» platonica.

La storia filosofica in quanto scienza dell'origine è la forma che, dagli estremi piu remoti, dagli apparenti eccessi dello sviluppo, fa emergere la configurazione dell'idea in quanto totalità contrasse­gnata da una possibile coesistenza di quegli opposti. La rappre­sentazione di un'idea non può in nessun caso considerarsi riusci­ta finché non si è passato virtualmente in rassegna il cerchio degli estremi in essa possibili. La rassegna rimane virtuale. Poiché ciò che si raccoglie nell'idea dell'origine ha una storia solo come con­tenuto, e non come un accadere che lo riguarderebbe~ Esso cono­sce la storia solo dall'interno, e non piu nel senso di un divenire senza fine, ma in un senso riferito all'essenziale, che permette di connotarla come la preistoria e la storia futura di quell'essere par­ticolare. La preistoria e la storia di questi esseri è, a conferma del­la loro salvazione o del loro raccogliersi nell'ordito del mondo del-

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20 Il dramma barocco tedesco

te con un recupero sempre piu ampio, sempre piu fervido, dei fe­nomeni, i quali non correranno mai il rischio di rimanere oggetti di un confuso stupore finché la loro rappresentazione sarà insie­me quella delle idee, e solo in esse sarà salva la loro propria singo­larità. Naturalmente, il radicalismo che priverebbe la terminolo­gia estetica di alcune tra le sue formule migliori, e che costringe­rebbe la filosofia dell'arte al silenzio, non è nemmeno per Croce l'ultima parola. Egli dice anzi: « ... negando valore teorico alle astratte classificazioni, non si è inteso negarlo a quella genetica e concreta classificazione, che non è poi "classificazione" e che si chiama la storia» n. Con quest'oscura proposizione l'autore sfiora, benché purtroppo con eccessiva frett!l, il nucleo della dottrina del­le idee. Uno psicologismo, che dissolve la sua definizione dell' ar­te come «espressione» in quella dell'arte come «intuizione», gli impedisce di afferrarlo. Gli rimane oscuro come quella considera­zione che egli definisce «classificazione genetica» possa conver­gere con una dottrina dei generi come idee proprio sul problema dell'origine. L'origine, pur essendo una categoria pienamente sto­rica, non ha nulla in comune con la genesi [Entstehung]. Per «ori­gine» non si intende il divenire di ciò che scaturisce, bensi al con­trario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare. L'origine sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo rit­mo il materiale della propria nascita. Nella nuda e palese compa­gine del fattuale, l'originario non si dà mai a conoscere, e il suo ritmo si dischiude soltanto a una duplice visione. Essa vuol esse­re intesa come restaurazione, come ripristino da un lato, e dall'al­tro, e proprio per questo, come qualcosa di imperfetto e di incon­cluso. In ogni fenomeno originario si determina la forma sotto la quale un'idea continua a confrontarsi col mondo storico, finché essa non sta li, compiuta, nella totalità della sua storia. L'origine dunque non emerge dai dati di fatto, bensi riguarda la loro prei­storia e la storia successiva. Le linee guida della considerazione fi­losofica sono indicate nella dialettica che è intrinseca all'origine. Da essa risulta come in ogni processo essenziale l'unicità e lari­petizione si condizionino l'un l'altra. Sicché la categoria dell'ori­gine non è, cotpe ritiene Cohen14

, una categoria puramente logica, bensi storica. E noto l'hegeliano «tanto peggio per i fatti». In fon­do esso vuol dire: è compito del filosofo la comprensione dei nes-

"CROCE, Breviario di estetica cit., p. 57· •• HERMANN COHEN, Logik der reinen Erkenntnis, Berlin 1914, pp. 35 sgg.

Premessa gnoseologica 2I

si essenziali, e i nessi essenziali rimangono quelli che sono anche se nel mondo dei fatti essi non si manifestano nella loro purezza. Questo atteggiamento schiettamente idealistico ottiene a caro prezzo la propria sicurezza sacrificando il nucleo centrale dell'idea di origine. Perché ogni prova relativa all'origine deve essere in gra­do di provare l'autenticità di ciò che dimostra. Se non può accre­ditarsi come autentica, vuoi dire che si fregia ingiustamente del proprio titolo. Questa riflessione sembra eliminare, per gli ogget­ti supremi della filosofia, la distinzione fra quaestio juris e quaestio facti. Ciò è inconfutabile e inevitabile. La conseguenza tuttavia non è che il vecchio «fatto» diventa di colpo un momento costi­tutivo dell'essenza. Il compito dello studioso comincia anzi pro­prio qui, nell'accettare il fatto come genuino solo ove la sua strut­tura piu intima appaia cosi essenziale da farne un fatto originario. L'autentico- il marchio d'origine nei fenomeni- è oggetto di sco­perta, di una scoperta che, in modo singolare, coincide con l'atto del riconoscere. Nei fenomeni piu singolari e intricati, nelle pro­ve piu incerte e piu ingenue come nelle forme piu mature di una civiltà al tramonto la scoperta è in grado di portare alla luce l' au­tentico. Non è per costruire un'unità, e tanto meno per estrarne un elemento comune, che l'idea riassume la serie delle forme sto­riche. Il rapporto fra il singolo e l'idea non ha nulla a che fare col rapporto fra il singolo e il concetto: nel secondo caso esso cade sot­to il concetto e rimane quello che era- singolarità; nel primo es­so sta nell'idea e diventa ciò che non era - totalità. E questa è la sua «salvazione» platonica.

La storia filosofica in quanto scienza dell'origine è la forma che, dagli estremi piu remoti, dagli apparenti eccessi dello sviluppo, fa emergere la configurazione dell'idea in quanto totalità contrasse­gnata da una possibile coesistenza di quegli opposti. La rappre­sentazione di un'idea non può in nessun caso considerarsi riusci­ta finché non si è passato virtualmente in rassegna il cerchio degli estremi in essa possibili. La rassegna rimane virtuale. Poiché ciò che si raccoglie nell'idea dell'origine ha una storia solo come con­tenuto, e non come un accadere che lo riguarderebbe~ Esso cono­sce la storia solo dall'interno, e non piu nel senso di un divenire senza fine, ma in un senso riferito all'essenziale, che permette di connotarla come la preistoria e la storia futura di quell'essere par­ticolare. La preistoria e la storia di questi esseri è, a conferma del­la loro salvazione o del loro raccogliersi nell'ordito del mondo del-

Page 57: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

22 Il dramma barocco tedesco

le idee, non una storia pura bensf una storia naturale. La vita del­le opere e delle forme, che sotto questa protezione si svolge chia­ra e non disturbata dall'elemento umano, è una vita naturale

15• Se

l'essere salvato si stabilisce nell'idea, il darsi fenomenico della sua preistoria e della sua storia futura - intese in senso inautentico, ovvero storico-naturale -è virtuale. Essa non è piu pragmatica­mente reale ma può essere letta come storia naturale nello stato perfetto e pervenuto alla quiete, nell'essenzialità. Si riconferma cosf nel vecchio senso la tendenza di ogni concettualità filosofica: la tendenza a cogliere il divenire dei fenomeni nel loro essere. Per­ché l' «essere» della scienza filosofica non si soddisfa nel fenome­no, ma vuole consumarne la storia. L'approfondimento della pro­spettiva storica in simili ricerche non conosce per principio confi­ni, né rispetto al passato né rispetto al futuro. Esso attribuisce il totale all'idea. La cui struttura, quale è plasmata dalla totalità in contrasto col suo insanabile isolamento, è monadologica. L'idea è mortade. L'essere, che qui ne entra a far parte con la sua preisto­ria e la sua storia a venire, mostra, nascosta nella propria, la figu­ra abbreviata e scorciata del rimanente mondo delle idee, cosf co­me, nelle monadi del Discorso di metafisica del r686, in ciascuna sono presenti confusamente tutte le altre. L'idea è monade: la rap­presentazione dei fenomeni riposa in essa, prestabilita, come nel­la loro oggettiva interpretazione. Quanto piu elevato è il rango dell'idea, tanto piu perfetta è la rappresentazione che in essa si po­ne. E cosf il mondo reale potrebbe essere un compito in questo senso: si tratterebbe di penetrare cosi profondamente in tutto ciò che è reale da far sf che si dischiudesse una interpretazione ogget­tiva del mondo. Dal punto di vista di un simile approfondimento non è enigmatico che il pensatore della monadologia sia stato an­che il fondatore del calcolo infinitesimale. Dire che l'idea è mo­nade significa in breve: ogni idea contiene l'immagine del mondo. Alla sua rappresentazione spetta il compito, niente meno, di dise­gnare in scorcio questa immagine del mondo.

La storia degli studi sul barocco letterario tedesco conferisce all'analisi di una delle sue forme principali - un'analisi che non mi· ri a stabilire regole e tendenze, ma che abbia per oggetto la meta­fisica piena e concreta di quella forma - un aspetto paradossale.

"W ALTER BENJAMIN, Die Aufgabe des Obersetzers; trad. it. Il compito del traduttore, in Angelus Novus, a cura di R. Salmi, Torino 1962, pp. 37 sgg.

Premessa gnoseologica 23

Tra i molteplici impedimenti che ostacolano la comprensione del­la poesia di quell'epoca è infatti innegabile che uno dei piu rile­vanti stia nella forma, senza dubbio significativa ma impacciata, propria in particolare del suo dramma. Proprio la forma dramma­tica fa appello, piu decisamente di ogni altra, a una risonanza sto­rica. Questa risonanza è stata negata al dramma barocco. Il rin­novamento del patrimonio letterario della Germania, che comin­\iò col Romanticismo, non ha a tutt'oggi sfiorato la poesia barocca. E stato soprattutto il teatro shakespeariano, con la sua ricchezza e la sua libertà, ad eclissare di fronte agli scrittori romantici gli esempi tedeschi coevi, tanto piu che la loro indole seriosa era estra­nea alle scene. Da parte sua, la nascente filologia germanica nu­triva sospetto per gli esperimenti, senz'altro poco «popolari», di un ceto di funzionari colti. E in effetti, per quanto grandi siano stati i loro meriti verso la lingua e verso il popolo, per quanto con­sapevole il loro contributo alla formazione di una letteratura na­zionale, la massima assolutistica «tutto per il popolo, nulla attra­verso il popolo» lasciò nei loro lavori un marchio troppo esplicito per farsi apprezzare dai filologi della scuola di Grimm e di Lach­mann. Quello spirito che, nel cantiere del dramma tedesco, impedf loro di attingere ai materiali della tradizione popolare, ha del re­sto non poca parte nella torturante violenza del loro stile. Né la saga né la storia tedesca hanno infatti una qualche parte nel dram­ma barocco. Ma anche l'ampliarsi, e l'appiattirsi storicizzante, de­gli studi germanistici nell'ultimo terzo del secolo, non favorilo stu­dio del dramma barocco. La forma, astrusa, rimase inaccessibile a una scienza per la quale la critica stilistica e l'analisi formale era­no discipline ausiliarie di infimo rango, e le oscure fisionomie di quegli autori, occhieggianti da opere non comprese, poco invita­vano a tracciare schizzi storico-biografici. Ad ogni modo, non si può certo parlare, in questi drammi, di una libera o addirittura gio­cosa espansione dell'ingegno poetico. Piuttosto, i drammaturghi dell'epoca si sentivano fortemente legati al compito di elaborare una forma per il dramma profano. E per quanto si siano impegna­ti in questo senso, non di rado in forme assai schematiche da Gryphius a Hallmann, il dramma tedesco della Controriforma non trovò quella forma duttile, quel virtuosismo che Calder6n conferf al dramma spagnolo. Il dramma tedesco si formò- e proprio per­ché nasceva necessariamente dal suo tempo - attraverso uno sfor­zo violento, e già questo fatto basterebbe a dimostrare che nessun genio sovrano ha lasciato la sua impronta su questa forma. Eppu-

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22 Il dramma barocco tedesco

le idee, non una storia pura bensf una storia naturale. La vita del­le opere e delle forme, che sotto questa protezione si svolge chia­ra e non disturbata dall'elemento umano, è una vita naturale

15• Se

l'essere salvato si stabilisce nell'idea, il darsi fenomenico della sua preistoria e della sua storia futura - intese in senso inautentico, ovvero storico-naturale -è virtuale. Essa non è piu pragmatica­mente reale ma può essere letta come storia naturale nello stato perfetto e pervenuto alla quiete, nell'essenzialità. Si riconferma cosf nel vecchio senso la tendenza di ogni concettualità filosofica: la tendenza a cogliere il divenire dei fenomeni nel loro essere. Per­ché l' «essere» della scienza filosofica non si soddisfa nel fenome­no, ma vuole consumarne la storia. L'approfondimento della pro­spettiva storica in simili ricerche non conosce per principio confi­ni, né rispetto al passato né rispetto al futuro. Esso attribuisce il totale all'idea. La cui struttura, quale è plasmata dalla totalità in contrasto col suo insanabile isolamento, è monadologica. L'idea è mortade. L'essere, che qui ne entra a far parte con la sua preisto­ria e la sua storia a venire, mostra, nascosta nella propria, la figu­ra abbreviata e scorciata del rimanente mondo delle idee, cosf co­me, nelle monadi del Discorso di metafisica del r686, in ciascuna sono presenti confusamente tutte le altre. L'idea è monade: la rap­presentazione dei fenomeni riposa in essa, prestabilita, come nel­la loro oggettiva interpretazione. Quanto piu elevato è il rango dell'idea, tanto piu perfetta è la rappresentazione che in essa si po­ne. E cosf il mondo reale potrebbe essere un compito in questo senso: si tratterebbe di penetrare cosi profondamente in tutto ciò che è reale da far sf che si dischiudesse una interpretazione ogget­tiva del mondo. Dal punto di vista di un simile approfondimento non è enigmatico che il pensatore della monadologia sia stato an­che il fondatore del calcolo infinitesimale. Dire che l'idea è mo­nade significa in breve: ogni idea contiene l'immagine del mondo. Alla sua rappresentazione spetta il compito, niente meno, di dise­gnare in scorcio questa immagine del mondo.

La storia degli studi sul barocco letterario tedesco conferisce all'analisi di una delle sue forme principali - un'analisi che non mi· ri a stabilire regole e tendenze, ma che abbia per oggetto la meta­fisica piena e concreta di quella forma - un aspetto paradossale.

"W ALTER BENJAMIN, Die Aufgabe des Obersetzers; trad. it. Il compito del traduttore, in Angelus Novus, a cura di R. Salmi, Torino 1962, pp. 37 sgg.

Premessa gnoseologica 23

Tra i molteplici impedimenti che ostacolano la comprensione del­la poesia di quell'epoca è infatti innegabile che uno dei piu rile­vanti stia nella forma, senza dubbio significativa ma impacciata, propria in particolare del suo dramma. Proprio la forma dramma­tica fa appello, piu decisamente di ogni altra, a una risonanza sto­rica. Questa risonanza è stata negata al dramma barocco. Il rin­novamento del patrimonio letterario della Germania, che comin­\iò col Romanticismo, non ha a tutt'oggi sfiorato la poesia barocca. E stato soprattutto il teatro shakespeariano, con la sua ricchezza e la sua libertà, ad eclissare di fronte agli scrittori romantici gli esempi tedeschi coevi, tanto piu che la loro indole seriosa era estra­nea alle scene. Da parte sua, la nascente filologia germanica nu­triva sospetto per gli esperimenti, senz'altro poco «popolari», di un ceto di funzionari colti. E in effetti, per quanto grandi siano stati i loro meriti verso la lingua e verso il popolo, per quanto con­sapevole il loro contributo alla formazione di una letteratura na­zionale, la massima assolutistica «tutto per il popolo, nulla attra­verso il popolo» lasciò nei loro lavori un marchio troppo esplicito per farsi apprezzare dai filologi della scuola di Grimm e di Lach­mann. Quello spirito che, nel cantiere del dramma tedesco, impedf loro di attingere ai materiali della tradizione popolare, ha del re­sto non poca parte nella torturante violenza del loro stile. Né la saga né la storia tedesca hanno infatti una qualche parte nel dram­ma barocco. Ma anche l'ampliarsi, e l'appiattirsi storicizzante, de­gli studi germanistici nell'ultimo terzo del secolo, non favorilo stu­dio del dramma barocco. La forma, astrusa, rimase inaccessibile a una scienza per la quale la critica stilistica e l'analisi formale era­no discipline ausiliarie di infimo rango, e le oscure fisionomie di quegli autori, occhieggianti da opere non comprese, poco invita­vano a tracciare schizzi storico-biografici. Ad ogni modo, non si può certo parlare, in questi drammi, di una libera o addirittura gio­cosa espansione dell'ingegno poetico. Piuttosto, i drammaturghi dell'epoca si sentivano fortemente legati al compito di elaborare una forma per il dramma profano. E per quanto si siano impegna­ti in questo senso, non di rado in forme assai schematiche da Gryphius a Hallmann, il dramma tedesco della Controriforma non trovò quella forma duttile, quel virtuosismo che Calder6n conferf al dramma spagnolo. Il dramma tedesco si formò- e proprio per­ché nasceva necessariamente dal suo tempo - attraverso uno sfor­zo violento, e già questo fatto basterebbe a dimostrare che nessun genio sovrano ha lasciato la sua impronta su questa forma. Eppu-

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Il dramma barocco tedesco

re il baricentro di tutti i drammi· barocchi sta proprio in questa forma. Quel che il singolo scrittore riusciva a prendere da tale for­ma porta il suo marchio inconfondibile, e i suoi limiti personali non ne danneggiano la profondità. Questa scoperta è la condi­zione preliminare del nostro studio. E anche indispensabile, d'al­tronde un modo di procedere che sappia innalzarsi all'intuizio­ne dell~ forma, tanto da cogliere in essa ben altro che un'astra­zione a partire dal corpo della poesia. L'idea di una forma - se ci è lecito ripetere quel che è stato già detto - non è meno vivente di una qualsiasi composizione concreta. Se anzi confrontiamo la forma del dramma barocco con alcune singole prove del Barocco, la prima è decisamente piu ricca. E come ogni forma linguistica, anche la piu inconsueta, la piu peregrina, non può essere presa so­lo come un segno di chi l'ha plasmata, ma anche come documen­to della vita della lingua e delle sue possibilità, cosi ogni forma d'arte- e in modo assai piu autentico della singola opera d'arte -contiene l'indizio di una morfologia estetica oggettiva e neces­saria. Questo modo di procedere doveva rimanere inaccessibile aila vecchia scuola, anche solo per il fatto che l'analisi formale e la storia delle forme non cadevano sotto la sua attenzione. Ma non per questa ragione soltanto. Molto ha contribuito un'insi­stenza assai acritica sulla teoria· del dramma barocco. Si tratta piuttosto della teoria di Aristotele adattata alle tendenze dell' epo­ca. Nella maggior parte dei casi questa assimilazione comportava un impoverimento. Ora, senza andare a cercare le ragioni profon­de di questa devianza dal modello, si era subito pronti a parlare di incomprensioni e deformazioni, e di qui era facile concludere che i drammaturghi dell'epoca si erano limitati ad applicare, sen­za capirli, i venerandi precetti di Aristotele. Il dramma barocco tedesco appariva cosi come una caricatura dell'antica tragedia. In questo schema rientrava poi senza difficoltà quello che un gusto educato percepiva in quelle opere come estraneo o magari barba­rico. La trama politico-militare di quei drammi riprendeva, defor­mandolo, l'antico dramma regale, la ridondanza deformava il no­bile pathos greco, e il sanguinoso scioglimento finale quello della catastrofe tragica. Cosf il dramma barocco si present,ava come il goffo Rinascimento della tragedia. Si imponeva allora un ultimo giudizio, che doveva vanificare del tutto ogni tentativo di com­prenderne la forma: i tratti salienti del dramma barocco, consi­derato come dramma rinascimentale, appaiono come altrettanti obbrobri stilistici. Questa inventariazione rimase a lungo immo-

Premessa gnoseologica

dificata a causa dell'autorità di cui godevano i compendi storico­stilistici, e ad essa si deve se l'opera di Stachel, Seneca und das deutsche Renaissancedrama [Seneca e il dramma tedesco del Rina­scimento], per quanto meritoria e fondamentale per la letteratu­ra di quel periodo, resta ben lontana da unà comprensione essen­ziale del fenomeno, comprensione che non era peraltro il suo obiettivo primario. Nel suo lavoro sullo stile lirico del xvn seco­lo, Strich ha rilevato questo equivoco che da tempo paralizzava la ricerca. «Si usà definire Rinascimento lo stile poetico tedesco del xvn secolo. Ma se con questo termine s'intende qualcosa di piu che una pallida imitazione dell'antico apparato, esso è fuor­viante e testimonia solo la mancanza di un orientamento storico­stilistico nella scienza della letteratura, perché codesto secolo non aveva nulla dello spirito classico del Rinascimento. Lo stile della sua poesia è, piuttosto, barocco, e non solo pensando alla ridon­danza e al sovraccarico, ma anche ai principi profondi della com­posizione>)16. Un altro errore che si è conservato con stupefacen­te tenacia nella storiografia relativa a questo periodo letterario è legato al pregiudizio della critica stilistica. Intendiamo alludere alla presunta irrappresentabilità di questa drammaturgia. Non è però la prima volta che la perplessità suscitata da una scena sin­golare induce a sospettare che quella scena non ci sia mai stata, che simili opere non abbiano mai avuto una vera vita teatrale, che il palcoscenico le abbia sempre respinte. Nell'interpretazione di Seneca, ad esempio, ritroviamo controversie che assomigliano al­le nostre discussioni sul dramma barocco. Comunque sia, la leg­genda secolare tramandata da A. W. Schlegel17 fino a K. Lam­preche8 secondo cui il teatro barocco era destinato alla sola let­tura, è stata ormai confutata. La concitazione degli eventi scenici, che stimola la .curiosità dello spettatore, testimonia al contrario una spiccata teatralità. Persino la teoria sottolinea occasionai­mente gli effetti scenici. Nella poetica di Buchner, il motto ora­ziano Et prodesse volunt et delectare poetae si trasforma nel quesi­to: come possa il delectare riferirsi al dramma. E la risposta è: non

"STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p. 21. "Cfr. AUGUST WILHELM scHLEGEL, Sammtliche Werke, a cura di E. Bocking, Leipzig

1846, vol. VI: Vorlesungen uberdramatische Kunst und Litteratur, parte II, p. 403. Vedi an­che ID. Vorlesungen uber schOneLitteratur und Kunst, a cura diJ. Minor, Heilbronn z884, parte III (r8o3-804): Geschichte der romantischen Litteratur, p. 72.

"Cfr. KARL LAMPRECHT, Deutsche Geschichte, Berlin 1912, sezione 2, Neuere Zeit.Zei­talterdes individuellen See/enlebens, vol. III, parte I, p. 267.

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Il dramma barocco tedesco

re il baricentro di tutti i drammi· barocchi sta proprio in questa forma. Quel che il singolo scrittore riusciva a prendere da tale for­ma porta il suo marchio inconfondibile, e i suoi limiti personali non ne danneggiano la profondità. Questa scoperta è la condi­zione preliminare del nostro studio. E anche indispensabile, d'al­tronde un modo di procedere che sappia innalzarsi all'intuizio­ne dell~ forma, tanto da cogliere in essa ben altro che un'astra­zione a partire dal corpo della poesia. L'idea di una forma - se ci è lecito ripetere quel che è stato già detto - non è meno vivente di una qualsiasi composizione concreta. Se anzi confrontiamo la forma del dramma barocco con alcune singole prove del Barocco, la prima è decisamente piu ricca. E come ogni forma linguistica, anche la piu inconsueta, la piu peregrina, non può essere presa so­lo come un segno di chi l'ha plasmata, ma anche come documen­to della vita della lingua e delle sue possibilità, cosi ogni forma d'arte- e in modo assai piu autentico della singola opera d'arte -contiene l'indizio di una morfologia estetica oggettiva e neces­saria. Questo modo di procedere doveva rimanere inaccessibile aila vecchia scuola, anche solo per il fatto che l'analisi formale e la storia delle forme non cadevano sotto la sua attenzione. Ma non per questa ragione soltanto. Molto ha contribuito un'insi­stenza assai acritica sulla teoria· del dramma barocco. Si tratta piuttosto della teoria di Aristotele adattata alle tendenze dell' epo­ca. Nella maggior parte dei casi questa assimilazione comportava un impoverimento. Ora, senza andare a cercare le ragioni profon­de di questa devianza dal modello, si era subito pronti a parlare di incomprensioni e deformazioni, e di qui era facile concludere che i drammaturghi dell'epoca si erano limitati ad applicare, sen­za capirli, i venerandi precetti di Aristotele. Il dramma barocco tedesco appariva cosi come una caricatura dell'antica tragedia. In questo schema rientrava poi senza difficoltà quello che un gusto educato percepiva in quelle opere come estraneo o magari barba­rico. La trama politico-militare di quei drammi riprendeva, defor­mandolo, l'antico dramma regale, la ridondanza deformava il no­bile pathos greco, e il sanguinoso scioglimento finale quello della catastrofe tragica. Cosf il dramma barocco si present,ava come il goffo Rinascimento della tragedia. Si imponeva allora un ultimo giudizio, che doveva vanificare del tutto ogni tentativo di com­prenderne la forma: i tratti salienti del dramma barocco, consi­derato come dramma rinascimentale, appaiono come altrettanti obbrobri stilistici. Questa inventariazione rimase a lungo immo-

Premessa gnoseologica

dificata a causa dell'autorità di cui godevano i compendi storico­stilistici, e ad essa si deve se l'opera di Stachel, Seneca und das deutsche Renaissancedrama [Seneca e il dramma tedesco del Rina­scimento], per quanto meritoria e fondamentale per la letteratu­ra di quel periodo, resta ben lontana da unà comprensione essen­ziale del fenomeno, comprensione che non era peraltro il suo obiettivo primario. Nel suo lavoro sullo stile lirico del xvn seco­lo, Strich ha rilevato questo equivoco che da tempo paralizzava la ricerca. «Si usà definire Rinascimento lo stile poetico tedesco del xvn secolo. Ma se con questo termine s'intende qualcosa di piu che una pallida imitazione dell'antico apparato, esso è fuor­viante e testimonia solo la mancanza di un orientamento storico­stilistico nella scienza della letteratura, perché codesto secolo non aveva nulla dello spirito classico del Rinascimento. Lo stile della sua poesia è, piuttosto, barocco, e non solo pensando alla ridon­danza e al sovraccarico, ma anche ai principi profondi della com­posizione>)16. Un altro errore che si è conservato con stupefacen­te tenacia nella storiografia relativa a questo periodo letterario è legato al pregiudizio della critica stilistica. Intendiamo alludere alla presunta irrappresentabilità di questa drammaturgia. Non è però la prima volta che la perplessità suscitata da una scena sin­golare induce a sospettare che quella scena non ci sia mai stata, che simili opere non abbiano mai avuto una vera vita teatrale, che il palcoscenico le abbia sempre respinte. Nell'interpretazione di Seneca, ad esempio, ritroviamo controversie che assomigliano al­le nostre discussioni sul dramma barocco. Comunque sia, la leg­genda secolare tramandata da A. W. Schlegel17 fino a K. Lam­preche8 secondo cui il teatro barocco era destinato alla sola let­tura, è stata ormai confutata. La concitazione degli eventi scenici, che stimola la .curiosità dello spettatore, testimonia al contrario una spiccata teatralità. Persino la teoria sottolinea occasionai­mente gli effetti scenici. Nella poetica di Buchner, il motto ora­ziano Et prodesse volunt et delectare poetae si trasforma nel quesi­to: come possa il delectare riferirsi al dramma. E la risposta è: non

"STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p. 21. "Cfr. AUGUST WILHELM scHLEGEL, Sammtliche Werke, a cura di E. Bocking, Leipzig

1846, vol. VI: Vorlesungen uberdramatische Kunst und Litteratur, parte II, p. 403. Vedi an­che ID. Vorlesungen uber schOneLitteratur und Kunst, a cura diJ. Minor, Heilbronn z884, parte III (r8o3-804): Geschichte der romantischen Litteratur, p. 72.

"Cfr. KARL LAMPRECHT, Deutsche Geschichte, Berlin 1912, sezione 2, Neuere Zeit.Zei­talterdes individuellen See/enlebens, vol. III, parte I, p. 267.

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Il dramma barocco tedesco

in virru del suo contenuto, ma certo grazie alla sua rappresenta-• • !9 '

z10ne m teatro .

Ostacolati da tanti impacci, gli studi sul Barocco hanno tenta­to bensf una valutazione piu oggettiva, che volente o nolente do­veva restare perlopiu ~stranea ali~ cosa stessa, e accres~ere l~ con: fusione: quella confusiOne con cw deve tornare a fare 1 cont~ ogru riflessione sullo stato effettivo delle cose. Che qualcuno abbta po­tuto partire dagli effetti psicologici del dramma barocco per di­mostrarne la convergenza col «timore» e la «compassione» teo­rizzati da Aristotele, e concluderne che dunque il dramma baroc­co è vera tragedia - quasi che Aristotele avesse mai affermato che solo la tragedia può suscitare timore e compassione - tutto questo dov:r:ebbe sembrare impossibile. Molto banalmente osserva un au­tore del passato: « Lohenstein fini per sprofondarsi a tal punto nel passato da dimenticare il proprio mondo, e a tal punto che sareb­be stato piu comprensibile - per linguaggio, pensiero e sentimen­to- a un pubblico antico che non a quello del suo tempo»

20• An­

ziché perder tempo a confutare simili stravaganze, converrà rile­vare che una forma d'arte non può essere definita a partire dai suoi effetti psicologici. «Che l'opera d'arte sia compiuta in se st~ssa, ecco il requisito supremo! E Aristotele, che aveva la perfeziOne davanti agli occhi, si sarebbe preoccupato dell'effetto! quale scia­gura! »21

• Cosi Goethe. Ora, che Aristotele debba essere affranca­to o meno da quel sospetto che Goethe respinge con sdegno da lui, la necessità di separare gli effetti psicologici dal dibattito sul dram­ma resta comunque un caposaldo del suo metodo. In questo sen­so Wilamowitz-Moellendorff dichiara: «Occorrerebbe compren­dere che la xci{ta.QcrLç non è un requisito specifico del dramma, e se anche volessimo considerare gli affetti suscitati dal dramma co­me una sua specificità, la coppia infelice di "timore" e "compassio­ne" resterebbe senz'altro inadeguata»

22• Ancora piu infelice e mol­

to piu frequente del tentativo di salvare il dramma barocco con l' aiu-

" Cfr. HANS HEINRICH BORCHERDT, Augustus Buchner und seine Bedeutung fur di e deutsche Literaturdes sieb:r.ehnten Jahrhunderts, Miinchen 1919, p. 58.

20 CONRAD MULLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein, Breslau r882, pp. 72 sgg.

11 JOHANN woLFGANG GOETHE, Werke, sezione 4, Brie/e, vol. XLII, gennaio-aprile x 827, Weimar 1907, p. 104.

22 ULRICH voN WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragodie, Ber­lin 1907, p. 109.

Premessa gnoseologica

todi Aristotele è quel tipo di «rivalutazione» che pretende di di­mostrare con aperçus a buon mercato la «necessità» di questa for­ma drammatica, una necessità di cui poi non è chiaro se sia un va­lore positivo o non sia invece il punto debole di ogni valutazione critica. In ambito storico, la questione relativa alla necessità dei suoi fenomeni è evidentemente e in ogni caso una questione a prio­ri. Il termine «necessità», con cui si è voluto spesso abbellire il dramma barocco, è un ornamento falso e non privo di ambiguità. Esso allude non solo alla necessità storica, in futile contrasto col mero caso, ma anche alla necessità soggettiva di una bona fides con­trapposta al virtuosismo. E tuttavia, che l'opera scaturisca «ne­cessariamente» da una disposizione soggettiva dell'autore, non si­gnifica evidentemente ancora nulla. Non diverso è il caso di quel­la «necessità» che comprende le opere, le forme, in quanto gradi preliminari dello sviluppo seguente, in un nesso problematico. «Per quanto il suo concetto di natura e la sua concezione estetica pos­sano essere andate per sempre in rovina, quel che resta vivo - in­tramontabile, inattaccabile, irrinunciabile - sono innanzitutto le scoperte contenutistiche e piu ancora le invenzioni tecniche del XVII secolo»

23• Cosf, anche gli studi piu recenti salvano la poesia di

quest'epoca in quanto mero mezzo. Quella «necessità» si muove in una sfera equivoca24

, e trae la sua verosimiglianza da quello che è l'unico concetto esteticamente rilevante di necessità. E quello a cui pensa Novalis là dove parla del carattere a priori delle opere d'arte come di una necessità esistenziale che esse porterebbero con sé. Che questa necessità possa rivelarsi solo a un'analisi capace di coglierne il contenuto metafisica, è palese. Una «rivalutazione» moderata non arriva a tanto. E di questa impostazione rimane in fondo prigioniero anche il recente saggio di Cysarz. Se i suoi sag­gi precedenti traevano i loro motivi ispiratori da sfere teoriche af­fatto diverse, qui si nota con sorpresa che le idee piu preziose, le osservazioni piu pertinenti, sono private dei loro frutti migliori per via del sistema poetico del Classicismo, al quale consapevol­mente si richiamano. L'ultima parola non spetta qui tanto alla preoccupazione classica di «salvare» le opere, quanto a quella, non normativa, di giustificarle. Nei lavori meno recenti viene chiama-

"HERBERT CYSARZ, Deutsche Barockdichtung. Renaissance, Barock, Rokoko, Leipzig 1924, p. 299·

"Cfr. JUUUS PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte, in «Germanisch-romani­sche Monatsschrift», VI (I9I4), pp. r-x6, 129-52; in paiticolaie pp. 149 e 151.

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Il dramma barocco tedesco

in virru del suo contenuto, ma certo grazie alla sua rappresenta-• • !9 '

z10ne m teatro .

Ostacolati da tanti impacci, gli studi sul Barocco hanno tenta­to bensf una valutazione piu oggettiva, che volente o nolente do­veva restare perlopiu ~stranea ali~ cosa stessa, e accres~ere l~ con: fusione: quella confusiOne con cw deve tornare a fare 1 cont~ ogru riflessione sullo stato effettivo delle cose. Che qualcuno abbta po­tuto partire dagli effetti psicologici del dramma barocco per di­mostrarne la convergenza col «timore» e la «compassione» teo­rizzati da Aristotele, e concluderne che dunque il dramma baroc­co è vera tragedia - quasi che Aristotele avesse mai affermato che solo la tragedia può suscitare timore e compassione - tutto questo dov:r:ebbe sembrare impossibile. Molto banalmente osserva un au­tore del passato: « Lohenstein fini per sprofondarsi a tal punto nel passato da dimenticare il proprio mondo, e a tal punto che sareb­be stato piu comprensibile - per linguaggio, pensiero e sentimen­to- a un pubblico antico che non a quello del suo tempo»

20• An­

ziché perder tempo a confutare simili stravaganze, converrà rile­vare che una forma d'arte non può essere definita a partire dai suoi effetti psicologici. «Che l'opera d'arte sia compiuta in se st~ssa, ecco il requisito supremo! E Aristotele, che aveva la perfeziOne davanti agli occhi, si sarebbe preoccupato dell'effetto! quale scia­gura! »21

• Cosi Goethe. Ora, che Aristotele debba essere affranca­to o meno da quel sospetto che Goethe respinge con sdegno da lui, la necessità di separare gli effetti psicologici dal dibattito sul dram­ma resta comunque un caposaldo del suo metodo. In questo sen­so Wilamowitz-Moellendorff dichiara: «Occorrerebbe compren­dere che la xci{ta.QcrLç non è un requisito specifico del dramma, e se anche volessimo considerare gli affetti suscitati dal dramma co­me una sua specificità, la coppia infelice di "timore" e "compassio­ne" resterebbe senz'altro inadeguata»

22• Ancora piu infelice e mol­

to piu frequente del tentativo di salvare il dramma barocco con l' aiu-

" Cfr. HANS HEINRICH BORCHERDT, Augustus Buchner und seine Bedeutung fur di e deutsche Literaturdes sieb:r.ehnten Jahrhunderts, Miinchen 1919, p. 58.

20 CONRAD MULLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein, Breslau r882, pp. 72 sgg.

11 JOHANN woLFGANG GOETHE, Werke, sezione 4, Brie/e, vol. XLII, gennaio-aprile x 827, Weimar 1907, p. 104.

22 ULRICH voN WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragodie, Ber­lin 1907, p. 109.

Premessa gnoseologica

todi Aristotele è quel tipo di «rivalutazione» che pretende di di­mostrare con aperçus a buon mercato la «necessità» di questa for­ma drammatica, una necessità di cui poi non è chiaro se sia un va­lore positivo o non sia invece il punto debole di ogni valutazione critica. In ambito storico, la questione relativa alla necessità dei suoi fenomeni è evidentemente e in ogni caso una questione a prio­ri. Il termine «necessità», con cui si è voluto spesso abbellire il dramma barocco, è un ornamento falso e non privo di ambiguità. Esso allude non solo alla necessità storica, in futile contrasto col mero caso, ma anche alla necessità soggettiva di una bona fides con­trapposta al virtuosismo. E tuttavia, che l'opera scaturisca «ne­cessariamente» da una disposizione soggettiva dell'autore, non si­gnifica evidentemente ancora nulla. Non diverso è il caso di quel­la «necessità» che comprende le opere, le forme, in quanto gradi preliminari dello sviluppo seguente, in un nesso problematico. «Per quanto il suo concetto di natura e la sua concezione estetica pos­sano essere andate per sempre in rovina, quel che resta vivo - in­tramontabile, inattaccabile, irrinunciabile - sono innanzitutto le scoperte contenutistiche e piu ancora le invenzioni tecniche del XVII secolo»

23• Cosf, anche gli studi piu recenti salvano la poesia di

quest'epoca in quanto mero mezzo. Quella «necessità» si muove in una sfera equivoca24

, e trae la sua verosimiglianza da quello che è l'unico concetto esteticamente rilevante di necessità. E quello a cui pensa Novalis là dove parla del carattere a priori delle opere d'arte come di una necessità esistenziale che esse porterebbero con sé. Che questa necessità possa rivelarsi solo a un'analisi capace di coglierne il contenuto metafisica, è palese. Una «rivalutazione» moderata non arriva a tanto. E di questa impostazione rimane in fondo prigioniero anche il recente saggio di Cysarz. Se i suoi sag­gi precedenti traevano i loro motivi ispiratori da sfere teoriche af­fatto diverse, qui si nota con sorpresa che le idee piu preziose, le osservazioni piu pertinenti, sono private dei loro frutti migliori per via del sistema poetico del Classicismo, al quale consapevol­mente si richiamano. L'ultima parola non spetta qui tanto alla preoccupazione classica di «salvare» le opere, quanto a quella, non normativa, di giustificarle. Nei lavori meno recenti viene chiama-

"HERBERT CYSARZ, Deutsche Barockdichtung. Renaissance, Barock, Rokoko, Leipzig 1924, p. 299·

"Cfr. JUUUS PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte, in «Germanisch-romani­sche Monatsschrift», VI (I9I4), pp. r-x6, 129-52; in paiticolaie pp. 149 e 151.

Page 63: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

28 Il dramma barocco tedesco

t a in causa, a questo punto, la Guerra dei Trent'anni. È lei l'uni­ca responsabile degli sbandamenti formali che venivano rimpro­verati al dramma barocco. «Ce sont, a-t-on dit bien cles fois, cles pièces écrites par cles bourreaux et pour cles bourreaux. Mais c'est ce qu'il fallait aux gens de ce temps là. Vivant dans une atmosphère de guerres, de luttes sanglantes, ils trouvaient ces scènes naturel­les; c'était le tableau de leurs mreurs qu'on leur offrait. Aussi goutèrent-ils nai"vement, brutalement le plaisir qui leur était of­fert»25.

In questo modo, gli studi di fine secolo si erano irrimediabil­mente allontanati da un'esplorazione critica della forma del dram­ma barocco. Il sincretismo- storico-culturale, storico-letterario e biografico - con cui tali studi si sforzavano di sostituire una ri­flessione propriamente estetica, trova nei lavori piu recenti un pen­dant piu robusto. Come un malato sconvolto dalla febbre rielabo­ra tutte le parole che riesce a percepire nelle immagini ossessive del delirio, cosi lo spirito del tempo raccoglie le testimonianze dei mondi passati e lontani per trascinarle a sé e racchiuderle senza amore nel suo ruminante fantasticare. Non c'è stile, non c'è tra­dizione popolare cosi nuova ed esotica che non possa parlare con immediatezza al sentimento contemporaneo. A questa fatale e pa­tologica suggestionabilità, in virtU della quale lo storico cerca di scivolare, per «sostituzione»

26, al posto dell'artista (come se que­

st'ultimo, per aver creato l'opera, ne fosse anche l'interprete), è stato dato il nome di «empatia», dove la mera curiosità si azzarda a farsi avanti indossando i panni del metodo. In questa campagna di conquista, il basso profilo della generazione presente ha finito in genere per soccombere alla straripante vitalità con cui il baroc­co le veniva incontro. Solo in pochissimi casi si è giunti a una com­prensione autentica del fenomeno27, una comprensione capace di aprire nuovi nessi non fra il critico moderno e il suo oggetto ma all'interno della cosa stessa. Lo si deve, in quei pochi casi, al ri­volgimento profondo introdotto dall'apparire dell'espressionismo, sia pure non immune dagli influssi della poetica della scuola gheor-

"LOUIS G. WYSOCKI, Andreas Gryphius et la tragédie allemande au xvif siècle, disserta­zione, Paris 1892, p. 14. Per la prima frase della citazione si rimanda a CHARLES JORET, Herder et la renaissance littéraire en Allemagne, Paris 1875, p. 82.

26 PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte cìt., p. x 3 . Z1 Cfr. CHRISTIAN HOFMANN VON HOFMANNSWALDAU, Auser/esene Gedichte, a cura e con

un'introduzione di F. P. Greve, Leipzig 1907, p. 8.

Premessa gnoseologica 29

ghiana28

• Ma i vecchi pregiudizi sono ormai alla fine. Le analogie sorprendenti con lo stato attuale della letteratura tedesca hanno dato luogo a un sempre maggiore approfondimento, benché per­lopiu di natura sentimentale, dell'età barocca. Già nel 1904 uno storico della letteratura barocca dichiarava: «Ho ... l'impressione che in nessun periodo, da due secoli in qua, il sentimento artisti­co sia· stato tanto vicino alla letteratura barocca del xvn secolo, tutta intenta alla ricerca di un suo stile, quanto il sentimento ar­tistico dei nostri giorni. Interiormente vuoti o sconvolti nel piu profondo, esteriormente assorbiti da problemi tecnici e formali che sulle prime sembravano concernere ben poco le questioni esi­stenziali dell'epoca- 'tali erano quasi tutti i poeti barocchi, e si­mili sono, per quel tanto che se ne può vedere, perlomeno i poeti del nostro tem;><!, quelli che danno l'impronta alla sua produzio­ne letteraria>/ . Nel frattempo il significato di queste frasi, timi­de e appena abbozzàte, ha finito per assumere un rilievo assai piu ampio. Nel 1915, esordio del dramma espressionista, comparvero le Troiane di Werfel. Non a caso lo stesso soggetto si ritrova in Opitz proprio all'inizio del dramma barocco. In entrambe le ope­re il poeta cerca il linguaggio e l'enfasi del lamento. E a questo sco­po accorrevano, in entrambi i casi, non ampi e artificiosi sviluppi, bensi un'arte metrica esercitata sul recitativo drammatico. Tanto piu che sul piano linguistico le analogie tra gli sforzi di allora e quelli del nostro passato prossimo o dell'oggi sono palesi. Una cer­ta forzatura è peculiare ad entrambi. I prodotti di queste epoche letterarie non crescono tanto da un terreno comunitario: essi cer­cano piuttosto di mascherare la caduta del livello letterario con la violenza manieristica del gesto. Perché, come l'espressionismo, il barocco non è tanto un'epoca d'arte in senso proprio, quanto un'epoca dalla volontà artistica [Kunstwollen] ostinata. E cosi è sempre nelle cosiddette epoche di «decadenza». Se il culmine dell'arte è l'opera isolata, conclusa, ci sono epoche in cui l'opera finita è prerogativa degli epigoni. Sono le epoche della «decaden­za» delle arti, del «volere» artistico. Ecco perché Riegl scopri que­sto termine proprio nell'arte del tardo impero romano. Accessibi­le al «volere artistico» è la forma tout court, non la singola opera

21 Cfr. tuttavia ARTHUR HVBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefuhls. Grundlegung einer Phaseologie der Geistesgeschichte, in «Euphorion», XXVIV (1922), pp. 517-62 e pp. 759-805.

"VICTOR MANHEIMER, Die Lyrik des Andreas Gryphius. Studien und Materialien, Ber !in 1904,p. xm.

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28 Il dramma barocco tedesco

t a in causa, a questo punto, la Guerra dei Trent'anni. È lei l'uni­ca responsabile degli sbandamenti formali che venivano rimpro­verati al dramma barocco. «Ce sont, a-t-on dit bien cles fois, cles pièces écrites par cles bourreaux et pour cles bourreaux. Mais c'est ce qu'il fallait aux gens de ce temps là. Vivant dans une atmosphère de guerres, de luttes sanglantes, ils trouvaient ces scènes naturel­les; c'était le tableau de leurs mreurs qu'on leur offrait. Aussi goutèrent-ils nai"vement, brutalement le plaisir qui leur était of­fert»25.

In questo modo, gli studi di fine secolo si erano irrimediabil­mente allontanati da un'esplorazione critica della forma del dram­ma barocco. Il sincretismo- storico-culturale, storico-letterario e biografico - con cui tali studi si sforzavano di sostituire una ri­flessione propriamente estetica, trova nei lavori piu recenti un pen­dant piu robusto. Come un malato sconvolto dalla febbre rielabo­ra tutte le parole che riesce a percepire nelle immagini ossessive del delirio, cosi lo spirito del tempo raccoglie le testimonianze dei mondi passati e lontani per trascinarle a sé e racchiuderle senza amore nel suo ruminante fantasticare. Non c'è stile, non c'è tra­dizione popolare cosi nuova ed esotica che non possa parlare con immediatezza al sentimento contemporaneo. A questa fatale e pa­tologica suggestionabilità, in virtU della quale lo storico cerca di scivolare, per «sostituzione»

26, al posto dell'artista (come se que­

st'ultimo, per aver creato l'opera, ne fosse anche l'interprete), è stato dato il nome di «empatia», dove la mera curiosità si azzarda a farsi avanti indossando i panni del metodo. In questa campagna di conquista, il basso profilo della generazione presente ha finito in genere per soccombere alla straripante vitalità con cui il baroc­co le veniva incontro. Solo in pochissimi casi si è giunti a una com­prensione autentica del fenomeno27, una comprensione capace di aprire nuovi nessi non fra il critico moderno e il suo oggetto ma all'interno della cosa stessa. Lo si deve, in quei pochi casi, al ri­volgimento profondo introdotto dall'apparire dell'espressionismo, sia pure non immune dagli influssi della poetica della scuola gheor-

"LOUIS G. WYSOCKI, Andreas Gryphius et la tragédie allemande au xvif siècle, disserta­zione, Paris 1892, p. 14. Per la prima frase della citazione si rimanda a CHARLES JORET, Herder et la renaissance littéraire en Allemagne, Paris 1875, p. 82.

26 PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte cìt., p. x 3 . Z1 Cfr. CHRISTIAN HOFMANN VON HOFMANNSWALDAU, Auser/esene Gedichte, a cura e con

un'introduzione di F. P. Greve, Leipzig 1907, p. 8.

Premessa gnoseologica 29

ghiana28

• Ma i vecchi pregiudizi sono ormai alla fine. Le analogie sorprendenti con lo stato attuale della letteratura tedesca hanno dato luogo a un sempre maggiore approfondimento, benché per­lopiu di natura sentimentale, dell'età barocca. Già nel 1904 uno storico della letteratura barocca dichiarava: «Ho ... l'impressione che in nessun periodo, da due secoli in qua, il sentimento artisti­co sia· stato tanto vicino alla letteratura barocca del xvn secolo, tutta intenta alla ricerca di un suo stile, quanto il sentimento ar­tistico dei nostri giorni. Interiormente vuoti o sconvolti nel piu profondo, esteriormente assorbiti da problemi tecnici e formali che sulle prime sembravano concernere ben poco le questioni esi­stenziali dell'epoca- 'tali erano quasi tutti i poeti barocchi, e si­mili sono, per quel tanto che se ne può vedere, perlomeno i poeti del nostro tem;><!, quelli che danno l'impronta alla sua produzio­ne letteraria>/ . Nel frattempo il significato di queste frasi, timi­de e appena abbozzàte, ha finito per assumere un rilievo assai piu ampio. Nel 1915, esordio del dramma espressionista, comparvero le Troiane di Werfel. Non a caso lo stesso soggetto si ritrova in Opitz proprio all'inizio del dramma barocco. In entrambe le ope­re il poeta cerca il linguaggio e l'enfasi del lamento. E a questo sco­po accorrevano, in entrambi i casi, non ampi e artificiosi sviluppi, bensi un'arte metrica esercitata sul recitativo drammatico. Tanto piu che sul piano linguistico le analogie tra gli sforzi di allora e quelli del nostro passato prossimo o dell'oggi sono palesi. Una cer­ta forzatura è peculiare ad entrambi. I prodotti di queste epoche letterarie non crescono tanto da un terreno comunitario: essi cer­cano piuttosto di mascherare la caduta del livello letterario con la violenza manieristica del gesto. Perché, come l'espressionismo, il barocco non è tanto un'epoca d'arte in senso proprio, quanto un'epoca dalla volontà artistica [Kunstwollen] ostinata. E cosi è sempre nelle cosiddette epoche di «decadenza». Se il culmine dell'arte è l'opera isolata, conclusa, ci sono epoche in cui l'opera finita è prerogativa degli epigoni. Sono le epoche della «decaden­za» delle arti, del «volere» artistico. Ecco perché Riegl scopri que­sto termine proprio nell'arte del tardo impero romano. Accessibi­le al «volere artistico» è la forma tout court, non la singola opera

21 Cfr. tuttavia ARTHUR HVBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefuhls. Grundlegung einer Phaseologie der Geistesgeschichte, in «Euphorion», XXVIV (1922), pp. 517-62 e pp. 759-805.

"VICTOR MANHEIMER, Die Lyrik des Andreas Gryphius. Studien und Materialien, Ber !in 1904,p. xm.

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30 Il dramma barocco tedesco

d'arte conclusa e ben tornita. In questa volontà si fonda l'attua­lità del barocco dopo il crollo della cultura classicistica tedesca. A ciò si aggiunge la ricerca di un linguaggio elaborato, che lo faces­se apparire all'altezza della foga degli eventi. L'abitudine di lega­re al soggetto in un blocco unico agge.ttivi che non conoscono al­cun uso avverbiale non è di oggi. Grosstanz, Grossgedicht (nel sen­so di «epos»), sono vocaboli barocchi. E dappertutto si trovano neologismi. Oggi come allora, attraverso molti di essi si esprime la ricerca di un nuovo pathos. Gli scrittori cercavano di impadronirsi in modo personale della forza piu intima dell'immagine, quella da cui procede la precisa eppure delicata metaforicità del linguaggio. Non era tanto il discorso figurato, quanto la singola metafora ver­bale a fare la gloria del poeta, come se l'elaborazione linguistica comportasse di per sé il momento dell'invenzione poetica della pa­rola. I traduttori barocchi amavano le formule ardite, quelle che negli scrittori odierni si chiamerebbero «arcaismi», e in cui si pen­sa di attingere alle fonti stesse della vita della lingua. Questa vio­lenza del linguaggio è sempre il contrassegno di una produzione in cui è difficile estrarre dal conflitto delle forze in gioco una forma compiuta che abbia un contenuto di verità. In questa lacerazione la letteratura odierna rispecchia certi aspetti dello spirito barocco fin nei dettagli piu minuti. Al romanzo politico, a cui allora come oggi si dedicavano autori di rango, si contrappongono oggi le di­chiaraziqni dei letterati pacifisti sulla vita semplice, sulla bontà na­turale dell'uomo, allo stesso modo in cui il romanzo politico tro­vava allora il suo pendant nel dramma pastorale. Illetterato, la cui esistenza oggi come allora si svolge in una sfera remota dalla vita attiva, è consumato da un'ambizione che i poeti di allora poteva­no comunque soddisfare meglio di quelli odierni. Perché Opitz, Gryphius, Lohenstein hanno potuto di quando in quando presta­re servizio nello stato, e non senza generosi compensi. E qui il pa­rallelismo finisce. Illetterato barocco si sentiva legato all'idea di uno stato assoluto, che poteva contare sull'appoggio di entrambe le Chiese .. L'atteggiamento dei suoi eredi attuali, quando non è ostile allo stato e rivoluzionario, è caratterizzato dalla mancanza di una qualsiasi idea dello stato. E in definitiva non va dimenti­cata, nonostante le svariate analogie, la grande differenza: nella Germania del Seicento la letteratura, per quanto la nazione non la tenesse in gran conto, traeva la sua importanza dal fatto stesso della sua rinascita. I vent'anni di letteratura tedesca che dovreb­bero dimostrare la rinnovata partecipazione ai problemi dell'epo-

Premessa gnoseologica 3I

ca rappresentano invece una decadenza, per quanto propedeutica e feconda essa possa essere. Tanto piu forte l'impressione che na­sce proprio ora dall'elaborazione di forme affini al barocco tede­sco, con l'ausilio di procedimenti artistici di maniera. Di fronte a una letteratura che, con l'esibizione della sua tecnica, l'uniforme maturità dei suoi prodotti e l'intensità dei suoi valori, cercava in certo modo di far tacere il mondo e la posterità, va sottolineata la necessità di un atteggiamento distaccato e sovrano come lo impo­ne la rappresentazione dell'idea di una forma. Il pericolo di la­sciarsi trascinare dalle altezze della conoscenza negli spaventosi abissi dell'anima barocca rimane comunque non trascurabile. Nei tentativi improvvisati di riportare alla luce il senso di quell'epoca ritroviamo, immancabilmente, quella vertigine, suscitata dalla vi­sta della sua spiritualità tortuosa e contraddittoria. «Anche le espressioni piu intime del barocco, anche i suoi dettagli - e forse proprio questi - sono antitetici>/0

• Solo una contemplazione che venga da lontano, e che sappia sottrarsi in un primo tempo alla vi­sta della totalità, solo una disciplina in certo senso ascetica dello spirito può raggiungere quella fortezza che gli Rermetterà di con­templare tale panorama restando padrone di sé. E la natura di que­sta disciplina che qui si trattava di descrivere.

lO WlLHELM HAUSENSTI!IN, Vom Geist des Barock, Miinchen 1921, p. 28.

Page 66: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

30 Il dramma barocco tedesco

d'arte conclusa e ben tornita. In questa volontà si fonda l'attua­lità del barocco dopo il crollo della cultura classicistica tedesca. A ciò si aggiunge la ricerca di un linguaggio elaborato, che lo faces­se apparire all'altezza della foga degli eventi. L'abitudine di lega­re al soggetto in un blocco unico agge.ttivi che non conoscono al­cun uso avverbiale non è di oggi. Grosstanz, Grossgedicht (nel sen­so di «epos»), sono vocaboli barocchi. E dappertutto si trovano neologismi. Oggi come allora, attraverso molti di essi si esprime la ricerca di un nuovo pathos. Gli scrittori cercavano di impadronirsi in modo personale della forza piu intima dell'immagine, quella da cui procede la precisa eppure delicata metaforicità del linguaggio. Non era tanto il discorso figurato, quanto la singola metafora ver­bale a fare la gloria del poeta, come se l'elaborazione linguistica comportasse di per sé il momento dell'invenzione poetica della pa­rola. I traduttori barocchi amavano le formule ardite, quelle che negli scrittori odierni si chiamerebbero «arcaismi», e in cui si pen­sa di attingere alle fonti stesse della vita della lingua. Questa vio­lenza del linguaggio è sempre il contrassegno di una produzione in cui è difficile estrarre dal conflitto delle forze in gioco una forma compiuta che abbia un contenuto di verità. In questa lacerazione la letteratura odierna rispecchia certi aspetti dello spirito barocco fin nei dettagli piu minuti. Al romanzo politico, a cui allora come oggi si dedicavano autori di rango, si contrappongono oggi le di­chiaraziqni dei letterati pacifisti sulla vita semplice, sulla bontà na­turale dell'uomo, allo stesso modo in cui il romanzo politico tro­vava allora il suo pendant nel dramma pastorale. Illetterato, la cui esistenza oggi come allora si svolge in una sfera remota dalla vita attiva, è consumato da un'ambizione che i poeti di allora poteva­no comunque soddisfare meglio di quelli odierni. Perché Opitz, Gryphius, Lohenstein hanno potuto di quando in quando presta­re servizio nello stato, e non senza generosi compensi. E qui il pa­rallelismo finisce. Illetterato barocco si sentiva legato all'idea di uno stato assoluto, che poteva contare sull'appoggio di entrambe le Chiese .. L'atteggiamento dei suoi eredi attuali, quando non è ostile allo stato e rivoluzionario, è caratterizzato dalla mancanza di una qualsiasi idea dello stato. E in definitiva non va dimenti­cata, nonostante le svariate analogie, la grande differenza: nella Germania del Seicento la letteratura, per quanto la nazione non la tenesse in gran conto, traeva la sua importanza dal fatto stesso della sua rinascita. I vent'anni di letteratura tedesca che dovreb­bero dimostrare la rinnovata partecipazione ai problemi dell'epo-

Premessa gnoseologica 3I

ca rappresentano invece una decadenza, per quanto propedeutica e feconda essa possa essere. Tanto piu forte l'impressione che na­sce proprio ora dall'elaborazione di forme affini al barocco tede­sco, con l'ausilio di procedimenti artistici di maniera. Di fronte a una letteratura che, con l'esibizione della sua tecnica, l'uniforme maturità dei suoi prodotti e l'intensità dei suoi valori, cercava in certo modo di far tacere il mondo e la posterità, va sottolineata la necessità di un atteggiamento distaccato e sovrano come lo impo­ne la rappresentazione dell'idea di una forma. Il pericolo di la­sciarsi trascinare dalle altezze della conoscenza negli spaventosi abissi dell'anima barocca rimane comunque non trascurabile. Nei tentativi improvvisati di riportare alla luce il senso di quell'epoca ritroviamo, immancabilmente, quella vertigine, suscitata dalla vi­sta della sua spiritualità tortuosa e contraddittoria. «Anche le espressioni piu intime del barocco, anche i suoi dettagli - e forse proprio questi - sono antitetici>/0

• Solo una contemplazione che venga da lontano, e che sappia sottrarsi in un primo tempo alla vi­sta della totalità, solo una disciplina in certo senso ascetica dello spirito può raggiungere quella fortezza che gli Rermetterà di con­templare tale panorama restando padrone di sé. E la natura di que­sta disciplina che qui si trattava di descrivere.

lO WlLHELM HAUSENSTI!IN, Vom Geist des Barock, Miinchen 1921, p. 28.

Page 67: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Dramma e tragedia (I)

Der ersten Handlung. Erster Eintritt. Heinrich. !sa­belle. Der Schauplatz ist der Konigl. Saal.

HEINRICH Ich bin Konig. rSABELLE Ich .bin Konigin. HEINRICH Ich kan und will. ISABEu.E Ihr kont nicht und must nicht wollen. HEINRICH W er will Inirs wehren? ISABEu.E Mein Verboth. HEINRICH Ich bin Konig. ISABELLE Ihr seyd mein Sohn. HEINRICH Ehre ich euch schon als Mutter so

miisset ihr doch wissen das ihr nur Stiefmutter seyd. Ich will sie haben.

tSABEu.E Ihr sollt sie nicht haben. HEINRICH Ich sage: Ich will sie haben die

Ernelinde.

FILIDOR, Eme linde Oder Die Viermahl Brauf.

La necessaria tensione verso gli estremi, che nelle indagini fi­losofiche costituisce la norma della formazione dei concetti, in una trattazione sull'origine del dramma deve significare due cose. In­nanzitutto essa suggerisce alla ricerca di abbracciare senza esita­zioni tutta l'ampiezza del tema. Al cospetto di una produzione drammatica neppure troppo estesa, il suo compito non deve con­sistere nell'indagare, come farebbe a ragione la storia letteraria, le varie scuole poetiche, la cronologia e gli strati genetici delle sin­gole opere. Essa si lascerà guidare piuttosto da un'ipotesi: che quanto appare diffuso ed eterogeneo può offrire, alla luce dei con­cetti adeguati, gli elementi per una sintesi. In questo senso, essa apprezzerà le testimonianze degli autori minori, nelle cui opere le stravaganze non mancano, non meno di quelle dei grandi. Un con­to è incarnare una forma, un altro plasmarla. Se la prima cosa è af­fare del poeta eletto, la seconda avviene spesso, e in modo senz' al­tro piu significativo, nelle faticose prove degli autori piu deboli.

1 FILIDOR [CASPAR STIELER] Trauer- Lust- und Misch-Spìele, parte l, Jena r665, p. 1 [Er­melinda o La quattro volte sposa, I, I. Heinrich. Isabelle. La scena è la sala del trono. - Hein­rich: Sono re. l Isabelle: Sono regina. l Heinrich: Posso e voglio. l Isabelle: Non potete e non dovete volere. l Heinrich: Chi me lo impedirà ? l Isabelle: Il Inio divieto. l Heinrich: Sono re. l Isabelle: Siete Inio figlio. l Heinrich: Se già vi onoro come madre l dovete sape­re l che siete soltanto Inia matrigna. Voglio averla. l Isabelle: Non l'avrete. l Heinrich: Di­co: voglio averla l Ermelinda].

Dramma e tragedia (I) .33

La forma stessa, la cui vita si identifica con quella delle opere che essa determina, e la cui visibilità è anzi a volte inversamente pro­porzionale alla perfezione dell'opera letteraria, risulta spesso piu evidente nel gracile corpo dell'opera mediocre, còme fosse il suo scheletro. In secondo luogo, lo studio degli estremi esige che si ten­ga conto della teoria barocca del dramma. La schiettezza dei teo­rici barocchi nella formulazione dei loro precetti è un tratto par­ticolarmente attraente di questa letteratura, e le sue regole sono estreme già per il fatto di proporsi come piu o meno vincolanti. Cosf, le stravaganze del dramma dipendono in gran parte dalle poe· tiche, e poiché persino i pochi schemi del suo intreccio pretendo­no di essere dedotti da teoremi, i manuali dei poeti appaiono co­me fonti indispensabili per l'analisi. Se esse fossero analisi criti­che nel senso moderno, il loro valore di testimonianza sarebbe irrilevante. Il loro recupero è invece non soltanto impo.sto dall'og­getto ma anche giustificato concretamente dalla situazione della ricerca. Questa è stata inibita fino in epoca recente dai pregiudi­zi della classificazione stilistica e della valutazione estetica. La sco­perta del barocco letterario ha avuto luogo cosf tardi e s~tto stel­le cosi ambigue perché una periodizzazione di comodo ama attin­gere le proprie etichette e le proprie date ai trattati delle epoche precedenti. Poiché in Germania non vi è mai stato un «manife­sto» del barocco letterario- perfino nelle arti figurative il termi­ne compare soltanto nel xvm secolo - e poiché le proclamazioni chiare, esplicite, bellicose, non sono affare dei letterati, il cui to­no cortigiano valeva da paradigma, anche piu tardi non si volle as­segnare un titolo particolare a questa pagina della storia letteraria tedesca. «L'assenza di tono polemico è una caratteristica cpe se­gna profondamente l'intero barocco. Ognuno cerca il piu possibi­le, anche quando ubbidisce alla propria ispirazione, di comportar­si come chi segue le orme degli amati maestri e delle autorità co­stituite»2. E non tragga in inganno l'accresciuto interesse per le controversie poetiche che si manifestò in parallelo alle dispute del­le accademie romane di pittura3

• La poetica barocca è una serie di variazioni sopra i Poetices libri septem di Giulio Cesare Scaligero, usciti nel 1561. Gli schemi classicistici regnano incontrastati: «Gryphius è l'indiscusso maestro, il Sofocle tedesco, alle sue spal-

2 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 72. 'Cfr. ALOIS RIEGL, Die Entstehung der Barockkunst in Rom, pagine postume a cura di

A. Burda e M. Dvofak, Wien 1923, p. I47·

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Dramma e tragedia (I)

Der ersten Handlung. Erster Eintritt. Heinrich. !sa­belle. Der Schauplatz ist der Konigl. Saal.

HEINRICH Ich bin Konig. rSABELLE Ich .bin Konigin. HEINRICH Ich kan und will. ISABEu.E Ihr kont nicht und must nicht wollen. HEINRICH W er will Inirs wehren? ISABEu.E Mein Verboth. HEINRICH Ich bin Konig. ISABELLE Ihr seyd mein Sohn. HEINRICH Ehre ich euch schon als Mutter so

miisset ihr doch wissen das ihr nur Stiefmutter seyd. Ich will sie haben.

tSABEu.E Ihr sollt sie nicht haben. HEINRICH Ich sage: Ich will sie haben die

Ernelinde.

FILIDOR, Eme linde Oder Die Viermahl Brauf.

La necessaria tensione verso gli estremi, che nelle indagini fi­losofiche costituisce la norma della formazione dei concetti, in una trattazione sull'origine del dramma deve significare due cose. In­nanzitutto essa suggerisce alla ricerca di abbracciare senza esita­zioni tutta l'ampiezza del tema. Al cospetto di una produzione drammatica neppure troppo estesa, il suo compito non deve con­sistere nell'indagare, come farebbe a ragione la storia letteraria, le varie scuole poetiche, la cronologia e gli strati genetici delle sin­gole opere. Essa si lascerà guidare piuttosto da un'ipotesi: che quanto appare diffuso ed eterogeneo può offrire, alla luce dei con­cetti adeguati, gli elementi per una sintesi. In questo senso, essa apprezzerà le testimonianze degli autori minori, nelle cui opere le stravaganze non mancano, non meno di quelle dei grandi. Un con­to è incarnare una forma, un altro plasmarla. Se la prima cosa è af­fare del poeta eletto, la seconda avviene spesso, e in modo senz' al­tro piu significativo, nelle faticose prove degli autori piu deboli.

1 FILIDOR [CASPAR STIELER] Trauer- Lust- und Misch-Spìele, parte l, Jena r665, p. 1 [Er­melinda o La quattro volte sposa, I, I. Heinrich. Isabelle. La scena è la sala del trono. - Hein­rich: Sono re. l Isabelle: Sono regina. l Heinrich: Posso e voglio. l Isabelle: Non potete e non dovete volere. l Heinrich: Chi me lo impedirà ? l Isabelle: Il Inio divieto. l Heinrich: Sono re. l Isabelle: Siete Inio figlio. l Heinrich: Se già vi onoro come madre l dovete sape­re l che siete soltanto Inia matrigna. Voglio averla. l Isabelle: Non l'avrete. l Heinrich: Di­co: voglio averla l Ermelinda].

Dramma e tragedia (I) .33

La forma stessa, la cui vita si identifica con quella delle opere che essa determina, e la cui visibilità è anzi a volte inversamente pro­porzionale alla perfezione dell'opera letteraria, risulta spesso piu evidente nel gracile corpo dell'opera mediocre, còme fosse il suo scheletro. In secondo luogo, lo studio degli estremi esige che si ten­ga conto della teoria barocca del dramma. La schiettezza dei teo­rici barocchi nella formulazione dei loro precetti è un tratto par­ticolarmente attraente di questa letteratura, e le sue regole sono estreme già per il fatto di proporsi come piu o meno vincolanti. Cosf, le stravaganze del dramma dipendono in gran parte dalle poe· tiche, e poiché persino i pochi schemi del suo intreccio pretendo­no di essere dedotti da teoremi, i manuali dei poeti appaiono co­me fonti indispensabili per l'analisi. Se esse fossero analisi criti­che nel senso moderno, il loro valore di testimonianza sarebbe irrilevante. Il loro recupero è invece non soltanto impo.sto dall'og­getto ma anche giustificato concretamente dalla situazione della ricerca. Questa è stata inibita fino in epoca recente dai pregiudi­zi della classificazione stilistica e della valutazione estetica. La sco­perta del barocco letterario ha avuto luogo cosf tardi e s~tto stel­le cosi ambigue perché una periodizzazione di comodo ama attin­gere le proprie etichette e le proprie date ai trattati delle epoche precedenti. Poiché in Germania non vi è mai stato un «manife­sto» del barocco letterario- perfino nelle arti figurative il termi­ne compare soltanto nel xvm secolo - e poiché le proclamazioni chiare, esplicite, bellicose, non sono affare dei letterati, il cui to­no cortigiano valeva da paradigma, anche piu tardi non si volle as­segnare un titolo particolare a questa pagina della storia letteraria tedesca. «L'assenza di tono polemico è una caratteristica cpe se­gna profondamente l'intero barocco. Ognuno cerca il piu possibi­le, anche quando ubbidisce alla propria ispirazione, di comportar­si come chi segue le orme degli amati maestri e delle autorità co­stituite»2. E non tragga in inganno l'accresciuto interesse per le controversie poetiche che si manifestò in parallelo alle dispute del­le accademie romane di pittura3

• La poetica barocca è una serie di variazioni sopra i Poetices libri septem di Giulio Cesare Scaligero, usciti nel 1561. Gli schemi classicistici regnano incontrastati: «Gryphius è l'indiscusso maestro, il Sofocle tedesco, alle sue spal-

2 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 72. 'Cfr. ALOIS RIEGL, Die Entstehung der Barockkunst in Rom, pagine postume a cura di

A. Burda e M. Dvofak, Wien 1923, p. I47·

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34 n dramma barocco tedesco

le Lohenstein occupa il secondo posto, come un Seneca tedesco, e, sia pure con qualche riserva, viene loro affiancato Hallmann, l'Eschilo tedesco»4

• E nei drammi c'è indubbiamente qualcosa che corrisponde alla facciata rinascimentale delle poetiche. La loro ori­ginalità stilistica - ci sia lecito osservare, anticipando - è incom­parabilmente maggiore nei particolari che nell'insieme. Per quan­to riguarda quest'ultimo, esso è gravato, come già osserva Lam­prechf, da una certa pesantezza, e, nonostante tutto, da una semplicità drammaturgica che ricorda da lontano il teatro borghese del Rinascimento tedesco. Ma alla luce di una seria critica stilisti­ca, a cui non è concesso di considerare il tutto se non nella sua de­terminatezza attraverso il particolare, i tratti non-rinascimentali, per non dire barocchi, saltano fuori ovunque: dalla lingua e dal portamento d_ei personaggi alla disposizione scenica e alla scelta dei soggetti. E chiaro d'altronde, e cercheremo di mostrar lo, co­me i testi di poetica assumano accenti che rendono possibile l'in­terpretazione barocca, anzi come la fedeltà a quei testi serva le in­tenzioni barocche meglio della rivolta. La volontà di classicità è, si può dire, l'unico tratto genuinamente rinascimentale- eppure quanto lontano dal Rinascimento per la sua ruvidezza, la sua man­canza di riguardi - di una poesia che si vide posta, di colpo, di fronte a compiti formali che nessun magistero la metteva in con­dizione di affrontare. Ogni tentativo di avvicinarsi alla forma clas­sica doveva predisporre la materia a un tipo di elaborazione vio­lentemente barocca, e questo senza considerare i risultati che poi di fatto venivano raggiunti. La rinuncia, da parte della scienza let­teraria, a indagare questi tentativi con gli strumenti dell'analisi sti­listica, si spiega col suo verdetto di condanna contro l'epoca della ridondanza, della decadenza linguistica e della poesia erudita. Il fatto poi che essa abbia cercato di mitigare quel verdetto conside­rando che il magistero aristotelico era stato una necessaria fase di transizione per la poesia rinascimentale in Germania, somma pre­giudizio a pregiudizio. E i due pregiudizi sono collegati, perché la tesi della forma rinascimentale del dramma seicentesco si appog­gia all'aristotelismo degli autori teorici. Abbiamo già osservato fi­no a che punto le definizioni aristoteliche abbiano ostacolato lari­flessione critica su quei drammi. Occorre sottolineare a questo

'PAUL STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama. Studien zur Literatur- und Stilgeschichtedes 16. und 17.Jahrhunderts, Berlin 1907, p. 326.

'Cfr. LAMPRECHT, Deutsche Geschichte cit., p. 265.

Dramma e tragedia (I) 35

punto che l'influsso della dottrina aristotelica sul dramma in ter­mini di «dramma rinascimentale» viene senz'altro sopravvalu­tato.

. ~a st~ria del dram~a tede.sco t;noderno non conosce periodi in cm l tetnl della tragedia classica siano stati meno influenti. E già questo fatto basterebbe a smentire la presunta egemonia di Ari­stotele. Per la sua comprensione mancavano tutti i requisiti ne­cess:n-~· e n~n in ultimo la ':'olontà di capirlo. Perché una seria pre­cett~stlca di carattere tecruco e contenutistico, come quella che a partire da Gryphius si attingeva ai classici olandesi o al teatro dei

. gesuiti, nel filosofo greco non la cercava nessuno. L'essenziale era affermare, attraverso il riconoscimento dell'autorità di Aristote­le, .un c;rto contatto. c<?n ~a poe:ica rinascimentale dello Scaligero, e nbadire cosf la legittllDltà de1 propri esperimenti. Inoltre, verso la me~à del. xvn secolo !a poetica aristotelica non era ancora quel semplice e Imponente sistema di dogmi con cui dovrà fare i conti Lessing. Il Trissino, primo commentatore della Poetica cita anzi­tutto, in aggiunta all'unità di tempo, l'unità di azione; l'unità di tempo ha valore estetico soltanto se comporta l'unità di azione. A tali unità si sono attenuti Gryphius e Lohenstein, anche se, per il Papinian [Papiniano], l'unità di azione potrebbe essere contesta­ta. L'elenco dei tratti aristotelici finisce però con questo fatto iso­lato. Il principio dell'unità di tempo non sembra rivestire un si­gnificato preciso. La teoria di Harsdorffer, per il resto fedele alla tradizione, dichiara accettabile anche un'azione della durata di · quattro o cinque giorni. L'unità di luogo, che entra nella discus­sione solo a partire da Castelvetro, nel dramma barocco non è con­~id:rat~; e neP.pU:e il teatro dei g~s~ti la riconosce. Ma ancora piu mdicat1va è l mdifferenza con CUli manuali trattano la teoria ari­stotelica d.ell' effetto tragic~. N<?n vogliamo dire che questa parte della Poetz~a, che porta scritto m fronte con ancor piu chiarezza dell: altre il carattere cultuale del teatro greco, dovesse risultare particolarmente accessibile alla mentalità del Seicento. E tuttavia quan~o piu risultava impossibile penetrare il senso profondo dell~ dottr~a, legata alla prassi catartica dei Misteri, tanto piu l'inter­pretaziOne avrebbe dovuto muoversi con libertà. La troviamo in­yece t~nt~ gra~ile nei. suoi contenuti quanto decisa nel piegare le mtenz10ru antiche. Timore e compassione non sono intesi come una partecipazione all'azione nel suo insieme, ma al destino dei personaggi piu rilevanti. Il timore è suscitato dalla fine del mal-

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le Lohenstein occupa il secondo posto, come un Seneca tedesco, e, sia pure con qualche riserva, viene loro affiancato Hallmann, l'Eschilo tedesco»4

• E nei drammi c'è indubbiamente qualcosa che corrisponde alla facciata rinascimentale delle poetiche. La loro ori­ginalità stilistica - ci sia lecito osservare, anticipando - è incom­parabilmente maggiore nei particolari che nell'insieme. Per quan­to riguarda quest'ultimo, esso è gravato, come già osserva Lam­prechf, da una certa pesantezza, e, nonostante tutto, da una semplicità drammaturgica che ricorda da lontano il teatro borghese del Rinascimento tedesco. Ma alla luce di una seria critica stilisti­ca, a cui non è concesso di considerare il tutto se non nella sua de­terminatezza attraverso il particolare, i tratti non-rinascimentali, per non dire barocchi, saltano fuori ovunque: dalla lingua e dal portamento d_ei personaggi alla disposizione scenica e alla scelta dei soggetti. E chiaro d'altronde, e cercheremo di mostrar lo, co­me i testi di poetica assumano accenti che rendono possibile l'in­terpretazione barocca, anzi come la fedeltà a quei testi serva le in­tenzioni barocche meglio della rivolta. La volontà di classicità è, si può dire, l'unico tratto genuinamente rinascimentale- eppure quanto lontano dal Rinascimento per la sua ruvidezza, la sua man­canza di riguardi - di una poesia che si vide posta, di colpo, di fronte a compiti formali che nessun magistero la metteva in con­dizione di affrontare. Ogni tentativo di avvicinarsi alla forma clas­sica doveva predisporre la materia a un tipo di elaborazione vio­lentemente barocca, e questo senza considerare i risultati che poi di fatto venivano raggiunti. La rinuncia, da parte della scienza let­teraria, a indagare questi tentativi con gli strumenti dell'analisi sti­listica, si spiega col suo verdetto di condanna contro l'epoca della ridondanza, della decadenza linguistica e della poesia erudita. Il fatto poi che essa abbia cercato di mitigare quel verdetto conside­rando che il magistero aristotelico era stato una necessaria fase di transizione per la poesia rinascimentale in Germania, somma pre­giudizio a pregiudizio. E i due pregiudizi sono collegati, perché la tesi della forma rinascimentale del dramma seicentesco si appog­gia all'aristotelismo degli autori teorici. Abbiamo già osservato fi­no a che punto le definizioni aristoteliche abbiano ostacolato lari­flessione critica su quei drammi. Occorre sottolineare a questo

'PAUL STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama. Studien zur Literatur- und Stilgeschichtedes 16. und 17.Jahrhunderts, Berlin 1907, p. 326.

'Cfr. LAMPRECHT, Deutsche Geschichte cit., p. 265.

Dramma e tragedia (I) 35

punto che l'influsso della dottrina aristotelica sul dramma in ter­mini di «dramma rinascimentale» viene senz'altro sopravvalu­tato.

. ~a st~ria del dram~a tede.sco t;noderno non conosce periodi in cm l tetnl della tragedia classica siano stati meno influenti. E già questo fatto basterebbe a smentire la presunta egemonia di Ari­stotele. Per la sua comprensione mancavano tutti i requisiti ne­cess:n-~· e n~n in ultimo la ':'olontà di capirlo. Perché una seria pre­cett~stlca di carattere tecruco e contenutistico, come quella che a partire da Gryphius si attingeva ai classici olandesi o al teatro dei

. gesuiti, nel filosofo greco non la cercava nessuno. L'essenziale era affermare, attraverso il riconoscimento dell'autorità di Aristote­le, .un c;rto contatto. c<?n ~a poe:ica rinascimentale dello Scaligero, e nbadire cosf la legittllDltà de1 propri esperimenti. Inoltre, verso la me~à del. xvn secolo !a poetica aristotelica non era ancora quel semplice e Imponente sistema di dogmi con cui dovrà fare i conti Lessing. Il Trissino, primo commentatore della Poetica cita anzi­tutto, in aggiunta all'unità di tempo, l'unità di azione; l'unità di tempo ha valore estetico soltanto se comporta l'unità di azione. A tali unità si sono attenuti Gryphius e Lohenstein, anche se, per il Papinian [Papiniano], l'unità di azione potrebbe essere contesta­ta. L'elenco dei tratti aristotelici finisce però con questo fatto iso­lato. Il principio dell'unità di tempo non sembra rivestire un si­gnificato preciso. La teoria di Harsdorffer, per il resto fedele alla tradizione, dichiara accettabile anche un'azione della durata di · quattro o cinque giorni. L'unità di luogo, che entra nella discus­sione solo a partire da Castelvetro, nel dramma barocco non è con­~id:rat~; e neP.pU:e il teatro dei g~s~ti la riconosce. Ma ancora piu mdicat1va è l mdifferenza con CUli manuali trattano la teoria ari­stotelica d.ell' effetto tragic~. N<?n vogliamo dire che questa parte della Poetz~a, che porta scritto m fronte con ancor piu chiarezza dell: altre il carattere cultuale del teatro greco, dovesse risultare particolarmente accessibile alla mentalità del Seicento. E tuttavia quan~o piu risultava impossibile penetrare il senso profondo dell~ dottr~a, legata alla prassi catartica dei Misteri, tanto piu l'inter­pretaziOne avrebbe dovuto muoversi con libertà. La troviamo in­yece t~nt~ gra~ile nei. suoi contenuti quanto decisa nel piegare le mtenz10ru antiche. Timore e compassione non sono intesi come una partecipazione all'azione nel suo insieme, ma al destino dei personaggi piu rilevanti. Il timore è suscitato dalla fine del mal-

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3 6 Il dramma barocco tedesco

vagio, la compassione da quella dell'eroe buono. A Birken anche questa definizione sembra troppo classica, e al posto del timore e della compassione egli pone, come fine del dramma, l'amore di Dio e l'edificazione dei cittadini. «Noi cristiani dobbiamo, in tutte le nostre azioni, e dunque anche nello scrivere drammi e nel metter­li in scena, nutrire un unico proposito: che Dio sia onorato, e che il prossimo possa essere istruito al bene»6

• Il dramma è chiamato a rinvigorire le virro dei suoi spettatori. E se ce n'era una che era obbligatoria per l'eroe ed edificante per il pubblico, questa era l'an­tica à3tat}fw. La saldatura fra l'etica stoica e la teoria della trage­dia moderna si era compiuta in Olanda, e Lipsius aveva osservato che l'aristotelico éì..eoç andava inteso soltanto come uno stimolo ad alleviare le sofferenze e le pene altrui, ma non come un crollo patologico alla vista di un destino terribtle, non come pusillanimi­tas, bensf soltanto come misericordia7

• E indubbio che simili os­servazioni sono essenzialmente estranee alla descrizione aristote­lica del modo in cui si era soliti assistere alle tragedie. Ciò che in­dusse la critica a collegare il nuovo dramma con la tragedia greca fu dunque la semplice figura dell'eroe regale. E per illustrarne in modo adeguato il carattere peculiare non si potrà far di meglio che citare la famosa definizione di Opitz, formulata del resto nello sti­le stesso del dramma.

«La tragedia è per maestà conforme al poema eroico, tal che di rado sopporta che si introducano personaggi di infimo ceto e cose brutte: perché essa tratta soltanto di regali voleri, colpi mortali, disperazioni, figli e parricidi, incendi, oltraggi del sangue, di guer­ra e di rivolta, di lamenti, di singhiozzi, di sospiri e simili»8

• Può darsi che il moderno studioso di estetica non sia portato sulle pri-

6 SIGMUND VON BIRKEN, Teutsche Rede-bind- und Dicht-Kunrt [Retorica e poetica tede­sche] Niirnberg r679, p. 336. [Wir Christen sollen gleichwie in allen unsren Verrichrun­gen also-auch im Schauspid-schreiben und Schauspielen das einige Absehen haben daB Gott damit geeh:ret und der Neben-Mensch zum Guten moge bdehrt werden].

7 Cfr. WILHELM DILTHEY, Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation. Abhandlungen zur Geschichte der Philosophie und Religion, Leipzig-Berlin r92 3, p. 445; trad. it. L'analisi dell'uomo e l'intuizione della natura dal Rinascimento al se­colo XVIII, a cura di C. Sanna, Venezia r927, vol. Il, pp. 245 sgg.

• MARTIN OPITZ, Prosodia Germanica, Oder Buch von der Deudschen Poeterey [Prosodia germanica, ovvero il libro della poesia tedesca] Franckfurt am Miiyn, s. d. [r65o circa], pp. 30 sgg. (Die TragOdie ist an der majestet dem Heroischen gedichte gem~e ohne das sie selten leidet das man geringen standes personen und schlechte sachen einfiihre: weil sie nur von koniglichem willen todschlagen verzweifflungen kinder und viitermorden brande blutschanden kriege und auffruhr klagen heulen seuffzten und dergleichen handelt].

Dramma e tragedia (I) 3 7

me ad apprezzare molto questa definizione, che sembra offrire una semplice delimitazione della materia tragica. E infatti essa non è mai stata considerata significativa. Senonché, questa apparenza è ingannevole. Opitz non dice espressamente - e non lo dice perché per la sua epoca era cosa ovvia - che gli eventi citati sono in realtà non tanto la materia, bensf il vero nucleo estetico del dramma. Il contenuto del dramma stesso, il suo oggetto proprio è invece la vita storica cosi come la sua epoca se la rappresenta~a. E in que­sto si distingue dalla tragedia, il cui oggetto non è la storia bensf il mito, e in cui le dramatis personae derivano il loro rango tragico non dal ceto - la regalità assoluta - ma dalla preistoria della loro stirpe, dal loro passato eroico. Agli occhi di Opitz, non è la lotta con Dio o col destino, o l'attualizzazione di un passato antichissi­mo quale cifra profonda della comunità popolare, a fare del mo­narca il vero protagonista del dramma, bensf la conservazione del­le virtu principesche e la messa in scena dei principeschi vizi, la gestione degli intrighi diplomatici e le manovre dell'alta politica. Il sovrano in quanto primo esponente della storia è il piu autore­v?le candidato ad incarnarla. In modo rudimentale, la partecipa­ziOne al corso attuale della storia del mondo affiora di continuo anche negli scritti di poetica. «Chi vuoi scrivere tragedie- si leg­ge nella Alleredelste Beschii/tigung [La piu nobile di tutte le occu­pazioni] di Rist- dev'essere mirabilmente competente di storia e di libri di storia, dei vecchi come dei nuovi, deve sapere a fondo delle cose del mondo e dello stato, che son quelle che costituisco­no la politica vera e propria ... sapere quale sia lo stato d'animo di un re o di un principe, sia nei tempi di guerra sia nei tempi di pa­ce, come si governino i paesi e le genti presso i quali si conserva la sovranità, quali dannosi consigli vadano respinti, a quali espedienti occorra far ricorso quando si esercita la sovranità, quali altri va­dano respinti o addirittura spazzati via; insomma, egli deve cono­scere l'arte di governo a menadito come la sua lingua madre»9• Si credeva che il dramma fosse già lf, tangibile e concreto, nel corso

'JOHANN RIST, Die Aller Edelste Belustigung Kunst- und Tugendliebender Gemuther, Frankfurt r666, pp. 241 sgg. [Wer Tragodien schreiben wil muB in Historien oder Ge­schicht-Biichem, so wol der Alten als Neuen trefflich seyn beschlagen er muB die Wdt­und Staats-Handel als worinn die eigentliche Politica bestehet griindlich wissen .... wissen wie einem Konige oder Fiirsten zu muthe sey so wol zu Krieges- als Friedens-Zeiten wie man Land und Leute regieren bey dem Regiment sich erhalten allen schiidlichen Rat­schlagen steuren was man fiir Griffe miisse gebrauchen wann man sich ins Regiment drin­gen andere verjagen ja wol gar auB dem Wege riiumen wolle. In Summa die Regier-Kunst muB er so fertig als seine Muttersprache verstehen].

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vagio, la compassione da quella dell'eroe buono. A Birken anche questa definizione sembra troppo classica, e al posto del timore e della compassione egli pone, come fine del dramma, l'amore di Dio e l'edificazione dei cittadini. «Noi cristiani dobbiamo, in tutte le nostre azioni, e dunque anche nello scrivere drammi e nel metter­li in scena, nutrire un unico proposito: che Dio sia onorato, e che il prossimo possa essere istruito al bene»6

• Il dramma è chiamato a rinvigorire le virro dei suoi spettatori. E se ce n'era una che era obbligatoria per l'eroe ed edificante per il pubblico, questa era l'an­tica à3tat}fw. La saldatura fra l'etica stoica e la teoria della trage­dia moderna si era compiuta in Olanda, e Lipsius aveva osservato che l'aristotelico éì..eoç andava inteso soltanto come uno stimolo ad alleviare le sofferenze e le pene altrui, ma non come un crollo patologico alla vista di un destino terribtle, non come pusillanimi­tas, bensf soltanto come misericordia7

• E indubbio che simili os­servazioni sono essenzialmente estranee alla descrizione aristote­lica del modo in cui si era soliti assistere alle tragedie. Ciò che in­dusse la critica a collegare il nuovo dramma con la tragedia greca fu dunque la semplice figura dell'eroe regale. E per illustrarne in modo adeguato il carattere peculiare non si potrà far di meglio che citare la famosa definizione di Opitz, formulata del resto nello sti­le stesso del dramma.

«La tragedia è per maestà conforme al poema eroico, tal che di rado sopporta che si introducano personaggi di infimo ceto e cose brutte: perché essa tratta soltanto di regali voleri, colpi mortali, disperazioni, figli e parricidi, incendi, oltraggi del sangue, di guer­ra e di rivolta, di lamenti, di singhiozzi, di sospiri e simili»8

• Può darsi che il moderno studioso di estetica non sia portato sulle pri-

6 SIGMUND VON BIRKEN, Teutsche Rede-bind- und Dicht-Kunrt [Retorica e poetica tede­sche] Niirnberg r679, p. 336. [Wir Christen sollen gleichwie in allen unsren Verrichrun­gen also-auch im Schauspid-schreiben und Schauspielen das einige Absehen haben daB Gott damit geeh:ret und der Neben-Mensch zum Guten moge bdehrt werden].

7 Cfr. WILHELM DILTHEY, Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation. Abhandlungen zur Geschichte der Philosophie und Religion, Leipzig-Berlin r92 3, p. 445; trad. it. L'analisi dell'uomo e l'intuizione della natura dal Rinascimento al se­colo XVIII, a cura di C. Sanna, Venezia r927, vol. Il, pp. 245 sgg.

• MARTIN OPITZ, Prosodia Germanica, Oder Buch von der Deudschen Poeterey [Prosodia germanica, ovvero il libro della poesia tedesca] Franckfurt am Miiyn, s. d. [r65o circa], pp. 30 sgg. (Die TragOdie ist an der majestet dem Heroischen gedichte gem~e ohne das sie selten leidet das man geringen standes personen und schlechte sachen einfiihre: weil sie nur von koniglichem willen todschlagen verzweifflungen kinder und viitermorden brande blutschanden kriege und auffruhr klagen heulen seuffzten und dergleichen handelt].

Dramma e tragedia (I) 3 7

me ad apprezzare molto questa definizione, che sembra offrire una semplice delimitazione della materia tragica. E infatti essa non è mai stata considerata significativa. Senonché, questa apparenza è ingannevole. Opitz non dice espressamente - e non lo dice perché per la sua epoca era cosa ovvia - che gli eventi citati sono in realtà non tanto la materia, bensf il vero nucleo estetico del dramma. Il contenuto del dramma stesso, il suo oggetto proprio è invece la vita storica cosi come la sua epoca se la rappresenta~a. E in que­sto si distingue dalla tragedia, il cui oggetto non è la storia bensf il mito, e in cui le dramatis personae derivano il loro rango tragico non dal ceto - la regalità assoluta - ma dalla preistoria della loro stirpe, dal loro passato eroico. Agli occhi di Opitz, non è la lotta con Dio o col destino, o l'attualizzazione di un passato antichissi­mo quale cifra profonda della comunità popolare, a fare del mo­narca il vero protagonista del dramma, bensf la conservazione del­le virtu principesche e la messa in scena dei principeschi vizi, la gestione degli intrighi diplomatici e le manovre dell'alta politica. Il sovrano in quanto primo esponente della storia è il piu autore­v?le candidato ad incarnarla. In modo rudimentale, la partecipa­ziOne al corso attuale della storia del mondo affiora di continuo anche negli scritti di poetica. «Chi vuoi scrivere tragedie- si leg­ge nella Alleredelste Beschii/tigung [La piu nobile di tutte le occu­pazioni] di Rist- dev'essere mirabilmente competente di storia e di libri di storia, dei vecchi come dei nuovi, deve sapere a fondo delle cose del mondo e dello stato, che son quelle che costituisco­no la politica vera e propria ... sapere quale sia lo stato d'animo di un re o di un principe, sia nei tempi di guerra sia nei tempi di pa­ce, come si governino i paesi e le genti presso i quali si conserva la sovranità, quali dannosi consigli vadano respinti, a quali espedienti occorra far ricorso quando si esercita la sovranità, quali altri va­dano respinti o addirittura spazzati via; insomma, egli deve cono­scere l'arte di governo a menadito come la sua lingua madre»9• Si credeva che il dramma fosse già lf, tangibile e concreto, nel corso

'JOHANN RIST, Die Aller Edelste Belustigung Kunst- und Tugendliebender Gemuther, Frankfurt r666, pp. 241 sgg. [Wer Tragodien schreiben wil muB in Historien oder Ge­schicht-Biichem, so wol der Alten als Neuen trefflich seyn beschlagen er muB die Wdt­und Staats-Handel als worinn die eigentliche Politica bestehet griindlich wissen .... wissen wie einem Konige oder Fiirsten zu muthe sey so wol zu Krieges- als Friedens-Zeiten wie man Land und Leute regieren bey dem Regiment sich erhalten allen schiidlichen Rat­schlagen steuren was man fiir Griffe miisse gebrauchen wann man sich ins Regiment drin­gen andere verjagen ja wol gar auB dem Wege riiumen wolle. In Summa die Regier-Kunst muB er so fertig als seine Muttersprache verstehen].

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Il dramma barocco tedesco

stesso della storia: bastava semplicemente trovare le parole. Ma anche cosf non ci si decideva a sentirsi liberi. Anche se Haugwitz era il meno dotato tra i drammaturghi barocchi, anzi l'unico a non essere dotato affatto, attribuire le note della sua Maria Stuarda a pura imperizia significherebbe ~sconoscere la te~nica. ~el dram­ma in generale. Egli si lamenta di aver avuto a dispos1z~one, n:l redigere l'opera, un'unica fonte- lo Hoher Trauers~l di Francl­scus Erasmus- tanto da essere stato costretto «a segmre troppo da vicino le parole del traduttore»10

• Il medesimo atteggiamento. por­ta in Lohenstein, a un corpus di note che compete per amp1ezza c;n il testo dei drammi, e, nelle note finali del Papinian di Gryphius - che gli è anche qui superiore nello spirito e nella forma - alle pa­role: «Tanto per questa volta. Ma perché tanto? Quel che ho scrit­to è inutile per i dotti, per gli ignoranti è ancora troppo poc0»1 ~. Come oggi la parola «tragico», cosi, e a maggior ragione nel Sel­cento il termine Trauerspiel si riferiva ugualmente all'opera tea­trale~ alla realtà storica. Persino lo stile testimonia quanto le due cose fossero vicine nella coscienza dei contemporanei. Quello che si è soliti bollare come« ampolloso» nelle pièces teatrali, si potrebbe descrivere in molti casi con le stesse parole con cui Erdmanns­dorffer caratterizza il tono delle fonti storiche in quei decenni: «In tutti i documenti che parlano di guerra e dei disastri della guerra si avverte una ridondanza di toni lamentosi, quasi piagnucolosi, che tende a diventare maniera; un continuo, per cosf dire, torcer­si le mani, è diventato ovunque il modo di esprimersi abituale. Mentre la miseria, per quanto grande, aveva tuttavia mutevoli gra­di, per descriverla gli scritti del tempo quasi non conosco~o le sfu­mature»12. L'adeguarsi della scena teatrale a quella stor1ca com­portava una conseguenza radicale: che all'esercizio della poesia avrebbe dovuto essere chiamato in primo luogo lo stesso manda­tario dei destini storici. Ecco allora come esordisce il prologo di Opitz alle Troiane: «Comporre drammi è stato in passato o~cupa­zione di imperatori, principi, grandi eroi e persone esperte di mon-

10 AUGUST ADOLPH voN HAUGWITZ, Prodromus Poeticus, Oder: Poetischer Vortrab [Pro­dromus Poeticus, ovvero: L'Avanguardia poetica], Dresden .. x684, p. 78. [Colpev?l~ inno­cenza. Ovvero Maria Stuarda, Regina eli Scozia]. [ ... an defi Ubersetzers cles FranClSCI W or· te allzusehr habe binden miissen]. .

11 ANDREAS GRYPHIUS, Trauerspiele, a cura eli H. Palm, Tiibingen x.88z, p. 635 (Amiqus Pau/us Papinianus, note). [Und so viel vor diesesmal. Warum aber so vtel? Gelehreten w~rd clieses umsonst geschrieben, ungelehrten ist es noch.zu wenig]. .. . . .

12 BERNHARD ERDMANNSOORFFER, Deutsche Geschzchte vom West/alischen Fneden b1s zum Regierungsantritt Friedrich's des Groften, r684-I740, Berlin x892, vol. l, p. xo2.

Dramma e tragedia (r) .39

do. In questa schiera, Giulio Cesare nella sua giovenru affrontò il tema di Edipo, Augusto quello di Achille ed Ajace, Mecenate quel­lo di Prometeo, Cassio Severo Parmense, Pomponio Secondo, Ne­rone e altri ancora temi dello stesso genere»13

• Klai segue Opitz e sostiene che «non è difficile dimostrare coine anche il comporre drammi sia stato proprio degli imperatori, dei principi, dei grandi eroi e delle persone esperte del mondo, ma non di gente volgare»14 •

Senza spingersi fino a queste esagerazioni, anche Harsdorffer, ami­co e maestro di Klai, prospetta una serie di corrispondenze, un po' nebulose, tra i vari ceti e le varie forme teatrali: corrispondenze che riguardano la materia scenica come anche i lettori, gli attori e gli autori stessi. Tra i vari ceti, a quello contadino corrisponde al­lora il dramma pastorale, a quello borghese la commedia, a quello principesco non solo il romanzo ma anche il dramma. Ma queste teorie finivano per avere un loro «rovescio» buffonesco. Gli in­trighi di stato sconfinavano sull'arena letteraria, Hunold e Wer­nicke si accusano a vicenda presso il re di Spagna e d'Inghilterra.

Il sovrano rappresenta la storia. Tiene in mano l'accadere sto­rico come uno scettro. Questa concezione è tutt'altro che una pre­rogativa della gente di teatro. Alla sua base sta infatti una teoria giuridica dello stato. Attraverso un ultimo confronto con le teo­rie giuridiche del Medioevo, il XVII secolo vide formarsi un nuo­vo concetto di sovranità. Al centro della disputa vi era il vecchio caso scolastico del tirannicidio. Tra i generi di tirannia che la vec­chia dottrina dello stato distingueva, quello dell'usurpatore era sempre stato trattato in maniera estremamente controversa. La Chiesa lo aveva abbandonato al suo destino, ma si continuava a discutere se il segnale dell'eliminazione dell'usurpatore dovesse venire dal popolo, dall'anti-re, oppure unicamente dalla curia. La presa di posizione della Chiesa non aveva perso d'attualità; pro­prio in un secolo di guer.re di religione il clero si atteneva a una dottrina che gli metteva nelle mani armi efficaci contro i principi

u MARTIN OPITZ, L.Annaei Senecae Tro;anerinnen, Wittenberg x625, p. x. [Trawerspiele tichten ist vorzeiten Keyser Fiirsten grosser Helden wnd Weltweiser Leute thun gewesen. Aus clieser zahl haben Julius Cesar in seiner jugend den Oedipus Augustus den Achilles wnd Ajax Mecenas den Prometheus Cassius Severus Parmensis, Pomponius Secundus Ne­ro wnd andere sonsten was dergleichen vor sich genommen].

"JOHANN KLAI, cit. in KARL WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsactionen. Ein Beitrag zur Geschichte des deutschen Theaters, Wien 1854, p. 14. [ ... es sei unschwer zu erweisen, wie selbst das Trauerspielclichten nur der Kaiser, Fiirsten, groBer Helden und Weltwei­sen, nicht aber schlechter Leute Thun gewesen].

Page 74: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

stesso della storia: bastava semplicemente trovare le parole. Ma anche cosf non ci si decideva a sentirsi liberi. Anche se Haugwitz era il meno dotato tra i drammaturghi barocchi, anzi l'unico a non essere dotato affatto, attribuire le note della sua Maria Stuarda a pura imperizia significherebbe ~sconoscere la te~nica. ~el dram­ma in generale. Egli si lamenta di aver avuto a dispos1z~one, n:l redigere l'opera, un'unica fonte- lo Hoher Trauers~l di Francl­scus Erasmus- tanto da essere stato costretto «a segmre troppo da vicino le parole del traduttore»10

• Il medesimo atteggiamento. por­ta in Lohenstein, a un corpus di note che compete per amp1ezza c;n il testo dei drammi, e, nelle note finali del Papinian di Gryphius - che gli è anche qui superiore nello spirito e nella forma - alle pa­role: «Tanto per questa volta. Ma perché tanto? Quel che ho scrit­to è inutile per i dotti, per gli ignoranti è ancora troppo poc0»1 ~. Come oggi la parola «tragico», cosi, e a maggior ragione nel Sel­cento il termine Trauerspiel si riferiva ugualmente all'opera tea­trale~ alla realtà storica. Persino lo stile testimonia quanto le due cose fossero vicine nella coscienza dei contemporanei. Quello che si è soliti bollare come« ampolloso» nelle pièces teatrali, si potrebbe descrivere in molti casi con le stesse parole con cui Erdmanns­dorffer caratterizza il tono delle fonti storiche in quei decenni: «In tutti i documenti che parlano di guerra e dei disastri della guerra si avverte una ridondanza di toni lamentosi, quasi piagnucolosi, che tende a diventare maniera; un continuo, per cosf dire, torcer­si le mani, è diventato ovunque il modo di esprimersi abituale. Mentre la miseria, per quanto grande, aveva tuttavia mutevoli gra­di, per descriverla gli scritti del tempo quasi non conosco~o le sfu­mature»12. L'adeguarsi della scena teatrale a quella stor1ca com­portava una conseguenza radicale: che all'esercizio della poesia avrebbe dovuto essere chiamato in primo luogo lo stesso manda­tario dei destini storici. Ecco allora come esordisce il prologo di Opitz alle Troiane: «Comporre drammi è stato in passato o~cupa­zione di imperatori, principi, grandi eroi e persone esperte di mon-

10 AUGUST ADOLPH voN HAUGWITZ, Prodromus Poeticus, Oder: Poetischer Vortrab [Pro­dromus Poeticus, ovvero: L'Avanguardia poetica], Dresden .. x684, p. 78. [Colpev?l~ inno­cenza. Ovvero Maria Stuarda, Regina eli Scozia]. [ ... an defi Ubersetzers cles FranClSCI W or· te allzusehr habe binden miissen]. .

11 ANDREAS GRYPHIUS, Trauerspiele, a cura eli H. Palm, Tiibingen x.88z, p. 635 (Amiqus Pau/us Papinianus, note). [Und so viel vor diesesmal. Warum aber so vtel? Gelehreten w~rd clieses umsonst geschrieben, ungelehrten ist es noch.zu wenig]. .. . . .

12 BERNHARD ERDMANNSOORFFER, Deutsche Geschzchte vom West/alischen Fneden b1s zum Regierungsantritt Friedrich's des Groften, r684-I740, Berlin x892, vol. l, p. xo2.

Dramma e tragedia (r) .39

do. In questa schiera, Giulio Cesare nella sua giovenru affrontò il tema di Edipo, Augusto quello di Achille ed Ajace, Mecenate quel­lo di Prometeo, Cassio Severo Parmense, Pomponio Secondo, Ne­rone e altri ancora temi dello stesso genere»13

• Klai segue Opitz e sostiene che «non è difficile dimostrare coine anche il comporre drammi sia stato proprio degli imperatori, dei principi, dei grandi eroi e delle persone esperte del mondo, ma non di gente volgare»14 •

Senza spingersi fino a queste esagerazioni, anche Harsdorffer, ami­co e maestro di Klai, prospetta una serie di corrispondenze, un po' nebulose, tra i vari ceti e le varie forme teatrali: corrispondenze che riguardano la materia scenica come anche i lettori, gli attori e gli autori stessi. Tra i vari ceti, a quello contadino corrisponde al­lora il dramma pastorale, a quello borghese la commedia, a quello principesco non solo il romanzo ma anche il dramma. Ma queste teorie finivano per avere un loro «rovescio» buffonesco. Gli in­trighi di stato sconfinavano sull'arena letteraria, Hunold e Wer­nicke si accusano a vicenda presso il re di Spagna e d'Inghilterra.

Il sovrano rappresenta la storia. Tiene in mano l'accadere sto­rico come uno scettro. Questa concezione è tutt'altro che una pre­rogativa della gente di teatro. Alla sua base sta infatti una teoria giuridica dello stato. Attraverso un ultimo confronto con le teo­rie giuridiche del Medioevo, il XVII secolo vide formarsi un nuo­vo concetto di sovranità. Al centro della disputa vi era il vecchio caso scolastico del tirannicidio. Tra i generi di tirannia che la vec­chia dottrina dello stato distingueva, quello dell'usurpatore era sempre stato trattato in maniera estremamente controversa. La Chiesa lo aveva abbandonato al suo destino, ma si continuava a discutere se il segnale dell'eliminazione dell'usurpatore dovesse venire dal popolo, dall'anti-re, oppure unicamente dalla curia. La presa di posizione della Chiesa non aveva perso d'attualità; pro­prio in un secolo di guer.re di religione il clero si atteneva a una dottrina che gli metteva nelle mani armi efficaci contro i principi

u MARTIN OPITZ, L.Annaei Senecae Tro;anerinnen, Wittenberg x625, p. x. [Trawerspiele tichten ist vorzeiten Keyser Fiirsten grosser Helden wnd Weltweiser Leute thun gewesen. Aus clieser zahl haben Julius Cesar in seiner jugend den Oedipus Augustus den Achilles wnd Ajax Mecenas den Prometheus Cassius Severus Parmensis, Pomponius Secundus Ne­ro wnd andere sonsten was dergleichen vor sich genommen].

"JOHANN KLAI, cit. in KARL WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsactionen. Ein Beitrag zur Geschichte des deutschen Theaters, Wien 1854, p. 14. [ ... es sei unschwer zu erweisen, wie selbst das Trauerspielclichten nur der Kaiser, Fiirsten, groBer Helden und Weltwei­sen, nicht aber schlechter Leute Thun gewesen].

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40 Il dramma barocco tedesco

ostili. Le pretese teocrati~e ~ ~uella. dott:ina era~o resp~nte d~ protestantesimo, che con l ucclSlone di Enr1co ~V~ Francra ~a~­se definitivamente alla berlina. E con la pubblicazione degli arti­coli gallicani del r682 cad?e anche _I'ultin:o. ~~uardo della dottri­na teocratica dello stato: l assoluta mtang1bilita del sovrano che la curia aveva difeso con tanto accanimento. Questa dottrina estre­mista del potere sovrano era, nelle sue origini controriformiste, piu acuta e profonda della sua riformulazione moderna. Se~ mo­derno concetto di sovranità porta al supremo potere esecutivo d.a parte del principe, qu:llo b~occo si sv~uppa a p~e .da 1;ma di­scussione sullo stato d1 ecceziOne, e attnbwsce al prmcrpe il com­pito supremo di ev~tarlo15 • Chi e~ercita il do~o è .destinato fin dall'inizio a essere il detentore di un potere dittatoriale nello sta­to d'eccezione, ove questo sia determinato dalla guerra? dali~ r~­volta o da altre catastrofi. Questa concezione è contronformlstl­ca. Dal ricco sentimento vitale proprio del Rinascimento si eman­cipa il suo elemento dispotico-mondano, per sviluppare fino alle estreme conseguenze l'idea di una stabilità assoluta, di una piena restaurazione insieme ecclesiastica e statale. Una di queste conse­guenze è l'esigenza di-un principato il cui status giuridico-politico garantisca la continuità di quella vita associata che fiorisce attra­verso le armi e le scienze, le arti e il clero. La mentalità giuridico­teologica che contraddistingue l'intero secolo16 esprime quella ten­sione irrisolta verso la trascendenza che sta alla base del Barocco e dei suoi accenti provocatoriamente mondani. Perché all'ideale storico della Restaurazione si contrappone frontalmente, nel Ba­rocco, l'idea di catastrofe. E proprio su questa antitesi viene co­niata la teoria dello stato d'eccezione. Cosi, se si vuole spiegare come mai «la viva coscienza del significato del caso eccezionale, che domina il giusnaturalismo del XVII secolo»17

, vada in seguito perduta, non sarà sufficiente ~amar~ in c~usa la maggior: st~~i­lità politica del secolo successivo. Se infatti «per Kant ... il dmt­to d'eccezione non è piu affatto un diritto»18

, ciò dipende dal suo razionalismo teologico. L'uomo religioso del Barocco si aggrappa tantò al mondo perché si sente trascinato insieme còn esso verso

" Cfr. CARL scHMITT, Politische Theologie. Vier K.apite/ zur Lehre von der Souveriinitiit, Miinchen-Leipzig 1922, pp. II sgg.

16 Cfr. AUGUST KOBERSTEIN Geschichte der deutschen Nationailiteratur vom An/ang des siebzehnten bis zum zweiten Vierlel des achtzehnten ]ahrhunderts, Leipzig 1872, p. 15.

17 scHMITT, Politische Theologie cit., p. 14. "Ibid.

Dramma e tragedia (I) 41

una cataratta. Non esiste alcuna escatologia barocca, ma un mec­canismo che accumula ed esalta i frutti della terra prima di con­segnarli alla morte. L'aldilà è svuotato di tutto ciò in cui spii-a il benché minimo alito di mondo, e ad esso il Barocco strappa una quantità di cose che prima si sottraevano a ogni raffigurazione [Ge­staltung] per portarle alla luce, al suo culmine, con drastica vio­lenza: resta cosi sgombro un ultimo cielo, un puro vuoto che po­trà annientare dentro di sé, con catastrofica violenza, la terra. Al­la stessa situazione allude, in altri termini, la tesi secondo cui il naturalismo barocco sarebbe «l'arte delle minime distanze ... In ogni caso il mezzo naturalistico serve ad abbreviare le distanze ... Proprio per poter riguadagnare di slancio le sublimità della forma e i vestiboli del metafisica, esso cerca di far leva sul terreno degli oggetti e dell'attualità piu vivente»19

• Le forme esaltate del bi­zantinismo barocco non rinnegano dunque la tensione tra mon­do e trascendenza. Hanno un suono inquieto e la sazietà di un compiuto emanatismo è loro estranea. La prefazione agli Helden­briefe [Lettere degli eroi] dice: «Nutro la consolante fiducia che non sia considerato troppo ostilmente il mio ardire, di aver io rin­novellato quei moti amorosi da lungo tempo svaniti di alcune illu­stri casate che io devotamente onoro, e sono anzi pronto a vene­rare, se non è contrario a Iddio»20

• Insuperabile è Birken: quanto piu in alto stanno i personaggi, tanto piu agevole è tesserne la lo­de: «che spetta eminentemente a Dio e ai pii dèi terreni»21 • Non sarà per caso un equivalente piccolo borghese dei cortei regali di­pinti da Rubens? «<n essi il principe appare non solo come l'eroe di un antico trionfo, ma è anche posto in rapporto diretto con es- . seri divini, èhe lo servono e lo festeggiano: ed è cosi divinizzato egli stesso. Personaggi terrestri e celesti si mescolano nel suo seguito, subordinandosi alla stessa idea di glorificazione»22 • Ma quest'ulti­ma rimane pagana. Nel dramma barocco il monarca e i martiri non si sottraggono all'immanenza. All'iperbole teologica si aggiunge

"HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 42. 20

CHRISTIAN HOFMANN VON HOFMANNSWALDAU, He/den-Briefe, Leipzig-Bre.Blau 168o, pp. 8 sgg. [Wie ich denn der trostlichen Zuversicht lebe es werde meine Kiihnheit daB ich etlicher erlauchten Hiiuser die ich unterthiinigst ehre auch dafern es nicht wieder Gott we­re anzubeten bereit bin, liingstverrauchte Liebes Regungen zuerfrischen mich unterstan­den nicht allzufeindseelig angesehen werden].

21 BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunst cit., p. 242. [ ... als welches fiirnemlich

Gott und frommen ErdGOttern gebiihret]. 22 [Fonte ignota. L'indicazione fornita da Benjamin (WBRNBR WBISBACH, Der Barock

als Kunst der Gegenreformation, Berlin 192 x) è erronea perché il passo non si trova in que­sto libro].

Page 76: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

40 Il dramma barocco tedesco

ostili. Le pretese teocrati~e ~ ~uella. dott:ina era~o resp~nte d~ protestantesimo, che con l ucclSlone di Enr1co ~V~ Francra ~a~­se definitivamente alla berlina. E con la pubblicazione degli arti­coli gallicani del r682 cad?e anche _I'ultin:o. ~~uardo della dottri­na teocratica dello stato: l assoluta mtang1bilita del sovrano che la curia aveva difeso con tanto accanimento. Questa dottrina estre­mista del potere sovrano era, nelle sue origini controriformiste, piu acuta e profonda della sua riformulazione moderna. Se~ mo­derno concetto di sovranità porta al supremo potere esecutivo d.a parte del principe, qu:llo b~occo si sv~uppa a p~e .da 1;ma di­scussione sullo stato d1 ecceziOne, e attnbwsce al prmcrpe il com­pito supremo di ev~tarlo15 • Chi e~ercita il do~o è .destinato fin dall'inizio a essere il detentore di un potere dittatoriale nello sta­to d'eccezione, ove questo sia determinato dalla guerra? dali~ r~­volta o da altre catastrofi. Questa concezione è contronformlstl­ca. Dal ricco sentimento vitale proprio del Rinascimento si eman­cipa il suo elemento dispotico-mondano, per sviluppare fino alle estreme conseguenze l'idea di una stabilità assoluta, di una piena restaurazione insieme ecclesiastica e statale. Una di queste conse­guenze è l'esigenza di-un principato il cui status giuridico-politico garantisca la continuità di quella vita associata che fiorisce attra­verso le armi e le scienze, le arti e il clero. La mentalità giuridico­teologica che contraddistingue l'intero secolo16 esprime quella ten­sione irrisolta verso la trascendenza che sta alla base del Barocco e dei suoi accenti provocatoriamente mondani. Perché all'ideale storico della Restaurazione si contrappone frontalmente, nel Ba­rocco, l'idea di catastrofe. E proprio su questa antitesi viene co­niata la teoria dello stato d'eccezione. Cosi, se si vuole spiegare come mai «la viva coscienza del significato del caso eccezionale, che domina il giusnaturalismo del XVII secolo»17

, vada in seguito perduta, non sarà sufficiente ~amar~ in c~usa la maggior: st~~i­lità politica del secolo successivo. Se infatti «per Kant ... il dmt­to d'eccezione non è piu affatto un diritto»18

, ciò dipende dal suo razionalismo teologico. L'uomo religioso del Barocco si aggrappa tantò al mondo perché si sente trascinato insieme còn esso verso

" Cfr. CARL scHMITT, Politische Theologie. Vier K.apite/ zur Lehre von der Souveriinitiit, Miinchen-Leipzig 1922, pp. II sgg.

16 Cfr. AUGUST KOBERSTEIN Geschichte der deutschen Nationailiteratur vom An/ang des siebzehnten bis zum zweiten Vierlel des achtzehnten ]ahrhunderts, Leipzig 1872, p. 15.

17 scHMITT, Politische Theologie cit., p. 14. "Ibid.

Dramma e tragedia (I) 41

una cataratta. Non esiste alcuna escatologia barocca, ma un mec­canismo che accumula ed esalta i frutti della terra prima di con­segnarli alla morte. L'aldilà è svuotato di tutto ciò in cui spii-a il benché minimo alito di mondo, e ad esso il Barocco strappa una quantità di cose che prima si sottraevano a ogni raffigurazione [Ge­staltung] per portarle alla luce, al suo culmine, con drastica vio­lenza: resta cosi sgombro un ultimo cielo, un puro vuoto che po­trà annientare dentro di sé, con catastrofica violenza, la terra. Al­la stessa situazione allude, in altri termini, la tesi secondo cui il naturalismo barocco sarebbe «l'arte delle minime distanze ... In ogni caso il mezzo naturalistico serve ad abbreviare le distanze ... Proprio per poter riguadagnare di slancio le sublimità della forma e i vestiboli del metafisica, esso cerca di far leva sul terreno degli oggetti e dell'attualità piu vivente»19

• Le forme esaltate del bi­zantinismo barocco non rinnegano dunque la tensione tra mon­do e trascendenza. Hanno un suono inquieto e la sazietà di un compiuto emanatismo è loro estranea. La prefazione agli Helden­briefe [Lettere degli eroi] dice: «Nutro la consolante fiducia che non sia considerato troppo ostilmente il mio ardire, di aver io rin­novellato quei moti amorosi da lungo tempo svaniti di alcune illu­stri casate che io devotamente onoro, e sono anzi pronto a vene­rare, se non è contrario a Iddio»20

• Insuperabile è Birken: quanto piu in alto stanno i personaggi, tanto piu agevole è tesserne la lo­de: «che spetta eminentemente a Dio e ai pii dèi terreni»21 • Non sarà per caso un equivalente piccolo borghese dei cortei regali di­pinti da Rubens? «<n essi il principe appare non solo come l'eroe di un antico trionfo, ma è anche posto in rapporto diretto con es- . seri divini, èhe lo servono e lo festeggiano: ed è cosi divinizzato egli stesso. Personaggi terrestri e celesti si mescolano nel suo seguito, subordinandosi alla stessa idea di glorificazione»22 • Ma quest'ulti­ma rimane pagana. Nel dramma barocco il monarca e i martiri non si sottraggono all'immanenza. All'iperbole teologica si aggiunge

"HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 42. 20

CHRISTIAN HOFMANN VON HOFMANNSWALDAU, He/den-Briefe, Leipzig-Bre.Blau 168o, pp. 8 sgg. [Wie ich denn der trostlichen Zuversicht lebe es werde meine Kiihnheit daB ich etlicher erlauchten Hiiuser die ich unterthiinigst ehre auch dafern es nicht wieder Gott we­re anzubeten bereit bin, liingstverrauchte Liebes Regungen zuerfrischen mich unterstan­den nicht allzufeindseelig angesehen werden].

21 BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunst cit., p. 242. [ ... als welches fiirnemlich

Gott und frommen ErdGOttern gebiihret]. 22 [Fonte ignota. L'indicazione fornita da Benjamin (WBRNBR WBISBACH, Der Barock

als Kunst der Gegenreformation, Berlin 192 x) è erronea perché il passo non si trova in que­sto libro].

Page 77: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

n dramma barocco tedesco

un'argomentazione cosmologica assai diffusa: il paragone tra il principe e il sole ricorre innumerevoli volte attraverso la lettera­tura dell'epoca. E con questo s'intende sottolineare l'unicità di questa istanza suprema:

Wer iemand auf den thron An seine seiten setzt, ist wiirdig, daB man cron Und purpur ihm entzieh. Ein fiirst und eine sonnen Sind vor die welt und reich2

'.

Der Rimmel kan nur eine Sonne leiden Zwey konnen nicht im Thron' und Eh-Bett weiden24

Cosi dice l'Ambizione [Ehnucht] nella Mariamne di Hallmann. Con quanta facilità questa metafora potesse poi estendersi dalla definizione giuridica del singolo potere sovrano a un ideale gran­dioso di sovranità cosmica - un ideale tanto congeniale alla pas­sione teocratica barocca, quanto incompatibile con la sua ragion di stato - lo si apprende da una notevole osservazione dell'Idea de un principe politico cristiano representada en cien empresas di Saavedra Fajardo. A proposito di un'incisione allegorica raffigu­rante un'eclisse solare con la dicitura Praesentia nocet (se. lunae) si spiega come i principi debbano evitare la vicinanza reciproca'. «I principi mantengono vicendevolmente una buona amicizia per mezzo dei loro subalterni e mediante lettere; ma là dove, a pro­posito di qualche cosa, vogliono tra loro discutere, ben presto, dalla presenza deriva sospetto e ripugnanza, poiché l'uno non trova nell'altro ciò che aveva immaginato ci fosse, e nessuno di loro giudica se stesso, poiché comunemente non c'è uno di loro che piu di quanto per diritto gli spetta essere non voglia. L'in­contro e la presenza dei principi è una guerra permanente, nel­la quale si lotta soltanto per la propria pompa e ciascuno vuoi avere il sopravvento e lotta contro l'altro per ottenere la vitto­ria»25.

"GRYPHIUS, Trrmerspiele cit., p. 6x (Leo Armenius, II, pp. 433 sgg.). [Chi metta qual­cuno su un trono l Al fianco suo, è degno che gli si tolga l Porpora e corona. Un solo prin­cipe e un solo sole l Vi sono per il mondo e per i regni].

24 JOHANN CHRISTIAN HAU.MANN, Trauer- Freuden- und Schàffer-Spiele [Drammi, com­medie e drammi pastorali] Breillau, s. d. [I684], p. I7 [Die beleidigte Liebe oder die groftmu­tige Mariamne]. [Il cielo può tollerare un solo sole, l Due non possono pascolare in trono e nel letto nuziale].

" DIEGO SAA VEDRA FAJARDO, Abris Eines Christlich-Politischen Printzens, Coloniae I 67 4, p. 897. [Die Fiirsten die erhalten vntereinander gute freundtschafft vermittelst deroselbi­gen bedienten vnd brieffen; wo sie sich aber wollen wegen einiger sachen selbsten vnter einander bereden alsobaldt entstehen nur auB dem angesicht allerhand verdacht vnd wie-

Dramma e tragedia (r) 43

Di qui.la predilezione per la storia orientale, dove la monarchia ~ssoluta s~ presentava c_on uno sf~o ignoto all'Occidente. Cosi, m Catharzna von Georgzen, Gryphius ricorre allo scià di Persia e Lohenstein, nel primo e nell'ultimo dei suoi drammi, al sultana~o. Ma la parte principale è riservata all'impero bizantino che aveva ~asi teocratiche. Cominciò a quell'epoca «la scoperta'e lo studio s1~tem~ti~o .della _le~teratura bizantina ... con le gr aridi edizioni de­gli storici btzantml ... ad ope.ra di eruditi francesi come Du Can­ge, Combefis, Maltrait e altri»26. Questi storici, specialmente Ce­dreno e Zo.n~a •. erano molto letti, e forse non solo per le sangui­nose descr1z1om che costellavano le loro cronache sul destino d~~'imp~ro ro~ano d'Or~ente, ma anche per il gusto delle imma­gini esotiche. L Influsso d1 queste fonti continuò a crescere nel cor­so del xvn e ~nc?e del xvm secolo. Poiché quanto piu, sul finire del barocco, il tiranno del Trauerspiel andava trasformandosi in comprima?o! per tr~:>vare quindi una fine non ingloriosa nelle far­se v1ennes1 di Stramtzky, tanto piu adatte si dimostravano le cro­nache, grondanti efferatezze, della seconda Roma. La parola d'or­dine è ~llora: « S.i imp~cc~, si bruci, si arroti, grondi di sangue e anneghi nello Stlge chi c1 offende (fa di tutto un mucchio e se ne va adirato) »17

• Oppure: «Fiorisca la giustizia domini la crudeltà trionfin? il delitto .e la tirannia, affinché Ven~eslao possa salire s~ cadaveri grondanti come fossero gradini verso il suo trono vitto­rioso»28. A quello che era l'epilogo delle Haupt- und Staatsaktio­nen29 nell'opera nordica corrisponde questo finale vi ennese nel se-

d~rwillen dan .es findet einer in dem anderen das jenige nit was er ihm eingebildet auch ~emandt a~ ihnen ermist sich selbsten weil gemeiniglich keiner auB ihnen nit ist welcher rut mehr al~ ihm von rechts wegen zukombt seyn will. Die Fiirstliche zusammenkunfft vnd g~ge~w:u-t tst ein immerwehrender krieg in welchem man nur vmb die gepreng streitet vnd wil em Jeder den vorzug haben vnd streitet mit dem anderen vmb den Sieg].

26 KARL KR~ACHER, Die griechische Literatur des Mittelalters, in Die Kultur der Ge­

g~art. Ihre En~zcklun~ und ihre Zie/e, a cura di P. Hinneberg, parte I, sezione 8: Die grie­chtSc~e und latezmsch~ Ltteratu_r und Sprache, Leipzig-Berlin I9I 2, p. 367.

. [ANoNIMo], Dze. G(orrezche Marter ]oannes von Nepomuck [Il glorioso martire Gio­v~nru Nepomuceno] ~~t. m WEiss! Die Wiener Haupt- und Staatsactionen cit., p. 1 54. [Man h~e brenne;! man. radere, es trleffe in bluth und ersauffe im Styx wer Uns beleidiget. (Wirfft alles uber em hauffen und geht zornig ab)].

28 Ibid., p. I 20. [Es bl~e die gerechtigkeit, es hersche die grausambkeit, es triumphi· re Mo;d un~ tyranney, darrut W_enceslaus auf bluthschaumenden leichen statt der _stuffen auf setnen Steghafften thron stetgen konne].

:• [Haupt- ~n4Staats~~tion. (l~tt.: azione principale e di stato). Il termine- coniato con funztone spre~pattva. d~ illum~rusta G~ttsche~ - designa i drammi in voga intorno al x 700

ne~a Germarua mendionale e m.A?st:ta (specte a Vienna), prodotti epigonali e popolare­schi del teatro barocco. Haupt· st rifertsce al fatto che esst costituivano lo spettacolo prin-

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n dramma barocco tedesco

un'argomentazione cosmologica assai diffusa: il paragone tra il principe e il sole ricorre innumerevoli volte attraverso la lettera­tura dell'epoca. E con questo s'intende sottolineare l'unicità di questa istanza suprema:

Wer iemand auf den thron An seine seiten setzt, ist wiirdig, daB man cron Und purpur ihm entzieh. Ein fiirst und eine sonnen Sind vor die welt und reich2

'.

Der Rimmel kan nur eine Sonne leiden Zwey konnen nicht im Thron' und Eh-Bett weiden24

Cosi dice l'Ambizione [Ehnucht] nella Mariamne di Hallmann. Con quanta facilità questa metafora potesse poi estendersi dalla definizione giuridica del singolo potere sovrano a un ideale gran­dioso di sovranità cosmica - un ideale tanto congeniale alla pas­sione teocratica barocca, quanto incompatibile con la sua ragion di stato - lo si apprende da una notevole osservazione dell'Idea de un principe politico cristiano representada en cien empresas di Saavedra Fajardo. A proposito di un'incisione allegorica raffigu­rante un'eclisse solare con la dicitura Praesentia nocet (se. lunae) si spiega come i principi debbano evitare la vicinanza reciproca'. «I principi mantengono vicendevolmente una buona amicizia per mezzo dei loro subalterni e mediante lettere; ma là dove, a pro­posito di qualche cosa, vogliono tra loro discutere, ben presto, dalla presenza deriva sospetto e ripugnanza, poiché l'uno non trova nell'altro ciò che aveva immaginato ci fosse, e nessuno di loro giudica se stesso, poiché comunemente non c'è uno di loro che piu di quanto per diritto gli spetta essere non voglia. L'in­contro e la presenza dei principi è una guerra permanente, nel­la quale si lotta soltanto per la propria pompa e ciascuno vuoi avere il sopravvento e lotta contro l'altro per ottenere la vitto­ria»25.

"GRYPHIUS, Trrmerspiele cit., p. 6x (Leo Armenius, II, pp. 433 sgg.). [Chi metta qual­cuno su un trono l Al fianco suo, è degno che gli si tolga l Porpora e corona. Un solo prin­cipe e un solo sole l Vi sono per il mondo e per i regni].

24 JOHANN CHRISTIAN HAU.MANN, Trauer- Freuden- und Schàffer-Spiele [Drammi, com­medie e drammi pastorali] Breillau, s. d. [I684], p. I7 [Die beleidigte Liebe oder die groftmu­tige Mariamne]. [Il cielo può tollerare un solo sole, l Due non possono pascolare in trono e nel letto nuziale].

" DIEGO SAA VEDRA FAJARDO, Abris Eines Christlich-Politischen Printzens, Coloniae I 67 4, p. 897. [Die Fiirsten die erhalten vntereinander gute freundtschafft vermittelst deroselbi­gen bedienten vnd brieffen; wo sie sich aber wollen wegen einiger sachen selbsten vnter einander bereden alsobaldt entstehen nur auB dem angesicht allerhand verdacht vnd wie-

Dramma e tragedia (r) 43

Di qui.la predilezione per la storia orientale, dove la monarchia ~ssoluta s~ presentava c_on uno sf~o ignoto all'Occidente. Cosi, m Catharzna von Georgzen, Gryphius ricorre allo scià di Persia e Lohenstein, nel primo e nell'ultimo dei suoi drammi, al sultana~o. Ma la parte principale è riservata all'impero bizantino che aveva ~asi teocratiche. Cominciò a quell'epoca «la scoperta'e lo studio s1~tem~ti~o .della _le~teratura bizantina ... con le gr aridi edizioni de­gli storici btzantml ... ad ope.ra di eruditi francesi come Du Can­ge, Combefis, Maltrait e altri»26. Questi storici, specialmente Ce­dreno e Zo.n~a •. erano molto letti, e forse non solo per le sangui­nose descr1z1om che costellavano le loro cronache sul destino d~~'imp~ro ro~ano d'Or~ente, ma anche per il gusto delle imma­gini esotiche. L Influsso d1 queste fonti continuò a crescere nel cor­so del xvn e ~nc?e del xvm secolo. Poiché quanto piu, sul finire del barocco, il tiranno del Trauerspiel andava trasformandosi in comprima?o! per tr~:>vare quindi una fine non ingloriosa nelle far­se v1ennes1 di Stramtzky, tanto piu adatte si dimostravano le cro­nache, grondanti efferatezze, della seconda Roma. La parola d'or­dine è ~llora: « S.i imp~cc~, si bruci, si arroti, grondi di sangue e anneghi nello Stlge chi c1 offende (fa di tutto un mucchio e se ne va adirato) »17

• Oppure: «Fiorisca la giustizia domini la crudeltà trionfin? il delitto .e la tirannia, affinché Ven~eslao possa salire s~ cadaveri grondanti come fossero gradini verso il suo trono vitto­rioso»28. A quello che era l'epilogo delle Haupt- und Staatsaktio­nen29 nell'opera nordica corrisponde questo finale vi ennese nel se-

d~rwillen dan .es findet einer in dem anderen das jenige nit was er ihm eingebildet auch ~emandt a~ ihnen ermist sich selbsten weil gemeiniglich keiner auB ihnen nit ist welcher rut mehr al~ ihm von rechts wegen zukombt seyn will. Die Fiirstliche zusammenkunfft vnd g~ge~w:u-t tst ein immerwehrender krieg in welchem man nur vmb die gepreng streitet vnd wil em Jeder den vorzug haben vnd streitet mit dem anderen vmb den Sieg].

26 KARL KR~ACHER, Die griechische Literatur des Mittelalters, in Die Kultur der Ge­

g~art. Ihre En~zcklun~ und ihre Zie/e, a cura di P. Hinneberg, parte I, sezione 8: Die grie­chtSc~e und latezmsch~ Ltteratu_r und Sprache, Leipzig-Berlin I9I 2, p. 367.

. [ANoNIMo], Dze. G(orrezche Marter ]oannes von Nepomuck [Il glorioso martire Gio­v~nru Nepomuceno] ~~t. m WEiss! Die Wiener Haupt- und Staatsactionen cit., p. 1 54. [Man h~e brenne;! man. radere, es trleffe in bluth und ersauffe im Styx wer Uns beleidiget. (Wirfft alles uber em hauffen und geht zornig ab)].

28 Ibid., p. I 20. [Es bl~e die gerechtigkeit, es hersche die grausambkeit, es triumphi· re Mo;d un~ tyranney, darrut W_enceslaus auf bluthschaumenden leichen statt der _stuffen auf setnen Steghafften thron stetgen konne].

:• [Haupt- ~n4Staats~~tion. (l~tt.: azione principale e di stato). Il termine- coniato con funztone spre~pattva. d~ illum~rusta G~ttsche~ - designa i drammi in voga intorno al x 700

ne~a Germarua mendionale e m.A?st:ta (specte a Vienna), prodotti epigonali e popolare­schi del teatro barocco. Haupt· st rifertsce al fatto che esst costituivano lo spettacolo prin-

Page 79: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

44 Il dramma barocco tedesco

gno della parodia. Bine neue Tragodie, Betitult: Bernardon Die Ge­treue Prinzeftin Pumphia, Und Hanns- Wunt Der tyrannische Tartar­Kulikan, Bine Parodie in liicherlichen Vmen [Una nuova tragedia, intitolata: Bernardone La Fedele Principessa Pumfia, E il Pa­gliaccio n tirannico Culicano dei Tartari, Una parodia in Versi per ridere)3°, col personaggio del tiranno col piede di lepre e della ca­stità che si rifugia nel matrimonio, porta all'assurdo i motivi del grande dramma barocco. Ma anche la farsa viennese potrebbe por­tare come motto un passo di Gradan, da cui risulta come il ruolo del principe debba adattarsi forzatamente ad un modello e alle tin­te estreme:«< re non si giudicano secondo la media. Li si annove­ra tra gli ottimi o tra i pessimi»H.

Ai <<pessimi» si rivolge il dramma imperniato sulla figura del tiranno, e il suo effetto è la paura; agli «ottimi» il dramma marti­rologico, il cui effetto è la compassione. Queste due forme riman­gono curiosamente giustapposte solo finché non si considera l'aspetto giuridico della monarchia barocca. Se seguiamo invece le indicazioni dell'ideologia, esse appariranno strettamente comple­mentari. Il tiranno e il martire sono, nel Barocco, i due volti di Giano della testa coronata. Sono le due modalità estreme, e ne­cessarie, dell'essenza regale. Per quanto riguarda il tiranno, ciò è facilmente comprensibile. La teoria della sovranità, per la quale è esemplare lo stato d'eccezione con le prerogative dittatoriali che ne conseguono, impone senz' altro di intendere la figura del so­vrano nel senso del tiranno. n dramma si preoccupa di attribuire al sovrano il gesto dell'autocrate, e di conferirgli le parole e le mo­venze del tiranno anche là dove la situazione non lo esige; cosf co­me solo in via eccezionale la pompa, la corona e lo scettro non ac­compagnavano l'entrata in scena del sovrano'2• Questo codice del­la regalità - ed è questo l'elemento barocco del quadro - viene mantenuto anche se la figura del sovrano precipita nell'abiezione. I discorsi solenni, con le loro infinite variazioni della massima «la porpora li copre»'\ risultano provocatori, ma si continua a prova-

cipale (cui seguiva uno piu breve, generalmente una farsa), Staats- alla tematica storico-po· lirica].

"'JOSEPH FELIX KURZ, Prinzessin Pumphia, Wien x883, p. x. ,. Lorentz Gratians Staats·kluger Catholischer Ferdinand, aus dem Spanischen iibersetzet

von Danid Caspern von Lohenstein, Brlilllau x676, p. 123. [Konige miBt man nach kei­nem MittelmaBe. Man rechnet sie entweder unter die gar guten oder unter die gar bOsen].

»Cfr. wn.u PLEMMING, Andreas Gryphius und die Biihne, Halle 1921, p. 386. "GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p, 212 (Catharina von Georgien, III, 438).

Dramma e tragedia (1) 45

re per loro un senso di ammirazione anche là dove il loro compito è di coprire il fratricidio, come nel Papinian di Gryphius, o l'ince­sto, come nella Agrippina di Lohenstein, o l'infedeltà, come nella Sophonisbe dello stesso, o l'uxoricidio come nella Mariamne di Hall­mann. Proprio il personaggio di Erode, che compare continua­mente sulle scene teatrali europee dell'epoca'\ è caratteristico per la concezione barocca del tiranno. La sua storia conferiva tratti estremamente avvincenti alla rappresentazione dell'eccesso rega­le. L'età barocca non è la prima, del resto, ad avvertire intorno al­la figura del re un mistero terribile. Prima ancora di diventare, co­me autocrate delirante, un emblema della creazione decaduta, il cristianesimo primitivo lo conosceva già nei tratti, ancora piu spa­ventosi, dell'Anticristo. Tertulliano - e non è l'unico - parla di una setta, gli «Erodiani», che venerava Erode come un messia. Ma la sua vita non è stata solo oggetto di drammi. L'opera latina giovanile di Gryphius - il ciclo di Erode - mostra nel modo piu chiaro che cosa affascinava, nella figura di Erode, gli uomini del suo tempo: l'immagine del sovrano seicentesco, il vertice della crea­zione, nell'atto di esplodere nella sua furia come un vulcano, e di annientare se stesso insieme alla corte che lo circonda. La pittura si compiaceva di raffigurarlo mentre, tenendo tra le mani due neo­nati con l'intenzione di sfracellarli, veniva travolto dalla pazzia. Lo spirito del dramma regale si manifesta chiaramente in questo: che nella fine tipica del re dei Giudei sono intessuti anche i tratti della tragedia martirologica. Se infatti nel tiranno al culmine del­la sua frenesia si rivela la storia e insieme l'istanza che pone un li­mite ai suoi casi mutevoli, a favore del Cesare smarrito nell'eb­brezza del potere depone una sola cosa: vittima della dignità ge­rarchica illimitata di cui Dio lo ha investito, egli ricade.nella miseria della propria condizione umana.

L'antitesi tra l'assolutezza del potere sovrano e la sua effetti­va capacità di governare crea nel dramma una caratteristica pecu­liare, che solo in apparenza è di maniera, e che è possibile mette­re in chiaro solo a partire dalla teoria della sovranità. Si tratta dell'incapacità decisionale del tiranno. Il principe, che ha la facoltà di decidere sullo stato d'eccezione, mostra alla prima occasione che decidere gli è quasi impossibile. Come la pittura dei manieri-

,. Cfr. MARCUS LANDAU, Die Dramen von Herodes und Mariamne, in «Zeitschrift fiir vergleichende Litteratuxgeschichte», n.s., VIII (x895), pp. IJ5·2I2 e 279·.317; n.s., IX (1896), pp. 185·22_3.

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44 Il dramma barocco tedesco

gno della parodia. Bine neue Tragodie, Betitult: Bernardon Die Ge­treue Prinzeftin Pumphia, Und Hanns- Wunt Der tyrannische Tartar­Kulikan, Bine Parodie in liicherlichen Vmen [Una nuova tragedia, intitolata: Bernardone La Fedele Principessa Pumfia, E il Pa­gliaccio n tirannico Culicano dei Tartari, Una parodia in Versi per ridere)3°, col personaggio del tiranno col piede di lepre e della ca­stità che si rifugia nel matrimonio, porta all'assurdo i motivi del grande dramma barocco. Ma anche la farsa viennese potrebbe por­tare come motto un passo di Gradan, da cui risulta come il ruolo del principe debba adattarsi forzatamente ad un modello e alle tin­te estreme:«< re non si giudicano secondo la media. Li si annove­ra tra gli ottimi o tra i pessimi»H.

Ai <<pessimi» si rivolge il dramma imperniato sulla figura del tiranno, e il suo effetto è la paura; agli «ottimi» il dramma marti­rologico, il cui effetto è la compassione. Queste due forme riman­gono curiosamente giustapposte solo finché non si considera l'aspetto giuridico della monarchia barocca. Se seguiamo invece le indicazioni dell'ideologia, esse appariranno strettamente comple­mentari. Il tiranno e il martire sono, nel Barocco, i due volti di Giano della testa coronata. Sono le due modalità estreme, e ne­cessarie, dell'essenza regale. Per quanto riguarda il tiranno, ciò è facilmente comprensibile. La teoria della sovranità, per la quale è esemplare lo stato d'eccezione con le prerogative dittatoriali che ne conseguono, impone senz' altro di intendere la figura del so­vrano nel senso del tiranno. n dramma si preoccupa di attribuire al sovrano il gesto dell'autocrate, e di conferirgli le parole e le mo­venze del tiranno anche là dove la situazione non lo esige; cosf co­me solo in via eccezionale la pompa, la corona e lo scettro non ac­compagnavano l'entrata in scena del sovrano'2• Questo codice del­la regalità - ed è questo l'elemento barocco del quadro - viene mantenuto anche se la figura del sovrano precipita nell'abiezione. I discorsi solenni, con le loro infinite variazioni della massima «la porpora li copre»'\ risultano provocatori, ma si continua a prova-

cipale (cui seguiva uno piu breve, generalmente una farsa), Staats- alla tematica storico-po· lirica].

"'JOSEPH FELIX KURZ, Prinzessin Pumphia, Wien x883, p. x. ,. Lorentz Gratians Staats·kluger Catholischer Ferdinand, aus dem Spanischen iibersetzet

von Danid Caspern von Lohenstein, Brlilllau x676, p. 123. [Konige miBt man nach kei­nem MittelmaBe. Man rechnet sie entweder unter die gar guten oder unter die gar bOsen].

»Cfr. wn.u PLEMMING, Andreas Gryphius und die Biihne, Halle 1921, p. 386. "GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p, 212 (Catharina von Georgien, III, 438).

Dramma e tragedia (1) 45

re per loro un senso di ammirazione anche là dove il loro compito è di coprire il fratricidio, come nel Papinian di Gryphius, o l'ince­sto, come nella Agrippina di Lohenstein, o l'infedeltà, come nella Sophonisbe dello stesso, o l'uxoricidio come nella Mariamne di Hall­mann. Proprio il personaggio di Erode, che compare continua­mente sulle scene teatrali europee dell'epoca'\ è caratteristico per la concezione barocca del tiranno. La sua storia conferiva tratti estremamente avvincenti alla rappresentazione dell'eccesso rega­le. L'età barocca non è la prima, del resto, ad avvertire intorno al­la figura del re un mistero terribile. Prima ancora di diventare, co­me autocrate delirante, un emblema della creazione decaduta, il cristianesimo primitivo lo conosceva già nei tratti, ancora piu spa­ventosi, dell'Anticristo. Tertulliano - e non è l'unico - parla di una setta, gli «Erodiani», che venerava Erode come un messia. Ma la sua vita non è stata solo oggetto di drammi. L'opera latina giovanile di Gryphius - il ciclo di Erode - mostra nel modo piu chiaro che cosa affascinava, nella figura di Erode, gli uomini del suo tempo: l'immagine del sovrano seicentesco, il vertice della crea­zione, nell'atto di esplodere nella sua furia come un vulcano, e di annientare se stesso insieme alla corte che lo circonda. La pittura si compiaceva di raffigurarlo mentre, tenendo tra le mani due neo­nati con l'intenzione di sfracellarli, veniva travolto dalla pazzia. Lo spirito del dramma regale si manifesta chiaramente in questo: che nella fine tipica del re dei Giudei sono intessuti anche i tratti della tragedia martirologica. Se infatti nel tiranno al culmine del­la sua frenesia si rivela la storia e insieme l'istanza che pone un li­mite ai suoi casi mutevoli, a favore del Cesare smarrito nell'eb­brezza del potere depone una sola cosa: vittima della dignità ge­rarchica illimitata di cui Dio lo ha investito, egli ricade.nella miseria della propria condizione umana.

L'antitesi tra l'assolutezza del potere sovrano e la sua effetti­va capacità di governare crea nel dramma una caratteristica pecu­liare, che solo in apparenza è di maniera, e che è possibile mette­re in chiaro solo a partire dalla teoria della sovranità. Si tratta dell'incapacità decisionale del tiranno. Il principe, che ha la facoltà di decidere sullo stato d'eccezione, mostra alla prima occasione che decidere gli è quasi impossibile. Come la pittura dei manieri-

,. Cfr. MARCUS LANDAU, Die Dramen von Herodes und Mariamne, in «Zeitschrift fiir vergleichende Litteratuxgeschichte», n.s., VIII (x895), pp. IJ5·2I2 e 279·.317; n.s., IX (1896), pp. 185·22_3.

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Il dramma barocco tedesco

sti non conosce composizioni dalla luce pacata, cosf i personaggi teatrali dell'epoca compaiono sempre nella luce cruda della loro torturante indecisione. Ciò che in essi appare piu evidente non è la sovranità, declamata dallo stoicismo dei modi di dire, ma la ca­pricciosa mutevolezza delle loro tempeste emotive, in cui i perso­naggi- soprattutto quelli di Lohenstein- si agitano come lacere sventolanti bandiere. I personaggi del Greco, con la piccolezza del­le loro teste - se è lecito intendere quest'espressione in senso fi­gurato -non sono diversi da loro35

• Perché a guidarli non sono pen­sieri, ma impulsi fisici oscillanti. Si adatta a tale genere l'afferma­zione secondo cui «la letteratura del tempo; anche l'epica piu disinvolta, coglie felicemente anche i gesti minimi, mentre è del tutto disarmata di fronte al volto umano»36

• Tramite un messag­gero, Disalce, Massinissa invia a Sofonisba il veleno destinato a sottrarla alla prigionia romana:

Disalces, geh und wirff mir mehr kein Wort ein. Jedoch halt! lch vergeh ich zitter ich erstarre! Geh immer! es ist nicht mehr Zeit zu zweiffeln. Harre! Verzieh! Ach! schaue wie mir Aug' und Hertze bricht! Fort! immer fort! der SchluB ist mehr zu lindern nicht".

Nel passo corrispondente della Catharina, Chach Abas spedi­sce l'imano Kuli con l'ordine di esecuzione di Caterina e con-clude: ·

Lass dich nicht eher schauen Als nach volbrachtem werck! Ach was bekliimmt vor grauen Die abgekrlinckte brust! Verzeuch! geh hin! ach nein! Halt inn! komm her! ja geh! es muss doch endlich seyn}8

E anche la farsa viennese ripropone l'altra faccia della tirannia sanguinaria, l'indecisione: «Pelifonte: Eh! e che viva, che viva,­ma no, - si, sf, che viva ... No, no, muoia, trapassi, privata sia

"Cfr. HAUSENSTEIN, Vom Geistdes Barock cit., p. 94· ,. CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 31. "DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele. Cleopatra. Sophonisbe, a

cura di K. G. Just, Stuttgart 1957, p. 327 (Sophonisbe, IV, 505 sgg.). [Disalce, va', e non oppormi piu parola alcuna. l Eppure, fermati! Mi sento mancare, tremo, sono impietrito! l E vai! Non è piu tempo di dubitare. Fermati! l Indugia! Oh! guarda, mi si spezza l'oc­chio, e il cuore! l Avanti, avanti! La decisione è irrevocabile].

"GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 213 (Catharina von Georgien, III, 457 sgg.). Cfr. HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 86 [V, 351]), p.86. [Non farti piu vedere l Se non comfiuta l'opera! Ah, cosa mai paralizza d'orrore l il pet­to ferito! Dimora! vacci! oh, no! Fermati! Vieni qui! No va'! Bisogna ormai che co­si sia].

Dramma e tragedia (I) 47

dell'anima ... E vai, bisogna che viva»39• Cosf, con brevi interru­

zioni, il tiranno.

Quel che affascina è il modo in cui l'impotenza e l'abiezione del tiranno in rovina riescano a convivere, nella coscienza dell' epo­ca, con la convinzione della violenza sacrosanta del suo ruolo. Nell'epoca barocca non era dunque consentito ricavare dalla fine del tiranno una piatta soddisfazione moralistica nello stile dei ·drammi di Hans Sachs. Se egli infatti non fallisce come individuo singolo, ma in quanto sovrano e in nome del suo ruolo storico, al­lora la sua rovina assume l'aspetto di un processo la cui sentenza travolgerà anche i sudditi. Quel che nel caso· del dramma di Ero­de risulta solo a un esame attento, in opere come Leo Armenius, Carolus Stuardus, Papinian, che confinano col dramma martirolo­gico o addirittura vi rientrano, è immediatamente evidente. E non è certo un'esagerazione dire che in tutte le definizioni del dram­ma barocco fornite dai manuali si riconoscano i tratti del dramma martirologico. Essi hanno di mira non tanto le imprese dell'eroe qùanto il suo patire, anzi, piu spesso, non tanto i tormenti dell'ani­ma quanto le torture fisiche che gli vengono inflitte. Eppure il dramma di martirio non viene mai chiamato in causa espressa­mente, se non in una frase di Harsdorffer: «L'eroe ... dev'essere un esempio di tutte le piu perfette virru, e dev'essere colpito dall'iniquità dei suoi amici e nemici; e tuttavia in modo tale da mo­strarsi magnanimo in ogni occorrenza, e da superare con fortezza il dolore che si fa strada fra i sospiri, le esclamazioni e i lamenti di ogni genere»40

• Mflitto «dall'iniquità dei suoi amici e nemici»: lo stesso si potrebbe dire della figura di Cristo nella Passione. Come Cristo soffre, in quanto re, in nome dell'umanità, cosf secondo la visione degli scrittori barocchi ha da soffrire la maestà tout court. «Tollat qui te non noverit» suona l'epigrafe del LXXI foglio dell' Em-

"JOSEPH ANTON STRANITZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen, a cura di R. P. von Thurn, Wien I9o8, vol. I, p. 30I (Die Gestiirzte Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, II, 8). [Pelifonte: Nu! so lebe sie dann, sie lebe,- doch nein,- ia, ia, sie lebe ... Nein, nein, sie sterbe, sie vergehe, man entseele sie ... Gehe dann, sie soli le­ben].

40 GEORG PHILIPP HARSDORFFER, Poetischen Trichters zweyter Theil [Seconda parte dell'Imbuto poetico], Niirnberg I648, p. 84. [Der Held ... sol ein Exempd seyn aller voll­komenen Tugenden und von der Untreue seiner Freunde und Feinde betriibet werden; je­doch dergestalt daB er sich in allen Begebenheiten gro.6miitig erweise und den Schmert­zen wdcher mit Seufftzen Erhebung der Stimm und viden Klagworten hervorbricht mit Tapferkeit iiberwinde].

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Il dramma barocco tedesco

sti non conosce composizioni dalla luce pacata, cosf i personaggi teatrali dell'epoca compaiono sempre nella luce cruda della loro torturante indecisione. Ciò che in essi appare piu evidente non è la sovranità, declamata dallo stoicismo dei modi di dire, ma la ca­pricciosa mutevolezza delle loro tempeste emotive, in cui i perso­naggi- soprattutto quelli di Lohenstein- si agitano come lacere sventolanti bandiere. I personaggi del Greco, con la piccolezza del­le loro teste - se è lecito intendere quest'espressione in senso fi­gurato -non sono diversi da loro35

• Perché a guidarli non sono pen­sieri, ma impulsi fisici oscillanti. Si adatta a tale genere l'afferma­zione secondo cui «la letteratura del tempo; anche l'epica piu disinvolta, coglie felicemente anche i gesti minimi, mentre è del tutto disarmata di fronte al volto umano»36

• Tramite un messag­gero, Disalce, Massinissa invia a Sofonisba il veleno destinato a sottrarla alla prigionia romana:

Disalces, geh und wirff mir mehr kein Wort ein. Jedoch halt! lch vergeh ich zitter ich erstarre! Geh immer! es ist nicht mehr Zeit zu zweiffeln. Harre! Verzieh! Ach! schaue wie mir Aug' und Hertze bricht! Fort! immer fort! der SchluB ist mehr zu lindern nicht".

Nel passo corrispondente della Catharina, Chach Abas spedi­sce l'imano Kuli con l'ordine di esecuzione di Caterina e con-clude: ·

Lass dich nicht eher schauen Als nach volbrachtem werck! Ach was bekliimmt vor grauen Die abgekrlinckte brust! Verzeuch! geh hin! ach nein! Halt inn! komm her! ja geh! es muss doch endlich seyn}8

E anche la farsa viennese ripropone l'altra faccia della tirannia sanguinaria, l'indecisione: «Pelifonte: Eh! e che viva, che viva,­ma no, - si, sf, che viva ... No, no, muoia, trapassi, privata sia

"Cfr. HAUSENSTEIN, Vom Geistdes Barock cit., p. 94· ,. CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 31. "DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele. Cleopatra. Sophonisbe, a

cura di K. G. Just, Stuttgart 1957, p. 327 (Sophonisbe, IV, 505 sgg.). [Disalce, va', e non oppormi piu parola alcuna. l Eppure, fermati! Mi sento mancare, tremo, sono impietrito! l E vai! Non è piu tempo di dubitare. Fermati! l Indugia! Oh! guarda, mi si spezza l'oc­chio, e il cuore! l Avanti, avanti! La decisione è irrevocabile].

"GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 213 (Catharina von Georgien, III, 457 sgg.). Cfr. HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 86 [V, 351]), p.86. [Non farti piu vedere l Se non comfiuta l'opera! Ah, cosa mai paralizza d'orrore l il pet­to ferito! Dimora! vacci! oh, no! Fermati! Vieni qui! No va'! Bisogna ormai che co­si sia].

Dramma e tragedia (I) 47

dell'anima ... E vai, bisogna che viva»39• Cosf, con brevi interru­

zioni, il tiranno.

Quel che affascina è il modo in cui l'impotenza e l'abiezione del tiranno in rovina riescano a convivere, nella coscienza dell' epo­ca, con la convinzione della violenza sacrosanta del suo ruolo. Nell'epoca barocca non era dunque consentito ricavare dalla fine del tiranno una piatta soddisfazione moralistica nello stile dei ·drammi di Hans Sachs. Se egli infatti non fallisce come individuo singolo, ma in quanto sovrano e in nome del suo ruolo storico, al­lora la sua rovina assume l'aspetto di un processo la cui sentenza travolgerà anche i sudditi. Quel che nel caso· del dramma di Ero­de risulta solo a un esame attento, in opere come Leo Armenius, Carolus Stuardus, Papinian, che confinano col dramma martirolo­gico o addirittura vi rientrano, è immediatamente evidente. E non è certo un'esagerazione dire che in tutte le definizioni del dram­ma barocco fornite dai manuali si riconoscano i tratti del dramma martirologico. Essi hanno di mira non tanto le imprese dell'eroe qùanto il suo patire, anzi, piu spesso, non tanto i tormenti dell'ani­ma quanto le torture fisiche che gli vengono inflitte. Eppure il dramma di martirio non viene mai chiamato in causa espressa­mente, se non in una frase di Harsdorffer: «L'eroe ... dev'essere un esempio di tutte le piu perfette virru, e dev'essere colpito dall'iniquità dei suoi amici e nemici; e tuttavia in modo tale da mo­strarsi magnanimo in ogni occorrenza, e da superare con fortezza il dolore che si fa strada fra i sospiri, le esclamazioni e i lamenti di ogni genere»40

• Mflitto «dall'iniquità dei suoi amici e nemici»: lo stesso si potrebbe dire della figura di Cristo nella Passione. Come Cristo soffre, in quanto re, in nome dell'umanità, cosf secondo la visione degli scrittori barocchi ha da soffrire la maestà tout court. «Tollat qui te non noverit» suona l'epigrafe del LXXI foglio dell' Em-

"JOSEPH ANTON STRANITZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen, a cura di R. P. von Thurn, Wien I9o8, vol. I, p. 30I (Die Gestiirzte Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, II, 8). [Pelifonte: Nu! so lebe sie dann, sie lebe,- doch nein,- ia, ia, sie lebe ... Nein, nein, sie sterbe, sie vergehe, man entseele sie ... Gehe dann, sie soli le­ben].

40 GEORG PHILIPP HARSDORFFER, Poetischen Trichters zweyter Theil [Seconda parte dell'Imbuto poetico], Niirnberg I648, p. 84. [Der Held ... sol ein Exempd seyn aller voll­komenen Tugenden und von der Untreue seiner Freunde und Feinde betriibet werden; je­doch dergestalt daB er sich in allen Begebenheiten gro.6miitig erweise und den Schmert­zen wdcher mit Seufftzen Erhebung der Stimm und viden Klagworten hervorbricht mit Tapferkeit iiberwinde].

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48 Il dramma barocco tedesco

blematum ethico-politicorum centuria di Zincgref. In primo piano, sullo sfondo di un paesaggio, mostra una poderosa corona. Sotto i versi:

Ce fardeau paroist autre à celuy qui le porte, Qu'à ceux qu'il esblouyt de son lustre trompeur, Ceuxcy n'en ont jamais conneu la pesanteur, Mais l' autre sçait expert quel tourment il apporte41

Cosf, non si esitava talora a gratificare espressamente i princi­pi del _titolo di martire. Carolus der Miirtyrer, «Carolus Martyr», sta scntto sotto il frontespizio in rame della Koniglichen V erthiiti­gungfur Cari I. [Apologia regale di Carlo I] 42

• In modo insuperabi­le, anche se sconcertante, queste antitesi si intrecciano nel primo dramma di Gryp~us. La posizione sublime dell'imperatore, da un

·Iato, e la penosa Impotenza del suo agire dall'altro, lasciano in so­speso la questione se sia il dramma di un tiranno oppure di un mar­tire. Gryphius si sarebbe certamente riconosciuto nella prima de­finizione; Stachel sembra ritenere ovvia la seconda43

• In questi drammi è la struttura a mettere fuori gioco quegli schemi conte­nutistici. In nessun caso comunque piu che nel Leo Armenius, a scapito di una figura etica dai contorni assai perspicui. Non oc­corre perciò un'analisi piu approfondita per rendersi conto come in ogni dramma della tirannia si nasconda un elemento del dram­ma martirologico. Assai meno facile è scorgere in quest'ultimo il momento del dramma regale. A tale scopo occorre tenere presen­te quella che era, almeno nel barocco letterario, l'immagine tradi­zionale del martire. Essa non ha nulla in comune con le concezio­ni religiose: il martire perfetto non si sottrae all'immanenza, co­me non vi si sottrae l'immagine ideale dei monarca. Nel dramma barocco egli è uno stoico radicale che dà prova di sé in occasione di ~ conflitto per la corona o di una disputa religiosa, alla fine dei quali lo aspetta la tortura e la morte. C'è poi la particolarità che in alcuni di questi drammi - come la Catharina von Georgien di Gryphius, la Sophia e la Mariamne di Hallmann e la Maria Stuarda di Haugwitz -è la donna a comparire come vittima dell'azione sa-

41 JUUUS WILHELM ZINCGREF, Embkmatum Ethico-Politicorum Centuria, Editio, se­cunda, Franckfort r6z4, Embl. 71. [Questo fardello appare altro a colui che lo porta, l Che a coloro che abbaglia col suo lustro ingannevole, l Costoro mai ne conobbero il peso l Ma l'altro sa, esperto, quale tormento comporta]. '

"CLAUDIO SALMASIO, Konigliche Verthatigungfur Cari den I, geschrieben an den dur­chliiuchtigsten Kiinig von Groflbritannien Cari den Andem, Rotterdam 1650.

"Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 29.

Dramma e tragedia (I) 49

crificale. Ciò è çleterminante per una retta valutazione della tra­gedia martirologica. Compito del tiranno è la restaurazione dell'or­dine nello st.ato d'eccezione: una dittatura, la cui utopia sarà sem­pre quella di porre, al posto dell'instabile divenire storico, la fer­re~ costituzione d~lle leg~i di natura. Ma a uno scopo non diverso mtra anche la tecruca stoica: controllare col dominio delle passio­ni quello che è per l'ru;ima uno stato d'eccezione. Anch'essa per­segue una nuova creaZione che ripercorra a ritroso il cammino del­la storia. Nel caso della donna sarà l'affermazione della castità non_ meno lo~t~a dall'~nocenza dello stato originario di quant~ lo sta _la _cos:1tuz10ne ~ttatoriale del tiranno. Se qui il tratto ca­ratteristico e la devoztone borghese, nel primo caso sarà invece l'ascesi fisica. Perciò nel dramma martirologico la casta regina oc-cupa il primo posto. ·

Ment:e la. f?rm~a. «dramma_ della tirannia» non ha mai pro­vocato <!ibatt~tt teonct, anche dt fronte alle sue forme piu estre­me, la disc~sstone sul dramma martirologico appartiene com'è no­to al «nocctolo duro» della drammaturgia tedesca. Ma tutte le ri­serve formulate contro i drammi barocchi in nome di Aristotele o_ d~a mo~n;uosità d~gli intrecci, o ancora per motivi di linguag: gto, tmpalltdtscono di fronte alla sufficienza con cui, da un secolo e mezzo a questa parte, i critici sono soliti liquidarli con l'etichet­ta del «dramma martirologico». Le ragioni di questo accordo una­nime vanno cercate non già nella cosa stessa, bensf nell'autorità di Lessing44

• Se si considera l'ostinazione con cui le storie letterarie continuano a far dipendere i loro giudizi critici da controversie or­mai superate, questa autorevolezza di Lessing non deve meravi­gliare. E un punto di vista psicologico orientato non alla cosa ma al suo eff~t~o sul pubblico medio - un pubblico il cui rapporto con la scena s1 nduce a una grossolana e generica richiesta di «azione» - ~on pot~va ce;to migliorare la s!tuazion7. P<7 quest~ tipo di pub­blico l uruca evtdenza teatrale - il suo uruco rtmasuglio emotivo -è la tensione scenica, e sotto questo profilo la messinscena del mar­tirio non _er~ in gra?o di soddisfarlo. La sua delusione ha quindi adottato il linguaggio della protesta colta, e ha creduto di fissare per sempre il valore di questi drammi denunciandovi la mancanza di conflitti interiori, l'assenza del motivo tragico della colpa. A ciò

. " Cfr. GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, Sammtliche Schriften, a cura di K. Lachmann, Ber­lin 1893, vol. VII: Hamburgische Dramaturgie, pp. 7 sgg.; trad. it. Drammaturgia di Am­burgo, a cura di P. Chiarini, Bari 1956, pp. 9 sgg.).

Page 84: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

48 Il dramma barocco tedesco

blematum ethico-politicorum centuria di Zincgref. In primo piano, sullo sfondo di un paesaggio, mostra una poderosa corona. Sotto i versi:

Ce fardeau paroist autre à celuy qui le porte, Qu'à ceux qu'il esblouyt de son lustre trompeur, Ceuxcy n'en ont jamais conneu la pesanteur, Mais l' autre sçait expert quel tourment il apporte41

Cosf, non si esitava talora a gratificare espressamente i princi­pi del _titolo di martire. Carolus der Miirtyrer, «Carolus Martyr», sta scntto sotto il frontespizio in rame della Koniglichen V erthiiti­gungfur Cari I. [Apologia regale di Carlo I] 42

• In modo insuperabi­le, anche se sconcertante, queste antitesi si intrecciano nel primo dramma di Gryp~us. La posizione sublime dell'imperatore, da un

·Iato, e la penosa Impotenza del suo agire dall'altro, lasciano in so­speso la questione se sia il dramma di un tiranno oppure di un mar­tire. Gryphius si sarebbe certamente riconosciuto nella prima de­finizione; Stachel sembra ritenere ovvia la seconda43

• In questi drammi è la struttura a mettere fuori gioco quegli schemi conte­nutistici. In nessun caso comunque piu che nel Leo Armenius, a scapito di una figura etica dai contorni assai perspicui. Non oc­corre perciò un'analisi piu approfondita per rendersi conto come in ogni dramma della tirannia si nasconda un elemento del dram­ma martirologico. Assai meno facile è scorgere in quest'ultimo il momento del dramma regale. A tale scopo occorre tenere presen­te quella che era, almeno nel barocco letterario, l'immagine tradi­zionale del martire. Essa non ha nulla in comune con le concezio­ni religiose: il martire perfetto non si sottrae all'immanenza, co­me non vi si sottrae l'immagine ideale dei monarca. Nel dramma barocco egli è uno stoico radicale che dà prova di sé in occasione di ~ conflitto per la corona o di una disputa religiosa, alla fine dei quali lo aspetta la tortura e la morte. C'è poi la particolarità che in alcuni di questi drammi - come la Catharina von Georgien di Gryphius, la Sophia e la Mariamne di Hallmann e la Maria Stuarda di Haugwitz -è la donna a comparire come vittima dell'azione sa-

41 JUUUS WILHELM ZINCGREF, Embkmatum Ethico-Politicorum Centuria, Editio, se­cunda, Franckfort r6z4, Embl. 71. [Questo fardello appare altro a colui che lo porta, l Che a coloro che abbaglia col suo lustro ingannevole, l Costoro mai ne conobbero il peso l Ma l'altro sa, esperto, quale tormento comporta]. '

"CLAUDIO SALMASIO, Konigliche Verthatigungfur Cari den I, geschrieben an den dur­chliiuchtigsten Kiinig von Groflbritannien Cari den Andem, Rotterdam 1650.

"Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 29.

Dramma e tragedia (I) 49

crificale. Ciò è çleterminante per una retta valutazione della tra­gedia martirologica. Compito del tiranno è la restaurazione dell'or­dine nello st.ato d'eccezione: una dittatura, la cui utopia sarà sem­pre quella di porre, al posto dell'instabile divenire storico, la fer­re~ costituzione d~lle leg~i di natura. Ma a uno scopo non diverso mtra anche la tecruca stoica: controllare col dominio delle passio­ni quello che è per l'ru;ima uno stato d'eccezione. Anch'essa per­segue una nuova creaZione che ripercorra a ritroso il cammino del­la storia. Nel caso della donna sarà l'affermazione della castità non_ meno lo~t~a dall'~nocenza dello stato originario di quant~ lo sta _la _cos:1tuz10ne ~ttatoriale del tiranno. Se qui il tratto ca­ratteristico e la devoztone borghese, nel primo caso sarà invece l'ascesi fisica. Perciò nel dramma martirologico la casta regina oc-cupa il primo posto. ·

Ment:e la. f?rm~a. «dramma_ della tirannia» non ha mai pro­vocato <!ibatt~tt teonct, anche dt fronte alle sue forme piu estre­me, la disc~sstone sul dramma martirologico appartiene com'è no­to al «nocctolo duro» della drammaturgia tedesca. Ma tutte le ri­serve formulate contro i drammi barocchi in nome di Aristotele o_ d~a mo~n;uosità d~gli intrecci, o ancora per motivi di linguag: gto, tmpalltdtscono di fronte alla sufficienza con cui, da un secolo e mezzo a questa parte, i critici sono soliti liquidarli con l'etichet­ta del «dramma martirologico». Le ragioni di questo accordo una­nime vanno cercate non già nella cosa stessa, bensf nell'autorità di Lessing44

• Se si considera l'ostinazione con cui le storie letterarie continuano a far dipendere i loro giudizi critici da controversie or­mai superate, questa autorevolezza di Lessing non deve meravi­gliare. E un punto di vista psicologico orientato non alla cosa ma al suo eff~t~o sul pubblico medio - un pubblico il cui rapporto con la scena s1 nduce a una grossolana e generica richiesta di «azione» - ~on pot~va ce;to migliorare la s!tuazion7. P<7 quest~ tipo di pub­blico l uruca evtdenza teatrale - il suo uruco rtmasuglio emotivo -è la tensione scenica, e sotto questo profilo la messinscena del mar­tirio non _er~ in gra?o di soddisfarlo. La sua delusione ha quindi adottato il linguaggio della protesta colta, e ha creduto di fissare per sempre il valore di questi drammi denunciandovi la mancanza di conflitti interiori, l'assenza del motivo tragico della colpa. A ciò

. " Cfr. GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, Sammtliche Schriften, a cura di K. Lachmann, Ber­lin 1893, vol. VII: Hamburgische Dramaturgie, pp. 7 sgg.; trad. it. Drammaturgia di Am­burgo, a cura di P. Chiarini, Bari 1956, pp. 9 sgg.).

Page 85: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

si aggiunge la valutazione degli intrecci. Dalla cosiddetta «anti­strofe» della tragedia classica la distingue l'isolamento dei motivi, delle scene, dei tipi. Come nelteatro della Passione i tiranni, i dia­voli e gli ebrei si presentavano sulla scena in tutta la loro abissale crudeltà e malvagità, senza spiegazioni di sorta e senza alcuno svi­luppo, limitandosi a dichiarare i loro piani abietti, anche il dram­ma barocco ama presentare gli antagonisti nella luce cruda di sce­ne staccate, dove l'illustrazione dei moventi conta poco o nulla. L'intreccio del dramma barocco si sviluppa, per cosf dire, come un cambio di scena a sipario alzato, tanto poco esso si dà cura dell'il­lusione scenica, e tanta invece è l'insistenza sull'economia di que­sta azione contraria. Nulla è piu istruttivo della disinvoltura. con cui i moventi decisivi dell'azione vengono relegati nelle note. Nel­la Mariamne di Hallmann Erode osserva:

W ahr ists: Wir hatten ihm die Ffirstin zu endeiben Im Fall uns ja Anton m&ht' unverseh'ns auffreiben Hochstheimlich anbefohl'n4

'.

E nella nota si dice: «E questo per eccesso di amore verso di lei, affinché non toccasse, dopo la sua morte, a nessun altro»46

• Sa­rebbe da citare - come esempio di disinvoltura compositiva se non di intreccio scombinato- anche il Leo Armenius. L'imperatrice Teodosia in persona spinge il principe a rimandare l'esecuzione di Balbo, il ribelle, e questo rinvio porta alla morte dell'imperatore Leo. Nel suo lungo lamento per la morte del marito essa non evo­ca mai, neppure con una parola, il proprio intervento. Un motivo essenziale dell'azione rimane cosf fuori scena. L' «Unità» dell' azio­ne storica imponeva al dramma un decorso univoco, e ciò rappre­sentava una minaccia. Se infatti un tale decorso va posto alla ba­se di ogni rappresentazione pragmatica della storia, è altrettanto chiaro che il dramma richiede per natura una sua compiutezza, per poter attingere quella totalità che è negata a ogni sviluppo tem­porale esterno. Ed è l'azione secondaria - sia essa parallela a quel­la principale o in contrasto con essa - a garantirle tale compiutez­za. Ma l'unico a farvi ricorso è Lohenstein: in tutti gli altri casi l'azione secondaria viene eliminata, nella convinzione di mettere in scena, in questo modo, la storia nuda e cruda. La scuola di No-

, "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 27 [Il, 263 sgg.]). [E vero: gli avevamo comandato in gran segreto di uccidere la principessa, l nel caso che Antonio volesse l improvvisamente distruggerci}.

48 lbid. (Mariamne, p. II2, nota). [Nehmlich aus allzugrosser Liebe gegen sie l damit sie keinem nach seinem T ode zu theil wiirde].

Dramma e tragedia (I)

rimberga spiega, ingenuamente, che queste composizioni erano sta­te chiamate Trauerspiele «perché un tempo, fra i gentili, erano per­lopiu i tiranni a governare, e andavano perciò incontro, di solito, a un'orrenda fine»47

• Cosf, il giudizio di Gervinus sulla costruzio­ne drammatica di Gryphius, secondo cui «le scene si susseguono soltanto per illustrare e portare avanti l'azione, e non sono mai de­stinate a un effetto drammatico»48

, è nel complesso azzeccato, an­che se nel caso di Cardenio und Ce linde si potrebbe esprimere qual­che riserva.

Ma soprattutto è importante rilevare che simili constatazioni, magari ben fondate ma isolate, non offrono una base critica suffi­ciente. La forma drammatica di Gryphius e dei suoi contempora­nei non è inferiore a quella degli autori piu tardi solo per il fatto di non averli influenzati. Il loro valore si determina in un conte­sto di autonoma pregnanza.

È in questo ambito che va pensata la parentela tra il dramma barocco e quello liturgico-medievale, quale risulta dal tema della Passione. Il rimando al dramma medievale deve però affrancarsi dal sospetto di istituire analogie oziose, fatte piu per oscurare che per promuovere l'analisi stilistica, e tanto piu in presenza di una letteratura dominata dalla teoria dell' Einfuhlung. In questo senso bisognerebbe osservare che l'individuazione di elementi medieva­li nel dramma baroc.co e nella sua teoria va letta qui come un sem­plice prolegomenon a un piu ampio confronto tra le due culture, che si potrà istituire in altra sede. Che le teorie meclievali riviva­no nell'epoca delle guerre di religione 49

, che il Medioevo continui a regnare incontrastato nello «stato e nell'economia, nell'arte e nella scienza»'0, che il suo superamento (e quindi la sua stessa na­scita come categoria storiografica) avvenga solo nel corso del XVII

secolo'1, tutto ciò è stato detto da tempo. Se si rivolge lo sguardo a certi particolari, si è sorpresi dall'abbondanza delle contropro­ve. Già un lavoro puramente statistico e compilativo sulla poetica

41 BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunstcit., p. 323. 48 GEORG GOTI'FRIED GERVlNUS, Geschichte der Deutschen Dichtung, a cura di K. Bartsch,

Leipzig 1872, vol. III, p. 553· •• Cfr. ALFRED voN MARTIN, Coluccia Salutati's Traktat«Vom Tyrannen», Berlin-Leìp­

zig 1913, p. 48. ,. FLEMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. 79· "Cfr. BURDACH, Re/ormation, Renaissance, Humanismus cit., pp. 135 sgg., e 215,

nota.

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Il dramma barocco tedesco

si aggiunge la valutazione degli intrecci. Dalla cosiddetta «anti­strofe» della tragedia classica la distingue l'isolamento dei motivi, delle scene, dei tipi. Come nelteatro della Passione i tiranni, i dia­voli e gli ebrei si presentavano sulla scena in tutta la loro abissale crudeltà e malvagità, senza spiegazioni di sorta e senza alcuno svi­luppo, limitandosi a dichiarare i loro piani abietti, anche il dram­ma barocco ama presentare gli antagonisti nella luce cruda di sce­ne staccate, dove l'illustrazione dei moventi conta poco o nulla. L'intreccio del dramma barocco si sviluppa, per cosf dire, come un cambio di scena a sipario alzato, tanto poco esso si dà cura dell'il­lusione scenica, e tanta invece è l'insistenza sull'economia di que­sta azione contraria. Nulla è piu istruttivo della disinvoltura. con cui i moventi decisivi dell'azione vengono relegati nelle note. Nel­la Mariamne di Hallmann Erode osserva:

W ahr ists: Wir hatten ihm die Ffirstin zu endeiben Im Fall uns ja Anton m&ht' unverseh'ns auffreiben Hochstheimlich anbefohl'n4

'.

E nella nota si dice: «E questo per eccesso di amore verso di lei, affinché non toccasse, dopo la sua morte, a nessun altro»46

• Sa­rebbe da citare - come esempio di disinvoltura compositiva se non di intreccio scombinato- anche il Leo Armenius. L'imperatrice Teodosia in persona spinge il principe a rimandare l'esecuzione di Balbo, il ribelle, e questo rinvio porta alla morte dell'imperatore Leo. Nel suo lungo lamento per la morte del marito essa non evo­ca mai, neppure con una parola, il proprio intervento. Un motivo essenziale dell'azione rimane cosf fuori scena. L' «Unità» dell' azio­ne storica imponeva al dramma un decorso univoco, e ciò rappre­sentava una minaccia. Se infatti un tale decorso va posto alla ba­se di ogni rappresentazione pragmatica della storia, è altrettanto chiaro che il dramma richiede per natura una sua compiutezza, per poter attingere quella totalità che è negata a ogni sviluppo tem­porale esterno. Ed è l'azione secondaria - sia essa parallela a quel­la principale o in contrasto con essa - a garantirle tale compiutez­za. Ma l'unico a farvi ricorso è Lohenstein: in tutti gli altri casi l'azione secondaria viene eliminata, nella convinzione di mettere in scena, in questo modo, la storia nuda e cruda. La scuola di No-

, "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 27 [Il, 263 sgg.]). [E vero: gli avevamo comandato in gran segreto di uccidere la principessa, l nel caso che Antonio volesse l improvvisamente distruggerci}.

48 lbid. (Mariamne, p. II2, nota). [Nehmlich aus allzugrosser Liebe gegen sie l damit sie keinem nach seinem T ode zu theil wiirde].

Dramma e tragedia (I)

rimberga spiega, ingenuamente, che queste composizioni erano sta­te chiamate Trauerspiele «perché un tempo, fra i gentili, erano per­lopiu i tiranni a governare, e andavano perciò incontro, di solito, a un'orrenda fine»47

• Cosf, il giudizio di Gervinus sulla costruzio­ne drammatica di Gryphius, secondo cui «le scene si susseguono soltanto per illustrare e portare avanti l'azione, e non sono mai de­stinate a un effetto drammatico»48

, è nel complesso azzeccato, an­che se nel caso di Cardenio und Ce linde si potrebbe esprimere qual­che riserva.

Ma soprattutto è importante rilevare che simili constatazioni, magari ben fondate ma isolate, non offrono una base critica suffi­ciente. La forma drammatica di Gryphius e dei suoi contempora­nei non è inferiore a quella degli autori piu tardi solo per il fatto di non averli influenzati. Il loro valore si determina in un conte­sto di autonoma pregnanza.

È in questo ambito che va pensata la parentela tra il dramma barocco e quello liturgico-medievale, quale risulta dal tema della Passione. Il rimando al dramma medievale deve però affrancarsi dal sospetto di istituire analogie oziose, fatte piu per oscurare che per promuovere l'analisi stilistica, e tanto piu in presenza di una letteratura dominata dalla teoria dell' Einfuhlung. In questo senso bisognerebbe osservare che l'individuazione di elementi medieva­li nel dramma baroc.co e nella sua teoria va letta qui come un sem­plice prolegomenon a un piu ampio confronto tra le due culture, che si potrà istituire in altra sede. Che le teorie meclievali riviva­no nell'epoca delle guerre di religione 49

, che il Medioevo continui a regnare incontrastato nello «stato e nell'economia, nell'arte e nella scienza»'0, che il suo superamento (e quindi la sua stessa na­scita come categoria storiografica) avvenga solo nel corso del XVII

secolo'1, tutto ciò è stato detto da tempo. Se si rivolge lo sguardo a certi particolari, si è sorpresi dall'abbondanza delle contropro­ve. Già un lavoro puramente statistico e compilativo sulla poetica

41 BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunstcit., p. 323. 48 GEORG GOTI'FRIED GERVlNUS, Geschichte der Deutschen Dichtung, a cura di K. Bartsch,

Leipzig 1872, vol. III, p. 553· •• Cfr. ALFRED voN MARTIN, Coluccia Salutati's Traktat«Vom Tyrannen», Berlin-Leìp­

zig 1913, p. 48. ,. FLEMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. 79· "Cfr. BURDACH, Re/ormation, Renaissance, Humanismus cit., pp. 135 sgg., e 215,

nota.

Page 87: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

baròcca è in grado di concludere che le definizioni barocche della tragedia sono nel loro nucleo «identiche a quelle che troviamo nel­le grammatiche e nei lessici del Medioevo»'2 • E contro la clamo­rosa parentela tra la definizione di Opitz e quelle, usuali nel Me­dioevo, di un Boezio o di un Placido, non è certo un valido argo­mento il fatto che lo Scaligero (quasi sempre in sintonia con i due autori citati), porti degli esempi contro la loro distinzione tra poe­sia tragica e poesia comica, una distihzione che trascende com'è noto l'ambito drammatico". Nel testo di Vincenzo di Beauvais la distinzione è cosi formulata: «Est autem Comoedia poesis, exor­dium triste laeto fine commutans. Tragoedia vero poesis, a laeto principio in tristem finem desinens»'4• Che l'evento luttuoso si presenti attraverso le battute di un discorso oppure nel flusso del­la prosa è considerata una differenza quasi irrilevante. Cosi Franz Joseph Mone ha potuto dimostrare in modo convincente i legami che uniscono il teatro e la cronaca medievale. Leggiamo che «la storia universale era considerata dai cronisti come un grande dram­ma», e che «le cronache universali sono strettamente connesse col teatro tedesco antico. Se infatti quelle cronache si concludono col giorno del Giudizio, in quanto fine del dramma universale, la sto­riografia cristiana non potrà non essere affine col teatro cristiano, e si tratterà di considerare le asserzioni dei cronisti che mettono in luce tale affinità. Ottone di Frisinga dice (praef. ad Frid. imp.): «cognoscas, nos hanc historiam ex amaritudine animi scripsisse, ac ob hoc non tam rerum gestarum seriem quam earundem mise­riam in modum tragoediae texuisse». E ribadisce il concetto nel­la praef. ad Singrimum: «in quibus [libris] non tam historias quam aerumnosas mortalium calamitatum tragoedias prudens lector in­venire poterit». La storia universale era dunque per Ottone una tragedia, non nella forma ma nel contenutd'. Cinquecento anni dopo si trova in Salmasio lo stesso punto di vista: «Ce qui restoit de la Tragedie iusques à la conclusion a esté le personnage des In­dependans, mais on a veu les Presbyteriens iusques au quatriesme acte et au delà, occuper avec pompe tout le theatre. Le seui cin-

n GEORG POPP, O ber den Begri/f des Dramas in den deutschen Poetiken des I 7. Jahrhun· derts, dissertazione, Leipzig 189.5, p. 8o.

"Cfr. GIUUO CESARE SCALIGERO, Poetices libri septem, Editio quinta, [Ginevra] 1617, pp. 333 sgg. (III, 96).

"'VINCENZO DI BEAUVAIS, Bibliotheca mundi seu speculi maioris, Duaci 1624, col. 287. "FRANZ JOSEPH MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters, Karlsruhe 1846, vol. I,

p. )36.

Dramma e tragedia (I) 53

quiesme et dernier acte est demeure pour le partage des Indepen­dans; qui ont paru en cette scene, apres auoir sifflé et chassé les premiers acteurs. Peut estre que ceux-là n'auroient pas fermé la scene par ne si tragique et sanglante catastrophe»'6• Qui, a gran distanza dal chiuso recinto della drammaturgia amburghese, per non parlare di quella post-classica, in quella «tragedia» che il Me­dioevo interpretava come un'eredità del mondo classico piu di quanto la vedesse realizzata nei suoi Misteri, si dischiude il mon­do formale del dramma barocco.

Eppure: mentre il Mistero cristiano - come la cronaca cristia­na - esibisce la totalità del decorso storico, il flusso della storia universale in quanto storia della salvezza, la Haupt- und Staatsak­tion ha a che fare solo con una parte degli accadimenti. La «cri­stianità o l'Europa» è suddivisa ora in una serie di principati cri­stiani i cui eventi storici non hanno piu la pretesa di confluire nell'unica storia della salvezza. La parentela fra il dramma ba­rocco e il Mistero medievale è messa in questione da quella di­sperazione senza via d'uscita che sembra essere l'ultima parola del dramma cristiano secolarizzato. Perché nessuno vorrà con­siderare la moralità stoica in cui sfocia il martirio dell'eroe, o la giustizia astratta che punisce con la follia gli eccessi del tiranno, come elementi sufficienti a sostenere un arco drammatico auto­nomo. Uno strato massiccio di stucchi ornamentali - squisita­mente barocchi - dissimula la sua chiave di volta, e solo uno stu­dio accu{ato della sua spinta dinamica potrà permettere di cal­colarla. E la tensione propria di un'interrogazione riguardante la storia della salvezza portata all'estremo dalla secolarizzazione del Mistero medievale, e. non solo fra i protestanti della scuola slesiana e della scuola di Norimberga, ma anche tra i gesuiti e in Calder6n. Se infatti la secolarizzazione della Controriforma si impose in entrambe le aree confessionali, non per questo le que­stioni rèligiose persero di peso: semplicemente, il secolo negò lo­ro una soluzione religiosa per ricavarne o imporre in sua vece una soluzione mondana. Le generazioni dell'età barocca vissero i loro conflitti sotto il giogo di questa tensione, sotto il pungolo di questa esigenza. Tra tutte le epoche profondamente dilacera­te e contraddittorie della storia europea, l'epoca barocca è l'uni-

,. CLAUDIO SALMAsro, Apologie royale pour Charles I, roy d' Angleterre, Paris 16.5o, pp. 642 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

baròcca è in grado di concludere che le definizioni barocche della tragedia sono nel loro nucleo «identiche a quelle che troviamo nel­le grammatiche e nei lessici del Medioevo»'2 • E contro la clamo­rosa parentela tra la definizione di Opitz e quelle, usuali nel Me­dioevo, di un Boezio o di un Placido, non è certo un valido argo­mento il fatto che lo Scaligero (quasi sempre in sintonia con i due autori citati), porti degli esempi contro la loro distinzione tra poe­sia tragica e poesia comica, una distihzione che trascende com'è noto l'ambito drammatico". Nel testo di Vincenzo di Beauvais la distinzione è cosi formulata: «Est autem Comoedia poesis, exor­dium triste laeto fine commutans. Tragoedia vero poesis, a laeto principio in tristem finem desinens»'4• Che l'evento luttuoso si presenti attraverso le battute di un discorso oppure nel flusso del­la prosa è considerata una differenza quasi irrilevante. Cosi Franz Joseph Mone ha potuto dimostrare in modo convincente i legami che uniscono il teatro e la cronaca medievale. Leggiamo che «la storia universale era considerata dai cronisti come un grande dram­ma», e che «le cronache universali sono strettamente connesse col teatro tedesco antico. Se infatti quelle cronache si concludono col giorno del Giudizio, in quanto fine del dramma universale, la sto­riografia cristiana non potrà non essere affine col teatro cristiano, e si tratterà di considerare le asserzioni dei cronisti che mettono in luce tale affinità. Ottone di Frisinga dice (praef. ad Frid. imp.): «cognoscas, nos hanc historiam ex amaritudine animi scripsisse, ac ob hoc non tam rerum gestarum seriem quam earundem mise­riam in modum tragoediae texuisse». E ribadisce il concetto nel­la praef. ad Singrimum: «in quibus [libris] non tam historias quam aerumnosas mortalium calamitatum tragoedias prudens lector in­venire poterit». La storia universale era dunque per Ottone una tragedia, non nella forma ma nel contenutd'. Cinquecento anni dopo si trova in Salmasio lo stesso punto di vista: «Ce qui restoit de la Tragedie iusques à la conclusion a esté le personnage des In­dependans, mais on a veu les Presbyteriens iusques au quatriesme acte et au delà, occuper avec pompe tout le theatre. Le seui cin-

n GEORG POPP, O ber den Begri/f des Dramas in den deutschen Poetiken des I 7. Jahrhun· derts, dissertazione, Leipzig 189.5, p. 8o.

"Cfr. GIUUO CESARE SCALIGERO, Poetices libri septem, Editio quinta, [Ginevra] 1617, pp. 333 sgg. (III, 96).

"'VINCENZO DI BEAUVAIS, Bibliotheca mundi seu speculi maioris, Duaci 1624, col. 287. "FRANZ JOSEPH MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters, Karlsruhe 1846, vol. I,

p. )36.

Dramma e tragedia (I) 53

quiesme et dernier acte est demeure pour le partage des Indepen­dans; qui ont paru en cette scene, apres auoir sifflé et chassé les premiers acteurs. Peut estre que ceux-là n'auroient pas fermé la scene par ne si tragique et sanglante catastrophe»'6• Qui, a gran distanza dal chiuso recinto della drammaturgia amburghese, per non parlare di quella post-classica, in quella «tragedia» che il Me­dioevo interpretava come un'eredità del mondo classico piu di quanto la vedesse realizzata nei suoi Misteri, si dischiude il mon­do formale del dramma barocco.

Eppure: mentre il Mistero cristiano - come la cronaca cristia­na - esibisce la totalità del decorso storico, il flusso della storia universale in quanto storia della salvezza, la Haupt- und Staatsak­tion ha a che fare solo con una parte degli accadimenti. La «cri­stianità o l'Europa» è suddivisa ora in una serie di principati cri­stiani i cui eventi storici non hanno piu la pretesa di confluire nell'unica storia della salvezza. La parentela fra il dramma ba­rocco e il Mistero medievale è messa in questione da quella di­sperazione senza via d'uscita che sembra essere l'ultima parola del dramma cristiano secolarizzato. Perché nessuno vorrà con­siderare la moralità stoica in cui sfocia il martirio dell'eroe, o la giustizia astratta che punisce con la follia gli eccessi del tiranno, come elementi sufficienti a sostenere un arco drammatico auto­nomo. Uno strato massiccio di stucchi ornamentali - squisita­mente barocchi - dissimula la sua chiave di volta, e solo uno stu­dio accu{ato della sua spinta dinamica potrà permettere di cal­colarla. E la tensione propria di un'interrogazione riguardante la storia della salvezza portata all'estremo dalla secolarizzazione del Mistero medievale, e. non solo fra i protestanti della scuola slesiana e della scuola di Norimberga, ma anche tra i gesuiti e in Calder6n. Se infatti la secolarizzazione della Controriforma si impose in entrambe le aree confessionali, non per questo le que­stioni rèligiose persero di peso: semplicemente, il secolo negò lo­ro una soluzione religiosa per ricavarne o imporre in sua vece una soluzione mondana. Le generazioni dell'età barocca vissero i loro conflitti sotto il giogo di questa tensione, sotto il pungolo di questa esigenza. Tra tutte le epoche profondamente dilacera­te e contraddittorie della storia europea, l'epoca barocca è l'uni-

,. CLAUDIO SALMAsro, Apologie royale pour Charles I, roy d' Angleterre, Paris 16.5o, pp. 642 sgg.

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54 Il dramma barocco tedesco

ca a coincidere con un periodo di incontrastato dominio cristi~­no. La via medievale della ribellione, l'eresia, le era preclus~, m parte appunto perché il cristianesimo riaffermava con tenacia la sua autorità, ma soprattutto perché le sfumat~e eterod?sse del­la dottrina e della morale non erano affatto m g_rad,o dt da~ vo­ce al fervore di una nuova volontà mondana. Po~che né ~a rtbel­lione né la sottomissione potevano trovare spazio sul P.tano re­ligioso, l'energia dell'epoca si indirizzò ~erso un rov:sctamento totale dei contenuti vitali nel quadro dt una fedelta o~todo~s~ alle forme ecclesiastiche. Ciò significava precludere agh uommt la possibilità di un'espressi.one ~utenti~a e im~ediata. Tal; espressione avrebbe portato mfatti a marufestare m modo espli­cito la volontà epocale, e avrebbe provocat.~ quel.confronto co? la vita cristiana che avrebbe avuto luogo pm tardt nel Romanti­cismo. Ma un confronto del genere venne el';lso sia .i~ senso po­sitivo che in senso negativo. Regnava un cl!ma ,spmt?ale che, pur sapendo rappresentare in forma eccentrica .1 espe:tenza del rapimento, vedeva in essa n~n tanto una trasftgurazwne della realtà mondana quanto un ctelo nuvoloso posato sulla s~a ~u­perficie. Se i pittori d~l Rinascim~nt~ sanno tenere alto il. cie­lo, nei quadri barocchtla nuvolaglia s1 ~u~ve, s_cura o radiosa, verso la terra. In confronto al Barocco, il Rmasctmento ~on ap­pare come un'epoca pagana e irreligiosa, ~a come un. perwdo m cui la vita della fede conosce una sorta dt profana libert~: con la Controriforma tornerà a farsi valere l'impronta gerarchica del Medioevo ma in un mondo a cui non era piu dato un accesso diretto all'' aldilà. La recente ridefinizione del ~nasc~m~n!o ~ della Riforma proposta da Burdach contro 1 pregmdtzt _dt Burckhardt, pone per la prima volt_a in giusta luc~, e. ~ontrarto, questi tratti decisivi della Contronfort:?a. Nulla e pm lontano da essa di quel clima di attesa escatologica, o anche solo epoca­le che fu secondo l'interpretazione di Burdach, la molla segre­ta' del Ri~ascimento. Dal punto di vista della filosofia della. sto­ria l'ideale della Controriforma è l'acme: un'età dell'oro dt pa­ce ~ di fioritura artistica, lontana da ogni tratt? apoc.~littico, creata e garantita in aeternum dalla spada della Chtesa. L ~nflu.ss~ di questo stato d'a~~o si lasci~.rintr~c~iare anche negli ~;1m1 esempi del teatro rehgtoso. Cos11 gesUiti «n~n ~rendono pm co­me spunto il dramma della salvezza nel s~o u~steme, ~ anc~e la Passione sempre piu di rado, per fare spazto a~ s?gget!I dell A~­tico Testamento e per esprimere il loro zelo mtsswnano nelle VI-

Dramma e tragedia (I) 55

te dei santi»'7• Ma la filosofia della storia propria della Restau­razione doveva colpire in modo ancora piu evidente il dramma profano. Esso si poneva di fronte a una materia storica- era pos­sente l'iniziativa dei poeti che come Gryphius attingevano all'at­tualità, come Lohenstei.n e Hallmann alla storia politica del­l'Oriente. Ma questi soggetti rimanevano confinati fin dall'ini­zio in una rigida immanenza senza alcuna prospettiva sull'aldilà del Mistero medievale: il loro pur ricco apparato scenico si li­mita in questo senso alle apparizioni di spiriti e all'apoteosi del tiranno. In questo clima opprimente crebbe il dramma barocco tedesco. Non c'è allora da stupirsi che esso abbia assunto forme contorte, e appunto per questo tanto piu efficaci. Del dramma tedesco del Rinascimento non sopravvive in esso quasi nulla; già le Troiane di Opitz aveva rinunciato alla temperata allegrezza e alla moralistica sobrietà di quelle opere. Gryphius e Lohenstein avrebbero richiesto ai loro drammi un valore artistico e un peso metafisica ancora maggiori se il virtuosismo non fosse stato escluso in partenza, con l'eccezione delle dediche e delle com­posizioni encomiastiche.

L'evoluzione formale del dramma barocco può essere vista senz' altro come lo sviluppo di necessità contemplative presenti nel­la situazione teologica dell'epoca. Una di queste, che deriva dal venir meno di ogni escatologia, è il tentativo di trovar consola­zione non già in un irraggiungibile stato di grazia, ma nel ritorno a un mero stato creaturale. Qui, come in altre zone del mondo ba­rocco, è decisiva la trasposizione dei dati temporali in una simul­taneità spaziale impropria. Essa introduce nella struttura intima di questa forma drammatica. Mentre il Medioevo esibisce la pre­carietà degli eventi mondani e la transitorietà della creatura come stazioni lungo la via della salvezza, il dramma barocco tedesco si seppellisce per intero nella disperata desolazione della realtà ter­rena. Se esso conosce una via di salvezza, questa sarà nel cuore stesso dell'angoscia piu che nel compiersi di un piano provviden­ziale. Il rifiuto dell'escatologia nel dramma religioso caratterizza la nuova produzione teatrale in tutta Europa: cionondimeno, la fuga indiscriminata nella natura senza grazia è specificamente te­desca. Il dramma spagnolo - che è la forma piu alta del teatro ba-

"mu FLEMMING, Geschichte des ]esuitentheaters in den Landen deutscher Zunge, Ber­lin 1923, pp. 3 sgg.

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ca a coincidere con un periodo di incontrastato dominio cristi~­no. La via medievale della ribellione, l'eresia, le era preclus~, m parte appunto perché il cristianesimo riaffermava con tenacia la sua autorità, ma soprattutto perché le sfumat~e eterod?sse del­la dottrina e della morale non erano affatto m g_rad,o dt da~ vo­ce al fervore di una nuova volontà mondana. Po~che né ~a rtbel­lione né la sottomissione potevano trovare spazio sul P.tano re­ligioso, l'energia dell'epoca si indirizzò ~erso un rov:sctamento totale dei contenuti vitali nel quadro dt una fedelta o~todo~s~ alle forme ecclesiastiche. Ciò significava precludere agh uommt la possibilità di un'espressi.one ~utenti~a e im~ediata. Tal; espressione avrebbe portato mfatti a marufestare m modo espli­cito la volontà epocale, e avrebbe provocat.~ quel.confronto co? la vita cristiana che avrebbe avuto luogo pm tardt nel Romanti­cismo. Ma un confronto del genere venne el';lso sia .i~ senso po­sitivo che in senso negativo. Regnava un cl!ma ,spmt?ale che, pur sapendo rappresentare in forma eccentrica .1 espe:tenza del rapimento, vedeva in essa n~n tanto una trasftgurazwne della realtà mondana quanto un ctelo nuvoloso posato sulla s~a ~u­perficie. Se i pittori d~l Rinascim~nt~ sanno tenere alto il. cie­lo, nei quadri barocchtla nuvolaglia s1 ~u~ve, s_cura o radiosa, verso la terra. In confronto al Barocco, il Rmasctmento ~on ap­pare come un'epoca pagana e irreligiosa, ~a come un. perwdo m cui la vita della fede conosce una sorta dt profana libert~: con la Controriforma tornerà a farsi valere l'impronta gerarchica del Medioevo ma in un mondo a cui non era piu dato un accesso diretto all'' aldilà. La recente ridefinizione del ~nasc~m~n!o ~ della Riforma proposta da Burdach contro 1 pregmdtzt _dt Burckhardt, pone per la prima volt_a in giusta luc~, e. ~ontrarto, questi tratti decisivi della Contronfort:?a. Nulla e pm lontano da essa di quel clima di attesa escatologica, o anche solo epoca­le che fu secondo l'interpretazione di Burdach, la molla segre­ta' del Ri~ascimento. Dal punto di vista della filosofia della. sto­ria l'ideale della Controriforma è l'acme: un'età dell'oro dt pa­ce ~ di fioritura artistica, lontana da ogni tratt? apoc.~littico, creata e garantita in aeternum dalla spada della Chtesa. L ~nflu.ss~ di questo stato d'a~~o si lasci~.rintr~c~iare anche negli ~;1m1 esempi del teatro rehgtoso. Cos11 gesUiti «n~n ~rendono pm co­me spunto il dramma della salvezza nel s~o u~steme, ~ anc~e la Passione sempre piu di rado, per fare spazto a~ s?gget!I dell A~­tico Testamento e per esprimere il loro zelo mtsswnano nelle VI-

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te dei santi»'7• Ma la filosofia della storia propria della Restau­razione doveva colpire in modo ancora piu evidente il dramma profano. Esso si poneva di fronte a una materia storica- era pos­sente l'iniziativa dei poeti che come Gryphius attingevano all'at­tualità, come Lohenstei.n e Hallmann alla storia politica del­l'Oriente. Ma questi soggetti rimanevano confinati fin dall'ini­zio in una rigida immanenza senza alcuna prospettiva sull'aldilà del Mistero medievale: il loro pur ricco apparato scenico si li­mita in questo senso alle apparizioni di spiriti e all'apoteosi del tiranno. In questo clima opprimente crebbe il dramma barocco tedesco. Non c'è allora da stupirsi che esso abbia assunto forme contorte, e appunto per questo tanto piu efficaci. Del dramma tedesco del Rinascimento non sopravvive in esso quasi nulla; già le Troiane di Opitz aveva rinunciato alla temperata allegrezza e alla moralistica sobrietà di quelle opere. Gryphius e Lohenstein avrebbero richiesto ai loro drammi un valore artistico e un peso metafisica ancora maggiori se il virtuosismo non fosse stato escluso in partenza, con l'eccezione delle dediche e delle com­posizioni encomiastiche.

L'evoluzione formale del dramma barocco può essere vista senz' altro come lo sviluppo di necessità contemplative presenti nel­la situazione teologica dell'epoca. Una di queste, che deriva dal venir meno di ogni escatologia, è il tentativo di trovar consola­zione non già in un irraggiungibile stato di grazia, ma nel ritorno a un mero stato creaturale. Qui, come in altre zone del mondo ba­rocco, è decisiva la trasposizione dei dati temporali in una simul­taneità spaziale impropria. Essa introduce nella struttura intima di questa forma drammatica. Mentre il Medioevo esibisce la pre­carietà degli eventi mondani e la transitorietà della creatura come stazioni lungo la via della salvezza, il dramma barocco tedesco si seppellisce per intero nella disperata desolazione della realtà ter­rena. Se esso conosce una via di salvezza, questa sarà nel cuore stesso dell'angoscia piu che nel compiersi di un piano provviden­ziale. Il rifiuto dell'escatologia nel dramma religioso caratterizza la nuova produzione teatrale in tutta Europa: cionondimeno, la fuga indiscriminata nella natura senza grazia è specificamente te­desca. Il dramma spagnolo - che è la forma piu alta del teatro ba-

"mu FLEMMING, Geschichte des ]esuitentheaters in den Landen deutscher Zunge, Ber­lin 1923, pp. 3 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

rocco europeo, quella in cui l'elemento barocco, innestandosi sul­la cultura cattolica, si sviluppa nel modo piu brillante, piu deciso, piu felice - risolve i conflitti di uno stato creaturale privo di gra­zia trasponendoli nella cornice rimpicciolita e per cosi dire Iudica di una corte, che è come una Provvidenza secolarizzata. La «stret­ta» del terzo atto, con l'intervento indiretto della trascendenza­tra surreale, cristallino e burattinesco- garantisce al dramma di Calder6n un esito superiore a quello dei drammi tedeschi. L'am­bizione di toccare il cuore stesso dell'esistenza è qui del tutto espli­cita. Se tuttavia il dramma mondano è costretto a fermarsi sulle soglie della trascendenza, esso cerca nondimeno di accertarsene in forma giocosa, per vie traverse. In nessun altro testo ciò è piu evi­dente che in La vita è sogno: una totalità conchiusa in fondo para­gonabile al Mistero medievale, dove il sogno ricopre la vita desta come la volta del cielo. In esso, è alla moralità che spetta l'ultima parola:

Mas, sea verdad o sueflo, obrar bien es lo que importa; si fuera verdad, por serio; si no, por ganar amigos para cuando despertemos'".

In nessun autore come in Calder6n si potrebbe studiare la for­ma artistica compiuta del dramma barocco. La sua efficacia -l'ef­ficacia della parola e dell'oggetto- consiste non in ultimo nella precisione con cui il «lutto» e il «gioco» sono accordati l'uno ·sull'altro. La storia del concetto di «gioco» nell'estetica tedesca conosce tre periodi: il Barocco, il Classicismo, il Romanticismo. Se il primo pensa prevalentemente al prodotto, il secondo pensa alla produzione e il terzo ad entrambi. La concezione della vita stessa come gioco, e quindi a fortiori dell'opera d'arte come gio­co, è estranea al Classicismo. La teoria schilleriana del gioco ave­va di mira l'origine e gli effetti dell'opera d'arte, ma non la sua struttura. L'opera d'arte potrà essere «serena», mentra la vita è «grave», ma la struttura stessa dell'opera potrà essere giocosa sol­tanto là dove la vita, messa a cop.fronto con una intensità senza limiti, avrà perso la sua gravità. E quanto accade, sia pure in mo­do diverso, nel barocco e nel romanticismo. E in entrambi questa

"PEDRO CALDER6N DE LA BARCA, La vida es sueiio, III. [Ma che sia realtà o sogno, l il giusto conta; l se è realtà, per esser tale, l e se no per conquistare l nuovi amici, aprendo gli occhi (trad. it. di L. Orioli, Milano 1967, p. 159)).

Dramma e tragedia (r) 57

intensità deve trovare espressione nelle forme e nei soggetti del­la prassi artistica mondana. Il momento del gioco trova cosi la sua massima enfasi nel dramma, mentre la trascendenza inter­viene a dire l'ultima parola sotto un travestimento mondano, os­sia come «spettacolo nello spettacolo». Non sempre la tecnica è esplicita, nel senso di presentare una scena dentro la scena o di attrarre gli spettatori all'interno dello spazio scenico. Eppure l'istanza salvifica e liberatrice del nuovo teatro profano e appunto perciò «romantico», sta nel paradossale riflettersi di gioco e ap­parenza. Quella intenzionalità di cui Goethe ha detto che la sua apparenza inerisce ad ogni opera d'arte, dissolve nel dramma idealmente romantico di Calder6n l'elemento del lutto. La nuo­va scena ha infatti il suo dio nella macchinazione. Per i drammi barocchi tedeschi è caratteristico il fatto che il «gioco» non si svolge in essi con la sontuosità dei drammi spagnoli e neppure con la scaltrezza del futuro teatro romantico. Il motivo struttu­rale che ha lasciato nelle liriche di Andreas Gryphius la sua im­pronta piu marcata è però ben presente anche nel teatro baroc­co. Ne troviamo una variazione a posteriori nella dedica della Sophonisbe di Lohenstein:

Wie nun der Sterblichen ihr gantzer Lebens-Lauf Sich in der Kindheit pflegt mit Spielen anzufangen So hort das Leben auch mit eitel Spielen auf. Wie Rom denselben Tag mit Spielen hat begangen An dem August gebohrn; so wird mit Spiel und Pracht Auch der Entleibten Leib in sein Begriibniis bracht / ... Der blinde Simson bringt sich spielend in das Grab; Und unsre kurtze Zeit ist nichts als ein Getichte. Ein Spiel in dem bald der tritt auf bald jener ab; Mit Thriinen fiingt es an mit Weinen wirds zu nichte. Ja nach dem T ode pflegt mit uns die Zeit zu spieln Wenn Faule Mad' und Wurm in unsern Leichen wiihln'9•

L'intreccio mostruoso della Sophonisbe prefigura quello che sarà il destino dell'elemento Iudica nel teatro di marionette: dove l'aspetto giocoso piegherà da un lato verso il grottesco, e dall'al-

"LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspielecit., p. 251 (Sophonisbe, dedica, 229 sgg. e 241 sgg.). [Come il corso della vita dei mortali l Suoi cominciare coi giuochi dell'infanzia, l Co­si la vita si conclude in puri giuochi. l Come Roma ha celebrato il giorno, l In cui è nato Augusto; cosf, con giuochi e pompa l Anche il corpo dell'ucciso è portato a sepoltura ... l Il cieco Sansone precipita giocando verso la tomba; l E il nostro tempo breve non è che una poesia. l Un giuoco, in cui ora questi entra in scena, ora quegli ne esce; l Con lacrime co­mincia, nel pianto si annienta. l Persino dopo la morte il tempo con noi gioca, l Quando la putrescenza e i vermi brulicano nei nostri cadaveri].

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Il dramma barocco tedesco

rocco europeo, quella in cui l'elemento barocco, innestandosi sul­la cultura cattolica, si sviluppa nel modo piu brillante, piu deciso, piu felice - risolve i conflitti di uno stato creaturale privo di gra­zia trasponendoli nella cornice rimpicciolita e per cosi dire Iudica di una corte, che è come una Provvidenza secolarizzata. La «stret­ta» del terzo atto, con l'intervento indiretto della trascendenza­tra surreale, cristallino e burattinesco- garantisce al dramma di Calder6n un esito superiore a quello dei drammi tedeschi. L'am­bizione di toccare il cuore stesso dell'esistenza è qui del tutto espli­cita. Se tuttavia il dramma mondano è costretto a fermarsi sulle soglie della trascendenza, esso cerca nondimeno di accertarsene in forma giocosa, per vie traverse. In nessun altro testo ciò è piu evi­dente che in La vita è sogno: una totalità conchiusa in fondo para­gonabile al Mistero medievale, dove il sogno ricopre la vita desta come la volta del cielo. In esso, è alla moralità che spetta l'ultima parola:

Mas, sea verdad o sueflo, obrar bien es lo que importa; si fuera verdad, por serio; si no, por ganar amigos para cuando despertemos'".

In nessun autore come in Calder6n si potrebbe studiare la for­ma artistica compiuta del dramma barocco. La sua efficacia -l'ef­ficacia della parola e dell'oggetto- consiste non in ultimo nella precisione con cui il «lutto» e il «gioco» sono accordati l'uno ·sull'altro. La storia del concetto di «gioco» nell'estetica tedesca conosce tre periodi: il Barocco, il Classicismo, il Romanticismo. Se il primo pensa prevalentemente al prodotto, il secondo pensa alla produzione e il terzo ad entrambi. La concezione della vita stessa come gioco, e quindi a fortiori dell'opera d'arte come gio­co, è estranea al Classicismo. La teoria schilleriana del gioco ave­va di mira l'origine e gli effetti dell'opera d'arte, ma non la sua struttura. L'opera d'arte potrà essere «serena», mentra la vita è «grave», ma la struttura stessa dell'opera potrà essere giocosa sol­tanto là dove la vita, messa a cop.fronto con una intensità senza limiti, avrà perso la sua gravità. E quanto accade, sia pure in mo­do diverso, nel barocco e nel romanticismo. E in entrambi questa

"PEDRO CALDER6N DE LA BARCA, La vida es sueiio, III. [Ma che sia realtà o sogno, l il giusto conta; l se è realtà, per esser tale, l e se no per conquistare l nuovi amici, aprendo gli occhi (trad. it. di L. Orioli, Milano 1967, p. 159)).

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intensità deve trovare espressione nelle forme e nei soggetti del­la prassi artistica mondana. Il momento del gioco trova cosi la sua massima enfasi nel dramma, mentre la trascendenza inter­viene a dire l'ultima parola sotto un travestimento mondano, os­sia come «spettacolo nello spettacolo». Non sempre la tecnica è esplicita, nel senso di presentare una scena dentro la scena o di attrarre gli spettatori all'interno dello spazio scenico. Eppure l'istanza salvifica e liberatrice del nuovo teatro profano e appunto perciò «romantico», sta nel paradossale riflettersi di gioco e ap­parenza. Quella intenzionalità di cui Goethe ha detto che la sua apparenza inerisce ad ogni opera d'arte, dissolve nel dramma idealmente romantico di Calder6n l'elemento del lutto. La nuo­va scena ha infatti il suo dio nella macchinazione. Per i drammi barocchi tedeschi è caratteristico il fatto che il «gioco» non si svolge in essi con la sontuosità dei drammi spagnoli e neppure con la scaltrezza del futuro teatro romantico. Il motivo struttu­rale che ha lasciato nelle liriche di Andreas Gryphius la sua im­pronta piu marcata è però ben presente anche nel teatro baroc­co. Ne troviamo una variazione a posteriori nella dedica della Sophonisbe di Lohenstein:

Wie nun der Sterblichen ihr gantzer Lebens-Lauf Sich in der Kindheit pflegt mit Spielen anzufangen So hort das Leben auch mit eitel Spielen auf. Wie Rom denselben Tag mit Spielen hat begangen An dem August gebohrn; so wird mit Spiel und Pracht Auch der Entleibten Leib in sein Begriibniis bracht / ... Der blinde Simson bringt sich spielend in das Grab; Und unsre kurtze Zeit ist nichts als ein Getichte. Ein Spiel in dem bald der tritt auf bald jener ab; Mit Thriinen fiingt es an mit Weinen wirds zu nichte. Ja nach dem T ode pflegt mit uns die Zeit zu spieln Wenn Faule Mad' und Wurm in unsern Leichen wiihln'9•

L'intreccio mostruoso della Sophonisbe prefigura quello che sarà il destino dell'elemento Iudica nel teatro di marionette: dove l'aspetto giocoso piegherà da un lato verso il grottesco, e dall'al-

"LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspielecit., p. 251 (Sophonisbe, dedica, 229 sgg. e 241 sgg.). [Come il corso della vita dei mortali l Suoi cominciare coi giuochi dell'infanzia, l Co­si la vita si conclude in puri giuochi. l Come Roma ha celebrato il giorno, l In cui è nato Augusto; cosf, con giuochi e pompa l Anche il corpo dell'ucciso è portato a sepoltura ... l Il cieco Sansone precipita giocando verso la tomba; l E il nostro tempo breve non è che una poesia. l Un giuoco, in cui ora questi entra in scena, ora quegli ne esce; l Con lacrime co­mincia, nel pianto si annienta. l Persino dopo la morte il tempo con noi gioca, l Quando la putrescenza e i vermi brulicano nei nostri cadaveri].

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5s Il dramma barocco tedesco

tro verso l'arguzia. Il poeta è consapevole della tortuosità della sua trama:

Die fi.ir den Ehmann itzt aus Liebe sterben wil, Hat in zwey Stunden sein' und ~er Hold ve:gessen. Und Masinissens Brunst ist nur em Gaukelsptel, W enn er der die er friih fi.ir Liebe meint zu fressen, Den Abend tOdlich Gift als ein Geschencke schickt, Und der erst Buhler war, als Hencker sie erdriickt.

, . d hr . . d w l 601 So spielet die Begterd un E gettz m er e t ·

Un simile gioco non può essere governato dal caso, ma dovrà essere calcolato e conforme a un disegno, dovrà essere pens~t? ?a marionette i cui fili sono mossi dall'ambizione e dalla cuptdigia. Resta comunque incontestabile che il dramma tedesco del '~oo non è giunto a elaborare quell'artificio c~onico.c~e pern;ettera a! dramma romantico, da Calder6n fino a Tteck,. di c~coscrtver~ ~di ridurre i suoi oggetti: la rifless~o.n~. Qu~ll~ ;ifles~t~ne che st tm­porrà non soltanto come un artiftcto tra 1 pm sottili ~ella comme­dia romantica, ma che si farà valere anche ne~a. costddetta «tra: gedia» romantica, ossia ne~ «dra~a del destrno». N;l te~tro di Calder6n essa rappresenta m defmttlva quello che nell architettu­ra coeva è la voluta. Essa si ripete all'infi~t.o, rimpiccioJendo all'inverosimile il cerchio che essa stessa delimita. I due latl della riflessione sono entrambi essenziali: la riduzione giocosa del rea: le e l'introduzione nella chiusa finitezza del dramma ~rofano d~ una infinità riflessiva del pensiero. Poiché il mondo det.«dr~mmt del destino»- sia qui detto anticipa~do- è u~ mondo m se con­chiuso. E tale era nel teatro di Calderon, nel cUI dramma El n:ay~r monstruo, dedicato alla figura di Erode, si è v~luto vedere il pn­mo «dramma del destino» della letteratura umversale. La regola del destino doveva ~arsi valere in modo al.tempo ste~so .P;og~am­mato e sorprendente, ad maiorem Dei glorzam e per l edif~cazwne degli spettatori, nello scenario di un mondo ~<sublunare» m senso stretto: quello della creatura soffere~te-o t!'t~nfa~te: Non a caso un uomo come Zacharias Werner, pnma dt rifugtarst nel gremb~ della Chiesa cattolica, si cimentò con lo Sckicksals~rama. La cUI mondanità, solo apparentemente pagana, è di fatto t1 pendant pro-

"'Ibid., p. 248 (Sophonisbe, dedica, p. 133 sgg.). [Colei che ~ra.per ~ore "'!oldor~ al sto del marito, l Dopo due ore ha dimenticato l~ sua e la di le~ grazlll. I,E l ar ore M!:inissa è solo un artificio, l Poiché a colc;i che pr1ma avre?he divorato d amor~, ~~t sera invia in dono veleno mortale, l E se prun,a era. ~no spasunante, ora quale bolli • strugge. l Cosf nel mondo giocano la_ brama e l ambiZlone].

Dramma e tragedia (I) 59

fano della sacra rappresentazione. Ma quel che tanto affascina­va anche i romantici, orientati in senso teorico nel teatro di Cal­der6n -,al punto che lo si potrebbe definire, piu ancora di Shake­speaie, il loro drammaturgo xarè !;oxi)v- è l'incomparabile vir­tuosismo della riflessione a cui costantemente ricorrono i suoi eroi, quel rigirarsi fra le mani la sfera del destino per osservarlo ora da un lato ora dall'altro. Che cos'altro vagheggiavano i ro­mantici se non il genio che riflette irresponsabile fra le catene dorate dell'autorità? Eppure, proprio l'incomparabile perfezio­ne del teatro spagnolo che per quanto alta artisticamente, sem­bra, a volerla misurare, ancora un gradino piu in alto, lascia in­travedere la pura forma del dramma barocco con minor chiarez­za del teatro tedesco, dove il primato della sfera morale mette a nudo la situazione-limite assai piu di quanto non farebbe un pro­dotto artisticamente compiuto. Il moralismo luterlmo, sempre proteso, come dimostra ampiamente la sua etica del Beru/, a le­gare la trascendenza della vita di fede all'immanenza della vita quotidiana, non ha mai consentito un confronto deciso tra la mi­seria umana e terrena e i potentati principeschi e gerarchici, con­fronto su cui si basa lo scioglimento di tanti drammi di Calder6n. L'esito dei drammi tedeschi è allora meno compiuto riguardo al­la forma e al tempo stesso meno dogmatico: esso è, moralmente se non artisticamente, piu responsabile che nei drammi spagno­li. Detto ciò, la ricerca non dovrebbe far altro che individuare alcuni nessi significativi per la forma, cosf ricca e insieme chiu­sa, del teatro calderoniano. E quanto meno ci sarà spazio per ex­cursus e riscontri testuali, tanto piu sarà necessario mettere in chiaro il rapporto essenziale tra il dramma barocco e Calder6n, un drammaturgo di cui la Germania di quegli anni non può van­tare l'eguale.

Il piano dello stato creaturale, il terreno su cui si sviluppa il dramma barocco, condiziona in modo inequivocabile anche la fi­gura del sovrano. Per quanto alto egli troneggi sopra i sudditi e lo stato, il suo rango rientra nel mondo della creazione; egli è il si­gnore delle creature, ma rimane creatura. Ed è proprio questo l'esempio che vorremmo portare rifacendoci a Calder6n, sebbene le parole del principe Don Fernando esprimano un punto di vista squisitamente spagnolo. Esse applicano all'intera creazione il mo­tivo del nome regale:

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5s Il dramma barocco tedesco

tro verso l'arguzia. Il poeta è consapevole della tortuosità della sua trama:

Die fi.ir den Ehmann itzt aus Liebe sterben wil, Hat in zwey Stunden sein' und ~er Hold ve:gessen. Und Masinissens Brunst ist nur em Gaukelsptel, W enn er der die er friih fi.ir Liebe meint zu fressen, Den Abend tOdlich Gift als ein Geschencke schickt, Und der erst Buhler war, als Hencker sie erdriickt.

, . d hr . . d w l 601 So spielet die Begterd un E gettz m er e t ·

Un simile gioco non può essere governato dal caso, ma dovrà essere calcolato e conforme a un disegno, dovrà essere pens~t? ?a marionette i cui fili sono mossi dall'ambizione e dalla cuptdigia. Resta comunque incontestabile che il dramma tedesco del '~oo non è giunto a elaborare quell'artificio c~onico.c~e pern;ettera a! dramma romantico, da Calder6n fino a Tteck,. di c~coscrtver~ ~di ridurre i suoi oggetti: la rifless~o.n~. Qu~ll~ ;ifles~t~ne che st tm­porrà non soltanto come un artiftcto tra 1 pm sottili ~ella comme­dia romantica, ma che si farà valere anche ne~a. costddetta «tra: gedia» romantica, ossia ne~ «dra~a del destrno». N;l te~tro di Calder6n essa rappresenta m defmttlva quello che nell architettu­ra coeva è la voluta. Essa si ripete all'infi~t.o, rimpiccioJendo all'inverosimile il cerchio che essa stessa delimita. I due latl della riflessione sono entrambi essenziali: la riduzione giocosa del rea: le e l'introduzione nella chiusa finitezza del dramma ~rofano d~ una infinità riflessiva del pensiero. Poiché il mondo det.«dr~mmt del destino»- sia qui detto anticipa~do- è u~ mondo m se con­chiuso. E tale era nel teatro di Calderon, nel cUI dramma El n:ay~r monstruo, dedicato alla figura di Erode, si è v~luto vedere il pn­mo «dramma del destino» della letteratura umversale. La regola del destino doveva ~arsi valere in modo al.tempo ste~so .P;og~am­mato e sorprendente, ad maiorem Dei glorzam e per l edif~cazwne degli spettatori, nello scenario di un mondo ~<sublunare» m senso stretto: quello della creatura soffere~te-o t!'t~nfa~te: Non a caso un uomo come Zacharias Werner, pnma dt rifugtarst nel gremb~ della Chiesa cattolica, si cimentò con lo Sckicksals~rama. La cUI mondanità, solo apparentemente pagana, è di fatto t1 pendant pro-

"'Ibid., p. 248 (Sophonisbe, dedica, p. 133 sgg.). [Colei che ~ra.per ~ore "'!oldor~ al sto del marito, l Dopo due ore ha dimenticato l~ sua e la di le~ grazlll. I,E l ar ore M!:inissa è solo un artificio, l Poiché a colc;i che pr1ma avre?he divorato d amor~, ~~t sera invia in dono veleno mortale, l E se prun,a era. ~no spasunante, ora quale bolli • strugge. l Cosf nel mondo giocano la_ brama e l ambiZlone].

Dramma e tragedia (I) 59

fano della sacra rappresentazione. Ma quel che tanto affascina­va anche i romantici, orientati in senso teorico nel teatro di Cal­der6n -,al punto che lo si potrebbe definire, piu ancora di Shake­speaie, il loro drammaturgo xarè !;oxi)v- è l'incomparabile vir­tuosismo della riflessione a cui costantemente ricorrono i suoi eroi, quel rigirarsi fra le mani la sfera del destino per osservarlo ora da un lato ora dall'altro. Che cos'altro vagheggiavano i ro­mantici se non il genio che riflette irresponsabile fra le catene dorate dell'autorità? Eppure, proprio l'incomparabile perfezio­ne del teatro spagnolo che per quanto alta artisticamente, sem­bra, a volerla misurare, ancora un gradino piu in alto, lascia in­travedere la pura forma del dramma barocco con minor chiarez­za del teatro tedesco, dove il primato della sfera morale mette a nudo la situazione-limite assai piu di quanto non farebbe un pro­dotto artisticamente compiuto. Il moralismo luterlmo, sempre proteso, come dimostra ampiamente la sua etica del Beru/, a le­gare la trascendenza della vita di fede all'immanenza della vita quotidiana, non ha mai consentito un confronto deciso tra la mi­seria umana e terrena e i potentati principeschi e gerarchici, con­fronto su cui si basa lo scioglimento di tanti drammi di Calder6n. L'esito dei drammi tedeschi è allora meno compiuto riguardo al­la forma e al tempo stesso meno dogmatico: esso è, moralmente se non artisticamente, piu responsabile che nei drammi spagno­li. Detto ciò, la ricerca non dovrebbe far altro che individuare alcuni nessi significativi per la forma, cosf ricca e insieme chiu­sa, del teatro calderoniano. E quanto meno ci sarà spazio per ex­cursus e riscontri testuali, tanto piu sarà necessario mettere in chiaro il rapporto essenziale tra il dramma barocco e Calder6n, un drammaturgo di cui la Germania di quegli anni non può van­tare l'eguale.

Il piano dello stato creaturale, il terreno su cui si sviluppa il dramma barocco, condiziona in modo inequivocabile anche la fi­gura del sovrano. Per quanto alto egli troneggi sopra i sudditi e lo stato, il suo rango rientra nel mondo della creazione; egli è il si­gnore delle creature, ma rimane creatura. Ed è proprio questo l'esempio che vorremmo portare rifacendoci a Calder6n, sebbene le parole del principe Don Fernando esprimano un punto di vista squisitamente spagnolo. Esse applicano all'intera creazione il mo­tivo del nome regale:

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6o n dramma barocco tedesco

... que aun entre brutos y fieras este nombre es de tan suma autoridad, que la ley de naturaleza ajusta obeduencias; y asf leemos en republicas incultas, alle6n, rey de las fieras, que cuando la frente arruga de guedejas se corona, es piadoso, pues que nunca hizo presa en el rendido. En las saladas espumas del mar, el delHn, que es rey de los peces, le dibujan escamas de plata y oro sobre la espalda cerulea coronas, y ya se vio de una tormenta importuna sacar los hombres a tierra porque el mar no los consuma ... Pues si entre fieras y peces, plantas, piedras y aves, uso esta majestad del rey de piedad, no sera injusta entre los hombres, seno ... 61

Il tentativo di rintracciare l'origine della regalità nell'ordine naturale si ritrova anche nella teoria giuridica. Cosf gli avversari del tirannicidio proponevano di screditare i regicidi definendoli «parricidi». Claudio Salmasio, Robert Silmer e parecchi altri fa­cevano derivare «il potere d_~l sovrano dal dominio universale con­cesso ad Adamo in quanto signore della creazione, un dominio che si era trasmesso attraverso alcuni capifamiglia per diventare infi­ne ereditario, entro certo limiti, all'interno di una dinastia. Un re­gicidio è perciò equivalente a un parricidio»62

• La nobiltà poteva dunque apparire come un fenomeno naturale, al punto che Hall­mann, ne~e sue Leichreden [Orazioni funebri] può rivolgersi alla

61 PEDRO CALDER6N DE LA BARCA, Obras Completas, I, Madrid 1966 (BI principe con­stante, III), pp. 273·74· [Persino tra i bruti e le fiexe questo nome è di sf alta autorità, che la stessa legge di natura li dispone ali' obbedienn. Cosi leggiamo che nei selvaggi regni del­le belve, il leone loro sovrano, che quando corruga la fronte si corona di criniexe, è pieto­so pexché non mai infiexf sul nemico vinto. Tra le salse spume del mare il delfino, re dei pesci, a cui sulla cerulea spalla squame d'oro e d'argento disegnano corone, fu già visto trar· re a riva, da infausta procella, gli uomini, perché non vengano inghiottiti dal mare ... Se dunque tra le fiere ed i pesci, le piante, le pietre e gli uccelli, la maestà regale è usa alla pietà, non sarà ingiusta anche tra gli uomini, signore ... (trad. it. Torino 1951, pp. 150 sgg.)].

" HANS GEORG sCHMIDT, Die Lehre vom Tyrannenmord. Bin Kapitel aus der Rechtsphilo­. sophie; Tiibingen-Leipzig 1901, p. 92.

Dramma e tragedia (I)

morte con queste parole di lamento: «Ahimè, neppure di fronte ai privilegiati tu hai gli occhi aperti e le orecchie! »63

• Il semplice sud­dito, l'uomo, diventa allora, coerentemente, un animale: «l'ani­male divino», «l'animale sapiente»64

, un «animale indiscreto e per­maloso»65. Tali le espressioni di Opitz, Tscherning e Buchner. E cosi Butschky: «Che cos'è mai ... un monarca virtuoso se non un animale celeste! »66

• E poi ancora i bei versi di Gryphius: lhr, die cles hOch.sten bild verlohren, Schaut auf das bild, das euch gebohren! Fragt nicht, warum es in dem stall einzieh! Er sucht uns, die mehr viehisch als ein vieh67 !

Quest'ultima affermazione trova la sua conferma nella figura dei despoti in preda alla follia. Quando l' Antioco di Hallmann, inorridito alla vista di un pesce che gli viene servito a tavola pre­cipita nella follia65

, o quando Hunold mostra il suo Nabucodono­sor in forma di animale - sulla scena vediamo «una pianura deso­lata. Nabucodonosor in catene, con piume d'aquila e munito di ar­tigli, in mezzo a molti animali feroci ... Fa gesti strani ... Ringhia e si mostra rabbioso» - 69 tutto ciò poggia sulla convinzione che nel tiranno, la piu elevata fra le creature, possa innalzarsi, con inso-spettata violenza, l' animàle. ·

Su queste basi il teatro spagnolo ha sviluppato un suo motivo peculiare, che permette di riconoscere come nessun altro il carat-

"JOHANN CHRISTIAN HAU.MANN, Leich-Reden, Todten-Gedichte und Aus dem Italia­nischen iibexsetzte Grab-Schrifften [Orazioni funebri. Poemi pex i morti e scritti funebri tradotti dall'italiano], Franckfurt-Leipzig 1682, p. 88. [Ach daB du auch vor privilegirte Personen keine eroffnete Augen noch Ohren hast!] .

64 Cfr. HANS HEINRICH BORCHERDT, Andreas Tscheming. Bin Beitrag zur Literatur- und Kultur-Geschichteder I7.Jahrhunderts, Miinchen-Leipzig 1912, pp. 90 sgg.

60 AUGUST BUCHNER, Ppetik, Aus dessen nachgelassener Bibliothek hexaus gegeben von Othone Pratorio [La poetica di A. B. Pubblicata sulla base della sua biblioteca da O. P.] P. P. Wittenbexg 1665, p. 5· •

66 s~ VON BUTSCHKY, Wohl-Bebauter Rosen-Thal, Niirnbexg 1679, p. 761. [Was 1st ... em Tugendhalfer Monarch anders als ein Himmliches Thier].

61 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 109 (LeoArmenius, IV, .387 sgg.). [Voi che avete pex­duto l'immagine dell'Altissimo, l Guardate all'immagine ch'è nata per voi! l Non doman­date perché entrò in una stalla! l Egli cerca noi, piu bestiali delle bestie].

" Cfr. HAU.MANN, Trauer-, Freuden- und Schaferspiele cit., Die gijtttiche Rache oder der verfiihrte Theodoricus Veronensis [La vendetta divina ovvexo il sedotto Teodorico da Vero­na], p. 104 (V, .364 sgg.).

69 CHRISTIAN PRIEDRICH HUNOLD, Theatralische Galante Und Geisttiche Gedichte [Poe­mi teatrali, galanti e spirituali], Hamburg 1706, p. 181 (Nebucadnezar, III, 3· didasca­lia). [ ... eine wiiste Eini:ide. Nebucadnezar an Ketten mit Adlexs Federn und KÌauen be­wachsen unter vielen wilden Thieren ... Er geberdet sich seltsam ... Er brummet und stellt sich iibel] .

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6o n dramma barocco tedesco

... que aun entre brutos y fieras este nombre es de tan suma autoridad, que la ley de naturaleza ajusta obeduencias; y asf leemos en republicas incultas, alle6n, rey de las fieras, que cuando la frente arruga de guedejas se corona, es piadoso, pues que nunca hizo presa en el rendido. En las saladas espumas del mar, el delHn, que es rey de los peces, le dibujan escamas de plata y oro sobre la espalda cerulea coronas, y ya se vio de una tormenta importuna sacar los hombres a tierra porque el mar no los consuma ... Pues si entre fieras y peces, plantas, piedras y aves, uso esta majestad del rey de piedad, no sera injusta entre los hombres, seno ... 61

Il tentativo di rintracciare l'origine della regalità nell'ordine naturale si ritrova anche nella teoria giuridica. Cosf gli avversari del tirannicidio proponevano di screditare i regicidi definendoli «parricidi». Claudio Salmasio, Robert Silmer e parecchi altri fa­cevano derivare «il potere d_~l sovrano dal dominio universale con­cesso ad Adamo in quanto signore della creazione, un dominio che si era trasmesso attraverso alcuni capifamiglia per diventare infi­ne ereditario, entro certo limiti, all'interno di una dinastia. Un re­gicidio è perciò equivalente a un parricidio»62

• La nobiltà poteva dunque apparire come un fenomeno naturale, al punto che Hall­mann, ne~e sue Leichreden [Orazioni funebri] può rivolgersi alla

61 PEDRO CALDER6N DE LA BARCA, Obras Completas, I, Madrid 1966 (BI principe con­stante, III), pp. 273·74· [Persino tra i bruti e le fiexe questo nome è di sf alta autorità, che la stessa legge di natura li dispone ali' obbedienn. Cosi leggiamo che nei selvaggi regni del­le belve, il leone loro sovrano, che quando corruga la fronte si corona di criniexe, è pieto­so pexché non mai infiexf sul nemico vinto. Tra le salse spume del mare il delfino, re dei pesci, a cui sulla cerulea spalla squame d'oro e d'argento disegnano corone, fu già visto trar· re a riva, da infausta procella, gli uomini, perché non vengano inghiottiti dal mare ... Se dunque tra le fiere ed i pesci, le piante, le pietre e gli uccelli, la maestà regale è usa alla pietà, non sarà ingiusta anche tra gli uomini, signore ... (trad. it. Torino 1951, pp. 150 sgg.)].

" HANS GEORG sCHMIDT, Die Lehre vom Tyrannenmord. Bin Kapitel aus der Rechtsphilo­. sophie; Tiibingen-Leipzig 1901, p. 92.

Dramma e tragedia (I)

morte con queste parole di lamento: «Ahimè, neppure di fronte ai privilegiati tu hai gli occhi aperti e le orecchie! »63

• Il semplice sud­dito, l'uomo, diventa allora, coerentemente, un animale: «l'ani­male divino», «l'animale sapiente»64

, un «animale indiscreto e per­maloso»65. Tali le espressioni di Opitz, Tscherning e Buchner. E cosi Butschky: «Che cos'è mai ... un monarca virtuoso se non un animale celeste! »66

• E poi ancora i bei versi di Gryphius: lhr, die cles hOch.sten bild verlohren, Schaut auf das bild, das euch gebohren! Fragt nicht, warum es in dem stall einzieh! Er sucht uns, die mehr viehisch als ein vieh67 !

Quest'ultima affermazione trova la sua conferma nella figura dei despoti in preda alla follia. Quando l' Antioco di Hallmann, inorridito alla vista di un pesce che gli viene servito a tavola pre­cipita nella follia65

, o quando Hunold mostra il suo Nabucodono­sor in forma di animale - sulla scena vediamo «una pianura deso­lata. Nabucodonosor in catene, con piume d'aquila e munito di ar­tigli, in mezzo a molti animali feroci ... Fa gesti strani ... Ringhia e si mostra rabbioso» - 69 tutto ciò poggia sulla convinzione che nel tiranno, la piu elevata fra le creature, possa innalzarsi, con inso-spettata violenza, l' animàle. ·

Su queste basi il teatro spagnolo ha sviluppato un suo motivo peculiare, che permette di riconoscere come nessun altro il carat-

"JOHANN CHRISTIAN HAU.MANN, Leich-Reden, Todten-Gedichte und Aus dem Italia­nischen iibexsetzte Grab-Schrifften [Orazioni funebri. Poemi pex i morti e scritti funebri tradotti dall'italiano], Franckfurt-Leipzig 1682, p. 88. [Ach daB du auch vor privilegirte Personen keine eroffnete Augen noch Ohren hast!] .

64 Cfr. HANS HEINRICH BORCHERDT, Andreas Tscheming. Bin Beitrag zur Literatur- und Kultur-Geschichteder I7.Jahrhunderts, Miinchen-Leipzig 1912, pp. 90 sgg.

60 AUGUST BUCHNER, Ppetik, Aus dessen nachgelassener Bibliothek hexaus gegeben von Othone Pratorio [La poetica di A. B. Pubblicata sulla base della sua biblioteca da O. P.] P. P. Wittenbexg 1665, p. 5· •

66 s~ VON BUTSCHKY, Wohl-Bebauter Rosen-Thal, Niirnbexg 1679, p. 761. [Was 1st ... em Tugendhalfer Monarch anders als ein Himmliches Thier].

61 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 109 (LeoArmenius, IV, .387 sgg.). [Voi che avete pex­duto l'immagine dell'Altissimo, l Guardate all'immagine ch'è nata per voi! l Non doman­date perché entrò in una stalla! l Egli cerca noi, piu bestiali delle bestie].

" Cfr. HAU.MANN, Trauer-, Freuden- und Schaferspiele cit., Die gijtttiche Rache oder der verfiihrte Theodoricus Veronensis [La vendetta divina ovvexo il sedotto Teodorico da Vero­na], p. 104 (V, .364 sgg.).

69 CHRISTIAN PRIEDRICH HUNOLD, Theatralische Galante Und Geisttiche Gedichte [Poe­mi teatrali, galanti e spirituali], Hamburg 1706, p. 181 (Nebucadnezar, III, 3· didasca­lia). [ ... eine wiiste Eini:ide. Nebucadnezar an Ketten mit Adlexs Federn und KÌauen be­wachsen unter vielen wilden Thieren ... Er geberdet sich seltsam ... Er brummet und stellt sich iibel] .

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Il dramma barocco tedesco

tere nazionale della seriosità circoscritta, propria del dramma te­desco. Negli intrecci della «comedia de capa y espada», come an­che del dramma tedesco, l'onore svolge un ruolo predominante. Ora, veder scaturire ciò dallo stato creaturale del personaggio drammatico può essere un motivo di sorpresa; eppure è precisa­mente cosL L'onore è, secondo la definizione di Hegel, «l'assolu­tamente violabife.,./0

• «L'autonomia personale, per cui lotta l'ono­re, non si mostra come il valore volto a favore di una comunità e ad acquistare fama di rettitudine in essa o di onestà nell'ambito. della vita privata; esso combatte invece solo per il riconoscimen­to e l'inviolabilità astratta del soggetto singolo»71

• Questa inviola­bilità astratta è però soltanto la piu rigorosa inviolabilità della per­sona fisica, nella quale, come intangibilità della carne e del san­gue, hanno il loro fondamento originario anche le piu minute prescrizioni del codice d'onore. Ed è per questo che l'onore può essere violato dall'offesa arrecata a un parente non meno che da un'offesa subita in proprio. Mentre il nome - che vorrebbe atte­stare l'inviolabilità astratta della persona- non è nulla in sé e per sé: nel quadro della vita creaturale, e a differenza della sfera reli­giosa, esso non è nient'altro che lo scudo destinato a coprire la physys vulnerabile dell'uomo. L'uomo disonorato è perfettamente libero: nel momento stesso in cui invita a punire il colpevole, l'on­ta scopre la propria origine in un danno fisico. Nel teatro spagno­lo, con la sua incomparabile dialettica dell'onore, la nudità crea­turale si è dimostrata capace, come mai altrove, di una rappresen­tazione superiore, conciliante. Il supplizio cruento che nel.dramma martirologico segna la fine della creatura, ha il suo pendant nel cal­vario dell'onore, il quale, per quanto oltraggiato, alla fine dei dram­mi di Calder6n viene sempre riparato da un intervento del sovra­no o da un sofisma. Nella realtà dell'onore il dramma spagnolo as­segna al corpo la sua spiritualità propriamente creaturale, rivelando cosf un mondo profano che ai poeti tedeschi dell'età barocca, e an­che ai teorici successivi, doveva restare precluso. Non è però sfug­gita ad essi l'affinità concettuale dei motivi. Scrive ad esempio Schopenhauer: «La differenza, di cui cosf spesso si parla ai nostri giorni, tra poesia classica e romantica mi pare che derivi in fondo da questo: che la prima non conosce motivi se non puramente uma­ni, reali e naturali; questa invece fa valere come efficaci anche mo-

70 GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Werke, vol. Il: Vor/esungen uber die Asthetik, a cura di H. G. Hotho, Berlin 1837, p. 176; trad. it., Estetica, Milano 1963, p. 739·

11 Ibid., p. 167; trad. it. cit., p. 730.

Dramma e tragedia (I)

tivi artificiali, convenzionali ed immaginari: a questi appartengo­no i motivi derivati dal mito cristiano, nonché quelli dell'esagera­to e fantastico principio d'onore cavalleresco ... A quale sconvol­ta caricatura dei rapporti umani e della natura umana questi mo­tivi conducano, si può vedere perfino nei migliori poeti del genere romantico, per esempio in Calder6n. Per non parlare degli autos, io mi richiamo solo a drammi come No siempre el peor es cierto [Non sempre il peggioè certo] e El postrero duelo de Espana [L'ultimo duello di Spagna] e simili commedie en capa y espada; a quegli ele­menti si associa anche qui la prevalente sottigliezza scolastica nel­la conversazione, che allora apparteneva all'educazione delle clas­si superiori»72

• Schopenha1,1er non penetra nello spirito del dram­ma spagnolo,· benché, in un altro passo, mostri di voler innalzare il dramma cristiano al di sopra della tragedia. Ed è forte la tenta­zione di far derivare la sua ostilità dall' amoralismo, cosf poco ger­manico, proprio della concezione spagnola. Quell'amoralismo in cui tragedia e commedia trovano il loro terreno comune.

Problemi sofistici - e soluzioni sofistiche - come quelli che tro­viamo nel teatro spagnolo, non compaiono nel greve ragionare dei drammaturghi protestanti tedeschi. Ma la concezione della storia propria dell'epoca aveva posto confini molto rigidi alloro morali­smo luterano. Lo spettacolo sempre rinnovato dell'ascesa e della caduta del principe, o di una virtu spinta all'estremo, non si of­friva agli occhi dei poeti come un esempio di moralità, quanto piut­tosto come il lato naturale, e necessario nella sua costanza, del di­venire storico. Se la fusione dei concetti storici e di quelli morali era estranea all'Occidente pre-razionalistico non meno che all'an­tichità, essa si conferma altrettanto estranea al Barocco, col suo sguardo cronachistico sulla storia universale. Sprofondato nel det­taglio, quello sguardo microscopico si limita a perseguire faticosa­mente gli intrighi del calcolo politico. Il dramma barocco non co­nosce il lavorio della storia se non come un abietto affaccendarsi di intriganti. Nei numerosi ribelli che si oppongono al monarca, irrigidito nella posa del martire cristiano, non spira mai il minimo soffio rivoluzionario: il loro unico movente è l'insoddisfazione. L'unico riflesso di dignità morale è quello che si posa sul sovrano,

72 ARTHURSCHOPENHAUER,Sammtliche Werke, a cura di E. Grisebach, vol. II: Die Welt als Wille und Vorstellung, Leipzig [r89r], pp. 505-6; trad. it. Il mondo come volontà e rap­presentazione, a cura di P. Savi-Lopez e G. De Lorenzo, Bari z8z8-3o, vol. Il, pp. 526 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

tere nazionale della seriosità circoscritta, propria del dramma te­desco. Negli intrecci della «comedia de capa y espada», come an­che del dramma tedesco, l'onore svolge un ruolo predominante. Ora, veder scaturire ciò dallo stato creaturale del personaggio drammatico può essere un motivo di sorpresa; eppure è precisa­mente cosL L'onore è, secondo la definizione di Hegel, «l'assolu­tamente violabife.,./0

• «L'autonomia personale, per cui lotta l'ono­re, non si mostra come il valore volto a favore di una comunità e ad acquistare fama di rettitudine in essa o di onestà nell'ambito. della vita privata; esso combatte invece solo per il riconoscimen­to e l'inviolabilità astratta del soggetto singolo»71

• Questa inviola­bilità astratta è però soltanto la piu rigorosa inviolabilità della per­sona fisica, nella quale, come intangibilità della carne e del san­gue, hanno il loro fondamento originario anche le piu minute prescrizioni del codice d'onore. Ed è per questo che l'onore può essere violato dall'offesa arrecata a un parente non meno che da un'offesa subita in proprio. Mentre il nome - che vorrebbe atte­stare l'inviolabilità astratta della persona- non è nulla in sé e per sé: nel quadro della vita creaturale, e a differenza della sfera reli­giosa, esso non è nient'altro che lo scudo destinato a coprire la physys vulnerabile dell'uomo. L'uomo disonorato è perfettamente libero: nel momento stesso in cui invita a punire il colpevole, l'on­ta scopre la propria origine in un danno fisico. Nel teatro spagno­lo, con la sua incomparabile dialettica dell'onore, la nudità crea­turale si è dimostrata capace, come mai altrove, di una rappresen­tazione superiore, conciliante. Il supplizio cruento che nel.dramma martirologico segna la fine della creatura, ha il suo pendant nel cal­vario dell'onore, il quale, per quanto oltraggiato, alla fine dei dram­mi di Calder6n viene sempre riparato da un intervento del sovra­no o da un sofisma. Nella realtà dell'onore il dramma spagnolo as­segna al corpo la sua spiritualità propriamente creaturale, rivelando cosf un mondo profano che ai poeti tedeschi dell'età barocca, e an­che ai teorici successivi, doveva restare precluso. Non è però sfug­gita ad essi l'affinità concettuale dei motivi. Scrive ad esempio Schopenhauer: «La differenza, di cui cosf spesso si parla ai nostri giorni, tra poesia classica e romantica mi pare che derivi in fondo da questo: che la prima non conosce motivi se non puramente uma­ni, reali e naturali; questa invece fa valere come efficaci anche mo-

70 GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Werke, vol. Il: Vor/esungen uber die Asthetik, a cura di H. G. Hotho, Berlin 1837, p. 176; trad. it., Estetica, Milano 1963, p. 739·

11 Ibid., p. 167; trad. it. cit., p. 730.

Dramma e tragedia (I)

tivi artificiali, convenzionali ed immaginari: a questi appartengo­no i motivi derivati dal mito cristiano, nonché quelli dell'esagera­to e fantastico principio d'onore cavalleresco ... A quale sconvol­ta caricatura dei rapporti umani e della natura umana questi mo­tivi conducano, si può vedere perfino nei migliori poeti del genere romantico, per esempio in Calder6n. Per non parlare degli autos, io mi richiamo solo a drammi come No siempre el peor es cierto [Non sempre il peggioè certo] e El postrero duelo de Espana [L'ultimo duello di Spagna] e simili commedie en capa y espada; a quegli ele­menti si associa anche qui la prevalente sottigliezza scolastica nel­la conversazione, che allora apparteneva all'educazione delle clas­si superiori»72

• Schopenha1,1er non penetra nello spirito del dram­ma spagnolo,· benché, in un altro passo, mostri di voler innalzare il dramma cristiano al di sopra della tragedia. Ed è forte la tenta­zione di far derivare la sua ostilità dall' amoralismo, cosf poco ger­manico, proprio della concezione spagnola. Quell'amoralismo in cui tragedia e commedia trovano il loro terreno comune.

Problemi sofistici - e soluzioni sofistiche - come quelli che tro­viamo nel teatro spagnolo, non compaiono nel greve ragionare dei drammaturghi protestanti tedeschi. Ma la concezione della storia propria dell'epoca aveva posto confini molto rigidi alloro morali­smo luterano. Lo spettacolo sempre rinnovato dell'ascesa e della caduta del principe, o di una virtu spinta all'estremo, non si of­friva agli occhi dei poeti come un esempio di moralità, quanto piut­tosto come il lato naturale, e necessario nella sua costanza, del di­venire storico. Se la fusione dei concetti storici e di quelli morali era estranea all'Occidente pre-razionalistico non meno che all'an­tichità, essa si conferma altrettanto estranea al Barocco, col suo sguardo cronachistico sulla storia universale. Sprofondato nel det­taglio, quello sguardo microscopico si limita a perseguire faticosa­mente gli intrighi del calcolo politico. Il dramma barocco non co­nosce il lavorio della storia se non come un abietto affaccendarsi di intriganti. Nei numerosi ribelli che si oppongono al monarca, irrigidito nella posa del martire cristiano, non spira mai il minimo soffio rivoluzionario: il loro unico movente è l'insoddisfazione. L'unico riflesso di dignità morale è quello che si posa sul sovrano,

72 ARTHURSCHOPENHAUER,Sammtliche Werke, a cura di E. Grisebach, vol. II: Die Welt als Wille und Vorstellung, Leipzig [r89r], pp. 505-6; trad. it. Il mondo come volontà e rap­presentazione, a cura di P. Savi-Lopez e G. De Lorenzo, Bari z8z8-3o, vol. Il, pp. 526 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

ed è poi il riflessq di una dignità del tutto estranea alla storia co­me quella stoica. E questo infatti, e non l'attesa della salvezza pro­pria dell'eroe cristiano, l'atteggiamento che si ritrova ovunque nei protagonisti del dramma barocco. Fra le obiezioni che sono state mosse alle storie martirologiche, la piu fondata è quella che nega ad esse ogni effettiva portata storica. Sennonché, tale obiezione colpisce una falsa teoria del dramma barocco, e non il dramma stes­so. Nel passo seguente di Wackernagel alla debolezza della tesi si aggiunge poi la fragilità dell'argomentazione. «La tragedia -leg­giamo - non deve solo dimostrare che la realtà umana è precaria di fronte al divino, ma che cosf deve essere; essa non può tacere i crimini che sono la ragione necessaria della catastrofe. Se mettes­se in scena una pena senza colpa ... contraddirebbe la storia, che non conosce nulla di simile, e dalla quale anzi la tragedia ricava la propria idea fondamentale»73

• A prescindere dal dubbio ottimismo di questa concezione della storia, nel dramma martirologico non è la trasgressione morale, ma la ~tessa condizione creaturale dell'uo­mo a provocare la catastrofe. E questo tipo di catastrofe - cosf di­versa da quella eccezionale dell'eroe tragico- che i poeti barocchi avevano in mente col termine Trauerspiel: un termine che la lette­ratura drammatica ha usato piu coerentemente dei suoi critici. Co­si ad esempio- e l'autorevolezza dell'esempio farà dimenticare la sua distanza dall'oggetto- non è un caso che La figlia naturale, lon­tana com'è dall'esser mossa dalla violenza degli eventi rivoluzio­nari che la sfiorano, sia definita un Trauerspiel. Nella misura in cui gli avvenimenti politici parlano, a Goethe, il linguaggio terribile di una volontà annientatrice, simile alla periodica violenza dei fe­nomeni naturali, in questa misura egli si rapporta al suo oggetto come un poeta del xvn secolo. Il tono arcaicizzante sospinge la vi­cenda in una preistoria che ha quasi i tratti della storia naturale, . e il poeta lo accentua fino a parlo, rispetto all'azione, in un rap­porto incomparabile sul piano lirico ma inibitorio sul piano dram­matico. L'ethos del dramma storico è non meno estraneo a que­st'opera di Goethe che alle Staatsaktionen barocche, con la sola dif­ferenza che l'eroismo storico non viene sacrificato in. questo caso a quello stoico. La patria, la libertà e la fede sono per il dramma barocco semplici spunti, interscambiabili a piacere, per dimostra­re la virtu privata. Colui che si spinge piu lontano su questa via è

73 WILHELM WACKERNAGEL, O ber die dramatische Poesie, Academische Gelegenheits­schrift, Base! r8J8, pp. 34 sgg.

Dramma e tragedia (I)

Lohenstein. Nessuno come lui ha utilizzato l'artificio di soffoca­re la riflessione etica sul nascere, ricorrendo a metafore che assi­milano le vicende storiche a eventi naturali. Se si escludono le po­se stoicheggianti, qualunque atteggiamento eticamente motivato e qualunque discussione a sfondo etico sono banditi con un rigo­re estremo: un rigore che piu ancora delle atrocità dell'azione con­ferisce ai drammi di Lohenstein quel loro contenuto vistosamen­te in urto con le preziosità del dettato. Quando JohannJacob Brei­tinger, nella Critische Abhandlung von der Natur, den Absichten und dem Gebrauche der Gleichnisse [Trattazione critica intorno alla na­tura, le intenzioni e l'uso delle similitudini] del 1740, fece i con­ti col famoso drammaturgo, ne sottolineò la peculiare maniera di illustrare i principi morali con esempi naturalistici che in realtà ne distruggevano il senso74

• Questo uso della similitudine ha il suo ri­scontro piu calzante là dove una trasgressione etica viene giusti­ficata con un semplice richiamo a un gesto naturale: «Si evitano gli alberi che sono sul punto di cadere»", dice Sosia accomiatan­dosi da Agrippina, ormai prossima alla fine. E queste parole non vanno intese come una caratterizzazione del personaggio che sta parlando, bensf come la massima di un comportamento naturale adeguato all'alta politica. Per ricondurre i conflitti storico-mora­li al terreno della storia naturale, gli autori barocchi potevano di­sporre di un ricco patrimonio di immagini. Osserva Breitinger: «Questa ostentazione di cultura naturalistica viene cosi sponta­nea al nostro Lohenstein, che egli andrà a scovare di sicuro qual­che mistero naturale se vuoi dirvi che qualcosa è raro o impossi­bile,. che potrà accadere piu o meno facilmente oppure mai ... Quando ... il padre di Arsinoe vuoi dimostrare come sia sconve­niente che sua figlia vada sposa a un giovane di rango inferiore, egli conclude in questo modo: "Mi aspetto da Arsinoe che, se de­vo considerarla mia figlia, non sia del genere dell'edera, effigie del­la plebe, ehe abbraccia sia un arbusto di nocciuolo, sia un albero di datteri. Poiché le piante nobili rivolgono la testa verso il cielo; le rose si schiudono solo alla presenza del sole; le palme non van­no d'accordo con arbusti di basso rango: perfino la morta calami­ta segue la nobile stella polare. E la casa di Polemone [ecco la con­clusione] dovrebbe chinarsi verso i discendenti del servile Ma~

74 C&. JOHANN JACOB BREITINGER, Critische Abhandlung von der Natur, den Absichten und dèm Gebrauche der Gleichnisse, Ziirich 1740, p. 489.

"DANIEL CASPER voN LOHENSTEIN, Ri5mische Trauerspiele. Agrippina, Epicharis, a cura di K. G. Just, Stuttgart 1955. p. 90 (Agrippina, V, r r8).

Page 100: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

ed è poi il riflessq di una dignità del tutto estranea alla storia co­me quella stoica. E questo infatti, e non l'attesa della salvezza pro­pria dell'eroe cristiano, l'atteggiamento che si ritrova ovunque nei protagonisti del dramma barocco. Fra le obiezioni che sono state mosse alle storie martirologiche, la piu fondata è quella che nega ad esse ogni effettiva portata storica. Sennonché, tale obiezione colpisce una falsa teoria del dramma barocco, e non il dramma stes­so. Nel passo seguente di Wackernagel alla debolezza della tesi si aggiunge poi la fragilità dell'argomentazione. «La tragedia -leg­giamo - non deve solo dimostrare che la realtà umana è precaria di fronte al divino, ma che cosf deve essere; essa non può tacere i crimini che sono la ragione necessaria della catastrofe. Se mettes­se in scena una pena senza colpa ... contraddirebbe la storia, che non conosce nulla di simile, e dalla quale anzi la tragedia ricava la propria idea fondamentale»73

• A prescindere dal dubbio ottimismo di questa concezione della storia, nel dramma martirologico non è la trasgressione morale, ma la ~tessa condizione creaturale dell'uo­mo a provocare la catastrofe. E questo tipo di catastrofe - cosf di­versa da quella eccezionale dell'eroe tragico- che i poeti barocchi avevano in mente col termine Trauerspiel: un termine che la lette­ratura drammatica ha usato piu coerentemente dei suoi critici. Co­si ad esempio- e l'autorevolezza dell'esempio farà dimenticare la sua distanza dall'oggetto- non è un caso che La figlia naturale, lon­tana com'è dall'esser mossa dalla violenza degli eventi rivoluzio­nari che la sfiorano, sia definita un Trauerspiel. Nella misura in cui gli avvenimenti politici parlano, a Goethe, il linguaggio terribile di una volontà annientatrice, simile alla periodica violenza dei fe­nomeni naturali, in questa misura egli si rapporta al suo oggetto come un poeta del xvn secolo. Il tono arcaicizzante sospinge la vi­cenda in una preistoria che ha quasi i tratti della storia naturale, . e il poeta lo accentua fino a parlo, rispetto all'azione, in un rap­porto incomparabile sul piano lirico ma inibitorio sul piano dram­matico. L'ethos del dramma storico è non meno estraneo a que­st'opera di Goethe che alle Staatsaktionen barocche, con la sola dif­ferenza che l'eroismo storico non viene sacrificato in. questo caso a quello stoico. La patria, la libertà e la fede sono per il dramma barocco semplici spunti, interscambiabili a piacere, per dimostra­re la virtu privata. Colui che si spinge piu lontano su questa via è

73 WILHELM WACKERNAGEL, O ber die dramatische Poesie, Academische Gelegenheits­schrift, Base! r8J8, pp. 34 sgg.

Dramma e tragedia (I)

Lohenstein. Nessuno come lui ha utilizzato l'artificio di soffoca­re la riflessione etica sul nascere, ricorrendo a metafore che assi­milano le vicende storiche a eventi naturali. Se si escludono le po­se stoicheggianti, qualunque atteggiamento eticamente motivato e qualunque discussione a sfondo etico sono banditi con un rigo­re estremo: un rigore che piu ancora delle atrocità dell'azione con­ferisce ai drammi di Lohenstein quel loro contenuto vistosamen­te in urto con le preziosità del dettato. Quando JohannJacob Brei­tinger, nella Critische Abhandlung von der Natur, den Absichten und dem Gebrauche der Gleichnisse [Trattazione critica intorno alla na­tura, le intenzioni e l'uso delle similitudini] del 1740, fece i con­ti col famoso drammaturgo, ne sottolineò la peculiare maniera di illustrare i principi morali con esempi naturalistici che in realtà ne distruggevano il senso74

• Questo uso della similitudine ha il suo ri­scontro piu calzante là dove una trasgressione etica viene giusti­ficata con un semplice richiamo a un gesto naturale: «Si evitano gli alberi che sono sul punto di cadere»", dice Sosia accomiatan­dosi da Agrippina, ormai prossima alla fine. E queste parole non vanno intese come una caratterizzazione del personaggio che sta parlando, bensf come la massima di un comportamento naturale adeguato all'alta politica. Per ricondurre i conflitti storico-mora­li al terreno della storia naturale, gli autori barocchi potevano di­sporre di un ricco patrimonio di immagini. Osserva Breitinger: «Questa ostentazione di cultura naturalistica viene cosi sponta­nea al nostro Lohenstein, che egli andrà a scovare di sicuro qual­che mistero naturale se vuoi dirvi che qualcosa è raro o impossi­bile,. che potrà accadere piu o meno facilmente oppure mai ... Quando ... il padre di Arsinoe vuoi dimostrare come sia sconve­niente che sua figlia vada sposa a un giovane di rango inferiore, egli conclude in questo modo: "Mi aspetto da Arsinoe che, se de­vo considerarla mia figlia, non sia del genere dell'edera, effigie del­la plebe, ehe abbraccia sia un arbusto di nocciuolo, sia un albero di datteri. Poiché le piante nobili rivolgono la testa verso il cielo; le rose si schiudono solo alla presenza del sole; le palme non van­no d'accordo con arbusti di basso rango: perfino la morta calami­ta segue la nobile stella polare. E la casa di Polemone [ecco la con­clusione] dovrebbe chinarsi verso i discendenti del servile Ma~

74 C&. JOHANN JACOB BREITINGER, Critische Abhandlung von der Natur, den Absichten und dèm Gebrauche der Gleichnisse, Ziirich 1740, p. 489.

"DANIEL CASPER voN LOHENSTEIN, Ri5mische Trauerspiele. Agrippina, Epicharis, a cura di K. G. Just, Stuttgart 1955. p. 90 (Agrippina, V, r r8).

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66 Il dramma barocco tedesco

chor ?" »76. Di fronte a passi come questo, che negli scritti retori­ci, negli epitalami e nelle orazioni funebri assumono talvolta di­mensioni inusitate, il lettore riterrà probabile, con Erich Schmidt, che i repertori enciclopedici fossero per quei poeti un normale stru­mento di lavoro77

• T ali repertori contenevano non soltanto nozio­ni, ma anche, nel genere dei Gradus ad Parnassum medievali, flo­rilegi poetici. O perlomeno è quanto si può inferire dalle Leichre­den di Hallmann, che per tutta una serie di termini peregrini -come «Genofeva», «Quliker>>78, ecc. -utilizza altrettante formu­le stereotipe. La prassi delle similitudini naturalistiche metteva a dura prova l'erudizione degli autori, non meno di quanto accadesse per l'uso meticoloso delle fonti storiche. I poeti condividono cosi quell'ideale enciclopedico che Lohenstein vedeva realizzato in Gryphius.

Herr Gryphens ... Hielt fiir gelehrt-seyn nicht in einem etwas missen In vielen etwas nur in einem alles wissen79

La creatura è lo specchio nella cui unica cornice il mondo mo­rale si propone agli occhi del Barocco. Uno specchio concavo, che può riflettere solo deformando. Poiché, secondo la mentalità dell'epoca, tutto ciò che era vita storica si sottraeva alla morale, essa diventa irrilevante anche per la vita interiore delle dramatis personae. Mai la morale è apparsa cosi poco interessante come ne­gli eroi di questi drammi, in cui solo il dolore fisico del martirio risponde alla chiamata della storia. E come la vita interiore della creatura, sia pure in mezzo a pene atroci, deve soddisfarsi misti­camente, cosf gli autori cercano di placare anche il divenire stori­co. Le azioni drammatiche si susseguono come i giorni della crea-

76 BREITINGER, Critische Abhandlung von der Natur cit., pp. 467 e 470. [!eh versehe mich zu Arsinoen, wenn ich sie anders fiir meine T ochter halten soll, sie werde nicht von der Art, des den Pobel abbildenden Epheus seyn, welcher so bald eine Haselstaude, als ei­nen Dattelbaum umarmet. Dann, edle Pflantzen kehren ihr Haupt gegen dem (!) Himmel; die Rosen schliessen ihr Haupt nur der anwesenden Sonne auf; die Palmen vertragen sich mit keinem geringen Gewiichse: J a der todte Magnetstein folget keinem geringern, als dem so hochgeschiizten Angel-Steme. Und Polemons Haus (ist der SchluB) solite sich zu den Nachkommen des knechtischen Machors abneigen].

"Cfr. ERICH SCHMIDT, recensione a FEUX BOBERTAG, Geschichte des Romans und der ihm verwandten Dichtungsgattungen in Deutschland, Breslau 1S79, sezione I, vol. II, parte I, in «Archiv fiir die Utteraturgeschichte», IX (ISSo), p. 41 I.

.,. Cfr. HALLMANN, Leichreden cit., pp. 115 e 299, 64 e 2I2. "'DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, B/umen (Hyacinthen), BreBlau 170S, p. 27. (Il signor

Gryphius ... l Non riteneva che l'essere erudito fosse in una cosa non saper qualcosa, l In molte solo un po', e in una cosa tutto].

Dra.tiuna e tragedia (r)

zione, in cui non c'è storia. La natura della creazione, che rias­sorbe in sé l'accadere storico, è del tutto diversa dalla natura rous­seauiana. Si tocca allora la questione, ma non alla radice, quando si afferma: «La tendenza deriva ancora una volta dalla contraddi­zione. Come va inteso il tentativo, poderoso e violento, del Ba­rocco, di operare una sintesi fra gli elementi piu eterogenei sul pia­no della galanteria pastorale? Anche qui, certamente, la nostalgia della natura perduta si contrappone a un armonioso legame con la natura stessa. Ma l'esperienza opposta è un'altra, e cioè l' espe­rienza del tempo che uccide, della irrimediabile caducità, del pre­cipitare. Lontano dalle altezze, l'esistenza del beatus il/e deve sot· trarsi a ogni mutamento. Cosfla natura è per il Barocco un'uscita dal tempo, la problematica delle epoche posteriori gli rimane estra· neà»80

• Anzi: proprio nel dramma pastorale risulta evidente la pe· culiarità delle reveries barocche sull'ambiente agreste. Perché nel­la fuga dal mondo propria del Barocco non è l'antitesi fra storia e natura ad avere l'ultima parola, ma la secolarizzazione senza resi­dui dell'elemento storico nello stato creaturale. Al desolato corso della storia universale non si contrappone l'eternità ma la restau­razione di una atemporalità paradisiaca. La storia emigra sulla sce­na. E proprio i drammi pastorali spargono la storia come semi in un terreno materno. «Là dove si racconta sia accaduto un fatto memorabile, il pastore. incide dei versi commemorativi nella roc­cia, su una pietra o sulla corteccia di un albero. Le colonne com­memorative degli eroi, che possiamo ammirare nei templi della glo­ria postuma eretti ovunque da questi pastori, grondano di panegi­rici»81. «Panoramica»82

, è stata definita con felice espressione la concezione della storia del xvn secolo. «L'intera concezione della storia di quest'epoca pittoresca si presenta nel suo insieme come un assemblaggio di cose memorabili»8). Se la storia si secolarizza sulla scena, si esprime in ciò la stessa tendenzà metafisica che nel­le scienze esatte portò, contemporaneamente, al calcolo infinite· simale. In entrambi i casi il movimento nel tempo viene catturato e analizzato in un'immagine spaziale. L'immagine dello spazio sce­nico - o piu esattamente, della corte - diventa la chiave del com-

80 HiiBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefohls cit., p. 542. "JULWS TITTMANN, Die Niimberger Dichterschuk. Harsdiirffer, Klaf, Birken, Beitrag zur

deutschen Literatur- und Kulturgeschichte des siebzehnten Jahrhunderts (Kleine Schriften zur deutschen Uteratur- und Kulturgeschichte, l), Gottingen I847, p. I4S.

82 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 2 7, nota. ., Ibid., p. 10S, nota; cfr. anche pp. 197 sgg.

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66 Il dramma barocco tedesco

chor ?" »76. Di fronte a passi come questo, che negli scritti retori­ci, negli epitalami e nelle orazioni funebri assumono talvolta di­mensioni inusitate, il lettore riterrà probabile, con Erich Schmidt, che i repertori enciclopedici fossero per quei poeti un normale stru­mento di lavoro77

• T ali repertori contenevano non soltanto nozio­ni, ma anche, nel genere dei Gradus ad Parnassum medievali, flo­rilegi poetici. O perlomeno è quanto si può inferire dalle Leichre­den di Hallmann, che per tutta una serie di termini peregrini -come «Genofeva», «Quliker>>78, ecc. -utilizza altrettante formu­le stereotipe. La prassi delle similitudini naturalistiche metteva a dura prova l'erudizione degli autori, non meno di quanto accadesse per l'uso meticoloso delle fonti storiche. I poeti condividono cosi quell'ideale enciclopedico che Lohenstein vedeva realizzato in Gryphius.

Herr Gryphens ... Hielt fiir gelehrt-seyn nicht in einem etwas missen In vielen etwas nur in einem alles wissen79

La creatura è lo specchio nella cui unica cornice il mondo mo­rale si propone agli occhi del Barocco. Uno specchio concavo, che può riflettere solo deformando. Poiché, secondo la mentalità dell'epoca, tutto ciò che era vita storica si sottraeva alla morale, essa diventa irrilevante anche per la vita interiore delle dramatis personae. Mai la morale è apparsa cosi poco interessante come ne­gli eroi di questi drammi, in cui solo il dolore fisico del martirio risponde alla chiamata della storia. E come la vita interiore della creatura, sia pure in mezzo a pene atroci, deve soddisfarsi misti­camente, cosf gli autori cercano di placare anche il divenire stori­co. Le azioni drammatiche si susseguono come i giorni della crea-

76 BREITINGER, Critische Abhandlung von der Natur cit., pp. 467 e 470. [!eh versehe mich zu Arsinoen, wenn ich sie anders fiir meine T ochter halten soll, sie werde nicht von der Art, des den Pobel abbildenden Epheus seyn, welcher so bald eine Haselstaude, als ei­nen Dattelbaum umarmet. Dann, edle Pflantzen kehren ihr Haupt gegen dem (!) Himmel; die Rosen schliessen ihr Haupt nur der anwesenden Sonne auf; die Palmen vertragen sich mit keinem geringen Gewiichse: J a der todte Magnetstein folget keinem geringern, als dem so hochgeschiizten Angel-Steme. Und Polemons Haus (ist der SchluB) solite sich zu den Nachkommen des knechtischen Machors abneigen].

"Cfr. ERICH SCHMIDT, recensione a FEUX BOBERTAG, Geschichte des Romans und der ihm verwandten Dichtungsgattungen in Deutschland, Breslau 1S79, sezione I, vol. II, parte I, in «Archiv fiir die Utteraturgeschichte», IX (ISSo), p. 41 I.

.,. Cfr. HALLMANN, Leichreden cit., pp. 115 e 299, 64 e 2I2. "'DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, B/umen (Hyacinthen), BreBlau 170S, p. 27. (Il signor

Gryphius ... l Non riteneva che l'essere erudito fosse in una cosa non saper qualcosa, l In molte solo un po', e in una cosa tutto].

Dra.tiuna e tragedia (r)

zione, in cui non c'è storia. La natura della creazione, che rias­sorbe in sé l'accadere storico, è del tutto diversa dalla natura rous­seauiana. Si tocca allora la questione, ma non alla radice, quando si afferma: «La tendenza deriva ancora una volta dalla contraddi­zione. Come va inteso il tentativo, poderoso e violento, del Ba­rocco, di operare una sintesi fra gli elementi piu eterogenei sul pia­no della galanteria pastorale? Anche qui, certamente, la nostalgia della natura perduta si contrappone a un armonioso legame con la natura stessa. Ma l'esperienza opposta è un'altra, e cioè l' espe­rienza del tempo che uccide, della irrimediabile caducità, del pre­cipitare. Lontano dalle altezze, l'esistenza del beatus il/e deve sot· trarsi a ogni mutamento. Cosfla natura è per il Barocco un'uscita dal tempo, la problematica delle epoche posteriori gli rimane estra· neà»80

• Anzi: proprio nel dramma pastorale risulta evidente la pe· culiarità delle reveries barocche sull'ambiente agreste. Perché nel­la fuga dal mondo propria del Barocco non è l'antitesi fra storia e natura ad avere l'ultima parola, ma la secolarizzazione senza resi­dui dell'elemento storico nello stato creaturale. Al desolato corso della storia universale non si contrappone l'eternità ma la restau­razione di una atemporalità paradisiaca. La storia emigra sulla sce­na. E proprio i drammi pastorali spargono la storia come semi in un terreno materno. «Là dove si racconta sia accaduto un fatto memorabile, il pastore. incide dei versi commemorativi nella roc­cia, su una pietra o sulla corteccia di un albero. Le colonne com­memorative degli eroi, che possiamo ammirare nei templi della glo­ria postuma eretti ovunque da questi pastori, grondano di panegi­rici»81. «Panoramica»82

, è stata definita con felice espressione la concezione della storia del xvn secolo. «L'intera concezione della storia di quest'epoca pittoresca si presenta nel suo insieme come un assemblaggio di cose memorabili»8). Se la storia si secolarizza sulla scena, si esprime in ciò la stessa tendenzà metafisica che nel­le scienze esatte portò, contemporaneamente, al calcolo infinite· simale. In entrambi i casi il movimento nel tempo viene catturato e analizzato in un'immagine spaziale. L'immagine dello spazio sce­nico - o piu esattamente, della corte - diventa la chiave del com-

80 HiiBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefohls cit., p. 542. "JULWS TITTMANN, Die Niimberger Dichterschuk. Harsdiirffer, Klaf, Birken, Beitrag zur

deutschen Literatur- und Kulturgeschichte des siebzehnten Jahrhunderts (Kleine Schriften zur deutschen Uteratur- und Kulturgeschichte, l), Gottingen I847, p. I4S.

82 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 2 7, nota. ., Ibid., p. 10S, nota; cfr. anche pp. 197 sgg.

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68 Il dramma barocco tedesco

prendere storico. Perché la corte è lo spazio scenico piu intimo. Nel Poetischen Trichter [Imbuto poetico] Harsdorffer ha raccolto una quantità enorme di spunti _per ~uia rappr~sent~ione :ill~~ori­ca - e del resto critica - della vita d1 corte, nel suo1 aspetti pm de­gni di nota84

• Nella interessante prefazione alla Sophonisbe di Lohenstein si dice addirittura: ·

Kein Leben aber stellt mehr Spiel und Schauplatz dar, Als derer, die den Hof fiirs Element erkohren"'.

Il giudizio resta valido anche quando la grandezza eroica viene a cadere quando la corte si riduce a un sanguinante patibolo, «e tutto ciò' che si dice mortale entra sulla scena» 86

• N ella corte il dram­ma barocco vede lo scenario eterno, naturale, del decorso storico. Fin dal Rinascimento, e sulla base di Vitruvio, era stabilito che il dramma venisse ambientato tra «palazzi sontuosi e padiglioni di principeschi giardini»87

• Mentre il teatro tedesco si attiene ~erlo­piu a queste prescrizioni .- nei drammi di Gryphius ~on troviamo alcuno scenario agreste - il teatro spagnolo ama accogliere sulla sce­na la natura intera in quanto sottomessa alla corona, sviluppando cosi una vera e propria dialettica scenica. E d'altra parte la gerar­chia sociale e la sua rappresentazione, la corte, è in Calder6n un fe­nomeno naturale di grado superiore, la cui prima legge è l'onore del sovrano. Con la sicurezza che gli è propria, e che non finisce di sor­prendere, August Wilhelm Schlegel coglie nel segno quando affer­ma di Calder6n: «La sua poesia, qualunque possa esserne l'ogget­to apparente, è un instancabile inno di gloria per le magnificenz~ della creazione; perciò egli celebra con sempre ~innovato stupore_ I prodotti della natura e dell'arte umana come ~e li vedesse per la pn­ma volta nel loro splendore ancora intatto. E il primo risveglio di Adamo, a cui si associa un'eloquenza e una duttilità di espressio­ne, una capacità di penetrare le piu intime relazioni della natura, quali soltanto una cultura superiore e u_n'estr~ma matur~t,à dello sguardo possono consentire. Quando egh associa le cose pm !onta-

"Cfr. GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Poetischen Trichters Dritter Theil, Niirnberg r653, pp. 265·72. . .

"LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 249 (Sophonzsb~, dedica, r69 sgg.). [Ma nessuna vita mette in scena piu gioco e piu spettacolo l Di quella di coloro che eleggono la corte a proprio elemento].

16 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 437 (Carolus Stuardus, IV, 47). " GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Vom Theatrum oder Schawplan. [Del teatro o della scena],

Niirnberg r646; fiir die Gesellscbaft fiir Theatergeschichte aufs Newe in Truck gegeben, Ber­Un 1914, p. 6 [S,taatliche Paliiste l und Fiirstliche Garten-Gebiiude die Schaupliitze (sind)].

Dramma e tragedia (I)

ne, il piu grande.e il piu piccolo, le stelle e i fiori, il senso delle sue metafore è l'attrazione reciproca di tutte le cose create in virtu del­la loro comune origine»88

• n poeta ama invertire giocosamente l'or­dine delle creature: in La vita è sogno, Sigismondo è detto un «cor­tigiano ... delle montagne»; e del mare si parla come di un «ani­male cristallino e variopinto». E anche nel Trauerspiel tedesco lp spettacolo della natura entra sempre piu sulla scena drammatica. E vero che Gryphius cede al nuovo stile solo nella traduzione dei Ge­brceders [l fratelli] di Vondel, dove un coro di sacerdoti è ambien­tato tra le ninfe del fiume Giordano89

• Ma nel terzo atto dell' Epi­charis Lohenstein presenta il Coro [Reyen] del Tevere e dei Sette Colli90

• Alla maniera delle «rappresentazioni silenziose» del teatro dei gesuiti, la natura si immischia, per cosi dire, sulla scena dell'Agrippina: l'imperatrice, fatta salire da Nerone su una nave che poi si squarcia in alto mare per via di un congegno nascosto, viene salvata nel Coro con l'aiuto delle silfidi91

• Un «coro di sirene» si in­contra nella Maria Stuarda di Haugwitz92

, e anche in Hallmann tro­viamo diversi passi dello stesso tipo. Cosf nella Mariamne è lo stes­so Monte Sion a giustificare la propria partecipazione agli eventi:

Hier Sterbliche wird euch der wahre Grund gewehrt Warumb auch Berg und Zungen-lose Klippen Eroffnen Mund und Lippen. Denn wenn der tolle Mensch sich selber nicht mehr kennt Und durch blinde Rasereyen auch dem H&hsten Krieg ansaget Werden Berge FIM' und Sternen zu der Rache auffgejaget So bald der Feuer-Zorn des grossen Gottes brennt. Ungliickliche Sion ! Vorhin des Himmels Seele Itzt eine Folter-Hole! Herodes! ach! ach! ach! Dein Wiitten Blut-Hund macht daB Berg' auch miissen schreyen Und dich vermaledeyen! Rach! Rach! Rach"l

"scHLEGEL, Siimmtliche Werke cit., vol. VI, .p. 397· 89 Cfr: GRYPHIUS, Trauerspiele cit., pp. 756 sgg. (Die sieben Briider, II, 343 sgg.). 90 Cfr. LOHENSTEIN, Romische Trauerspiele cit., pp. 223 sgg. (Epicharis, III, '721 sgg.). •• Cfr. ibid., pp. 70 sgg. (Agrippina, III, 497 sgg.). 92 Cfr. HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuarda, p. 50 [III, 237 sgg.]). "HALLMANN, Trauer-,Freuden- undSchiiferspielecit. (Mariamne, p. 2 [l, 40 sgg.]). [Qui,

mortali, vi viene proposta la vera ragione, l Per cui anche le montagne, le rocce senza lin­gua l Aprono la bocca e le labbra. l Poiché, quando l'uomo, pazzo, non conosce piu se stes­so, l E in cieca forsennatezza dichiara guerra anche all'Altissimo, l I monti e i fiumi e le stelle vengon spinti a vendetta, l Non appena l'ira di fuoco del gran Dio s'accende. l Infe­lice Sion! Prima anima del cielo, l E ora un inferno di torture! l Erode! ahimè! ahimè! ahimè! l Il tuo imperversare, mastino, fa sf che anche le montagne devono gridare, l E ma­ledirti! l Vendetta! Vendetta! Vendetta!]

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68 Il dramma barocco tedesco

prendere storico. Perché la corte è lo spazio scenico piu intimo. Nel Poetischen Trichter [Imbuto poetico] Harsdorffer ha raccolto una quantità enorme di spunti _per ~uia rappr~sent~ione :ill~~ori­ca - e del resto critica - della vita d1 corte, nel suo1 aspetti pm de­gni di nota84

• Nella interessante prefazione alla Sophonisbe di Lohenstein si dice addirittura: ·

Kein Leben aber stellt mehr Spiel und Schauplatz dar, Als derer, die den Hof fiirs Element erkohren"'.

Il giudizio resta valido anche quando la grandezza eroica viene a cadere quando la corte si riduce a un sanguinante patibolo, «e tutto ciò' che si dice mortale entra sulla scena» 86

• N ella corte il dram­ma barocco vede lo scenario eterno, naturale, del decorso storico. Fin dal Rinascimento, e sulla base di Vitruvio, era stabilito che il dramma venisse ambientato tra «palazzi sontuosi e padiglioni di principeschi giardini»87

• Mentre il teatro tedesco si attiene ~erlo­piu a queste prescrizioni .- nei drammi di Gryphius ~on troviamo alcuno scenario agreste - il teatro spagnolo ama accogliere sulla sce­na la natura intera in quanto sottomessa alla corona, sviluppando cosi una vera e propria dialettica scenica. E d'altra parte la gerar­chia sociale e la sua rappresentazione, la corte, è in Calder6n un fe­nomeno naturale di grado superiore, la cui prima legge è l'onore del sovrano. Con la sicurezza che gli è propria, e che non finisce di sor­prendere, August Wilhelm Schlegel coglie nel segno quando affer­ma di Calder6n: «La sua poesia, qualunque possa esserne l'ogget­to apparente, è un instancabile inno di gloria per le magnificenz~ della creazione; perciò egli celebra con sempre ~innovato stupore_ I prodotti della natura e dell'arte umana come ~e li vedesse per la pn­ma volta nel loro splendore ancora intatto. E il primo risveglio di Adamo, a cui si associa un'eloquenza e una duttilità di espressio­ne, una capacità di penetrare le piu intime relazioni della natura, quali soltanto una cultura superiore e u_n'estr~ma matur~t,à dello sguardo possono consentire. Quando egh associa le cose pm !onta-

"Cfr. GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Poetischen Trichters Dritter Theil, Niirnberg r653, pp. 265·72. . .

"LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 249 (Sophonzsb~, dedica, r69 sgg.). [Ma nessuna vita mette in scena piu gioco e piu spettacolo l Di quella di coloro che eleggono la corte a proprio elemento].

16 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 437 (Carolus Stuardus, IV, 47). " GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Vom Theatrum oder Schawplan. [Del teatro o della scena],

Niirnberg r646; fiir die Gesellscbaft fiir Theatergeschichte aufs Newe in Truck gegeben, Ber­Un 1914, p. 6 [S,taatliche Paliiste l und Fiirstliche Garten-Gebiiude die Schaupliitze (sind)].

Dramma e tragedia (I)

ne, il piu grande.e il piu piccolo, le stelle e i fiori, il senso delle sue metafore è l'attrazione reciproca di tutte le cose create in virtu del­la loro comune origine»88

• n poeta ama invertire giocosamente l'or­dine delle creature: in La vita è sogno, Sigismondo è detto un «cor­tigiano ... delle montagne»; e del mare si parla come di un «ani­male cristallino e variopinto». E anche nel Trauerspiel tedesco lp spettacolo della natura entra sempre piu sulla scena drammatica. E vero che Gryphius cede al nuovo stile solo nella traduzione dei Ge­brceders [l fratelli] di Vondel, dove un coro di sacerdoti è ambien­tato tra le ninfe del fiume Giordano89

• Ma nel terzo atto dell' Epi­charis Lohenstein presenta il Coro [Reyen] del Tevere e dei Sette Colli90

• Alla maniera delle «rappresentazioni silenziose» del teatro dei gesuiti, la natura si immischia, per cosi dire, sulla scena dell'Agrippina: l'imperatrice, fatta salire da Nerone su una nave che poi si squarcia in alto mare per via di un congegno nascosto, viene salvata nel Coro con l'aiuto delle silfidi91

• Un «coro di sirene» si in­contra nella Maria Stuarda di Haugwitz92

, e anche in Hallmann tro­viamo diversi passi dello stesso tipo. Cosf nella Mariamne è lo stes­so Monte Sion a giustificare la propria partecipazione agli eventi:

Hier Sterbliche wird euch der wahre Grund gewehrt Warumb auch Berg und Zungen-lose Klippen Eroffnen Mund und Lippen. Denn wenn der tolle Mensch sich selber nicht mehr kennt Und durch blinde Rasereyen auch dem H&hsten Krieg ansaget Werden Berge FIM' und Sternen zu der Rache auffgejaget So bald der Feuer-Zorn des grossen Gottes brennt. Ungliickliche Sion ! Vorhin des Himmels Seele Itzt eine Folter-Hole! Herodes! ach! ach! ach! Dein Wiitten Blut-Hund macht daB Berg' auch miissen schreyen Und dich vermaledeyen! Rach! Rach! Rach"l

"scHLEGEL, Siimmtliche Werke cit., vol. VI, .p. 397· 89 Cfr: GRYPHIUS, Trauerspiele cit., pp. 756 sgg. (Die sieben Briider, II, 343 sgg.). 90 Cfr. LOHENSTEIN, Romische Trauerspiele cit., pp. 223 sgg. (Epicharis, III, '721 sgg.). •• Cfr. ibid., pp. 70 sgg. (Agrippina, III, 497 sgg.). 92 Cfr. HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuarda, p. 50 [III, 237 sgg.]). "HALLMANN, Trauer-,Freuden- undSchiiferspielecit. (Mariamne, p. 2 [l, 40 sgg.]). [Qui,

mortali, vi viene proposta la vera ragione, l Per cui anche le montagne, le rocce senza lin­gua l Aprono la bocca e le labbra. l Poiché, quando l'uomo, pazzo, non conosce piu se stes­so, l E in cieca forsennatezza dichiara guerra anche all'Altissimo, l I monti e i fiumi e le stelle vengon spinti a vendetta, l Non appena l'ira di fuoco del gran Dio s'accende. l Infe­lice Sion! Prima anima del cielo, l E ora un inferno di torture! l Erode! ahimè! ahimè! ahimè! l Il tuo imperversare, mastino, fa sf che anche le montagne devono gridare, l E ma­ledirti! l Vendetta! Vendetta! Vendetta!]

Page 105: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

Se il dramma e il poema pastorale, come tali passaggi dimo­strano, presentano una concezione della nat~a co~f affine, non fa meraviglia che le due forme abbiano cercato di raggiungere un com­promesso, lungo una linea di svilupP? c~e trova in H~~ann ~~~o punto di fermentazione. La loro ant1tes1 è solo superf1crale: pm m profondità cercano di confluire l'una nell'altra. Cosf Hallmann ac­coglie «motivi pastorali nel dJ:a~ serio, per esempi~ l' e~ogio st~­reotipo della vita pastorale o il motlvo tass1ano del satlro m Sophta und Alexander e viceversa traspone nel dramma pastorale scene tipiche del tea;ro tragico, come scene eroiche d'addio, suicidi, pu­nizioni divine e apparizioni di fantasmi»94

• Persino al di fuor~ dell'ambito drammatico, ossia nella lirica, il decorso temporale s1 trova proiettato nello spazio. I libri dei poeti della scuola di No­rimberga mostrano, come la poesia erudita dell'età alessandrina, «torri ... fontane, pomi imperiali, organi, liuti, clessidre, piatti di bilancia, corone, cuori» quale contorno grafico delle loro poesie95

Il predominio di queste tendenze ha svolto un ruolo precis? nella dissoluzione del dramma barocco. A poco a poco -la poeti­ca di Hunold lo testimonia con particolare chiarezza96

- il suo po­sto viene occupato dal balletto. «Confusione» è già nella scuola di Norimberga un termine tecnico della drammaturgia. Il dramma di Lope de Vega La corte confusa, che fu rappresentato anche~ Ger­mania, ha un titolo tipico. E in Birken si legge: «Il vanto ~el dram­mi eroici è quando tutto è confuso e non narrato per ordine come nelle storie, quando l'innocenza è offesa e la malvagità ricompen­sata, ma poi alla fme tutto si dipana e viene ri~ondot~o al suo giu­sto corso»97 • Il termine «confusione» non va mteso m senso sol­tanto morale, ma anche in senso pragmatico. In contrasto col di­namismo temporale e discontinuo proprio della tragedia, il dramma barocco si svolge in un continuum spaziale, che si potrebbe defi­nire coreografico. Il responsabile dell'intreccio, il precursore del coreografo è qui l'Intrigante, che appare come terzo «tipo» ac­canto al D~spota e al Martire98

• Le sue subdole macchinazio~ rien:­piono d'interesse lo spettatore delle Haupt- und Staatsaktionen, il

"KURT KOLITZ, Jobann Christian Hallmanns Dramen. Ein Beitrag Zur Gescbicbte des deutscben Dramas in der Barockzeit, Berlin 19II, pp. 158 sgg.

" TrrrMANN Die Numberger Dicbterschu/e ci t., p. :n :z. ,. Cfr. HUNo'LD, Tbeatra/ische Galante und Geistliche Gedichte cit., passim. 97 BIRXEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunst cit., pp. 3:z9 sgg. 98 Cfr. SCHMIDT, recensione a BOBERTAG cit., p. 41Z·

Dramma e tragedia (I) 7I

quale vi riconosce, oltre alla padronanza del meccanismo politi­co, un sapere di natura antropologica o addirittura fisiologica che lo appassionava. L'Intrigante di classe è tutto intelletto e volontà. In ciò egli corrisponde a un modello che Machiavelli aveva trat­teggiato per primo e che nella letteratura poetica e teorica del xvn secolo viene sviluppato in grande stile, prima di ridursi a quella figura stereotipa che sarà l'intrigante delle parodie viennesi e del dramma borghese. «Machiavelli fondò il pensiero politico sui suoi principi antropologici. L'uniformità della natura umana, la po­tenza dell'animalità e degli affetti- soprattutto dell'amore e del­la paura - e i loro eccessi: ecco i principi di cui deve tener conto ogni pensiero ed ogni azione politica coerente, e su cui la stessa scienza politica deve fondarsi. La fantasia calcolatrice positiva dell'uomo di stato poggia su queste nozioni, che intendono l'uo­mo come una forza di natura e insegnano a correggere gli affetti contrapponendovi altri affetti»99

• Le passioni umane come molla prevedibile della creatura: nell'inventario delle nozioni destinate a tradurre in azione politica il dinamismo della storia universale, questo è l'articolo finale. Ed è insieme l'origine di una metafori­ca che si sforza di mantenere vivo questo sapere in forma poeti­ca, cosf come Sarpi e Guicciardini facevano in campo storico. Questa metaforica non si limita alla politica. A una formula co­me: «Nell'orologio del dominio i consigli sono gli ingranaggi, ma il principe dovrà essere la lancetta e il peso»100

, si possono affian­care le parole della« Vita» che troviamo nel secondo Coro della Mariamne:

Mein giildnes Licht hat Gott selbst angeziindet A1s Adams Leib ein gangbar Uhrwerk ward101

E nello stesso dramma: Mein klopffend Hertz' entflanunt weil mir das treue Blut Ob angebohrner Brunst an alle Adern schlaget Und einem Uhrwerck gleich sich durch den Leib beweget102

"DILTHEY, Weltanschauung undAnalyse des Menscben seit Renaissance und Reformation cit., pp. 439 sgg.; trad. it. cit., II, p. :z4o.

100 JOHANN CHRISTOPH MENNLING [MANNUNG), Scbaubuhne des Todes Oder Leicb-Reden,

Wittenberg 1692, p. 367. 101

HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Scbiiferspiele cit. (Mariamne, p. 34 [II, 493 sg.)). [La mia aurea luce è stata accesa dallo stesso Dio, l Quando il corpo di Adamo diventò un orologio funzionante).

102 Ibid. (p. 44 [III, 194 sgg.)). [ll mio cuore che palpita s'infiamma, perché il mio san­gue fedele l Per innato fervore pulsa in tutte le mie vene, l E simile a un congegno ad oro­logeria si muove traverso il corpo).

Page 106: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

Se il dramma e il poema pastorale, come tali passaggi dimo­strano, presentano una concezione della nat~a co~f affine, non fa meraviglia che le due forme abbiano cercato di raggiungere un com­promesso, lungo una linea di svilupP? c~e trova in H~~ann ~~~o punto di fermentazione. La loro ant1tes1 è solo superf1crale: pm m profondità cercano di confluire l'una nell'altra. Cosf Hallmann ac­coglie «motivi pastorali nel dJ:a~ serio, per esempi~ l' e~ogio st~­reotipo della vita pastorale o il motlvo tass1ano del satlro m Sophta und Alexander e viceversa traspone nel dramma pastorale scene tipiche del tea;ro tragico, come scene eroiche d'addio, suicidi, pu­nizioni divine e apparizioni di fantasmi»94

• Persino al di fuor~ dell'ambito drammatico, ossia nella lirica, il decorso temporale s1 trova proiettato nello spazio. I libri dei poeti della scuola di No­rimberga mostrano, come la poesia erudita dell'età alessandrina, «torri ... fontane, pomi imperiali, organi, liuti, clessidre, piatti di bilancia, corone, cuori» quale contorno grafico delle loro poesie95

Il predominio di queste tendenze ha svolto un ruolo precis? nella dissoluzione del dramma barocco. A poco a poco -la poeti­ca di Hunold lo testimonia con particolare chiarezza96

- il suo po­sto viene occupato dal balletto. «Confusione» è già nella scuola di Norimberga un termine tecnico della drammaturgia. Il dramma di Lope de Vega La corte confusa, che fu rappresentato anche~ Ger­mania, ha un titolo tipico. E in Birken si legge: «Il vanto ~el dram­mi eroici è quando tutto è confuso e non narrato per ordine come nelle storie, quando l'innocenza è offesa e la malvagità ricompen­sata, ma poi alla fme tutto si dipana e viene ri~ondot~o al suo giu­sto corso»97 • Il termine «confusione» non va mteso m senso sol­tanto morale, ma anche in senso pragmatico. In contrasto col di­namismo temporale e discontinuo proprio della tragedia, il dramma barocco si svolge in un continuum spaziale, che si potrebbe defi­nire coreografico. Il responsabile dell'intreccio, il precursore del coreografo è qui l'Intrigante, che appare come terzo «tipo» ac­canto al D~spota e al Martire98

• Le sue subdole macchinazio~ rien:­piono d'interesse lo spettatore delle Haupt- und Staatsaktionen, il

"KURT KOLITZ, Jobann Christian Hallmanns Dramen. Ein Beitrag Zur Gescbicbte des deutscben Dramas in der Barockzeit, Berlin 19II, pp. 158 sgg.

" TrrrMANN Die Numberger Dicbterschu/e ci t., p. :n :z. ,. Cfr. HUNo'LD, Tbeatra/ische Galante und Geistliche Gedichte cit., passim. 97 BIRXEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunst cit., pp. 3:z9 sgg. 98 Cfr. SCHMIDT, recensione a BOBERTAG cit., p. 41Z·

Dramma e tragedia (I) 7I

quale vi riconosce, oltre alla padronanza del meccanismo politi­co, un sapere di natura antropologica o addirittura fisiologica che lo appassionava. L'Intrigante di classe è tutto intelletto e volontà. In ciò egli corrisponde a un modello che Machiavelli aveva trat­teggiato per primo e che nella letteratura poetica e teorica del xvn secolo viene sviluppato in grande stile, prima di ridursi a quella figura stereotipa che sarà l'intrigante delle parodie viennesi e del dramma borghese. «Machiavelli fondò il pensiero politico sui suoi principi antropologici. L'uniformità della natura umana, la po­tenza dell'animalità e degli affetti- soprattutto dell'amore e del­la paura - e i loro eccessi: ecco i principi di cui deve tener conto ogni pensiero ed ogni azione politica coerente, e su cui la stessa scienza politica deve fondarsi. La fantasia calcolatrice positiva dell'uomo di stato poggia su queste nozioni, che intendono l'uo­mo come una forza di natura e insegnano a correggere gli affetti contrapponendovi altri affetti»99

• Le passioni umane come molla prevedibile della creatura: nell'inventario delle nozioni destinate a tradurre in azione politica il dinamismo della storia universale, questo è l'articolo finale. Ed è insieme l'origine di una metafori­ca che si sforza di mantenere vivo questo sapere in forma poeti­ca, cosf come Sarpi e Guicciardini facevano in campo storico. Questa metaforica non si limita alla politica. A una formula co­me: «Nell'orologio del dominio i consigli sono gli ingranaggi, ma il principe dovrà essere la lancetta e il peso»100

, si possono affian­care le parole della« Vita» che troviamo nel secondo Coro della Mariamne:

Mein giildnes Licht hat Gott selbst angeziindet A1s Adams Leib ein gangbar Uhrwerk ward101

E nello stesso dramma: Mein klopffend Hertz' entflanunt weil mir das treue Blut Ob angebohrner Brunst an alle Adern schlaget Und einem Uhrwerck gleich sich durch den Leib beweget102

"DILTHEY, Weltanschauung undAnalyse des Menscben seit Renaissance und Reformation cit., pp. 439 sgg.; trad. it. cit., II, p. :z4o.

100 JOHANN CHRISTOPH MENNLING [MANNUNG), Scbaubuhne des Todes Oder Leicb-Reden,

Wittenberg 1692, p. 367. 101

HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Scbiiferspiele cit. (Mariamne, p. 34 [II, 493 sg.)). [La mia aurea luce è stata accesa dallo stesso Dio, l Quando il corpo di Adamo diventò un orologio funzionante).

102 Ibid. (p. 44 [III, 194 sgg.)). [ll mio cuore che palpita s'infiamma, perché il mio san­gue fedele l Per innato fervore pulsa in tutte le mie vene, l E simile a un congegno ad oro­logeria si muove traverso il corpo).

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Il dramma barocco tedesco

E di Agrippina è detto: Nun liegt das stoltze Thier, das aufgeblasne Weib Die in Gedancken stand: Ihr Uhrwerck cles Gehlrnes Sey miicbtig umbzudrehn den UmkreiB des Gestirnes103

Non è un caso che l'immagine dell'orologio appaia dominante. Nella celebre similitudine dell'orologio di GeUlincx, che schema­tizza il parallelismo psicofisico nella forma di due orologi perfetti e sincronizzati, la lancetta dei secondi dà per cosf dire il ritmo agli eventi in entrambi i mondi. Per lungo tempo - lo si avverte anco­ra nei testi delle Cantate bachiane -l'epoca sembra rimanere af­fascinata da questa idea. L'immagine del moto delle lancette è in­dispensabile - come ha mostrato Bergson - per la rappresentazio­ne del tempo ripetibile e quantitativo proprio delle scienze naturali matematizzate104

• In essa hanno luogo non solo la vita organica dell'uomo ma anche le mene dei cortigiani e le azioni del princi­pe, n quale, secondo la concezione occasionalistica del potere di­vino, interviene continuamente e direttamente nei meccanismi del­lo stato, per disporre la materia del corso storico secondo un or­dine spazialmente misurabile, regolare ed armonico. «Le Prince développe toutes les virtualités de l'Etat par une sorte de création continue. Le prince est le Dieu cartésien transposé dans le monde politique»105. Nel corso dell'accadere politico l'intrigo scandisce il ritmo dei secondi, lo cattura e lo fissa. La cinica lucidità del cor­tigiano gli procura sofferenze penose allo stesso modo in cui risulta pericolosa agli altri, per l'uso che egli è in grado di farne. In que­sta luce la figura del cortigiano assume i suoi tratti piu foschi. Chi legge nella sua vita, comprenderà perché proprio la corte sia lo sce­nario incomparabile del dramma barocco. Nel Cortegiano di An­tonio de Guevara leggiamo che «Caino fu il primo uomo di corte perché, a causa della maledizione divina, non aveva una casa pro­pria»106. Secondo l'autore spagnolo, non è certo questo l'unico trat­to di «cainita» del cortigiano: la maledizione che Dio fece ricade-

1"' LOHENSTEIN, Riimische Trauerspiele cit., p. 91 (Agrippina, V, x6o sgg.). [Ora dorme

il fiero animale,la donna superba, l Che si immaginava che il congegno a orologeria del suo cervello l Fosse capàce di rovesciare il corso delle stelle].

104 Cfr. HENRI BERGSON, Essai sur /es données immédiates de la conscience, Paris 1904, pp. 79 sgg.

105 PRÉDÉRIC ATGER, Essai sur l' histoire des doctrines du contrat socia/, dissertazione, Nl­mes 1906, p. 136.

106 AGIDIUS ALBERTINUS, Lucifers Kiinigreichs und Seelengeiaidt [Il regno di Lucifero e la sua caccia alle anime], a cura di R. Freiherrn von Liliencron, Berlin-Stuttgart s.d. [x884], p. XI.

Dramma e tragedia (I) 73

re sul primo assassino incombe spesso anche su di lui. Mentre però ~el c:Jramma spagnolo lo splendore del potere rimane pur sempre il prtmo contrassegno della vita di corte, il dramma barocco tede­sco è tutto accordato sulla tonalità fosca dell'intrigo.

W as ist der hof nunmehr als eine mordergruben, Als ein verriither-platz, ein wohnhau.B schlimmer buben107 ?

si lamenta Michele Balbo nel Leo Armenius. Nella dedica dei­l'Ibrahim Bassa, Lohenstein rappresenta l'intrigante in certo mo­do come il dominatore della scena, e lo definisce «un ipocrita di corte dimentico dell'onore e uno spione intento a tramare omici­di»108. In queste descrizioni, e in altre simili, la figura del funzio­nario di corte assume tratti quasi demoniaci quanto a potere sa­pere e volere, è il consigliere segreto che ha libero accesso al gabi­netto del principe, luogo deputato dell'alta politica. A ciò allude Hallmann in un passaggio elegante delle Leichreden: «Ma a me in quanto politico, non si addice di penetrare nel gabinetto segr~to della celeste sapienza» 109

• Il teatro tedesco protestante sottolinea i tratti infernali del consigliere; nella Spagna cattolica invece esso compare ammantato della dignità del sosiego, «l'ethos cattolico si fonde con l'atarassia classica in un modello di cortigiano ecclesia­s:ico e mondano a un tei:npo»110

• Ed è proprio l'incomparabile am­btvalenza della sua superiorità intellettuale a fondare la dialettica barocca della sua posizione. L'ingegno- ecco la tesi del secolo-. si mostra nel potere; l'ingegno è la capacità di esercitare la ditta­tura. Questa facoltà richiedeva una severa disciplina interiore e un'azione esterna senza scrupoli. Il suo esercizio portava con sé un disincantamento, la cui freddezza, per intensità, è comparabi­le solo all'ardente frenesia della volontà di potenza. La calcolata perfezione del comportamento mondano suscita, nella creatura spogliata di ogni ingenuità residua, il sentimento del lutto. Ed è questo stato d'animo a consentire che si possa pretendere dal cor-

• 107

GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 20 (Leo Armenius, I, 23 sgg.). [Che cos'è la corte or­mat se non un coacervo di assassini, l Se non un luogo di traditori una dimora di pessimi soggetti?] '

103 DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, Turkische Trauerspiele. Ibrahim Bassa Ibrahim Sul­

fan, a cura di K. G. ]ust, Stuttgart 1953, p. Sx. Cfr. JOHANN EUA.s SCHLEGJd. Asthetische und dramaturgische Schriften, a cura di J. von Antoniewicz, Heilbronn x887, p. 8.

'"' HALLMANN, Leichreden ci t., p. I 2 2. [Allein mir als einem Politico, wil nicht anstehen das geheime Cabinet der Himmlischen Weillheit zu beschreiten].

11° CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 248. .

Page 108: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

E di Agrippina è detto: Nun liegt das stoltze Thier, das aufgeblasne Weib Die in Gedancken stand: Ihr Uhrwerck cles Gehlrnes Sey miicbtig umbzudrehn den UmkreiB des Gestirnes103

Non è un caso che l'immagine dell'orologio appaia dominante. Nella celebre similitudine dell'orologio di GeUlincx, che schema­tizza il parallelismo psicofisico nella forma di due orologi perfetti e sincronizzati, la lancetta dei secondi dà per cosf dire il ritmo agli eventi in entrambi i mondi. Per lungo tempo - lo si avverte anco­ra nei testi delle Cantate bachiane -l'epoca sembra rimanere af­fascinata da questa idea. L'immagine del moto delle lancette è in­dispensabile - come ha mostrato Bergson - per la rappresentazio­ne del tempo ripetibile e quantitativo proprio delle scienze naturali matematizzate104

• In essa hanno luogo non solo la vita organica dell'uomo ma anche le mene dei cortigiani e le azioni del princi­pe, n quale, secondo la concezione occasionalistica del potere di­vino, interviene continuamente e direttamente nei meccanismi del­lo stato, per disporre la materia del corso storico secondo un or­dine spazialmente misurabile, regolare ed armonico. «Le Prince développe toutes les virtualités de l'Etat par une sorte de création continue. Le prince est le Dieu cartésien transposé dans le monde politique»105. Nel corso dell'accadere politico l'intrigo scandisce il ritmo dei secondi, lo cattura e lo fissa. La cinica lucidità del cor­tigiano gli procura sofferenze penose allo stesso modo in cui risulta pericolosa agli altri, per l'uso che egli è in grado di farne. In que­sta luce la figura del cortigiano assume i suoi tratti piu foschi. Chi legge nella sua vita, comprenderà perché proprio la corte sia lo sce­nario incomparabile del dramma barocco. Nel Cortegiano di An­tonio de Guevara leggiamo che «Caino fu il primo uomo di corte perché, a causa della maledizione divina, non aveva una casa pro­pria»106. Secondo l'autore spagnolo, non è certo questo l'unico trat­to di «cainita» del cortigiano: la maledizione che Dio fece ricade-

1"' LOHENSTEIN, Riimische Trauerspiele cit., p. 91 (Agrippina, V, x6o sgg.). [Ora dorme

il fiero animale,la donna superba, l Che si immaginava che il congegno a orologeria del suo cervello l Fosse capàce di rovesciare il corso delle stelle].

104 Cfr. HENRI BERGSON, Essai sur /es données immédiates de la conscience, Paris 1904, pp. 79 sgg.

105 PRÉDÉRIC ATGER, Essai sur l' histoire des doctrines du contrat socia/, dissertazione, Nl­mes 1906, p. 136.

106 AGIDIUS ALBERTINUS, Lucifers Kiinigreichs und Seelengeiaidt [Il regno di Lucifero e la sua caccia alle anime], a cura di R. Freiherrn von Liliencron, Berlin-Stuttgart s.d. [x884], p. XI.

Dramma e tragedia (I) 73

re sul primo assassino incombe spesso anche su di lui. Mentre però ~el c:Jramma spagnolo lo splendore del potere rimane pur sempre il prtmo contrassegno della vita di corte, il dramma barocco tede­sco è tutto accordato sulla tonalità fosca dell'intrigo.

W as ist der hof nunmehr als eine mordergruben, Als ein verriither-platz, ein wohnhau.B schlimmer buben107 ?

si lamenta Michele Balbo nel Leo Armenius. Nella dedica dei­l'Ibrahim Bassa, Lohenstein rappresenta l'intrigante in certo mo­do come il dominatore della scena, e lo definisce «un ipocrita di corte dimentico dell'onore e uno spione intento a tramare omici­di»108. In queste descrizioni, e in altre simili, la figura del funzio­nario di corte assume tratti quasi demoniaci quanto a potere sa­pere e volere, è il consigliere segreto che ha libero accesso al gabi­netto del principe, luogo deputato dell'alta politica. A ciò allude Hallmann in un passaggio elegante delle Leichreden: «Ma a me in quanto politico, non si addice di penetrare nel gabinetto segr~to della celeste sapienza» 109

• Il teatro tedesco protestante sottolinea i tratti infernali del consigliere; nella Spagna cattolica invece esso compare ammantato della dignità del sosiego, «l'ethos cattolico si fonde con l'atarassia classica in un modello di cortigiano ecclesia­s:ico e mondano a un tei:npo»110

• Ed è proprio l'incomparabile am­btvalenza della sua superiorità intellettuale a fondare la dialettica barocca della sua posizione. L'ingegno- ecco la tesi del secolo-. si mostra nel potere; l'ingegno è la capacità di esercitare la ditta­tura. Questa facoltà richiedeva una severa disciplina interiore e un'azione esterna senza scrupoli. Il suo esercizio portava con sé un disincantamento, la cui freddezza, per intensità, è comparabi­le solo all'ardente frenesia della volontà di potenza. La calcolata perfezione del comportamento mondano suscita, nella creatura spogliata di ogni ingenuità residua, il sentimento del lutto. Ed è questo stato d'animo a consentire che si possa pretendere dal cor-

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GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 20 (Leo Armenius, I, 23 sgg.). [Che cos'è la corte or­mat se non un coacervo di assassini, l Se non un luogo di traditori una dimora di pessimi soggetti?] '

103 DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, Turkische Trauerspiele. Ibrahim Bassa Ibrahim Sul­

fan, a cura di K. G. ]ust, Stuttgart 1953, p. Sx. Cfr. JOHANN EUA.s SCHLEGJd. Asthetische und dramaturgische Schriften, a cura di J. von Antoniewicz, Heilbronn x887, p. 8.

'"' HALLMANN, Leichreden ci t., p. I 2 2. [Allein mir als einem Politico, wil nicht anstehen das geheime Cabinet der Himmlischen Weillheit zu beschreiten].

11° CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 248. .

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74 Il dramma barocco tedesco

tigiano, o addirittura affermarne - come fa Gradan - la sua san­titàm. L'associazione del tutto impropria fra la santità e lo stato d'animo del lutto promuove quel compromesso illimitato col mon­do che caratterizza il cortigiano ideale dell'autore spagnolo. Son­dare in un unico personaggio la profondità abissale di questa an­titesi, è un'impresa che i drammaturghi tedeschi non potevano neppure tentare. Del cortigiano essi conoscono i due volti distin­ti: lo spirito maligno del despota, e il fedele servitore come com­pagno di sventura dell'innocenza incoronata.

In ogni caso, l'intrigante doveva assumere una posizione d<?­minante nell'economia del dramma. Secondo la teoria dello Scali­gera - che appare qui del tutto congeniale allo spirito del Baroc­co e che vi trova anzi la sua piena affermazione - il vero scopo del dr~mma era infatti quello di comunicare la conoscenza della vita dell'anima, nella cui osservazione l'intrigante non è secondo a nes­suno. Nella coscienza delle nuove generazioni, all'intenzione mo­rale dei poeti del Rinascimento si affianca quella scientifica. « ?<?­ce t affectus poeta per actiones, ut bonos amplectamur, atque um­temur ad agendum: malos aspernemur oh abstinendum. Est igitur actio docendi modus: affectus, quem docemur ad agendum. Qua­re eri t actio quasi exemplar, aut instrumentum in fabula, affectus vero finis. At in due actio erit finis, affectus erit eius forma»112

Questo schema, in cui lo Scaligero subordina la rappresentazione dell'azione come mezzo a quella degli affetti come fine della sce­na drammatica, può fornire in certo modo un criterio per ricono­scere la presenza di elementi barocchi, in contrasto con lo stile poe­tico anteriore. È infatti caratteristico del teatro seicentesco il fat­to che la rappresentazione degli affetti diventi via via piu marcata, mentre il profilo dell'azione, che nel dramma rinascimentale è sem­pre ben delineato, si fa sempre piu vag?. ~l dinamism_? della vita affettiva accelera a un punto tale che un az10ne tranquilla, una de­cisione ponderata, appaiono sempre piu rare. La lotta fra senti­mento e volontà - che Riegl ha cosi bene illustrato analizzando il contrasto tra la forma del capo e la postura del corpo in Giuliano da Sangallo e nella Notte delle Tombe Medicee113

- non si manife­sta solo nella scultura, ma anche nel teatro barocco. E ciò è so-

111 Cfr. EGON COHN, Gesellschaftsideale und Gesellschaftsroman des 17. Jahrhunderts. Stu· dien zur deutschen Bildungsgeschichte, Berlin I 92 I, p. I 1.

112 SCAUGERO, Poetices libri septem cit., p. 832 (VII, 3). "'Cfr. RIEGL, Die Entstehung der Barockkunst in Rom cit., p. 33·

Dramma e tragedia (I) 75

prattutto evidente nel caso del tiranno. Col passare del tempo la sua volontà è sempre piu soggiogata dalla sensibilità, finché esplo­de la follia. Fino a che punto la rappresentazione degli affetti do­veva prevalere sull'azione- che pure ne sarebbe il fondamento­risulta dai drammi di Lohenstein, dove, in una sorta di furore di­dattico, le passioni si susseguono con frenesia selvaggia. Ciò get­ta luce sull'ostinazione con cui i drammi del xvrr secolo si rin­chiudono in un ambito limitato di soggetti. Il loro scopo era di mi­surarsi, in condizioni date, con i predecessori e i contemporanei, mettendo in scena l'esaltazione passionale in forme sempre piu drastiche ed efficaci. Il patrimonio di nozioni drammaturgiche messe in scena dall'antropologia politica e dalla tipologia del dram­ma barocco è la condizione per liberarsi dagli impacci di uno sto­ricismo che liquida il proprio oggetto come fenomeno di transi­zione necessario ma inessenziale. Nel quadro di queste nozioni spicca il significato particolare dell'aristotelismo barocco, che uno sguardo superficiale è condannato a fraintendere. Come «teoria estranea all'essenza»114

, l'interpretazione rielabora il patrimonio classico, conferendo al Nuovo un'autorità vincolànte proprio col gesto del suo sottomettersi al modello. Al Barocco fu concesso di cogliere nel suo medium la potenza del presente. Perciò esso in­tendeva le sue forme come «naturali», e non tanto come una ne­gazione quanto come un superamento e un innalzamento della sua rivale. La tragedia classica è la schiava incatenata sul carro trion­fale del dramma barocco.

"' HUBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefuhls cit., p. 546.

Page 110: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

74 Il dramma barocco tedesco

tigiano, o addirittura affermarne - come fa Gradan - la sua san­titàm. L'associazione del tutto impropria fra la santità e lo stato d'animo del lutto promuove quel compromesso illimitato col mon­do che caratterizza il cortigiano ideale dell'autore spagnolo. Son­dare in un unico personaggio la profondità abissale di questa an­titesi, è un'impresa che i drammaturghi tedeschi non potevano neppure tentare. Del cortigiano essi conoscono i due volti distin­ti: lo spirito maligno del despota, e il fedele servitore come com­pagno di sventura dell'innocenza incoronata.

In ogni caso, l'intrigante doveva assumere una posizione d<?­minante nell'economia del dramma. Secondo la teoria dello Scali­gera - che appare qui del tutto congeniale allo spirito del Baroc­co e che vi trova anzi la sua piena affermazione - il vero scopo del dr~mma era infatti quello di comunicare la conoscenza della vita dell'anima, nella cui osservazione l'intrigante non è secondo a nes­suno. Nella coscienza delle nuove generazioni, all'intenzione mo­rale dei poeti del Rinascimento si affianca quella scientifica. « ?<?­ce t affectus poeta per actiones, ut bonos amplectamur, atque um­temur ad agendum: malos aspernemur oh abstinendum. Est igitur actio docendi modus: affectus, quem docemur ad agendum. Qua­re eri t actio quasi exemplar, aut instrumentum in fabula, affectus vero finis. At in due actio erit finis, affectus erit eius forma»112

Questo schema, in cui lo Scaligero subordina la rappresentazione dell'azione come mezzo a quella degli affetti come fine della sce­na drammatica, può fornire in certo modo un criterio per ricono­scere la presenza di elementi barocchi, in contrasto con lo stile poe­tico anteriore. È infatti caratteristico del teatro seicentesco il fat­to che la rappresentazione degli affetti diventi via via piu marcata, mentre il profilo dell'azione, che nel dramma rinascimentale è sem­pre ben delineato, si fa sempre piu vag?. ~l dinamism_? della vita affettiva accelera a un punto tale che un az10ne tranquilla, una de­cisione ponderata, appaiono sempre piu rare. La lotta fra senti­mento e volontà - che Riegl ha cosi bene illustrato analizzando il contrasto tra la forma del capo e la postura del corpo in Giuliano da Sangallo e nella Notte delle Tombe Medicee113

- non si manife­sta solo nella scultura, ma anche nel teatro barocco. E ciò è so-

111 Cfr. EGON COHN, Gesellschaftsideale und Gesellschaftsroman des 17. Jahrhunderts. Stu· dien zur deutschen Bildungsgeschichte, Berlin I 92 I, p. I 1.

112 SCAUGERO, Poetices libri septem cit., p. 832 (VII, 3). "'Cfr. RIEGL, Die Entstehung der Barockkunst in Rom cit., p. 33·

Dramma e tragedia (I) 75

prattutto evidente nel caso del tiranno. Col passare del tempo la sua volontà è sempre piu soggiogata dalla sensibilità, finché esplo­de la follia. Fino a che punto la rappresentazione degli affetti do­veva prevalere sull'azione- che pure ne sarebbe il fondamento­risulta dai drammi di Lohenstein, dove, in una sorta di furore di­dattico, le passioni si susseguono con frenesia selvaggia. Ciò get­ta luce sull'ostinazione con cui i drammi del xvrr secolo si rin­chiudono in un ambito limitato di soggetti. Il loro scopo era di mi­surarsi, in condizioni date, con i predecessori e i contemporanei, mettendo in scena l'esaltazione passionale in forme sempre piu drastiche ed efficaci. Il patrimonio di nozioni drammaturgiche messe in scena dall'antropologia politica e dalla tipologia del dram­ma barocco è la condizione per liberarsi dagli impacci di uno sto­ricismo che liquida il proprio oggetto come fenomeno di transi­zione necessario ma inessenziale. Nel quadro di queste nozioni spicca il significato particolare dell'aristotelismo barocco, che uno sguardo superficiale è condannato a fraintendere. Come «teoria estranea all'essenza»114

, l'interpretazione rielabora il patrimonio classico, conferendo al Nuovo un'autorità vincolànte proprio col gesto del suo sottomettersi al modello. Al Barocco fu concesso di cogliere nel suo medium la potenza del presente. Perciò esso in­tendeva le sue forme come «naturali», e non tanto come una ne­gazione quanto come un superamento e un innalzamento della sua rivale. La tragedia classica è la schiava incatenata sul carro trion­fale del dramma barocco.

"' HUBSCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensgefuhls cit., p. 546.

Page 111: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Dramma e tragedia (rr)

Hier in clieser Zeitligkeit Ist bedecket meine Crohne

Mit dem Flohr der Traurigkeit; Dorten da sie mir zum Lohne

Aus Genaden ist gestellet Ist sie frey und gantz umhellet.

JOHANN GEORG SCHIEBEL,

Neuerbauter Schausaal '.

Si è voluto ritrovare nel dramma barocco, e come sua compo­nente essenziale, proprio gli elementi della tragedia greca- il rac­conto tragico, l'eroe tragico e la morte tragica - sia pure deformati sotto le mani di imitatori disinvolti. Viceversa - e ciò avrebbe as­sai pio rilievo nella storia critica della filosofia dell'arte - si è vo­luto vedere nella tragedia, e precisamente in quella greca, una for­ma primitiva del dramma barocco, di natura sostanzialmente affi­ne a quest'ultimo. La filosofia della tragedia si è perciò sviluppata, senza alcun rapporto con i fatti storici concreti, in un sistema di sentimenti universali fondati sul concetto di «colpa» e di «espia­zione», come teoria dell'ordinamento morale del mondo. In omag­gio alla drammaturgia naturalistica, nelle teorie estetiche epigonali della seconda metà dell'Ottocento questo ordinamento morale ven­ne quindi associato, con sorprendente ingenuità, alla concatena­zione causale dei fenomeni fisici, e il destino tragico fini per di­ventare quello stato di cose «che si esprime nel cooperare del sin­golo con un ambiente esterno governato da leggi rigorose»2

• Cosi leggiamo in quella Estetica del tragico, che è la codificazione for-

1 JOHANN GEORG SCHIEBEL, Neu-erbauter Schausaa/ [Il salone nuovamente edificato], Niirnberg 1684, p. 127. [Qui in questo tempo terreno l La mia corona~ coperta l Dal velo della tristezza; l Laggiu, dove a ricompensa l E per grazia mi è largita l E libera, e tutta ra­diosa].

2 JOHANNES VOLKELT, Asthetik des Tragischen, Miinchen 1917, pp. 469 sgg.

Dramma e tragedia (n) 77

male .di quei pregiudizi, e dove si parte dal presupposto che il tra­gico possa darsi senz' altro nelle costellazioni fattuali della vita or­dinaria. Nient'altro significa la definizione della « Weltanschauung moderna» come quell'elemento «in cui soltanto il tragico può svi­lupparsi, senza ostacoli, in tutta la sua poderosa coerenza»3• «Cosi riguardo all'eroe tragico, i cui destini dipendono dai mirabili inter­venti di un potere trascendente, la Weltanschauung moderna deve giudicarlo come la vittima di un ordine insostenibile, che non può reggere a uno sguardo purificato: l'umanità che esso rappresenta porta in sé il carattere dell'angustia, dell'oppressione, della non­libertà»4. Questi vani sforzi per attualizzare il tragico come un contenuto universalmente umano dimostrano come alla base del­la sua analisi si debba porre con cautela l'impressione «che noi uo­mini moderni proviamo, quando lasciamo agire esteticamente su di noi le forme assegnate dai popoli antichi e dalle epoche passa­te al destino tragico nelle loro opere»'. Nulla è in realtà piu pro­blematico dei sentimenti immediati dell' <<Uomo moderno», e tan­to piu nel giudizio sulla tragedia. E questa tesi non poggia soltanto sulla Nascita della tragedia, uscita quarant'anni prima dell'Estetica del tragico, ma è suggerita con la massima evidenza dal semplice fatto che il teatro moderno non ha piu prodotto alcuna tragedia nel senso greco. Misconoscendo questo stato di cose, le teorie del tragico a cui abbiamo accennato pretendono che il teatro dovreb­be essere in grado di produrre ancora oggi tragedie. Questa pre­tesa è il loro movente essenziale e nascosto, e una teoria del tra­gico intesa a scuotere questo assioma della boria culturale non po­teva non risultare sospetta. La filosofia della storia era esclusa. Ma qualora la prospettiva storico-filosofica dovesse risultare un elemento irrinunciabile per una teoria della tragedia, è chiaro che bisognerà aspettarsela solo là dove la ricerca sappia penetrare la situazione del proprio tempo. Ed è poi questo il punto archime­deo che alcuni pensa tori recenti, in particolare Franz Rosenzweig e Gyorgy Lukacs, hanno colto nell'opera del giovane Nietzsche. «Invano la nostra età democratica ha tentato di adeguarsi al tra­gico; vani sono stati i tentativi di aprire ai poveri di spirito que-sto regno celeste»6

• .

'Ibid., p. 469. 'Ibid., p. 450. 'Ibid., p. 447· . 6

GYORGY LUK.ks, DieSee!e unddie Formen. Essays, Berlin 19II, pp. 370 sgg.; trad. it. L'anima e le/orme, Milano 1963, p. 345·

Page 112: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Dramma e tragedia (rr)

Hier in clieser Zeitligkeit Ist bedecket meine Crohne

Mit dem Flohr der Traurigkeit; Dorten da sie mir zum Lohne

Aus Genaden ist gestellet Ist sie frey und gantz umhellet.

JOHANN GEORG SCHIEBEL,

Neuerbauter Schausaal '.

Si è voluto ritrovare nel dramma barocco, e come sua compo­nente essenziale, proprio gli elementi della tragedia greca- il rac­conto tragico, l'eroe tragico e la morte tragica - sia pure deformati sotto le mani di imitatori disinvolti. Viceversa - e ciò avrebbe as­sai pio rilievo nella storia critica della filosofia dell'arte - si è vo­luto vedere nella tragedia, e precisamente in quella greca, una for­ma primitiva del dramma barocco, di natura sostanzialmente affi­ne a quest'ultimo. La filosofia della tragedia si è perciò sviluppata, senza alcun rapporto con i fatti storici concreti, in un sistema di sentimenti universali fondati sul concetto di «colpa» e di «espia­zione», come teoria dell'ordinamento morale del mondo. In omag­gio alla drammaturgia naturalistica, nelle teorie estetiche epigonali della seconda metà dell'Ottocento questo ordinamento morale ven­ne quindi associato, con sorprendente ingenuità, alla concatena­zione causale dei fenomeni fisici, e il destino tragico fini per di­ventare quello stato di cose «che si esprime nel cooperare del sin­golo con un ambiente esterno governato da leggi rigorose»2

• Cosi leggiamo in quella Estetica del tragico, che è la codificazione for-

1 JOHANN GEORG SCHIEBEL, Neu-erbauter Schausaa/ [Il salone nuovamente edificato], Niirnberg 1684, p. 127. [Qui in questo tempo terreno l La mia corona~ coperta l Dal velo della tristezza; l Laggiu, dove a ricompensa l E per grazia mi è largita l E libera, e tutta ra­diosa].

2 JOHANNES VOLKELT, Asthetik des Tragischen, Miinchen 1917, pp. 469 sgg.

Dramma e tragedia (n) 77

male .di quei pregiudizi, e dove si parte dal presupposto che il tra­gico possa darsi senz' altro nelle costellazioni fattuali della vita or­dinaria. Nient'altro significa la definizione della « Weltanschauung moderna» come quell'elemento «in cui soltanto il tragico può svi­lupparsi, senza ostacoli, in tutta la sua poderosa coerenza»3• «Cosi riguardo all'eroe tragico, i cui destini dipendono dai mirabili inter­venti di un potere trascendente, la Weltanschauung moderna deve giudicarlo come la vittima di un ordine insostenibile, che non può reggere a uno sguardo purificato: l'umanità che esso rappresenta porta in sé il carattere dell'angustia, dell'oppressione, della non­libertà»4. Questi vani sforzi per attualizzare il tragico come un contenuto universalmente umano dimostrano come alla base del­la sua analisi si debba porre con cautela l'impressione «che noi uo­mini moderni proviamo, quando lasciamo agire esteticamente su di noi le forme assegnate dai popoli antichi e dalle epoche passa­te al destino tragico nelle loro opere»'. Nulla è in realtà piu pro­blematico dei sentimenti immediati dell' <<Uomo moderno», e tan­to piu nel giudizio sulla tragedia. E questa tesi non poggia soltanto sulla Nascita della tragedia, uscita quarant'anni prima dell'Estetica del tragico, ma è suggerita con la massima evidenza dal semplice fatto che il teatro moderno non ha piu prodotto alcuna tragedia nel senso greco. Misconoscendo questo stato di cose, le teorie del tragico a cui abbiamo accennato pretendono che il teatro dovreb­be essere in grado di produrre ancora oggi tragedie. Questa pre­tesa è il loro movente essenziale e nascosto, e una teoria del tra­gico intesa a scuotere questo assioma della boria culturale non po­teva non risultare sospetta. La filosofia della storia era esclusa. Ma qualora la prospettiva storico-filosofica dovesse risultare un elemento irrinunciabile per una teoria della tragedia, è chiaro che bisognerà aspettarsela solo là dove la ricerca sappia penetrare la situazione del proprio tempo. Ed è poi questo il punto archime­deo che alcuni pensa tori recenti, in particolare Franz Rosenzweig e Gyorgy Lukacs, hanno colto nell'opera del giovane Nietzsche. «Invano la nostra età democratica ha tentato di adeguarsi al tra­gico; vani sono stati i tentativi di aprire ai poveri di spirito que-sto regno celeste»6

• .

'Ibid., p. 469. 'Ibid., p. 450. 'Ibid., p. 447· . 6

GYORGY LUK.ks, DieSee!e unddie Formen. Essays, Berlin 19II, pp. 370 sgg.; trad. it. L'anima e le/orme, Milano 1963, p. 345·

Page 113: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

78 Il dramma barocco tedesco

Con la sua concezione dei legami fra la tragedia e la saga, e dell'indipendenza della sfera tragica da quella etica, l'opera di Nietz­sche ha posto le basi di questa tesi. Per spiegare il cammino esitante e per cosf dire stentato della concezione nietzscheana della trage­dia non occorre fare appello all'atteggiamento prevenuto della suc­cessiva generazione di studiosi. Piuttosto, era la stessa opera di Nietzsche a portare in sé, con la sua metafisica schopenhaueriana e wagneriana, i germi che dovevano rovinarne gli aspetti migliori. Quei germi sono già presenti nella sua definizione del mito. «Esso porta il mondo del fenomeno verso quei limiti dove esso si nega e cerca di rifugiarsi nuovamente in seno all'unica e vera realtà ... Co­sf, in base alle esperienze del vero ascoltatore estetico, noi ci rap­presentiamo anche l'artista tragico: simile ad un esuberante iddio dell'individuatio, egli crea le sue figure, e in questo senso difficil­mente la sua opera si potrebbe intendere come una "imitazione della natura"; ma poi il suo mostruoso istinto dionisiaco inghiot­te tutto codesto mondo dei fenomeni, per far presagire dietro ad esso e per mezzo del suo annientamento una suprema gioia arti-

. stica primordiale nel seno dell'Uno primigenio»7• Come questo pas­

so mostra a sufficienza, il mito tragico è per Nietzsche una pura costruzione estetica, e il contrasto fra apollineo e dionisiaco, in quanto apparenza e dissoluzione dell'apparenza, rimane a sua vol­ta prigioniero della sfera estetica. Rinunciando a una comprensio­ne storico-filosofica del mito tragico, Nietzsche ha pagato a caro prezzo l'emancipazione dallo stereotipo morale che si era soliti ap­plicare all'evento tragico. Ed ecco la formulazione classica di que­sta rinuncia: «Giacché, a nostra umiliazione ed esaltazione, biso­gna che noi ci rendiamo chiaro conto di questo, che l'intera com­media dell'arte non viene messa in scena per noi, per nostra edificazione o educazione, e che anzi noi non siamo affatto i veri creatori del mondo artistico; ma dobbiamo piuttosto supporre di essere proprio noi le immagini e le proiezioni del vero creatore, e che la nostra suprema dignità sta proprio nel significato che ab­biamo come opere d'arte, perché l'esistenza e il mondo sono giu­stificati in eterno solo come fenomeno estetico. E la coscienza che abbiamo di tale significato non è diversa da quella che i guerrieri dipinti su una tela hanno della battaglia che vi è rappresentata»8

'PRlEDRICH NIETZSCHE, Werke, sezione r, vol. l: Die Geburt der Tragiidie, a cura di F. Kogel, Leipzig 189.5, p. 1.5.5; trad. it. La nascita della tragedia, a cura di E. Ruta (legger· mente modificata), introduzione di P. Chiarini, Bari 1967, pp. x So sgg.

• Ibid., pp. 44 sgg.; trad. it. cit., pp. 71 sgg.

Dramma e tragedia (n) 79

Si spalanca cosf l'abisso dell'estetismo, nel quale quell'intuizione geniale finisce per perdere tutti i propri concetti, cosf che dèi ed eroi, ostinazione e dolore, i pilastri dell'edificio tragico si dissol­vono nel nulla. Là dove l'arte viene ad occupare il centro dell'esi­stenza, al punto da fare dell'uomo la propria apparenza anziché ri­conoscere in esso il proprio fondamento - non come suo creatore ma come tema eterno delle sue creazioni - il significato. stesso di una ponderata riflessione viene a cadere. E sia che, con lo spode­stamento dell'uomo dal centro dell'arte, il suo posto venga preso dal nirvana - un'assopita volontà di vivere - come in Scho­penhauer, o che sia invece, come in Nietzsche, l' «incarnazione del­la dissonanza»9

, a creare i fenomeni del mondo e cosf anche l'uo­mo, il pragmatismo è lo stesso. Che importa infatti se è la volontà di vivere o la sua negazione a ispirare l'opera d'arte, quando que­st'ultima, come espressione di una volontà assoluta, svaluta, in­sieme col mondo, se stessa? n nichilismo che alberga negli abissi dell'estetica di Bayreuth, dissolve- e non poteva essere diversa­mente - la tragedia greca come dato storico concreto. «Scintille d'immagini ... poemi lirici, che nel loro massimo svolgimento si chiamano tragedie e ditirambi drammatici»10

: la tragedia si risol­ve nelle visioni del coro e del suo pubblico. Bisogna infatti «tener sempre presente - prosegue Nietzsche - che il pubblico della tra­gedia attica ritrovava se stesso nel coro dell'orchestra, e che in fon­do tra il pubblico e il coro non esisteva una vera opposizione; giac­ché il tutto non è altro che un gran coro sublime di satiri danzan-

. ti e cantanti, e di spettatori che si sentono rappresentati da quei sa tiri ... n coro dei satiri è inizialmente una visione della massa d~onisiaca [cioè degli spettatori], come a sua volta il mondo della scena è una visione di codesto stesso coro ... »11

• Un'insistenza co­sf estrema sull'apparenza apollinea - presupposto della dissolu­zione estetica della tragedia - è insostenibile. Dal punto di vista filologico «manca ... per il coro tragico qualsiasi legame col cul­to»12. E poi: l'estatico, sia esso la massa oppure un singolo, non va pensato immobile ma preso in un'azione appassionata; quanto al coro, che nella tragedia interviene ponderato e riflessivo, è im­possibile pensarlo insieme come il soggetto delle visioni, per non parlare di un coro che, in quanto manifestazione di una massa, sa-

• Ibid., p. 171; trad. it. cit., p. I97· IO Ibid., p. 4I; trad. it. cit., p. 68. 11 Ibid., pp . .58 sg.; trad. it. cit., pp. 86 sgg. u WILAMOWITZ·MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragiidie cit., p . .59·

Page 114: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

78 Il dramma barocco tedesco

Con la sua concezione dei legami fra la tragedia e la saga, e dell'indipendenza della sfera tragica da quella etica, l'opera di Nietz­sche ha posto le basi di questa tesi. Per spiegare il cammino esitante e per cosf dire stentato della concezione nietzscheana della trage­dia non occorre fare appello all'atteggiamento prevenuto della suc­cessiva generazione di studiosi. Piuttosto, era la stessa opera di Nietzsche a portare in sé, con la sua metafisica schopenhaueriana e wagneriana, i germi che dovevano rovinarne gli aspetti migliori. Quei germi sono già presenti nella sua definizione del mito. «Esso porta il mondo del fenomeno verso quei limiti dove esso si nega e cerca di rifugiarsi nuovamente in seno all'unica e vera realtà ... Co­sf, in base alle esperienze del vero ascoltatore estetico, noi ci rap­presentiamo anche l'artista tragico: simile ad un esuberante iddio dell'individuatio, egli crea le sue figure, e in questo senso difficil­mente la sua opera si potrebbe intendere come una "imitazione della natura"; ma poi il suo mostruoso istinto dionisiaco inghiot­te tutto codesto mondo dei fenomeni, per far presagire dietro ad esso e per mezzo del suo annientamento una suprema gioia arti-

. stica primordiale nel seno dell'Uno primigenio»7• Come questo pas­

so mostra a sufficienza, il mito tragico è per Nietzsche una pura costruzione estetica, e il contrasto fra apollineo e dionisiaco, in quanto apparenza e dissoluzione dell'apparenza, rimane a sua vol­ta prigioniero della sfera estetica. Rinunciando a una comprensio­ne storico-filosofica del mito tragico, Nietzsche ha pagato a caro prezzo l'emancipazione dallo stereotipo morale che si era soliti ap­plicare all'evento tragico. Ed ecco la formulazione classica di que­sta rinuncia: «Giacché, a nostra umiliazione ed esaltazione, biso­gna che noi ci rendiamo chiaro conto di questo, che l'intera com­media dell'arte non viene messa in scena per noi, per nostra edificazione o educazione, e che anzi noi non siamo affatto i veri creatori del mondo artistico; ma dobbiamo piuttosto supporre di essere proprio noi le immagini e le proiezioni del vero creatore, e che la nostra suprema dignità sta proprio nel significato che ab­biamo come opere d'arte, perché l'esistenza e il mondo sono giu­stificati in eterno solo come fenomeno estetico. E la coscienza che abbiamo di tale significato non è diversa da quella che i guerrieri dipinti su una tela hanno della battaglia che vi è rappresentata»8

'PRlEDRICH NIETZSCHE, Werke, sezione r, vol. l: Die Geburt der Tragiidie, a cura di F. Kogel, Leipzig 189.5, p. 1.5.5; trad. it. La nascita della tragedia, a cura di E. Ruta (legger· mente modificata), introduzione di P. Chiarini, Bari 1967, pp. x So sgg.

• Ibid., pp. 44 sgg.; trad. it. cit., pp. 71 sgg.

Dramma e tragedia (n) 79

Si spalanca cosf l'abisso dell'estetismo, nel quale quell'intuizione geniale finisce per perdere tutti i propri concetti, cosf che dèi ed eroi, ostinazione e dolore, i pilastri dell'edificio tragico si dissol­vono nel nulla. Là dove l'arte viene ad occupare il centro dell'esi­stenza, al punto da fare dell'uomo la propria apparenza anziché ri­conoscere in esso il proprio fondamento - non come suo creatore ma come tema eterno delle sue creazioni - il significato. stesso di una ponderata riflessione viene a cadere. E sia che, con lo spode­stamento dell'uomo dal centro dell'arte, il suo posto venga preso dal nirvana - un'assopita volontà di vivere - come in Scho­penhauer, o che sia invece, come in Nietzsche, l' «incarnazione del­la dissonanza»9

, a creare i fenomeni del mondo e cosf anche l'uo­mo, il pragmatismo è lo stesso. Che importa infatti se è la volontà di vivere o la sua negazione a ispirare l'opera d'arte, quando que­st'ultima, come espressione di una volontà assoluta, svaluta, in­sieme col mondo, se stessa? n nichilismo che alberga negli abissi dell'estetica di Bayreuth, dissolve- e non poteva essere diversa­mente - la tragedia greca come dato storico concreto. «Scintille d'immagini ... poemi lirici, che nel loro massimo svolgimento si chiamano tragedie e ditirambi drammatici»10

: la tragedia si risol­ve nelle visioni del coro e del suo pubblico. Bisogna infatti «tener sempre presente - prosegue Nietzsche - che il pubblico della tra­gedia attica ritrovava se stesso nel coro dell'orchestra, e che in fon­do tra il pubblico e il coro non esisteva una vera opposizione; giac­ché il tutto non è altro che un gran coro sublime di satiri danzan-

. ti e cantanti, e di spettatori che si sentono rappresentati da quei sa tiri ... n coro dei satiri è inizialmente una visione della massa d~onisiaca [cioè degli spettatori], come a sua volta il mondo della scena è una visione di codesto stesso coro ... »11

• Un'insistenza co­sf estrema sull'apparenza apollinea - presupposto della dissolu­zione estetica della tragedia - è insostenibile. Dal punto di vista filologico «manca ... per il coro tragico qualsiasi legame col cul­to»12. E poi: l'estatico, sia esso la massa oppure un singolo, non va pensato immobile ma preso in un'azione appassionata; quanto al coro, che nella tragedia interviene ponderato e riflessivo, è im­possibile pensarlo insieme come il soggetto delle visioni, per non parlare di un coro che, in quanto manifestazione di una massa, sa-

• Ibid., p. 171; trad. it. cit., p. I97· IO Ibid., p. 4I; trad. it. cit., p. 68. 11 Ibid., pp . .58 sg.; trad. it. cit., pp. 86 sgg. u WILAMOWITZ·MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragiidie cit., p . .59·

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Bo Il dramma barocco tedesco

rebbe portatore di ulteriori visioni. Soprattutto, i cori e il pubbli­co non formano un'unità. Ciò andrà illustrato, fintanto che-l' abis­so fra i due, l'orchestra, non lo dimostrerà con la sua semplice pre­senza.

L'interpretazione di Nietzsche ha preso le distanze dalla teo­ria epigonale della tragedia senza tuttavia confutarla. Per aver ab­bandonato infatti con troppa facilità il terreno del dibattito mo­rale, egli non ebbe occasione di confrontarsi col nucleo di quella. teoria, la dottrina della colpa tragica e dell'espiazione tragica. A vendo egli omesso tale critica, gli rimase sbarrato l'accesso a quei concetti storico-filosofici o filosofico-religiosi in cui si decide alla fine l'essenza della tragedia. Qualunque sia lo spunto della di­scussione, sarà difficile eludere un pregiudizio, che è a quanto pa­re inattaccabile. Si tratta della convinzione che le azioni e i com­portamenti dei personaggi del dramma vadano utilizzati per l' ana­lisi dei problemi morali allo stesso modo in cui si usa il manichino nelle lezioni di anatomia. L'opera d'arte, che nessuno oserebbe considerare una riproduzione fedele della natura, è ritenuta inve­ce una copia fedele dei fenomeni morali, senza nemmeno solleva­re la questione della loro riproducibilità. Non si tratta qui di por­re in questione il significato delle situazioni morali per la critica di un'opera d'arte, ma piuttosto di un altro e duplice problema. Alle azioni e ai comportamenti rappresentati dall'opera d'arte spet­ta un significato morale in quanto immagini della realtà? E anco­ra: sono nozioni di ordine morale quelle che, in ultima analisi, per­mettono di cogliere adeguatamente il contenuto di un'opera? Le interpretazioni e la teoria correnti del tragico sono caratterizzate da una risposta affermativa a queste domande, o meglio dal fatto di ignorarle. Ed è proprio una risposta negativa a queste doman­de quella da cui risulta la necessità di concepire il contenuto mo­rale della poesia tragica non come la sua ultima parola, ma come un momento del suo çontenuto integrale di verità: ossia di conce­pirlo in termini storico-filosofici. Certo una risposta negativa alla prima domanda andrà motivata in termini assai diversi dalla se­conda, che riguarda principalmente la filosofia dell'arte. Ma c'è una cosa che appare senz'altro evidente: i personaggi di fantasia esistono solo nelle opere di fantasia. Come il soggetto di un araz­zo sul suo canovaccio, essi sono cosi intrecciati all'insieme della composizione da non esserne in alcun modo separabili. La figura umana sta nella poesia, e nell'arte in generale, in modo diverso

Dramma e tragedia (n) 8 x

dall'individuo reale, il cui isolamento fisico- per molti aspetti so­lo apparente - sembra esprimere tangibilmente il suo isolamento morale di fronte a Dio. Il divieto di farsi immagini non riguarda solo la condanna dell'idolatria. Con incomparabile evidenza, il di­vieto di rappresentare il corpo previene l'illusione secondo cui sa­rebbe da riprodurre quella sfera in cui è percepibile l'essenza mo­rale dell'uomo. L'ambito morale è legato alla vita nel suo senso piu drastico, ossia nella morte: nel luogo del pericolo, dove la vita de­finitivamente si possiede. E questa vita, che ci riguarda moral­mente, ossia nella nostra unicità, appare dal punto di vista dell' ope­ra come negativa, o almeno cosi dovrebbe apparire. Perché a sua volta l'arte non può ammettere in aicun modo di vedersi promos­sa nelle sue opere a tribunale della coscienza, e non può ammette­re che il contenuto rappresentato prevalga sulla rappresentazione. Il contenuto di verità di tutto questo non si incontra mai nell' astra­zione dottrinale - per non parlare dei precetti moraleggianti - ma solo nello sviluppo critico, commentato, dell'opera stessa1

\ e in­clude indicazioni di ordine morale solo in forma estremamente me­diata14. Là dove queste ultime si impongono come il vero baricen­tro della ricerca - ed è il caso della teoria della tragedia propria dell'idealismo tedesco (ma il saggio di Solger su .Sofocle non è af­fatto tipico in questo senso)1' - il pensiero si è liberato con una ri­flessione a buon mercato dallo sforzo assai piu nobile di determi­nare il luogo storico-filosofico di un'opera o di una forma, e tale riflessione è impropria e quindi ancora piu insignificante di qual­siasi dottrina morale, per quanto filistea. Rispetto alla tragedia, quello sforzo può trovare una guida sicura nella considerazione del suo rapporto con la saga.

La definizione di Wilamowitz suona cosi: «Una tragedia atti­ca è una parte in sé conclusa della saga eroica, elaborata poetica­mente in stile sublime per essere rappresentata da un coro di cit­tadini attici e da due o tre attori, e destinata a essere eseguita nel santuario di Dioniso come parte di una pubblica liturgia»16

• E in

u Cfr. W ALTER BENJAMIN, Goethes WahlveTWandtscha/ten, in «Neue Deutsche Beitra­~e», serie II, fase. ~(aprile 1924}, pp. 83 sgg. (ora in Schri/ten cit., I, pp. 55 sgg.; trad. it. m Angelus Novus ett., pp. 157 sgg.).

14 CROCE, Breviario di estetica cit., pp. 19 sgg. "Cfr. CARL WILHELM FERDINAND SOLGER, Nachgelassene Schriften und Briefwechsel, a

cura di L. Tieck e F. von Raumer, Leipzig 1826, vol. II, pp. 445 sgg. 16 WILAMOWITZ·MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische TragOdie cit., p. 107.

Page 116: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Bo Il dramma barocco tedesco

rebbe portatore di ulteriori visioni. Soprattutto, i cori e il pubbli­co non formano un'unità. Ciò andrà illustrato, fintanto che-l' abis­so fra i due, l'orchestra, non lo dimostrerà con la sua semplice pre­senza.

L'interpretazione di Nietzsche ha preso le distanze dalla teo­ria epigonale della tragedia senza tuttavia confutarla. Per aver ab­bandonato infatti con troppa facilità il terreno del dibattito mo­rale, egli non ebbe occasione di confrontarsi col nucleo di quella. teoria, la dottrina della colpa tragica e dell'espiazione tragica. A vendo egli omesso tale critica, gli rimase sbarrato l'accesso a quei concetti storico-filosofici o filosofico-religiosi in cui si decide alla fine l'essenza della tragedia. Qualunque sia lo spunto della di­scussione, sarà difficile eludere un pregiudizio, che è a quanto pa­re inattaccabile. Si tratta della convinzione che le azioni e i com­portamenti dei personaggi del dramma vadano utilizzati per l' ana­lisi dei problemi morali allo stesso modo in cui si usa il manichino nelle lezioni di anatomia. L'opera d'arte, che nessuno oserebbe considerare una riproduzione fedele della natura, è ritenuta inve­ce una copia fedele dei fenomeni morali, senza nemmeno solleva­re la questione della loro riproducibilità. Non si tratta qui di por­re in questione il significato delle situazioni morali per la critica di un'opera d'arte, ma piuttosto di un altro e duplice problema. Alle azioni e ai comportamenti rappresentati dall'opera d'arte spet­ta un significato morale in quanto immagini della realtà? E anco­ra: sono nozioni di ordine morale quelle che, in ultima analisi, per­mettono di cogliere adeguatamente il contenuto di un'opera? Le interpretazioni e la teoria correnti del tragico sono caratterizzate da una risposta affermativa a queste domande, o meglio dal fatto di ignorarle. Ed è proprio una risposta negativa a queste doman­de quella da cui risulta la necessità di concepire il contenuto mo­rale della poesia tragica non come la sua ultima parola, ma come un momento del suo çontenuto integrale di verità: ossia di conce­pirlo in termini storico-filosofici. Certo una risposta negativa alla prima domanda andrà motivata in termini assai diversi dalla se­conda, che riguarda principalmente la filosofia dell'arte. Ma c'è una cosa che appare senz'altro evidente: i personaggi di fantasia esistono solo nelle opere di fantasia. Come il soggetto di un araz­zo sul suo canovaccio, essi sono cosi intrecciati all'insieme della composizione da non esserne in alcun modo separabili. La figura umana sta nella poesia, e nell'arte in generale, in modo diverso

Dramma e tragedia (n) 8 x

dall'individuo reale, il cui isolamento fisico- per molti aspetti so­lo apparente - sembra esprimere tangibilmente il suo isolamento morale di fronte a Dio. Il divieto di farsi immagini non riguarda solo la condanna dell'idolatria. Con incomparabile evidenza, il di­vieto di rappresentare il corpo previene l'illusione secondo cui sa­rebbe da riprodurre quella sfera in cui è percepibile l'essenza mo­rale dell'uomo. L'ambito morale è legato alla vita nel suo senso piu drastico, ossia nella morte: nel luogo del pericolo, dove la vita de­finitivamente si possiede. E questa vita, che ci riguarda moral­mente, ossia nella nostra unicità, appare dal punto di vista dell' ope­ra come negativa, o almeno cosi dovrebbe apparire. Perché a sua volta l'arte non può ammettere in aicun modo di vedersi promos­sa nelle sue opere a tribunale della coscienza, e non può ammette­re che il contenuto rappresentato prevalga sulla rappresentazione. Il contenuto di verità di tutto questo non si incontra mai nell' astra­zione dottrinale - per non parlare dei precetti moraleggianti - ma solo nello sviluppo critico, commentato, dell'opera stessa1

\ e in­clude indicazioni di ordine morale solo in forma estremamente me­diata14. Là dove queste ultime si impongono come il vero baricen­tro della ricerca - ed è il caso della teoria della tragedia propria dell'idealismo tedesco (ma il saggio di Solger su .Sofocle non è af­fatto tipico in questo senso)1' - il pensiero si è liberato con una ri­flessione a buon mercato dallo sforzo assai piu nobile di determi­nare il luogo storico-filosofico di un'opera o di una forma, e tale riflessione è impropria e quindi ancora piu insignificante di qual­siasi dottrina morale, per quanto filistea. Rispetto alla tragedia, quello sforzo può trovare una guida sicura nella considerazione del suo rapporto con la saga.

La definizione di Wilamowitz suona cosi: «Una tragedia atti­ca è una parte in sé conclusa della saga eroica, elaborata poetica­mente in stile sublime per essere rappresentata da un coro di cit­tadini attici e da due o tre attori, e destinata a essere eseguita nel santuario di Dioniso come parte di una pubblica liturgia»16

• E in

u Cfr. W ALTER BENJAMIN, Goethes WahlveTWandtscha/ten, in «Neue Deutsche Beitra­~e», serie II, fase. ~(aprile 1924}, pp. 83 sgg. (ora in Schri/ten cit., I, pp. 55 sgg.; trad. it. m Angelus Novus ett., pp. 157 sgg.).

14 CROCE, Breviario di estetica cit., pp. 19 sgg. "Cfr. CARL WILHELM FERDINAND SOLGER, Nachgelassene Schriften und Briefwechsel, a

cura di L. Tieck e F. von Raumer, Leipzig 1826, vol. II, pp. 445 sgg. 16 WILAMOWITZ·MOELLENDORFF, Einleitung indie griechische TragOdie cit., p. 107.

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Il dramma barocco tedesco

un altro passo: «Ogni considerazione della tragedia la riporta dun­que in ultima analisi al suo rapporto con la saga. Sta qui la radice della sua essenza, di qui vengono i suoi peculiari pregi e le sue de­bolezze, sta qui la differenza fra la tragedia attica e ogni altra for­ma di poesia drammatica»17

• La determinazione filosofica della tra­gedia deve partire di qui, e precisamente dall'idea che la tragedia non si lascia ridurre a una semplice forma teatrale della saga. La saga infatti è per sua natura priva di tendenze. Le correnti della tradizione, precipitandosi a valle con violenza impetuosa e da di­rezioni spesso opposte, si raccolgono infine nello specchio dell'epi­ca come in un comodo letto dai molti bracci. Ma la poesia tragica si contrappone a quella epica come una rielaborazione tendenzio­sa della tradizione. Come queste rielaborazioni possano essere in­tense e significative risulta ad esempio dal motivo di Edipo18

• Cio­nondimeno hanno ragione gli studiosi meno recenti, come Wacker­nagel, quando affermano che l'invenzione è incompatibile con la poesia tragica19

• La rielaborazione della saga non muove infatti al­la ricerca di nuove costellazioni tragiche, ma mira a definire una tendenza che perderebbe ogni significato se non potesse manife­starsi nella forma della saga, come storia primitiva del popolo. La segnatura della tragedia non sta dunque in un «conflitto di livel­li» tra l'eroe e il suo ambiente, secondo la definizione proposta da Scheler nel suo saggio Zum Phanomen des Tragischefil0

, ma nella na­tura specificamente greca di quei conflitti. In cosa consiste questa natura? Quale tendenza si nasconde nel tragico? Per cosa muore l'eroe? La poesia tragica poggia sull'idea di sacrificio. Ma il sacri­ficio tragico differisce nel suo oggetto - l'eroe -,da ogni altro sa­crificio, ed è al tempo stesso il primo e l'ultimo. E l'ultimo dei sa­crifici espiatori previsti dall'antico diritto divino; ed è il primo co­me azione sostitutiva, in cui si annunciano nuovi contenuti della vita del popolo. Questi contenuti, che a differenza dell'antica giu­risdizione sacrificale non rimandano a un decreto superiore ma al­la vita stessa dell'eroe, lo annientano perché, inadeguati come so­no alla volontà del singolo, possono portare benedizione solo alla vita della comunità popolare non ancora nata. La morte tragica ha un doppio significato: rovesciare l'antico diritto degli dèi olimpi,

17 Ibid., p. I 19. "Cfr. MAX WUNDT, Geschichte der griechischen Ethik, Leipzig 1908, vol. I: Die Ent­

stehung der griechischen Ethik, pp. 178 sgg. "Cfr. WACKERNAGEL, O ber die dramatische Poesie cit., p. 39· "'Cfr. SCHELER, Vom Umsturz der W erte cit., pp. 266 sgg.

Dramma e tragedia (n)

e offrire l'eroe al Dio ignoto come primizia di una nuova messe umana. Ma anche il pathos tragico, come lo rappresentano Eschi­lo nell'Orestea e Sofocle nell'Edipo, può presentare questa doppia valenza. Se in questa forma il carattere espiatorio del sacrificio è meno palese, è invece tanto piu evidente la sua metamorfosi, do­ve l'abbandono alla morte è sostituito da un motivo che soddisfa­ceva la vecchia coscienza degli dèi e della vittima sacrificale nel momento stesso in cui si riveste visibilmente della nuova forma. La morte diventa cosi la salvezza: è la morte come «crisi». Un e­sempio antichissimo è il passaggio dal sacrificio umano, compiuto sull'altare, al rito per cui la vittima designata si sottrae al coltello sacrificale e corre intorno all'altare per poi abbracciarlo: l'altare diventa asilo, il dio collerico diventa misericordioso, il condanna­to a morte diventa il prigioniero e il servitore del dio. È precisa­mente questo lo schema dell'Orestea. Questa profezia agonale si distingue, nel suo limitarsi alla sfera della morte, nel suo appello incondizionato alla comunità, e soprattutto nel carattere definiti­vo della sua soluzione e della sua redenzione, da ogni forma epi­co-didattica. E tuttavia che cosa ci autorizza a parlare, in fin dei conti, di una rappresentazione «agonale»? La derivazione ipote­tica dell'azione tragica dalla corsa della vittima intorno alla time­le non ci conferisce ancora tale diritto. Che risulta invece, in pri­mo luogo, dal fatto che le rappresentazioni attiche si svolgevano in forma di gare. Non solo i poeti, ma anche i protagonisti e ad­dirittura i corifei erano .in concorrenza fra loro. Ma la ragione profonda di quel diritto sta nella muta oppressione che ogni azio­ne tragica mette in. scena pei suoi personaggi, prima ancora di tra­smetterla agli spettatori. E fra quei personaggi che l'azione si com­pie nella muta rivalità dell'agone. L'immaturità dell'eroe tragico, che distingue nettamente il protagonista della tragedia greca da tutti i tipi successivi, fa sf che l'analisi dell'«uomo metaetico» svol­ta da Franz Rosenzweig appaia come una pietra miliare della teo­ria della tragedia. «Poiché questo è il contrassegno del Sé, il mar­chio della sua grandezza come anche il segno della sua debolezza: il tacere. L'eroe tragico possiede solo un linguaggio che gli si ad­dice completamente: appunto il tacere. Cosf è fin dall'inizio. Il tra­gico ha elaborato la forma artistica del dramma proprio per poter rappresentare il silenzio ... Tacendo, l'eroe rompe i ponti che lo congiungono con dio e col mondo, abbandona la regione della per­sonalità, che si definisce e si individualizza mediante la parola, per innalzarsi nella gelida solitudine del Sé. Il Sé non sa nulla fuori di

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Il dramma barocco tedesco

un altro passo: «Ogni considerazione della tragedia la riporta dun­que in ultima analisi al suo rapporto con la saga. Sta qui la radice della sua essenza, di qui vengono i suoi peculiari pregi e le sue de­bolezze, sta qui la differenza fra la tragedia attica e ogni altra for­ma di poesia drammatica»17

• La determinazione filosofica della tra­gedia deve partire di qui, e precisamente dall'idea che la tragedia non si lascia ridurre a una semplice forma teatrale della saga. La saga infatti è per sua natura priva di tendenze. Le correnti della tradizione, precipitandosi a valle con violenza impetuosa e da di­rezioni spesso opposte, si raccolgono infine nello specchio dell'epi­ca come in un comodo letto dai molti bracci. Ma la poesia tragica si contrappone a quella epica come una rielaborazione tendenzio­sa della tradizione. Come queste rielaborazioni possano essere in­tense e significative risulta ad esempio dal motivo di Edipo18

• Cio­nondimeno hanno ragione gli studiosi meno recenti, come Wacker­nagel, quando affermano che l'invenzione è incompatibile con la poesia tragica19

• La rielaborazione della saga non muove infatti al­la ricerca di nuove costellazioni tragiche, ma mira a definire una tendenza che perderebbe ogni significato se non potesse manife­starsi nella forma della saga, come storia primitiva del popolo. La segnatura della tragedia non sta dunque in un «conflitto di livel­li» tra l'eroe e il suo ambiente, secondo la definizione proposta da Scheler nel suo saggio Zum Phanomen des Tragischefil0

, ma nella na­tura specificamente greca di quei conflitti. In cosa consiste questa natura? Quale tendenza si nasconde nel tragico? Per cosa muore l'eroe? La poesia tragica poggia sull'idea di sacrificio. Ma il sacri­ficio tragico differisce nel suo oggetto - l'eroe -,da ogni altro sa­crificio, ed è al tempo stesso il primo e l'ultimo. E l'ultimo dei sa­crifici espiatori previsti dall'antico diritto divino; ed è il primo co­me azione sostitutiva, in cui si annunciano nuovi contenuti della vita del popolo. Questi contenuti, che a differenza dell'antica giu­risdizione sacrificale non rimandano a un decreto superiore ma al­la vita stessa dell'eroe, lo annientano perché, inadeguati come so­no alla volontà del singolo, possono portare benedizione solo alla vita della comunità popolare non ancora nata. La morte tragica ha un doppio significato: rovesciare l'antico diritto degli dèi olimpi,

17 Ibid., p. I 19. "Cfr. MAX WUNDT, Geschichte der griechischen Ethik, Leipzig 1908, vol. I: Die Ent­

stehung der griechischen Ethik, pp. 178 sgg. "Cfr. WACKERNAGEL, O ber die dramatische Poesie cit., p. 39· "'Cfr. SCHELER, Vom Umsturz der W erte cit., pp. 266 sgg.

Dramma e tragedia (n)

e offrire l'eroe al Dio ignoto come primizia di una nuova messe umana. Ma anche il pathos tragico, come lo rappresentano Eschi­lo nell'Orestea e Sofocle nell'Edipo, può presentare questa doppia valenza. Se in questa forma il carattere espiatorio del sacrificio è meno palese, è invece tanto piu evidente la sua metamorfosi, do­ve l'abbandono alla morte è sostituito da un motivo che soddisfa­ceva la vecchia coscienza degli dèi e della vittima sacrificale nel momento stesso in cui si riveste visibilmente della nuova forma. La morte diventa cosi la salvezza: è la morte come «crisi». Un e­sempio antichissimo è il passaggio dal sacrificio umano, compiuto sull'altare, al rito per cui la vittima designata si sottrae al coltello sacrificale e corre intorno all'altare per poi abbracciarlo: l'altare diventa asilo, il dio collerico diventa misericordioso, il condanna­to a morte diventa il prigioniero e il servitore del dio. È precisa­mente questo lo schema dell'Orestea. Questa profezia agonale si distingue, nel suo limitarsi alla sfera della morte, nel suo appello incondizionato alla comunità, e soprattutto nel carattere definiti­vo della sua soluzione e della sua redenzione, da ogni forma epi­co-didattica. E tuttavia che cosa ci autorizza a parlare, in fin dei conti, di una rappresentazione «agonale»? La derivazione ipote­tica dell'azione tragica dalla corsa della vittima intorno alla time­le non ci conferisce ancora tale diritto. Che risulta invece, in pri­mo luogo, dal fatto che le rappresentazioni attiche si svolgevano in forma di gare. Non solo i poeti, ma anche i protagonisti e ad­dirittura i corifei erano .in concorrenza fra loro. Ma la ragione profonda di quel diritto sta nella muta oppressione che ogni azio­ne tragica mette in. scena pei suoi personaggi, prima ancora di tra­smetterla agli spettatori. E fra quei personaggi che l'azione si com­pie nella muta rivalità dell'agone. L'immaturità dell'eroe tragico, che distingue nettamente il protagonista della tragedia greca da tutti i tipi successivi, fa sf che l'analisi dell'«uomo metaetico» svol­ta da Franz Rosenzweig appaia come una pietra miliare della teo­ria della tragedia. «Poiché questo è il contrassegno del Sé, il mar­chio della sua grandezza come anche il segno della sua debolezza: il tacere. L'eroe tragico possiede solo un linguaggio che gli si ad­dice completamente: appunto il tacere. Cosf è fin dall'inizio. Il tra­gico ha elaborato la forma artistica del dramma proprio per poter rappresentare il silenzio ... Tacendo, l'eroe rompe i ponti che lo congiungono con dio e col mondo, abbandona la regione della per­sonalità, che si definisce e si individualizza mediante la parola, per innalzarsi nella gelida solitudine del Sé. Il Sé non sa nulla fuori di

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84 n dramma barocco tedesco

s6, ~-perfettamente solo. E_ come.~otrà affermare questa sua soli- · tudine, questo caparbio chmders1 m ~e stess?, se non ap~~u~to ta-

d ? E Cosf avviene nelle tragedie eschilee, come g1a 1 con-

cen o . 21 Il il · · h t temporanei avevano rilevato» . s enz10 tragico_, c . e qu~s e pa-role illustrano significativa~ent~, non può tuttavia r1durs1 ~pura ostinazione. Piuttosto, l'ostmaz10~e ~l forma e. cresce nell espe­rienza dd silenzio, cosi come quest ulumo trova m essa la sua con­ferma D contenuto dell'agire eroico appartiene alla comunità co­me la llngua. Se la comunità lo rinnega, l'eroe tace. E og.ni agire

0 sapere, quanto maggiori sar~nno ~suo p~s~ e.l~ s~~ I?ortata, co? tanta piu energia dovrà racchiud~rli entro~ lim1t1 ~1s1c1 del ~uo Se. Solo alla sua physis, e non alla lmgua, egli deve il fatto d1 p~ter restare fedele alla sua causa, e perciò deve farlo nella morte. E lo stato di cose che ha in mente Lukacs quando, a proposito della decisione tragica, osserva: «L'essenza di codesti momenti privi­legiati dell'esistenza è la pura esperienza dell'egoità»22

• Ancor piu chiaramente un passo di Nietzsche dimostra come egli abbia col­to la situazione del silenzio tragico. Pur senza sospettarne il si­gnificato come fenomeno agonale nell'ambito tragico, il suo con­fronto tra immagine e parola lo coglie con precisione. Gli eroi tra­gici «parlano, in certo modo, piu superficialmente di come agiscono; il mito non trova affatto nella parola PS:lata la sua ~g­gettivazione adeguata. Il rapporto tra le scene e d carattere m­tuitivo delle immagini rivela una saggezza piu profonda di quell~ che il poeta riesce ad esprimere con le parole ed i concetti»23

• E vero che difficilmente si potrebbe parlare, come fa Nietzsche po­co oltre, di una mancata riuscita artistica. Quanto piu la parola tragica rimane indietro rispetto alla situazione - che non può piu dirsi tragica se la parola la raggiunge- tanto piu l'eroe sfugge agli antichi statuti, ai quali egli, quando alla fine lo incalzano, offre in sacrificio l'ombra muta del suo essere, del suo Sé, mentre l'ani­ma si salva nella parola di una comunità lontana. Deriva da ciò l'inesauribile attualità della rappresentazione tragica della saga. Di fronte alle sofferenze dell'eroe, la comunità apprende una gra­ta venerazione per la parola di cui la sua morte l'ha dotata: una

21 FRANZ ROSENZWEIG, DerStern der Erliisung, F~ankfurt am Main 1921, pp. 98 sgg.; trad. it. La stella della redenzione, Genova 1985. Cfr. W ALTER BENJAMIN, Schicksal und Charakter, in «Die Argonauten», serie I (1914 sgg.), vol. II (1915 sgg.), fase. 10-12 (1921), pp. 187-96; trad. it. in Angelus Novus eit., pp. 29 sgg.

22 wxA.cs, Die Seele und die Formen cit., p. 336; trad. it. cit., pp. 314 sgg. "NIETZSCHE, Die Geburt der TragOdie eit., p. n8; trad. it. cit., p. 145.

Dramma e tragedia (n) 85

parola che tornava a risplendere come un dono rinnovato ad ogni vari~nte ~oetica della saga. Il silenzio tragico, assai piu del pathos tragico, d1venne un luogo deputato all'esperienza della sublimità linguistica, che nella letteratura classica conosce di solito una vi­ta piu intensa che nella letteratura successiva. Il confronto greco - quello decisivo - con l'ordine demonico del mondo, imprime anche sulla poesia tragica la sua segnatura storico-filosofica. Il tra­gico si rapporta al demonico come il paradosso all'enigma. In tut­ti ~ parad~ssi della tragedia- nel sacrificio, che congedando i vec­chi statuti ne fonda di nuovi, nella morte, che è espiazione e in­sieme salvazione del Sé, nel finale, che assegna la vittoria all'uomo e ar:che al dio - l'ambiguità, lo stigma dei demoni, va estinguen­dosi.. Per _quant~ debole, l'accento è posto ovunque. Cosf anche nel silenzio dell eroe, che non trova responsabilità né la cerca e perciò respinge il sospetto sull'istanza dei persecutori. Il suo ~i­gnificato infatti si rovescia: ciò che appare sulla scena non è lo sbigottimento dell'accusato, ma la testimonianza di un dolore sen­za parole, e la tragedia, che sembrava dedicata al processo dell'eroe, si trasforma in una requisitoria sugli Olimpi. Una re­quisitoria nel corso della quale l'imputato diventa testimone e contro il volere degli dèi, annuncia «la gloria del semidio»24

• L~ profonda tensione eschilea verso la giustizia anima25 la profezia an ti olimpica di tutta la poesia tragica. «Non è col diritto, ma nel­la tragedia, che il capo del genio si è sollevato per la prima volta dalla nebbia della colpa, poiché nella tragedia il destino demoni­co è infranto. Ciò non significa che la concatenazione - che non ha fine dal punto di vista pagano- di colpa e castigo sia sostitui­ta dalla purezza dell'uomo purgato e riconciliato col puro dio. Ma nella tragedia l'uomo pagano si rende conto di essere migliore dei suoi dèi, anche se questa conoscenza gli toglie la parola, e rima­ne muta. Senza dichiararsi, essa cerca segretamente di raccoglie­re le sue forze ... Non si può dire affatto che sia ristabilito l'"or­di?-e etico del mondo", ma l'uomo morale, ancora muto, ancora m1I~ore~e- come tale è l'eroe- cerca di sollevarsi nell'inquie­tudine d1 quel mondo tormentato. Il paradosso della nascita del genio nell'incapacità morale di parlare, nell'infantilità morale è il sublime della tragedia»26

• '

"FRIEDRICH HOLDERLIN, Siimtliche Werke, Miinchen-Leipzig 1916, vol. IV: Gedichte r8oo-r8o6, p. I95 (Patmos, I stesura, pp. 144 sgg.).

"Cfr. WUNDT, Geschichte der griechischen Ethik cit., pp. 193 sgg. 16 BENJAMIN, Schicksal und Charaktercit., p. 191; trad. it. cit., p. 32.

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s6, ~-perfettamente solo. E_ come.~otrà affermare questa sua soli- · tudine, questo caparbio chmders1 m ~e stess?, se non ap~~u~to ta-

d ? E Cosf avviene nelle tragedie eschilee, come g1a 1 con-

cen o . 21 Il il · · h t temporanei avevano rilevato» . s enz10 tragico_, c . e qu~s e pa-role illustrano significativa~ent~, non può tuttavia r1durs1 ~pura ostinazione. Piuttosto, l'ostmaz10~e ~l forma e. cresce nell espe­rienza dd silenzio, cosi come quest ulumo trova m essa la sua con­ferma D contenuto dell'agire eroico appartiene alla comunità co­me la llngua. Se la comunità lo rinnega, l'eroe tace. E og.ni agire

0 sapere, quanto maggiori sar~nno ~suo p~s~ e.l~ s~~ I?ortata, co? tanta piu energia dovrà racchiud~rli entro~ lim1t1 ~1s1c1 del ~uo Se. Solo alla sua physis, e non alla lmgua, egli deve il fatto d1 p~ter restare fedele alla sua causa, e perciò deve farlo nella morte. E lo stato di cose che ha in mente Lukacs quando, a proposito della decisione tragica, osserva: «L'essenza di codesti momenti privi­legiati dell'esistenza è la pura esperienza dell'egoità»22

• Ancor piu chiaramente un passo di Nietzsche dimostra come egli abbia col­to la situazione del silenzio tragico. Pur senza sospettarne il si­gnificato come fenomeno agonale nell'ambito tragico, il suo con­fronto tra immagine e parola lo coglie con precisione. Gli eroi tra­gici «parlano, in certo modo, piu superficialmente di come agiscono; il mito non trova affatto nella parola PS:lata la sua ~g­gettivazione adeguata. Il rapporto tra le scene e d carattere m­tuitivo delle immagini rivela una saggezza piu profonda di quell~ che il poeta riesce ad esprimere con le parole ed i concetti»23

• E vero che difficilmente si potrebbe parlare, come fa Nietzsche po­co oltre, di una mancata riuscita artistica. Quanto piu la parola tragica rimane indietro rispetto alla situazione - che non può piu dirsi tragica se la parola la raggiunge- tanto piu l'eroe sfugge agli antichi statuti, ai quali egli, quando alla fine lo incalzano, offre in sacrificio l'ombra muta del suo essere, del suo Sé, mentre l'ani­ma si salva nella parola di una comunità lontana. Deriva da ciò l'inesauribile attualità della rappresentazione tragica della saga. Di fronte alle sofferenze dell'eroe, la comunità apprende una gra­ta venerazione per la parola di cui la sua morte l'ha dotata: una

21 FRANZ ROSENZWEIG, DerStern der Erliisung, F~ankfurt am Main 1921, pp. 98 sgg.; trad. it. La stella della redenzione, Genova 1985. Cfr. W ALTER BENJAMIN, Schicksal und Charakter, in «Die Argonauten», serie I (1914 sgg.), vol. II (1915 sgg.), fase. 10-12 (1921), pp. 187-96; trad. it. in Angelus Novus eit., pp. 29 sgg.

22 wxA.cs, Die Seele und die Formen cit., p. 336; trad. it. cit., pp. 314 sgg. "NIETZSCHE, Die Geburt der TragOdie eit., p. n8; trad. it. cit., p. 145.

Dramma e tragedia (n) 85

parola che tornava a risplendere come un dono rinnovato ad ogni vari~nte ~oetica della saga. Il silenzio tragico, assai piu del pathos tragico, d1venne un luogo deputato all'esperienza della sublimità linguistica, che nella letteratura classica conosce di solito una vi­ta piu intensa che nella letteratura successiva. Il confronto greco - quello decisivo - con l'ordine demonico del mondo, imprime anche sulla poesia tragica la sua segnatura storico-filosofica. Il tra­gico si rapporta al demonico come il paradosso all'enigma. In tut­ti ~ parad~ssi della tragedia- nel sacrificio, che congedando i vec­chi statuti ne fonda di nuovi, nella morte, che è espiazione e in­sieme salvazione del Sé, nel finale, che assegna la vittoria all'uomo e ar:che al dio - l'ambiguità, lo stigma dei demoni, va estinguen­dosi.. Per _quant~ debole, l'accento è posto ovunque. Cosf anche nel silenzio dell eroe, che non trova responsabilità né la cerca e perciò respinge il sospetto sull'istanza dei persecutori. Il suo ~i­gnificato infatti si rovescia: ciò che appare sulla scena non è lo sbigottimento dell'accusato, ma la testimonianza di un dolore sen­za parole, e la tragedia, che sembrava dedicata al processo dell'eroe, si trasforma in una requisitoria sugli Olimpi. Una re­quisitoria nel corso della quale l'imputato diventa testimone e contro il volere degli dèi, annuncia «la gloria del semidio»24

• L~ profonda tensione eschilea verso la giustizia anima25 la profezia an ti olimpica di tutta la poesia tragica. «Non è col diritto, ma nel­la tragedia, che il capo del genio si è sollevato per la prima volta dalla nebbia della colpa, poiché nella tragedia il destino demoni­co è infranto. Ciò non significa che la concatenazione - che non ha fine dal punto di vista pagano- di colpa e castigo sia sostitui­ta dalla purezza dell'uomo purgato e riconciliato col puro dio. Ma nella tragedia l'uomo pagano si rende conto di essere migliore dei suoi dèi, anche se questa conoscenza gli toglie la parola, e rima­ne muta. Senza dichiararsi, essa cerca segretamente di raccoglie­re le sue forze ... Non si può dire affatto che sia ristabilito l'"or­di?-e etico del mondo", ma l'uomo morale, ancora muto, ancora m1I~ore~e- come tale è l'eroe- cerca di sollevarsi nell'inquie­tudine d1 quel mondo tormentato. Il paradosso della nascita del genio nell'incapacità morale di parlare, nell'infantilità morale è il sublime della tragedia»26

• '

"FRIEDRICH HOLDERLIN, Siimtliche Werke, Miinchen-Leipzig 1916, vol. IV: Gedichte r8oo-r8o6, p. I95 (Patmos, I stesura, pp. 144 sgg.).

"Cfr. WUNDT, Geschichte der griechischen Ethik cit., pp. 193 sgg. 16 BENJAMIN, Schicksal und Charaktercit., p. 191; trad. it. cit., p. 32.

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86 Il dramma barocco tedesco

Che il sublime del contenuto non risulti dal rango e dall' origi­ne dei personaggi, sarebbe un'osservazione superflua, se~ lignag­gio regale di molti eroi tragici non avesse dato luogo a curiOse si?e­culazioni e a facili equivoci. Nell'uno e nell'altro caso, la regalità viene intesa in sé e per sé, e in senso moderno. Eppure nulla è piu chiaro del fatto che si tratta di un elemento accidentale, prove­niente da quella tradizione che costituisce il fondo della poesia tra­gica. Ora, la tradizione arc:Uca si raccc;glie ~~orno a figur7 di re: gnanti, e il rango re~ale ?el per~onaggi tragici a~à la ~nz10n~ di situarli nell'età degli er01. Solo m questo senso il loro lignaggio è rilevante, o per meglio dire decisivo. L'asperità dell'io eroico- che non è un vero carattere, ma la segnatura storico-filosofica dell'eroe - corrisponde infatti alla sua posizione di dominatore. Di fronte a questo semplice stato di cose, l'interpretazione della regalità tra­gica in Schopenhauer appare come uno di quegli appiattimenti nel senso dell'universalmente umano che impediscono di riconoscere la differenza essenziale fra la drammaturgia antica e quella mo­derna. «I greci assumevano per eroi della tragedia sempre pers~­ne regali; e per lo piu anche i moderni. Certament~ non per_ché il rango dia piu dignità a chi agisce e a chi soffre: e siccome s1 trat­ta solo di mettere in gioco passioni umane, cosi è indifferente il valore relativo degli oggetti mediante i quali ciò accade; e le mas­serie si prestano a ciò come i re ami ... Ma le persone di grande po­tere e considerazione sono le piu adatte al dramma poiché la scia­gura nella quale dobbiamo riconoscere il destino della vita umana deve avere grandezza sufficiente da apparire allo spettatore, chiun­que egli sia, veramente terribile ... Ora dunque le circostanze, le quali gettano una famiglia borghese nel bisogno e nella dispera­zione, appaiono assai meschine per lo piu agli o~chi dei grandi e dei ricchi, e rimediabili con l'aiuto umano, anzi a volte con una piccolezza: tali spettatori non posson~ quin?i venir~e tragi~ament~ scossi. Invece le sventure del grandi e de1 potenti sono mcondi­zionatamente terribili, e non sono accessibili ad alcun aiuto ester­no; giacché i re debbono aiutarsi con la loro propria potenza, o soc­combere. A ciò si aggiunge che la caduta dall'alto è la piu grande. Alle persone borghesi manca quindi l'altezza della caduta» 27

• Il rango sociale del personaggio tragico, che viene qui giustificato in

27 SCHOPENHAUER, Siimt/iche Werke cit., vol. II, pp. 51.3 sgg.; trad. it. cit., pp. 534

sgg.

Dramma e tragedia (II) 87

t~rmini quasi barocchi a partire dagli infelici eventi della.« trage­dia», non ha nulla a che fare col rango effettivo delle figure eroi­che, ~o!tratte al tempo; mentre è vero che nel dramma moderno la con~z10ne .principesca assume il ~i~nificato esemplare, e assai piu preCISo, denvant~ dal suo luo~o fiSico. Che cosa separi, al di là di questa par~ntela mgann~vole, il ~amma barocço e la tragedia gre­ca, è sfuggito anche alla ncerca p1u recente. E le osservazioni di Bo­rinski s~ ten~ativi tragici di Schiller nella Braut von Messina [La sposa di Messma] - tentativi che per la loro ispirazione romantica no~ p~teyano non r~cadere in dramma - hanno il sapore di una for­te uorua mvolo~tana, là d?ve Borinski, sulla scia di Schopenhauer, commenta cosi il rango de1 personaggi, piu volte richiamato dal co­ro: «Quanto aveva ragione la poetica del Rinascimento- non in spiri!o di "pedanteria", ma di viva umanità - nel richiamarsi ca­parbiamente ai "re e agli eroi" della tragedia antica»28 •

. Scho.p~~auer co~cepiva ~a tragedia come dramma. Tra i gran­di met~1s~c1 tedeschi dopo Flchte non ce n'è probabilmente alcu­no a CUI s1a mancato come a Schopenhauer il senso del dramma greco. Nel dramma ~oderno egli vedeva infatti un grado superio­re ~ qu~llo_ greco, e m questo confronto, per quanto inadeguato, eg~ ha md1ca~o se. non altro il luogo del problema. «Ciò che con­fer~sce al tra_gico, I? qualun~ue forma esso si manifesti, il suo pe­culiare sl~nc1o sublimante, è il sorgere della cognizione che il mon­do e la ~lta n~n possono offrire una soddisfazione vera, e quindi n.?n meritano ~ nostro attaccamento: in ciò consiste lo spirito tra­gico: esso perciÒ conduce alla rassegnazione. Ammetto che nella trag~dia degli antichi qu_esto spirito di rassegnazione raramente ap~ma ~ v~~a espresso m modo diretto ... Come l'impassibilità sto~ca s1 d1st~gue fondamentalmente dalla rassegnazione cristia­na m quanto msegna solo la tranquilla sopportazione e la compo­sta attesa del male invariabilmente necessario, mentre il cristia­nesimo ~nse~na l~ ~inu~ia, ~·a~ bandono della volontà, cosi ap­punto gli er01 tragiCI degli antichi mostrano costante sottomissione agl~ inevi_tabili colpi del destino, mentre la tragedia cristiana espo­ne il venu meno dell'intera volontà di vivere il lieto abbandono del mondo, nella coscienza della sua vanità e'nullità. ·Ma io sono anche senz'altro dell'opinione che il dramma moderno stia su un ·

" KA~ BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie vom Ausgang des klassischen A!­tertu'/:s bts auf Goethe u~~ 'W_i!he!m von Ffumboldt, Leipzig I 924, p . .3 I 5.

SCHOPENHAUER, Samtliche Werkecrt., vol. II, pp. 509 sgg.; trad. it. cit., pp. 5.30 sgg.

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86 Il dramma barocco tedesco

Che il sublime del contenuto non risulti dal rango e dall' origi­ne dei personaggi, sarebbe un'osservazione superflua, se~ lignag­gio regale di molti eroi tragici non avesse dato luogo a curiOse si?e­culazioni e a facili equivoci. Nell'uno e nell'altro caso, la regalità viene intesa in sé e per sé, e in senso moderno. Eppure nulla è piu chiaro del fatto che si tratta di un elemento accidentale, prove­niente da quella tradizione che costituisce il fondo della poesia tra­gica. Ora, la tradizione arc:Uca si raccc;glie ~~orno a figur7 di re: gnanti, e il rango re~ale ?el per~onaggi tragici a~à la ~nz10n~ di situarli nell'età degli er01. Solo m questo senso il loro lignaggio è rilevante, o per meglio dire decisivo. L'asperità dell'io eroico- che non è un vero carattere, ma la segnatura storico-filosofica dell'eroe - corrisponde infatti alla sua posizione di dominatore. Di fronte a questo semplice stato di cose, l'interpretazione della regalità tra­gica in Schopenhauer appare come uno di quegli appiattimenti nel senso dell'universalmente umano che impediscono di riconoscere la differenza essenziale fra la drammaturgia antica e quella mo­derna. «I greci assumevano per eroi della tragedia sempre pers~­ne regali; e per lo piu anche i moderni. Certament~ non per_ché il rango dia piu dignità a chi agisce e a chi soffre: e siccome s1 trat­ta solo di mettere in gioco passioni umane, cosi è indifferente il valore relativo degli oggetti mediante i quali ciò accade; e le mas­serie si prestano a ciò come i re ami ... Ma le persone di grande po­tere e considerazione sono le piu adatte al dramma poiché la scia­gura nella quale dobbiamo riconoscere il destino della vita umana deve avere grandezza sufficiente da apparire allo spettatore, chiun­que egli sia, veramente terribile ... Ora dunque le circostanze, le quali gettano una famiglia borghese nel bisogno e nella dispera­zione, appaiono assai meschine per lo piu agli o~chi dei grandi e dei ricchi, e rimediabili con l'aiuto umano, anzi a volte con una piccolezza: tali spettatori non posson~ quin?i venir~e tragi~ament~ scossi. Invece le sventure del grandi e de1 potenti sono mcondi­zionatamente terribili, e non sono accessibili ad alcun aiuto ester­no; giacché i re debbono aiutarsi con la loro propria potenza, o soc­combere. A ciò si aggiunge che la caduta dall'alto è la piu grande. Alle persone borghesi manca quindi l'altezza della caduta» 27

• Il rango sociale del personaggio tragico, che viene qui giustificato in

27 SCHOPENHAUER, Siimt/iche Werke cit., vol. II, pp. 51.3 sgg.; trad. it. cit., pp. 534

sgg.

Dramma e tragedia (II) 87

t~rmini quasi barocchi a partire dagli infelici eventi della.« trage­dia», non ha nulla a che fare col rango effettivo delle figure eroi­che, ~o!tratte al tempo; mentre è vero che nel dramma moderno la con~z10ne .principesca assume il ~i~nificato esemplare, e assai piu preCISo, denvant~ dal suo luo~o fiSico. Che cosa separi, al di là di questa par~ntela mgann~vole, il ~amma barocço e la tragedia gre­ca, è sfuggito anche alla ncerca p1u recente. E le osservazioni di Bo­rinski s~ ten~ativi tragici di Schiller nella Braut von Messina [La sposa di Messma] - tentativi che per la loro ispirazione romantica no~ p~teyano non r~cadere in dramma - hanno il sapore di una for­te uorua mvolo~tana, là d?ve Borinski, sulla scia di Schopenhauer, commenta cosi il rango de1 personaggi, piu volte richiamato dal co­ro: «Quanto aveva ragione la poetica del Rinascimento- non in spiri!o di "pedanteria", ma di viva umanità - nel richiamarsi ca­parbiamente ai "re e agli eroi" della tragedia antica»28 •

. Scho.p~~auer co~cepiva ~a tragedia come dramma. Tra i gran­di met~1s~c1 tedeschi dopo Flchte non ce n'è probabilmente alcu­no a CUI s1a mancato come a Schopenhauer il senso del dramma greco. Nel dramma ~oderno egli vedeva infatti un grado superio­re ~ qu~llo_ greco, e m questo confronto, per quanto inadeguato, eg~ ha md1ca~o se. non altro il luogo del problema. «Ciò che con­fer~sce al tra_gico, I? qualun~ue forma esso si manifesti, il suo pe­culiare sl~nc1o sublimante, è il sorgere della cognizione che il mon­do e la ~lta n~n possono offrire una soddisfazione vera, e quindi n.?n meritano ~ nostro attaccamento: in ciò consiste lo spirito tra­gico: esso perciÒ conduce alla rassegnazione. Ammetto che nella trag~dia degli antichi qu_esto spirito di rassegnazione raramente ap~ma ~ v~~a espresso m modo diretto ... Come l'impassibilità sto~ca s1 d1st~gue fondamentalmente dalla rassegnazione cristia­na m quanto msegna solo la tranquilla sopportazione e la compo­sta attesa del male invariabilmente necessario, mentre il cristia­nesimo ~nse~na l~ ~inu~ia, ~·a~ bandono della volontà, cosi ap­punto gli er01 tragiCI degli antichi mostrano costante sottomissione agl~ inevi_tabili colpi del destino, mentre la tragedia cristiana espo­ne il venu meno dell'intera volontà di vivere il lieto abbandono del mondo, nella coscienza della sua vanità e'nullità. ·Ma io sono anche senz'altro dell'opinione che il dramma moderno stia su un ·

" KA~ BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie vom Ausgang des klassischen A!­tertu'/:s bts auf Goethe u~~ 'W_i!he!m von Ffumboldt, Leipzig I 924, p . .3 I 5.

SCHOPENHAUER, Samtliche Werkecrt., vol. II, pp. 509 sgg.; trad. it. cit., pp. 5.30 sgg.

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88 n dramma barocco tedesco

gradino piu alto di quello antico»29• A questo giudizio impreciso,

prigioniero di una metafisica estranea alla storia, basterà contrap­porre alcune frasi di RosellZWeig, per riconoscere i progressi com­piuti dalla storia filosofica del dramma grazie alle scoperte di que­sto pensatore. «Ecco un'intima differenza fra la tragedia moder­na e quella antica ... le sue figure sono tùtte diverse fra loro; diverse come ogni personalità è diversa dalle altre ... Nell'antica tragedia non era cosf; qui erano diverse le azioni, ma l'eroe, in quanto eroe tragico, era sempre lo stesso, sempre lo stesso Io caparbiamente sepolto in se stesso. Sicché la coscienza, necessariamente limitata, dell'eroe moderno, è incompatibile con l'esigenza di essere co­sciente per definizione, ossia quando l'eroe è solo con se stesso. La coscienza vuoi sempre essere chiara; una coscienza limitata è imperfetta ... E cosf la tragedia moderna tende a uno scopo del tutto estraneo a quella antica, alla tragedia dell'uomo assoluto nel suo rapporto con l'oggetto assoluto ... Lo scopo, quasi inconsape­vole ... è questo: porre al posto dell'infinita molteplicità dei ca­ratteri un unico carattere assoluto, un eroe moderno che sia uno e sempre uguale come quello antico. Questo punto di convergenza, in cui s'incontrerebbero le linee di tutti i caratteri tragici, que­st'uomo assoluto ... non è altri che il Santo. La tragedia della san­tità è l'aspirazione segreta dell'autore tragico ... Che ... questo fi­ne sia per il poeta tragico ancora raggiungibile oppure no, esso è comunque, quand'anche irraggiungibile per la tragedia come ope­ra d'arte, l'esatto equivalente moderno dell'eroe antico»30

• La tra­gedia moderna, che si tenta qui di dedurre da quella antica, si chia­ma, com'è quasi superfluo ricordare, col nome tutt'altro che insi­gnificante di «dramma». Con questa denominazione i pensieri con cui si conclude il passo citato escono dalla forma ipotetica della questione. Come forma della tragedia della santità, il dramma è accreditato dal dramma martirologico. E nella misura in cui lo sguardo si abitua a riconoscerne i tratti sotto le forme piu diverse del dramma, da Calder6n fino a Strindberg, dovrà apparirgli evi­dente il futuro ancora aperto di questa forma, che è la forma pro­pria del Mistero.

Qui si tratta invece del suo passato. Un passato che risale mol­to indietro nel tempo, a un punto cruciale nella storia dello spiri­to greco: alla morte di Socrate. Nella figura di Socrate morente è

'0 ROSENZWEIG, Der Stern der Er/Osung cit., pp. 268 sgg.

Dramma e tragedia (n) 89

nato il dr~ma martirologico in quanto parodia della tragedia. E anch~ qm,. come suole accadere, la parodia di una forma ne an­nuncia l~ f111e. Che per Platone si trattasse proprio della fine del­la tra~edia, è attestato da Wilamowitz. «Platone bruciò la sua te­tralo~Ia, no~ perché avesse rinunciato a diventare un poeta nel sen­so di Es~?ilo, ma per~h.é riconosceva che l'autore tragico non poteva pm essere ormm il maestro e la guida del popolo. Nondi­meno - tale era la forza della tragedia - egli tentò di crearsi una nu~va form~ d'arte a carattere drammatico, e in luogo del ciclo ero1co or:nm s~perato creò una nuova saga, il ciclo di Socrate»31 •

Qu~sto. c1clo di Socrate è una profanazione integrale della saga eroica, 111 quanto ne sacrifica i paradossi demonici all'intelletto È vero che, vista dall'esterno, la morte del filosofo assomiglia a q~el-1~ tragica. Egli è la vittima espiatoria secondo la lettera di un'an­tica legge, è una morte sacrificale capace di istituire una comunità nello spirito ~i una giustizia a venire. Ma proprio questa conver~ ge~za porta 111 piena luce quale sia l'importanza del nucleo pro­priamente agonale della vera tragedia: quella lotta senza parole quel muto sot~rarsi ~ell:eroe, che.nei dialoghi socratici cede. il pas~ so a ~na smagliante f10ntura del discorso e della coscienza. Il dram­ma di Socrate esclude da sé l'elemento agonale - se è vero che la sua stessa disputa filosofica è un training rilevante - e la morte d~ll'~roe si trasforma di colpo nella morte di un martire. Come il c~Is~Iano ~roe della .fede - se ne sono accorti con fiuto infallibile s1a l padri della Chiesa, simpatizzando, sia Nietzsche, detestan­dolo - Socrate muore volontariamente e volontariamente con una superiorità inaudita e senza ostinazio~e, ammutolisce e t~ce. «Ma sembra c?~ lo stesso ~ocrate, con assoluta limpidità e senza il na­turale bnvido davanti alla morte, abbia condotto le cose in modo che la morte e t;-on il se~plice es~io fosse decretata per lui ... Il So­crate morent~ di~enne ~nuovo Ideale, non mai prima contempla­to, della nobile g10ventu greca ... »32

• Quanto ciò fosse lontano dal­la morte dell'eroe tragico, Platone non poteva dirlo in modo piu eloquente che facendo dell'immortalità l'oggetto dell'ultimo di­scorso del Maestro. Se dopo l'Apologia la morte di Socrate avreb­be ancora potuto apparire tragica - non diversamente da quella d.ell'Antigone, già rischiarata peraltro da un concetto troppo ra­ZIOnale del dovere -l'atmosfera pitagorica del Pedone libera que-

:; WILAMOWITZ-~OELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragiidie cit., p. ro6. NIETZSCHE, Dte Geburt der Tragiidie ci t., p. r 2.3.

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88 n dramma barocco tedesco

gradino piu alto di quello antico»29• A questo giudizio impreciso,

prigioniero di una metafisica estranea alla storia, basterà contrap­porre alcune frasi di RosellZWeig, per riconoscere i progressi com­piuti dalla storia filosofica del dramma grazie alle scoperte di que­sto pensatore. «Ecco un'intima differenza fra la tragedia moder­na e quella antica ... le sue figure sono tùtte diverse fra loro; diverse come ogni personalità è diversa dalle altre ... Nell'antica tragedia non era cosf; qui erano diverse le azioni, ma l'eroe, in quanto eroe tragico, era sempre lo stesso, sempre lo stesso Io caparbiamente sepolto in se stesso. Sicché la coscienza, necessariamente limitata, dell'eroe moderno, è incompatibile con l'esigenza di essere co­sciente per definizione, ossia quando l'eroe è solo con se stesso. La coscienza vuoi sempre essere chiara; una coscienza limitata è imperfetta ... E cosf la tragedia moderna tende a uno scopo del tutto estraneo a quella antica, alla tragedia dell'uomo assoluto nel suo rapporto con l'oggetto assoluto ... Lo scopo, quasi inconsape­vole ... è questo: porre al posto dell'infinita molteplicità dei ca­ratteri un unico carattere assoluto, un eroe moderno che sia uno e sempre uguale come quello antico. Questo punto di convergenza, in cui s'incontrerebbero le linee di tutti i caratteri tragici, que­st'uomo assoluto ... non è altri che il Santo. La tragedia della san­tità è l'aspirazione segreta dell'autore tragico ... Che ... questo fi­ne sia per il poeta tragico ancora raggiungibile oppure no, esso è comunque, quand'anche irraggiungibile per la tragedia come ope­ra d'arte, l'esatto equivalente moderno dell'eroe antico»30

• La tra­gedia moderna, che si tenta qui di dedurre da quella antica, si chia­ma, com'è quasi superfluo ricordare, col nome tutt'altro che insi­gnificante di «dramma». Con questa denominazione i pensieri con cui si conclude il passo citato escono dalla forma ipotetica della questione. Come forma della tragedia della santità, il dramma è accreditato dal dramma martirologico. E nella misura in cui lo sguardo si abitua a riconoscerne i tratti sotto le forme piu diverse del dramma, da Calder6n fino a Strindberg, dovrà apparirgli evi­dente il futuro ancora aperto di questa forma, che è la forma pro­pria del Mistero.

Qui si tratta invece del suo passato. Un passato che risale mol­to indietro nel tempo, a un punto cruciale nella storia dello spiri­to greco: alla morte di Socrate. Nella figura di Socrate morente è

'0 ROSENZWEIG, Der Stern der Er/Osung cit., pp. 268 sgg.

Dramma e tragedia (n) 89

nato il dr~ma martirologico in quanto parodia della tragedia. E anch~ qm,. come suole accadere, la parodia di una forma ne an­nuncia l~ f111e. Che per Platone si trattasse proprio della fine del­la tra~edia, è attestato da Wilamowitz. «Platone bruciò la sua te­tralo~Ia, no~ perché avesse rinunciato a diventare un poeta nel sen­so di Es~?ilo, ma per~h.é riconosceva che l'autore tragico non poteva pm essere ormm il maestro e la guida del popolo. Nondi­meno - tale era la forza della tragedia - egli tentò di crearsi una nu~va form~ d'arte a carattere drammatico, e in luogo del ciclo ero1co or:nm s~perato creò una nuova saga, il ciclo di Socrate»31 •

Qu~sto. c1clo di Socrate è una profanazione integrale della saga eroica, 111 quanto ne sacrifica i paradossi demonici all'intelletto È vero che, vista dall'esterno, la morte del filosofo assomiglia a q~el-1~ tragica. Egli è la vittima espiatoria secondo la lettera di un'an­tica legge, è una morte sacrificale capace di istituire una comunità nello spirito ~i una giustizia a venire. Ma proprio questa conver~ ge~za porta 111 piena luce quale sia l'importanza del nucleo pro­priamente agonale della vera tragedia: quella lotta senza parole quel muto sot~rarsi ~ell:eroe, che.nei dialoghi socratici cede. il pas~ so a ~na smagliante f10ntura del discorso e della coscienza. Il dram­ma di Socrate esclude da sé l'elemento agonale - se è vero che la sua stessa disputa filosofica è un training rilevante - e la morte d~ll'~roe si trasforma di colpo nella morte di un martire. Come il c~Is~Iano ~roe della .fede - se ne sono accorti con fiuto infallibile s1a l padri della Chiesa, simpatizzando, sia Nietzsche, detestan­dolo - Socrate muore volontariamente e volontariamente con una superiorità inaudita e senza ostinazio~e, ammutolisce e t~ce. «Ma sembra c?~ lo stesso ~ocrate, con assoluta limpidità e senza il na­turale bnvido davanti alla morte, abbia condotto le cose in modo che la morte e t;-on il se~plice es~io fosse decretata per lui ... Il So­crate morent~ di~enne ~nuovo Ideale, non mai prima contempla­to, della nobile g10ventu greca ... »32

• Quanto ciò fosse lontano dal­la morte dell'eroe tragico, Platone non poteva dirlo in modo piu eloquente che facendo dell'immortalità l'oggetto dell'ultimo di­scorso del Maestro. Se dopo l'Apologia la morte di Socrate avreb­be ancora potuto apparire tragica - non diversamente da quella d.ell'Antigone, già rischiarata peraltro da un concetto troppo ra­ZIOnale del dovere -l'atmosfera pitagorica del Pedone libera que-

:; WILAMOWITZ-~OELLENDORFF, Einleitung indie griechische Tragiidie cit., p. ro6. NIETZSCHE, Dte Geburt der Tragiidie ci t., p. r 2.3.

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sta morte da ogni vincolo tragic.o. s.oc~ate guar?a la m?rt~ ,ne~ occhi come un mortale - come il nugliore, se si vuole il pm ~rr; tuoso dei mortali-, ma vede in essa un elemento estraneo, al di la del quale, nell'immortalità, egli ritroverà se stesso; r;ron cosf l'e;o~ tragico, che di fronte alla violenza dell.a mort~.si ritrae r~bbrivi­dendo come di fronte a qualcosa che gli è familiare, che gli è pro­prio e destinato. La sua vit~ s~aturisce d~a morte.' che non è. la sua fine ma la sua forma. L esistenza tragica trova il suo c?mp~t? soltanto perché i suoi li~t}, .quelli dellin~aggio e ?ella v~~a.f~si­ca le sono dati fin dallwzio, sono posti m essa fm dalllfilZIO. Q~esto stato di cose è stato espresso nelle forme pi~ diverse. Mai forse con tanta efficacia come in quella frase occaswnale, che de­finisce la morte tragica come «il segno rivolto all'esterno del fat­to che l'anima è morta»". Perché l'eroe tragico, se vogliamo, è senz' anima. Nel vuoto enorme la sua interiorità fa risuon~e ?a lontano i nuovi decreti degli dèi, e in questa eco le generazwru a venire apprendono la propria lingua. Co~e nell'esistenza norma­le la vita opera e cresce, cosf nell'eroe tragico ope:a e cresce la mo~­te ed è un momento di tragica ironia quando egli- secondo un di­ri;to profondo, di cui non è consapevole -si ~ette a racc?ntare le circostanze della sua fine come se fosse la stona della sua v~ta. «An­che la decisione di morte dell'uomo tragico ... è .un erc;>Ismo sol­tanto apparente, risulta tale soltanto a~ una cons1de.raz10ne uma­na d'ordine psicologico: gli eroi morentl della trage~a .- cosf pres­sappoco scriveva un giovane tragico - sono. morti g!~ da lu~g.a pezza, prima di morire»"'. L'eroe ~ella sua, esistenza flSlca e spm­tuale è la cornice dell'evento trag1co. Se e vero che la «potenza della cornice» secondo una felice formulazione, è un elemento es­senziale tra q~elli che separano l'antica concezione della ~ita. d.a quella moderna - in cui ~ cos~ piu ~vvi~ se~br~ essere un mfw­to e sfumato proliferare di sentimenti e situazwru - questa potenza non può essere separat~ da que~a della trag~ia stessa. «~on è già la forza, ma la durata di un sentimento superi~re a fare l~omo su­periore»". Questa durata monoton~ .del sent1ment.o eroico ~ ga­rantita soltanto nella cornice prestabilita della sua esistenza. L ora-

" LEOPOLD ZIEGLER, Zur Metaphysile des Tragìschen. Bine philosophìsche Studie, Leipzig

1902, p. 45· . d . . "LUK.ks, Die Seele und die Formen ctt., p. 342; tra . tt. ctt., P· 319: . . " [Qui Benjamin cita liberamente NIETZSCHE, Jenseits von Gut und Bose, m W erke. ctt.,

sezione 1 , vol. VII; trad. i t. Al di là del bene e del male, Genealogia della morale, Milano

1968,p. 72).

Dramma e tragedia (n) 91

colo della tragedia non è solo un incantesimo del destino, ma è la certezza, trasposta all'esterno, che una vita non è tragica se non scor­r~ nella sua cornice. La necessità, q~ale appare fissata in quella cor­ruce, non è né causale né magica. E la necessità muta dell'ostina­zione in cui l'Io genera i propri atti. Come la neve sotto il vento del Sud, essa si scioglierebbe sotto l'alito della parola. Ma soltanto di una parola sconosciuta. L'ostinazione eroica contiene, racchiusa in se stessa, questa parola sconosciuta; ciò la distii)gue dalla hybris di un uomo a cui la coscienza pienamente sviluppata della comunità non riconosce piu alcun contenuto nascosto.

. Solo il mondo arcaico poteva conoscere una hybris tragica, che riscatta con la vita dell'eroe il diritto al proprio silenzio. L'eroe, che disdegna di giustificarsi di fronte agli dèi, viene a patti con lo­ro in una sorta di contratto espiatorio: un contratto che, per il suo duplice significato, vale non solo a ristabilire ma prima ancora a seppellire il vecchio ordine giuridico nella coscienza linguistica del­la.comunità rinnovata. Gara atletica, diritto e tragedia, la grande trtade agonale della vita greca - allo schema dell'agone rimanda la Storia della civiltà greca di]akob Burckhardf6

- si chiude nel segno del contratto. «La legislazione e la prassi giuridica si svilupparo­no in Grecia dalla lotta contro la faida e la giustizia sommaria. Là dove l'inclinazione all'arbitrio spariva, o lo stato riusciva ad argi­narla, il processo non appariva tuttavia, almeno all'inizio, come la ricerca di una decisione giudiziaria, ma come un atto di espiazio­ne ... Nel quadro di un tale procedimento, il cui scopo primario non era di trovare la giustizia assoluta ma di indurre l'offeso a ri­nunciare alla vendetta, le forme sacrali della prova e della senten­za dovevano assumere un significato particolarmente elevato, per la forte impressione che non mancavano di esercitare anche sullo sconfitto»37

• Il processo antico- e in particolare il processo pena­le - è dialogo, perché costruito sui due ruoli dell'accusatore e dell'accusato, senza requisitoria o difesa d'ufficio. Esso ha il suo coro in parte nei giurati (cosf ad esempio nell'antico diritto crete­se le parti in causa adducevano le prove per mezzo di giurati coa­diutori, ossia testimoni di integra reputazione che in origine,

"Cfr. JAKOB BURCKHARDT, Griechische Kulturgeschichte, a cura diJ. Oeri, Berlin-Stutt­gatt 1902, vol. IV, pp. 89 sgg.; trad. it. Storia della civiltà greca, Firenze 1955.

" KURT LA'ITE, Heiliges Recht. Untersuchungen zur Geschichte der sakralen Rechtsformen in Griechenland, Tiibingen 1920, pp. 2 sgg.

Page 126: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

90 Il dramma barocco tedesco

sta morte da ogni vincolo tragic.o. s.oc~ate guar?a la m?rt~ ,ne~ occhi come un mortale - come il nugliore, se si vuole il pm ~rr; tuoso dei mortali-, ma vede in essa un elemento estraneo, al di la del quale, nell'immortalità, egli ritroverà se stesso; r;ron cosf l'e;o~ tragico, che di fronte alla violenza dell.a mort~.si ritrae r~bbrivi­dendo come di fronte a qualcosa che gli è familiare, che gli è pro­prio e destinato. La sua vit~ s~aturisce d~a morte.' che non è. la sua fine ma la sua forma. L esistenza tragica trova il suo c?mp~t? soltanto perché i suoi li~t}, .quelli dellin~aggio e ?ella v~~a.f~si­ca le sono dati fin dallwzio, sono posti m essa fm dalllfilZIO. Q~esto stato di cose è stato espresso nelle forme pi~ diverse. Mai forse con tanta efficacia come in quella frase occaswnale, che de­finisce la morte tragica come «il segno rivolto all'esterno del fat­to che l'anima è morta»". Perché l'eroe tragico, se vogliamo, è senz' anima. Nel vuoto enorme la sua interiorità fa risuon~e ?a lontano i nuovi decreti degli dèi, e in questa eco le generazwru a venire apprendono la propria lingua. Co~e nell'esistenza norma­le la vita opera e cresce, cosf nell'eroe tragico ope:a e cresce la mo~­te ed è un momento di tragica ironia quando egli- secondo un di­ri;to profondo, di cui non è consapevole -si ~ette a racc?ntare le circostanze della sua fine come se fosse la stona della sua v~ta. «An­che la decisione di morte dell'uomo tragico ... è .un erc;>Ismo sol­tanto apparente, risulta tale soltanto a~ una cons1de.raz10ne uma­na d'ordine psicologico: gli eroi morentl della trage~a .- cosf pres­sappoco scriveva un giovane tragico - sono. morti g!~ da lu~g.a pezza, prima di morire»"'. L'eroe ~ella sua, esistenza flSlca e spm­tuale è la cornice dell'evento trag1co. Se e vero che la «potenza della cornice» secondo una felice formulazione, è un elemento es­senziale tra q~elli che separano l'antica concezione della ~ita. d.a quella moderna - in cui ~ cos~ piu ~vvi~ se~br~ essere un mfw­to e sfumato proliferare di sentimenti e situazwru - questa potenza non può essere separat~ da que~a della trag~ia stessa. «~on è già la forza, ma la durata di un sentimento superi~re a fare l~omo su­periore»". Questa durata monoton~ .del sent1ment.o eroico ~ ga­rantita soltanto nella cornice prestabilita della sua esistenza. L ora-

" LEOPOLD ZIEGLER, Zur Metaphysile des Tragìschen. Bine philosophìsche Studie, Leipzig

1902, p. 45· . d . . "LUK.ks, Die Seele und die Formen ctt., p. 342; tra . tt. ctt., P· 319: . . " [Qui Benjamin cita liberamente NIETZSCHE, Jenseits von Gut und Bose, m W erke. ctt.,

sezione 1 , vol. VII; trad. i t. Al di là del bene e del male, Genealogia della morale, Milano

1968,p. 72).

Dramma e tragedia (n) 91

colo della tragedia non è solo un incantesimo del destino, ma è la certezza, trasposta all'esterno, che una vita non è tragica se non scor­r~ nella sua cornice. La necessità, q~ale appare fissata in quella cor­ruce, non è né causale né magica. E la necessità muta dell'ostina­zione in cui l'Io genera i propri atti. Come la neve sotto il vento del Sud, essa si scioglierebbe sotto l'alito della parola. Ma soltanto di una parola sconosciuta. L'ostinazione eroica contiene, racchiusa in se stessa, questa parola sconosciuta; ciò la distii)gue dalla hybris di un uomo a cui la coscienza pienamente sviluppata della comunità non riconosce piu alcun contenuto nascosto.

. Solo il mondo arcaico poteva conoscere una hybris tragica, che riscatta con la vita dell'eroe il diritto al proprio silenzio. L'eroe, che disdegna di giustificarsi di fronte agli dèi, viene a patti con lo­ro in una sorta di contratto espiatorio: un contratto che, per il suo duplice significato, vale non solo a ristabilire ma prima ancora a seppellire il vecchio ordine giuridico nella coscienza linguistica del­la.comunità rinnovata. Gara atletica, diritto e tragedia, la grande trtade agonale della vita greca - allo schema dell'agone rimanda la Storia della civiltà greca di]akob Burckhardf6

- si chiude nel segno del contratto. «La legislazione e la prassi giuridica si svilupparo­no in Grecia dalla lotta contro la faida e la giustizia sommaria. Là dove l'inclinazione all'arbitrio spariva, o lo stato riusciva ad argi­narla, il processo non appariva tuttavia, almeno all'inizio, come la ricerca di una decisione giudiziaria, ma come un atto di espiazio­ne ... Nel quadro di un tale procedimento, il cui scopo primario non era di trovare la giustizia assoluta ma di indurre l'offeso a ri­nunciare alla vendetta, le forme sacrali della prova e della senten­za dovevano assumere un significato particolarmente elevato, per la forte impressione che non mancavano di esercitare anche sullo sconfitto»37

• Il processo antico- e in particolare il processo pena­le - è dialogo, perché costruito sui due ruoli dell'accusatore e dell'accusato, senza requisitoria o difesa d'ufficio. Esso ha il suo coro in parte nei giurati (cosf ad esempio nell'antico diritto crete­se le parti in causa adducevano le prove per mezzo di giurati coa­diutori, ossia testimoni di integra reputazione che in origine,

"Cfr. JAKOB BURCKHARDT, Griechische Kulturgeschichte, a cura diJ. Oeri, Berlin-Stutt­gatt 1902, vol. IV, pp. 89 sgg.; trad. it. Storia della civiltà greca, Firenze 1955.

" KURT LA'ITE, Heiliges Recht. Untersuchungen zur Geschichte der sakralen Rechtsformen in Griechenland, Tiibingen 1920, pp. 2 sgg.

Page 127: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

nell' ordalia, difendevano anche con le armi il diritto della loro par­te), in parte nei compagni dell'accusato, che intervengono per im­plorare la pietà della corte, in parte infine nell'assemblea popola­re giudicante. Per il diritto ateniese. è importante e caratteristica l'irruzione dell'elemento dionisiaco, il fatto cioè che la parola eb­bra, estatica, fosse libera di irrompere nel perimetro regolare dell'agone, che dal potere di persuasione della parola vivente po­tesse sprigionarsi una giustizia superiore a quella regolata dalle ar­mi o dalle forme verbali codificate delle tribu concorrenti. L'or­dalia viene liberata dall'irruzione dellogos. Ed è questa la paren­tela piu profonda tra il processo giudiziario e la tragedia ateniese. La parola dell'eroe, quando riesce a spezzare, isolata, la corazza dell'Io, diventa un grido d'indignazione. La tragedia si inserisce in questo quadro processuale; anche in essa si svolge un processo di espiazione. Perciò gli eroi di Sofocle e di Euripide non impara­no «a parlare ... ma soltanto a dibattere», e da ciò dipende il fat­to che «alla drammaturgia classica è estranea la scena d'amore»38

Se però agli occhi del poeta il mito è il processo espiatorio, l' ope­ra poetica riproduce quel processo e insieme lo rivede. E l'intero processo cresce a misura dell'anfiteatro. La comunità assiste alla ripresa del processo come istanza di controllo, anzi come istanza giudicante. Anch'essa cerca di giudicare quel confronto, la cui in­terpretazione poetica rinnova la memoria dei tempi eroici. Ma nel finale della tragedia risuona sempre un non liquet. Lo scioglimen­to finale è si sempre anche liberazione, ma occasionale, proble­matica, limitata. Il dramma satiresco che la precede, o che la se­gue, esprime il fatto che il non liquet del processo rappresentato richiede come contrappeso uno slancio comico. E anche qui si af­ferma il brivido di una fihe indecifrabile. «L'eroe, che suscita ne­gli altri timore e compassione, rimane sempre dal canto suo un lo rigido e immoto. Nello spettatore, timore e compassione si ritrag­gono subito all'interno, fanno anche di lui un Io chiuso in se stes­so. Ognuno resta per sé, ognuno timane il proprio Io. Non nasce alcuna comunità. E tuttavia sorge un contenuto comune. I vari Io non si incontrano, eppure risuona in tutti la stessa nota, il senti­mento del proprio I0>>39

• La drammaturgia processuale della tra­gedia ha awto conseguenze fatali e durature nella dottrina delle tre unità. Questa, che è la piu oggettiva delle sue determinazioni,

'' ROSENZWEIG, Der Stem der Erliisung dt., pp. 99 sgg. "Ibid., p. 104.

Dramma e tragedia (n) 93

non è stata colta neppure da un'interl'retazione tra le piu profon­de: «L'unità di luogo è il simbolo ovvio, piu immediato, di questo rimanere immobili in mezzo al continuo mutamento dell'esisten- . za che sta attorno; quindi è il mezzo tecnico necessario per rap­presentare questa fissità. Il tragico è solo un momento: questo è il senso dell'unità di tempo»40

• Non che ciò sia contestabile, anzi: il periodico riaffiorare degli eroi dall'oltretomba conferisce a questa sospensione del decorso temporale un rilievo estremo. Eppure Jean Paul non fa che smentire la piu sorprendente delle profezie, quan­do osserva retoric~mente a proposito della tragedia: «Chi vorrà rappresentare in occasione di pubbliche ricorrenze e di fronte a una folla cupi mondi di ombre?»41

• Nessuno all'infuori di lui, ai suoi tempi, sognava cose simili. Ma come.sempre, anche qui l'in­terpretazione metafisica trova il suo terreno piu fecondo sul pia­no pragmatico. Eccola infatti l'unità di luogo: il tribunale; e l'unità di tempo: la giornata giudiziaria delimitata dal corso del sole o in altro modo; e l'unità di azione: quella del processo. Sono que­ste circostanze a fare dei dialoghi socratici l'epilogo irrevocabi­le della tragedia. Qui l'eroe trova non solo la parola, ma una schiera di discepoli, di giovani portavoce. E sarà il silenzio non il suo discorso, a essere d'ora innanzi pieno di ironia. Ironia so­cratica, che è l'opposto di quella tragica. È tragico il discorso che esce dai propri binari e va a toccare insconsciamente la verità del­la vita eroica, dell'Io eroico, cosf profondamente chiuso in se stes­so da non riscuotersi neppure quando, sognante si chiama per no­me. Il silenzio ironico del filosofo, ruvido, mimica, è un silenzio consapevole. In luogo della morte sacrificale dell'eroe, Socrate pro­pone l'esempio del pedagogo. Ma la guerra che il suo razionalismo aveva dichiarato all'arte tragica viene decisa dall'opera di Platone contro la tragedia, con una superiorità che finisce per colpire piu lo sfidante della sua vittima. Ciò avviene infatti non nello spirito razionale di Socrate, ma nello spirito del dialogo stesso. Quando, alla fine del Simposio, Socrate, Agatone e Aristofane siedono so­li, uno di fronte all'altro, non sarà proprio la luce sobria del dlalo­go quella che Platone fa spuntare sui tre, sul fare dell'alba, sopra il discorso del vero poeta che riunisce in sé la tragedia e la com­media? Quel che appare nel dialogo è la lingua drammatica allo sta-

40 LUKAcS, Die Seele und die Formen cit., p. 340; trad. it. dt., p. 316. 41 JEAN PA~ PRIEDRICH RICHTER, Siimmtliche Werke, Berlin 1841, vol. XVIII, p. 82

(Vorschule der Asthetik, parte I, § 19).

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Il dramma barocco tedesco

nell' ordalia, difendevano anche con le armi il diritto della loro par­te), in parte nei compagni dell'accusato, che intervengono per im­plorare la pietà della corte, in parte infine nell'assemblea popola­re giudicante. Per il diritto ateniese. è importante e caratteristica l'irruzione dell'elemento dionisiaco, il fatto cioè che la parola eb­bra, estatica, fosse libera di irrompere nel perimetro regolare dell'agone, che dal potere di persuasione della parola vivente po­tesse sprigionarsi una giustizia superiore a quella regolata dalle ar­mi o dalle forme verbali codificate delle tribu concorrenti. L'or­dalia viene liberata dall'irruzione dellogos. Ed è questa la paren­tela piu profonda tra il processo giudiziario e la tragedia ateniese. La parola dell'eroe, quando riesce a spezzare, isolata, la corazza dell'Io, diventa un grido d'indignazione. La tragedia si inserisce in questo quadro processuale; anche in essa si svolge un processo di espiazione. Perciò gli eroi di Sofocle e di Euripide non impara­no «a parlare ... ma soltanto a dibattere», e da ciò dipende il fat­to che «alla drammaturgia classica è estranea la scena d'amore»38

Se però agli occhi del poeta il mito è il processo espiatorio, l' ope­ra poetica riproduce quel processo e insieme lo rivede. E l'intero processo cresce a misura dell'anfiteatro. La comunità assiste alla ripresa del processo come istanza di controllo, anzi come istanza giudicante. Anch'essa cerca di giudicare quel confronto, la cui in­terpretazione poetica rinnova la memoria dei tempi eroici. Ma nel finale della tragedia risuona sempre un non liquet. Lo scioglimen­to finale è si sempre anche liberazione, ma occasionale, proble­matica, limitata. Il dramma satiresco che la precede, o che la se­gue, esprime il fatto che il non liquet del processo rappresentato richiede come contrappeso uno slancio comico. E anche qui si af­ferma il brivido di una fihe indecifrabile. «L'eroe, che suscita ne­gli altri timore e compassione, rimane sempre dal canto suo un lo rigido e immoto. Nello spettatore, timore e compassione si ritrag­gono subito all'interno, fanno anche di lui un Io chiuso in se stes­so. Ognuno resta per sé, ognuno timane il proprio Io. Non nasce alcuna comunità. E tuttavia sorge un contenuto comune. I vari Io non si incontrano, eppure risuona in tutti la stessa nota, il senti­mento del proprio I0>>39

• La drammaturgia processuale della tra­gedia ha awto conseguenze fatali e durature nella dottrina delle tre unità. Questa, che è la piu oggettiva delle sue determinazioni,

'' ROSENZWEIG, Der Stem der Erliisung dt., pp. 99 sgg. "Ibid., p. 104.

Dramma e tragedia (n) 93

non è stata colta neppure da un'interl'retazione tra le piu profon­de: «L'unità di luogo è il simbolo ovvio, piu immediato, di questo rimanere immobili in mezzo al continuo mutamento dell'esisten- . za che sta attorno; quindi è il mezzo tecnico necessario per rap­presentare questa fissità. Il tragico è solo un momento: questo è il senso dell'unità di tempo»40

• Non che ciò sia contestabile, anzi: il periodico riaffiorare degli eroi dall'oltretomba conferisce a questa sospensione del decorso temporale un rilievo estremo. Eppure Jean Paul non fa che smentire la piu sorprendente delle profezie, quan­do osserva retoric~mente a proposito della tragedia: «Chi vorrà rappresentare in occasione di pubbliche ricorrenze e di fronte a una folla cupi mondi di ombre?»41

• Nessuno all'infuori di lui, ai suoi tempi, sognava cose simili. Ma come.sempre, anche qui l'in­terpretazione metafisica trova il suo terreno piu fecondo sul pia­no pragmatico. Eccola infatti l'unità di luogo: il tribunale; e l'unità di tempo: la giornata giudiziaria delimitata dal corso del sole o in altro modo; e l'unità di azione: quella del processo. Sono que­ste circostanze a fare dei dialoghi socratici l'epilogo irrevocabi­le della tragedia. Qui l'eroe trova non solo la parola, ma una schiera di discepoli, di giovani portavoce. E sarà il silenzio non il suo discorso, a essere d'ora innanzi pieno di ironia. Ironia so­cratica, che è l'opposto di quella tragica. È tragico il discorso che esce dai propri binari e va a toccare insconsciamente la verità del­la vita eroica, dell'Io eroico, cosf profondamente chiuso in se stes­so da non riscuotersi neppure quando, sognante si chiama per no­me. Il silenzio ironico del filosofo, ruvido, mimica, è un silenzio consapevole. In luogo della morte sacrificale dell'eroe, Socrate pro­pone l'esempio del pedagogo. Ma la guerra che il suo razionalismo aveva dichiarato all'arte tragica viene decisa dall'opera di Platone contro la tragedia, con una superiorità che finisce per colpire piu lo sfidante della sua vittima. Ciò avviene infatti non nello spirito razionale di Socrate, ma nello spirito del dialogo stesso. Quando, alla fine del Simposio, Socrate, Agatone e Aristofane siedono so­li, uno di fronte all'altro, non sarà proprio la luce sobria del dlalo­go quella che Platone fa spuntare sui tre, sul fare dell'alba, sopra il discorso del vero poeta che riunisce in sé la tragedia e la com­media? Quel che appare nel dialogo è la lingua drammatica allo sta-

40 LUKAcS, Die Seele und die Formen cit., p. 340; trad. it. dt., p. 316. 41 JEAN PA~ PRIEDRICH RICHTER, Siimmtliche Werke, Berlin 1841, vol. XVIII, p. 82

(Vorschule der Asthetik, parte I, § 19).

Page 129: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

94 Il dramma barocco tedesco

to puro, al di qua del tragico e del comico e della loro dialettica. Questo elemento drammatico puro ristabilisce il Mistero, che nel­le forme del dramma greco si era a poco a poco mondanizzato: la sua lingua è, in quanto lingua del dramma moderno, quella del Trauerspiel.

Chi istitui l'equivalenza fra tragedia e dramma barocco, avreb­be dovuto trovare ben sorprendente che la poetica di Aristotele non parli del lutto come eco del tragico. Tutt'al contrario, l'este­tica moderna ha spesso creduto di cogliere nel concetto stesso di tragico una reazione emotiva alla tragedia ed al dramma. La tra­gicità è un grado preliminare della profezia. Essa è uno stato di co­se che trova il suo ambito proprio solamente nel linguaggio: tragi­ca è la parola e il silenzio del mondo arcaico in cui la voce profe­tica si mette alla prova; tragici sono la passione e la morte che subentrano a quella voce, ma non è mai tragico un destino nel con­tenuto pragmatico del suo intreccio. Il dramma barocco può esse­re pensato come pantomima, la tragedia no. Perché alla parola del genio è legata la lotta contro la demonicità del diritto. La dissolu­zione psicologistica del tragico e l'identificazione di tragedia e dramma barocco fanno tutt'uno: se è vero che già il nome di que­st'ultimo allude allo stato d'animo «luttuoso» suscitato nello spet­tatore dal suo contenuto. Ciò non vuol dire che esso si lasci spie­gare con le categorie della psicologia empirica meglio che con quel­le della tragedia: si potrebbe dire piuttosto che, molto meglio dello stato di afflizione, questi drammi potrebbero servire alla descri­zione del lutto. Infatti, non è tanto lo spettacolo a rendere tristi, ma è il lutto a trovare i,n esso la sua soddisfazione: uno spettacolo per un pubblico triste. E peculiare a questi drammi una certa osten­tazione. I loro quadri sono esposti per essere visti e nell'ordine in cui vogliono essere visti. Cosi il teatro italiano del Rinascimento, che avrà molteplici influssi sul teatro barocco tedesco, era nato dal­la pura ostentazione, ossia dal genere dei «Trionfi»42

, i cortei con accompagnamento recitante che tanta fortuna ebbero a Firenze sotto Lorenzo il Magnifico. E in tutto il dramma barocco europeo il palcoscenico non è un luogo fisso, definito, ma dialetticamente lacerato. Legato all'ambiente delle corti, esso rimane un palcosce­nico mobile, itinerante, e le sue assi rappresentano la terra come scenario della storia solo in modo improprio: con la sua corte, il

42 Cfr. WERNER WEISBACH, Trionfi, Berlin 1919, pp. 17 sgg.

Dramma e tragedia (n) 95

palcoscenico si sposta di città in città. Secondo la concezione gre­ca, invece, la scena è un luogo cosmico. «La forma del teatro gre­co arieggia una valle solitaria; l'architettura della scena rassomi­glia a un'immagine di nubi lucenti, che le baccanti folleggianti sui monti contemplano dall'alto, come la cornice magnifica in mezzo alla quale si rivela ai loro sguardi la visione di Dioniso» 4'. Si potrà discutere se questa bella descrizione sia piu o meno appropriata, se ad esempio, per analogia con l'arena giudiziaria, la scena dovrà «diventare tribunale» per una qualsiasi comunità: resta il fatto che in ogni caso la tragedia greca non è una messinscena ripetibile, ma una ripresa originale del processo tragico di fronte a un'istanza su­periore. Come già suggerisce il teatro all'aperto, e il fatto che non si diano mai repliche identiche, ciò che si svolge in essa è un even­to cosmico. La comunità è invitata ad assistere a questo evento e a giudicarlo. Ora, mentre lo spettatore della tragedia è sollecitato e giustificato da quest'ultima, il dramma barocco va compreso a partire dal suo pubblico. Esso apprende come sulla scena - che è uno spazio interiore, emotivo, senza alcun rapporto con il cosmo - vengano rappresentate situazioni in modo penetrante. Sul pia­no linguistico il rapporto fra lutto e ostentazione proprio del dramma barocco si esprime con laconicità. Cosf la «scena [fune­bre]», «impr., la terra come scenario di eventi luttuosi...»; «la pompa [funebre]; l'impalcatura [funebre], un'impalcatura coperta di panni, di ornamenti, di simboli, ecc., su cui viene esibita la sal­ma di un defunto illustre nella sua bara (catafalco, castrum doloris, scena funebre)»44

• La parola «lutto» è sempre pronta per queste combinazioni, nelle quali per cosi dire succhia il midollo del si­gnificato dalle parole che la accompagnano4

'. Il significato drasti­co, tutt'altro che estetizzante, del termine barocco, trova un com­mento significativo nelle parole di Hallmann:

Solch Traur-Spiel kommt aus deinen Eitelkeiten! Solch Todten-Tantz wird in der Welt gehegt46!

"NIETZSCHE, Die Geburt der Trag&Jie cit., p . .59; trad. it. cit., p. 87. .. nmoooR HEINSIUS, Volksthumliches Worterbuch der Deutschen Sprache mit Bezeichnung

der Aussprache und Betonungfordie Geschiifts· und Lesewelt, Hannover x822, vol. IV, tomo I (S-T), p. 10,50. [Sodie «T[rauerlbiihne», «uneig., die Erde als ein Schauplatz trauriger VorfaJ. le ... »; «das T[rauer]geprange; das T[rauer]geriist, ein mit Tiichern bedecktes mit V erzie­rungen, Sinnbildern etc. versehenes Geriist, auf welchem die Leiche eines vor.en Ver­storbenen im Sarge ausgestellt wird (Katafalk, Castrum doloris, Trauerbiihne»)].

"Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele eit., p. 77 (Leo Armenius, III, u6). "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 36 [II, .529 sgg.]).

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94 Il dramma barocco tedesco

to puro, al di qua del tragico e del comico e della loro dialettica. Questo elemento drammatico puro ristabilisce il Mistero, che nel­le forme del dramma greco si era a poco a poco mondanizzato: la sua lingua è, in quanto lingua del dramma moderno, quella del Trauerspiel.

Chi istitui l'equivalenza fra tragedia e dramma barocco, avreb­be dovuto trovare ben sorprendente che la poetica di Aristotele non parli del lutto come eco del tragico. Tutt'al contrario, l'este­tica moderna ha spesso creduto di cogliere nel concetto stesso di tragico una reazione emotiva alla tragedia ed al dramma. La tra­gicità è un grado preliminare della profezia. Essa è uno stato di co­se che trova il suo ambito proprio solamente nel linguaggio: tragi­ca è la parola e il silenzio del mondo arcaico in cui la voce profe­tica si mette alla prova; tragici sono la passione e la morte che subentrano a quella voce, ma non è mai tragico un destino nel con­tenuto pragmatico del suo intreccio. Il dramma barocco può esse­re pensato come pantomima, la tragedia no. Perché alla parola del genio è legata la lotta contro la demonicità del diritto. La dissolu­zione psicologistica del tragico e l'identificazione di tragedia e dramma barocco fanno tutt'uno: se è vero che già il nome di que­st'ultimo allude allo stato d'animo «luttuoso» suscitato nello spet­tatore dal suo contenuto. Ciò non vuol dire che esso si lasci spie­gare con le categorie della psicologia empirica meglio che con quel­le della tragedia: si potrebbe dire piuttosto che, molto meglio dello stato di afflizione, questi drammi potrebbero servire alla descri­zione del lutto. Infatti, non è tanto lo spettacolo a rendere tristi, ma è il lutto a trovare i,n esso la sua soddisfazione: uno spettacolo per un pubblico triste. E peculiare a questi drammi una certa osten­tazione. I loro quadri sono esposti per essere visti e nell'ordine in cui vogliono essere visti. Cosi il teatro italiano del Rinascimento, che avrà molteplici influssi sul teatro barocco tedesco, era nato dal­la pura ostentazione, ossia dal genere dei «Trionfi»42

, i cortei con accompagnamento recitante che tanta fortuna ebbero a Firenze sotto Lorenzo il Magnifico. E in tutto il dramma barocco europeo il palcoscenico non è un luogo fisso, definito, ma dialetticamente lacerato. Legato all'ambiente delle corti, esso rimane un palcosce­nico mobile, itinerante, e le sue assi rappresentano la terra come scenario della storia solo in modo improprio: con la sua corte, il

42 Cfr. WERNER WEISBACH, Trionfi, Berlin 1919, pp. 17 sgg.

Dramma e tragedia (n) 95

palcoscenico si sposta di città in città. Secondo la concezione gre­ca, invece, la scena è un luogo cosmico. «La forma del teatro gre­co arieggia una valle solitaria; l'architettura della scena rassomi­glia a un'immagine di nubi lucenti, che le baccanti folleggianti sui monti contemplano dall'alto, come la cornice magnifica in mezzo alla quale si rivela ai loro sguardi la visione di Dioniso» 4'. Si potrà discutere se questa bella descrizione sia piu o meno appropriata, se ad esempio, per analogia con l'arena giudiziaria, la scena dovrà «diventare tribunale» per una qualsiasi comunità: resta il fatto che in ogni caso la tragedia greca non è una messinscena ripetibile, ma una ripresa originale del processo tragico di fronte a un'istanza su­periore. Come già suggerisce il teatro all'aperto, e il fatto che non si diano mai repliche identiche, ciò che si svolge in essa è un even­to cosmico. La comunità è invitata ad assistere a questo evento e a giudicarlo. Ora, mentre lo spettatore della tragedia è sollecitato e giustificato da quest'ultima, il dramma barocco va compreso a partire dal suo pubblico. Esso apprende come sulla scena - che è uno spazio interiore, emotivo, senza alcun rapporto con il cosmo - vengano rappresentate situazioni in modo penetrante. Sul pia­no linguistico il rapporto fra lutto e ostentazione proprio del dramma barocco si esprime con laconicità. Cosf la «scena [fune­bre]», «impr., la terra come scenario di eventi luttuosi...»; «la pompa [funebre]; l'impalcatura [funebre], un'impalcatura coperta di panni, di ornamenti, di simboli, ecc., su cui viene esibita la sal­ma di un defunto illustre nella sua bara (catafalco, castrum doloris, scena funebre)»44

• La parola «lutto» è sempre pronta per queste combinazioni, nelle quali per cosi dire succhia il midollo del si­gnificato dalle parole che la accompagnano4

'. Il significato drasti­co, tutt'altro che estetizzante, del termine barocco, trova un com­mento significativo nelle parole di Hallmann:

Solch Traur-Spiel kommt aus deinen Eitelkeiten! Solch Todten-Tantz wird in der Welt gehegt46!

"NIETZSCHE, Die Geburt der Trag&Jie cit., p . .59; trad. it. cit., p. 87. .. nmoooR HEINSIUS, Volksthumliches Worterbuch der Deutschen Sprache mit Bezeichnung

der Aussprache und Betonungfordie Geschiifts· und Lesewelt, Hannover x822, vol. IV, tomo I (S-T), p. 10,50. [Sodie «T[rauerlbiihne», «uneig., die Erde als ein Schauplatz trauriger VorfaJ. le ... »; «das T[rauer]geprange; das T[rauer]geriist, ein mit Tiichern bedecktes mit V erzie­rungen, Sinnbildern etc. versehenes Geriist, auf welchem die Leiche eines vor.en Ver­storbenen im Sarge ausgestellt wird (Katafalk, Castrum doloris, Trauerbiihne»)].

"Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele eit., p. 77 (Leo Armenius, III, u6). "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 36 [II, .529 sgg.]).

Page 131: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

96 Il dramma barocco tedesco

L'epoca successiva restò debitrice alla teoria barocca per il fat­to di attribuire all'oggetto storico una particolare predisposizione al dramma. E come non vide la metamorfosi naturalistica subita dalla storia nei drammi barocchi, cosf nell'analisi della tragedia non colse la distinzione tra saga e storia. In questo modo essa giun­se a formulare il concetto di una tragicità storica. L' omologazione di tragedia e dramma barocco fu un'altra delle conseguenze, ed eb­be la funzione teorica di nascondere la problematica del dramma storico quale il Classicismo tedesco l'aveva portata alla luce. Il rap­porto incerto con la materi~ storica è uno dei sintomi piu chiari di quella problematica. La libertà della sua interpretazione resterà sempre molto indietro rispetto alla tendenziosa esattezza del rin­novamento tragico del mito; e d'altra parte questo tipo di dram­ma, in contrasto con la fedeltà cronistica alle fonti da cui è affet­to il dramma barocco - e che è peraltro compatibile con la crea­zione poetica- si sentirà pericolosamente legato all' «essenza» della storia. Al contrario, si addice al dramma barocco una totale libertà nell'invenzione della trama. Lo sviluppo, estremamente significa­tivo, che questa forma subirà nello Sturm und Drang, può essere in­teso come una sperimentazione delle sue potenzialità latenti e co­me un'emancipazione dall'ambito arbitrariamente limitato della cronaca. L'influsso delle forme barocche trova un'altra conferma nel «genio della forza», ibrido borghese di martire e tiranno. Mi­nor ha rilevato tale sintesi nell'Attila di Zacharias Werner47

• Ma anche il martire vero e proprio e l'elaborazione drammatica dei suoi tormenti rivivono nella morte per inedia dell'Ugolino o nel motivo della castrazione del Precettore. Come allora si continua a recitare il dramma della creatura, con la differenza che la morte cede il posto all'amore. Ma anche qui l'ultima parola spetta alla ca­ducità. «Oh, che l'uomo passi cosf sulla terra senza lasciare una traccia dietro di sé, come il sorriso sul volto o come il canto di un uccello nel bosco! » 48

• Lo Sturm und Drang ha letto i cori delle tra­gedie nel senso di questi lamenti, e ha cosf ripreso una parte dell'in­terpretazione barocca del tragico. In occasione della critica del

Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 458 (Carolus Stuardus, V, 250). [Questo è il dramma lut­tuoso che nasce dalle tue vanità! l Questa la danza funebre aizzata nel mondo!]

47 Cfr. JACOB MINOR, Die Schicksals-TragOdie in ihren Hauptverl1etern, Frankfurt am Main 1883, pp. 44 e 49·

•• JOHANN ANTON LEISEWITZ, Siimmtliche Schriften, Braunschweig 1838, p. 88 (]ulius von Tarent, V, 4).

Dramma e tragedia (n) 97

Laocoonte nel primo dei Kritische Wà'ldchen [Selve critiche], Her­der, portavoce dell'età di Ossian, parla degli alti lamenti dei Gre­ci con la loro «sensibilità ... per le dolcilacrime»49

• In realtà, il co­ro tragico non è lamentoso. Esso rimane al di sopra delle soffe­renze, anche le piu profonde, e questo contraddice l'abbandono lamentoso. Sarebbe del resto superficiale scorgere la ragione di questa superiorità nell'impassibilità o nella compassione. Piutto­sto, la dizione del coro restaura le macerie del dialogo tragico si­no a farne una solida costruzione linguistica al di qua - o al di là - del conflitto, nella comunità etica o religiosa. Come già ha os­servato Lessin~, la presenza costante del coro, lungi dal risolve­re l'evento tragico in lamenti pone un limite all'emotività dei dia­loghi. La concezione del coro come «lamento funebre», in cui «ri­suona la sofferenza originaria della creazione»'1 è una deformazione genUinamente barocca del suo significato. Pe~ché questo è alme­no in parté, il compito che spetta ai Reyen del dramma bar~cco a cui naturalmente se ne affianca un secondo, piu nascosto. I c~ri del dramma barocco non sono tanto intermezzi come quelli del dramma classico, quanto piuttosto cornici che racchiudono l'atto, e si rapportano ad esso come il fregio ornamentale di un fronte­spizio si rapporta alla. pagina. Ed è questa una conferma della lo­ro natura propriamente scenica. Ecco perché i Reyen del dramma barocco sono in genere piu ampi e meno legati all'azione dei cori O:agici. In modo affatto diverso dallo Sturm und Drang la soprav­VIvenza apocrifa del dramma barocco si rivela nei tentativi classi­cisti di dramma storico. Tra i poeti moderni nessuno si è sforzato come Schiller di far vivere il pathos classico in soggetti ormai del tutto estranei al mito tragico. Quel presupposto irripetibile che per la tragedia era il mito, egli credette di poterlo rinnovare in for­ma storica. Ma alla storia non appartiene né un momento tragico nel senso antico, né un momento fatale in senso romantico a me­no che i due momenti non si annullino e non si livellino suÌ piano della necessità causale. Il dramma storico del Classicismo si avvi­ci~~ pericolosamente a questa soluzione, vaga e depotenziata; e una etlcttà redenta dal tragico, come un ragionare sottratto alla dialet-

"JOHANN GOTI'FIUED HERDER, Werke, a cura di H. Lambel, Stuttgart s. d. [1890 circa] parte III, sezione 2, p. 19 (Kritische Wiilder, I, 3). · . ,. Cfr. LESSING, Si.immtliche Schriften dt., p. 264 (Hamburgische Dramaturgie); trad. it.

Clt., p. 269. "HANS EHRENBERG, TragOdie und Kreuz, 2 voll., Wiirzburg 1920, vol. I: Die Tragodie

unterdem Olymp, pp. II2 sgg.

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96 Il dramma barocco tedesco

L'epoca successiva restò debitrice alla teoria barocca per il fat­to di attribuire all'oggetto storico una particolare predisposizione al dramma. E come non vide la metamorfosi naturalistica subita dalla storia nei drammi barocchi, cosf nell'analisi della tragedia non colse la distinzione tra saga e storia. In questo modo essa giun­se a formulare il concetto di una tragicità storica. L' omologazione di tragedia e dramma barocco fu un'altra delle conseguenze, ed eb­be la funzione teorica di nascondere la problematica del dramma storico quale il Classicismo tedesco l'aveva portata alla luce. Il rap­porto incerto con la materi~ storica è uno dei sintomi piu chiari di quella problematica. La libertà della sua interpretazione resterà sempre molto indietro rispetto alla tendenziosa esattezza del rin­novamento tragico del mito; e d'altra parte questo tipo di dram­ma, in contrasto con la fedeltà cronistica alle fonti da cui è affet­to il dramma barocco - e che è peraltro compatibile con la crea­zione poetica- si sentirà pericolosamente legato all' «essenza» della storia. Al contrario, si addice al dramma barocco una totale libertà nell'invenzione della trama. Lo sviluppo, estremamente significa­tivo, che questa forma subirà nello Sturm und Drang, può essere in­teso come una sperimentazione delle sue potenzialità latenti e co­me un'emancipazione dall'ambito arbitrariamente limitato della cronaca. L'influsso delle forme barocche trova un'altra conferma nel «genio della forza», ibrido borghese di martire e tiranno. Mi­nor ha rilevato tale sintesi nell'Attila di Zacharias Werner47

• Ma anche il martire vero e proprio e l'elaborazione drammatica dei suoi tormenti rivivono nella morte per inedia dell'Ugolino o nel motivo della castrazione del Precettore. Come allora si continua a recitare il dramma della creatura, con la differenza che la morte cede il posto all'amore. Ma anche qui l'ultima parola spetta alla ca­ducità. «Oh, che l'uomo passi cosf sulla terra senza lasciare una traccia dietro di sé, come il sorriso sul volto o come il canto di un uccello nel bosco! » 48

• Lo Sturm und Drang ha letto i cori delle tra­gedie nel senso di questi lamenti, e ha cosf ripreso una parte dell'in­terpretazione barocca del tragico. In occasione della critica del

Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 458 (Carolus Stuardus, V, 250). [Questo è il dramma lut­tuoso che nasce dalle tue vanità! l Questa la danza funebre aizzata nel mondo!]

47 Cfr. JACOB MINOR, Die Schicksals-TragOdie in ihren Hauptverl1etern, Frankfurt am Main 1883, pp. 44 e 49·

•• JOHANN ANTON LEISEWITZ, Siimmtliche Schriften, Braunschweig 1838, p. 88 (]ulius von Tarent, V, 4).

Dramma e tragedia (n) 97

Laocoonte nel primo dei Kritische Wà'ldchen [Selve critiche], Her­der, portavoce dell'età di Ossian, parla degli alti lamenti dei Gre­ci con la loro «sensibilità ... per le dolcilacrime»49

• In realtà, il co­ro tragico non è lamentoso. Esso rimane al di sopra delle soffe­renze, anche le piu profonde, e questo contraddice l'abbandono lamentoso. Sarebbe del resto superficiale scorgere la ragione di questa superiorità nell'impassibilità o nella compassione. Piutto­sto, la dizione del coro restaura le macerie del dialogo tragico si­no a farne una solida costruzione linguistica al di qua - o al di là - del conflitto, nella comunità etica o religiosa. Come già ha os­servato Lessin~, la presenza costante del coro, lungi dal risolve­re l'evento tragico in lamenti pone un limite all'emotività dei dia­loghi. La concezione del coro come «lamento funebre», in cui «ri­suona la sofferenza originaria della creazione»'1 è una deformazione genUinamente barocca del suo significato. Pe~ché questo è alme­no in parté, il compito che spetta ai Reyen del dramma bar~cco a cui naturalmente se ne affianca un secondo, piu nascosto. I c~ri del dramma barocco non sono tanto intermezzi come quelli del dramma classico, quanto piuttosto cornici che racchiudono l'atto, e si rapportano ad esso come il fregio ornamentale di un fronte­spizio si rapporta alla. pagina. Ed è questa una conferma della lo­ro natura propriamente scenica. Ecco perché i Reyen del dramma barocco sono in genere piu ampi e meno legati all'azione dei cori O:agici. In modo affatto diverso dallo Sturm und Drang la soprav­VIvenza apocrifa del dramma barocco si rivela nei tentativi classi­cisti di dramma storico. Tra i poeti moderni nessuno si è sforzato come Schiller di far vivere il pathos classico in soggetti ormai del tutto estranei al mito tragico. Quel presupposto irripetibile che per la tragedia era il mito, egli credette di poterlo rinnovare in for­ma storica. Ma alla storia non appartiene né un momento tragico nel senso antico, né un momento fatale in senso romantico a me­no che i due momenti non si annullino e non si livellino suÌ piano della necessità causale. Il dramma storico del Classicismo si avvi­ci~~ pericolosamente a questa soluzione, vaga e depotenziata; e una etlcttà redenta dal tragico, come un ragionare sottratto alla dialet-

"JOHANN GOTI'FIUED HERDER, Werke, a cura di H. Lambel, Stuttgart s. d. [1890 circa] parte III, sezione 2, p. 19 (Kritische Wiilder, I, 3). · . ,. Cfr. LESSING, Si.immtliche Schriften dt., p. 264 (Hamburgische Dramaturgie); trad. it.

Clt., p. 269. "HANS EHRENBERG, TragOdie und Kreuz, 2 voll., Wiirzburg 1920, vol. I: Die Tragodie

unterdem Olymp, pp. II2 sgg.

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98 Il dramma barocco tedesco

ti ca del destino, non sono in grado di consolidarne l'edificio. Men­tre Goethe era incline alle mediazioni, pregnanti e ben fondate sul­la cosa- non a caso un suo frammento, influenzato da Calder6n e costruito su un pezzo di storia carolingia, va sotto il titolo curio­samente apocrifo di Trauerspiel aus der Christenheit [Dramma della cristianità] - Schiller tenta di fondare il dramma sullo spirito del­la storia come la intendeva l'idealismo tedesco. E qualunque pos­sa essere alla fine il giudizio sui suoi drammi come opere di gran­de arte, è incontestabile il fatto che in essi egli abbia dato alla lu­ce la forma propria degli epigoni. Il risultato che egli ottenne cosi dal Classicismo fu di rispecchiare riflessivamente il destino nella cornice della storicità come pendant della libertà individuale. Ma quanto piu egli portò avanti questo tentativo, tanto piu fatalmen­te doveva avvicinarsi, insieme allo Schicksalsdrama romantico di ~ui la Sposa di Messina è una variante, al tipo del dramma barocco. E un segno del suo gusto estetico superiore il fatto che, con buo­na pace dei teoremi idealistici, egli ricorra nel Wallenstein all'astro­logia, nella Fanciulla di Orléans agli effetti miracolosi di stampo cal­deronian\), e nel Guglielmo Te!! a motivi di apertura ancora calde­roniani. E vero che la forma romantica del dramma barocco, sia nel dramma del destino che altrove, difficilmente poteva essere do­po Calder6n qualcosa di piu che una semplice ripresa. Di qui la fra­se di Goethe, secondo cui Calder6n, per Schiller, poteva diventare pericoloso. E a ragione egli poteva considerarsi al riparo da questo pericolo se nella chiusa del Faust egli seppe sviluppare consapevol­mente e sobriamente, e con un vigore superiore allo stesso Calder6n, ciò a cui Schiller si sentiva in parte trascinato contro la sua volontà, in parte irresistibilmente attratto.

Le aporie estetiche del dramma storico dovevano venire alla lu­ce con la massima chiarezza nella sua variante piu radicale e ap­punto per questo artisticamente piu povera, la Haupt- und Staats­aktiotf2. Essa rappresenta il pendant meridionale e popolare di quel­lo che è per il Nord il dramma barocco erudito. Significativamente, l'unico esempio di que~ta tesi, o perlomeno di una tesi affine, vie­ne dal Romanticismo. E illetterato Franz Horn a tratteggiare con sorprendente intelligenza il profilo delle Haupt- und Staatsaktionen nella sua storia della Poesie und Beredsamkeit der Deutschen [Poe­sia ed eloquenza dei Tedeschi], senza naturalmente soffermarsi su

"Cfr., sopra, nota 40, p. 93·

Dramma e tragedia (II) 99

di esse: «Ai tempi di Velthem erano particolarmente amate le co­siddette Haupt- und Staatsaktionen, su cui gli storici della lettera­tura hanno sempre esercitato il loro sarcasmo, senza aggiungere nemmeno una· parola di spiegazione. Codeste azioni sono vera­mente di origine tedesca e sono particolarmente adatte allo spiri­to tedesco. L'amore per il cosiddetto tragico puro era raro, men­tre l'i~ato istinto romantico esigeva un ricco nutrimento, come anche il gusto della farsa, che suoi essere piu vivace proprio negli spiriti piu riflessivi. C'è poi ancora un'altra inclinazione tipica­mente tedesca, che questi generi non potevano soddisfare del tut­to: e cioè l'inclinazione alla serietà concettosa, alla solennità, all'ampiezza ma anche alla brevità sentenziosa, e infine all'am­pollosità. Per soddisfare tali esigenze furono inventate le cosid­dette Haupt- und Staatsaktionen, a cui offrivano materiale le parti storiche dell'Antico Testamento (?),la Grecia e Roma, la Turchia ecc., ma quasi mai la Germania ... Qui vediamo comparire sulla scena sovrani e principi con in testa le loro corone di carta dora­ta, dall'aria triste e afflitta, e intenti a spiegare al pubblico com­passionevole quanto sia difficile governare e come un semplice spaccalegna dorma sonni molto piu tranquilli; generali e ufficiali tengono splendidi discorsi e raccontano le proprie grandi impre­se, le principesse sono, com'è facile aspettarsi, estremamente vir­tuose, e, com'è è altrettanto facile aspettarsi, innamorate di un amore sublime per qualche generale ... Molto meno simpatici so­no i ministri, generalmente malintenzionati e dal carattere cupo o perlo meno grigio ... Il buffone o il matto è spesso mal sopportato dai personaggi della pièce, i quali peraltro non sanno farne a me­no, trovandovi l'incarnazione della parodia, che conie tale è im­mortale»". Questa descrizione piena di umore fa pensare non a ca­so al teatro dei burattini. Stranitzky, il piu importante fra gli au­tori viennesi del genere, era proprietario di un teatro di marionette. E anche ammesso che i suoi testi - quelli a noi noti - non siano stati rappresentati H, non si può fare a meno di pensare che il re­pertorio del teatrino abbia avuto svariati punti di contatto con le «azioni», le cui future parodie avrebbero potuto benissimo tro­varvi posto. La tendenza alla miniatura, che è propria delle Haupt­und Staatsaktionen, le mostra particolarmente vicine al Trauerspiel. Sia che adotti la sottigliezza spagnola o una solennità gestuale tut-

" FRANZ HORN, Die Poesie und Beredsamkeit der Deutschen, von Luthers Zeit bis zur Ge­genwart, Berlin r823, vol. II, pp. 294 sgg.

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98 Il dramma barocco tedesco

ti ca del destino, non sono in grado di consolidarne l'edificio. Men­tre Goethe era incline alle mediazioni, pregnanti e ben fondate sul­la cosa- non a caso un suo frammento, influenzato da Calder6n e costruito su un pezzo di storia carolingia, va sotto il titolo curio­samente apocrifo di Trauerspiel aus der Christenheit [Dramma della cristianità] - Schiller tenta di fondare il dramma sullo spirito del­la storia come la intendeva l'idealismo tedesco. E qualunque pos­sa essere alla fine il giudizio sui suoi drammi come opere di gran­de arte, è incontestabile il fatto che in essi egli abbia dato alla lu­ce la forma propria degli epigoni. Il risultato che egli ottenne cosi dal Classicismo fu di rispecchiare riflessivamente il destino nella cornice della storicità come pendant della libertà individuale. Ma quanto piu egli portò avanti questo tentativo, tanto piu fatalmen­te doveva avvicinarsi, insieme allo Schicksalsdrama romantico di ~ui la Sposa di Messina è una variante, al tipo del dramma barocco. E un segno del suo gusto estetico superiore il fatto che, con buo­na pace dei teoremi idealistici, egli ricorra nel Wallenstein all'astro­logia, nella Fanciulla di Orléans agli effetti miracolosi di stampo cal­deronian\), e nel Guglielmo Te!! a motivi di apertura ancora calde­roniani. E vero che la forma romantica del dramma barocco, sia nel dramma del destino che altrove, difficilmente poteva essere do­po Calder6n qualcosa di piu che una semplice ripresa. Di qui la fra­se di Goethe, secondo cui Calder6n, per Schiller, poteva diventare pericoloso. E a ragione egli poteva considerarsi al riparo da questo pericolo se nella chiusa del Faust egli seppe sviluppare consapevol­mente e sobriamente, e con un vigore superiore allo stesso Calder6n, ciò a cui Schiller si sentiva in parte trascinato contro la sua volontà, in parte irresistibilmente attratto.

Le aporie estetiche del dramma storico dovevano venire alla lu­ce con la massima chiarezza nella sua variante piu radicale e ap­punto per questo artisticamente piu povera, la Haupt- und Staats­aktiotf2. Essa rappresenta il pendant meridionale e popolare di quel­lo che è per il Nord il dramma barocco erudito. Significativamente, l'unico esempio di que~ta tesi, o perlomeno di una tesi affine, vie­ne dal Romanticismo. E illetterato Franz Horn a tratteggiare con sorprendente intelligenza il profilo delle Haupt- und Staatsaktionen nella sua storia della Poesie und Beredsamkeit der Deutschen [Poe­sia ed eloquenza dei Tedeschi], senza naturalmente soffermarsi su

"Cfr., sopra, nota 40, p. 93·

Dramma e tragedia (II) 99

di esse: «Ai tempi di Velthem erano particolarmente amate le co­siddette Haupt- und Staatsaktionen, su cui gli storici della lettera­tura hanno sempre esercitato il loro sarcasmo, senza aggiungere nemmeno una· parola di spiegazione. Codeste azioni sono vera­mente di origine tedesca e sono particolarmente adatte allo spiri­to tedesco. L'amore per il cosiddetto tragico puro era raro, men­tre l'i~ato istinto romantico esigeva un ricco nutrimento, come anche il gusto della farsa, che suoi essere piu vivace proprio negli spiriti piu riflessivi. C'è poi ancora un'altra inclinazione tipica­mente tedesca, che questi generi non potevano soddisfare del tut­to: e cioè l'inclinazione alla serietà concettosa, alla solennità, all'ampiezza ma anche alla brevità sentenziosa, e infine all'am­pollosità. Per soddisfare tali esigenze furono inventate le cosid­dette Haupt- und Staatsaktionen, a cui offrivano materiale le parti storiche dell'Antico Testamento (?),la Grecia e Roma, la Turchia ecc., ma quasi mai la Germania ... Qui vediamo comparire sulla scena sovrani e principi con in testa le loro corone di carta dora­ta, dall'aria triste e afflitta, e intenti a spiegare al pubblico com­passionevole quanto sia difficile governare e come un semplice spaccalegna dorma sonni molto piu tranquilli; generali e ufficiali tengono splendidi discorsi e raccontano le proprie grandi impre­se, le principesse sono, com'è facile aspettarsi, estremamente vir­tuose, e, com'è è altrettanto facile aspettarsi, innamorate di un amore sublime per qualche generale ... Molto meno simpatici so­no i ministri, generalmente malintenzionati e dal carattere cupo o perlo meno grigio ... Il buffone o il matto è spesso mal sopportato dai personaggi della pièce, i quali peraltro non sanno farne a me­no, trovandovi l'incarnazione della parodia, che conie tale è im­mortale»". Questa descrizione piena di umore fa pensare non a ca­so al teatro dei burattini. Stranitzky, il piu importante fra gli au­tori viennesi del genere, era proprietario di un teatro di marionette. E anche ammesso che i suoi testi - quelli a noi noti - non siano stati rappresentati H, non si può fare a meno di pensare che il re­pertorio del teatrino abbia avuto svariati punti di contatto con le «azioni», le cui future parodie avrebbero potuto benissimo tro­varvi posto. La tendenza alla miniatura, che è propria delle Haupt­und Staatsaktionen, le mostra particolarmente vicine al Trauerspiel. Sia che adotti la sottigliezza spagnola o una solennità gestuale tut-

" FRANZ HORN, Die Poesie und Beredsamkeit der Deutschen, von Luthers Zeit bis zur Ge­genwart, Berlin r823, vol. II, pp. 294 sgg.

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IOO Il dramma barocco tedesco

ta tedesca, esso conserva in ogni caso quella eccentricità giocosa che è una presenza costante fra gli eroi del teatro di marionette. «Forse i cadaveri di Papiniano e di suo figlio ... venivano rappre­sentati da marionette? In ogni caso non potevano essere altro che burattini il cadavere trascinato di Leone, come anche le raffigura­zioni dei cadaveri di Cromwell, Irreton e Bradschaw appesi al pa­tibolo ... Anche l'orrida reliquia, la testa bruciata della nobile prin­cipessa di Georgia, rientra nello stesso quadro ... Nel prologo dell'Eternità alla Catharina si trovano sparsi sul pavimento tutta una serie di oggetti, simili forse a quelli che vediamo sul fronte­spizio dell'edizione del r657. Accanto allo scettro e al pastorale ve­diamo "gioielli, un quadro, oggetti di metallo e un documento eru­dito". Secondo le sue stesse parole l'Eternità ... calpesta il padre e il figlio. Se tutto ciò, come anche il principe che è stato appena nominato, veniva rappresentato davvero, poteva trattarsi solo di marionette>>'4• La filosofia politica a cui queste prospettive dove­vano apparire come sacrileghe ci fornisce la controprova. Leggia­mo in Salmasio: «Ce sont eux qui traittent les testes cles Roys com­me cles ballons, qui se ioiient cles Couronnes comme les enfans font d'vn cercle, qui considerent les Sceptres cles Princes comme cles marottes, et qui n'ont pas plus de veneration pour les liurées de la souueraine Magistrature, que pour cles quintaines»". Persino l'ap­parizione fisica degli attori, e soprattutto del Re, che si mostra nel­la sua pompa, poteva assumere un aspetto rigido e burattinesco.

Die Fiirsten denen ist der Purpur angebohrn Sind ohne Scepter kranck'6•

Questi versi di Lohenstein giustificano il paragone tra i sovra­ni della scena barocca ed i re delle carte da gioco. Nello stesso dramma Micipsa parla della caduta di Massinissa, «che era carico di corone»'7• E ancora Haugwitz:

Reicht uns den rothen Sammt und dies gebliimte Kleid Und schwartzen AtlaB daB man was den Sinn erfreut Und was den Leib betriibt kan auff den Kleidern lesen Und sehet wer wir sind in diesem Spie! gewesen Indem der blasse T od den letzten Auffzug macht'8•

,. FLIÌMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. 22 r. "SALMASIO, Apologie royale pour Charles I cit., p. 2.5. ,. LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele dt., p. 269 (Sophonisbe, I, 322 sgg.). [l prin­

cipi, ai quali la porpora è innata, l Senza scettro sono privi di forza]. "Ibid., p. 262 (Sophonisbe, I, 89). "HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuarda, p. 63 [V, 75 sgg.]). [Porgeteci il vel-

Dramma e tragedia (n) IOI

Fra i vari caratteri della Staatsaktion elencati da Horn, il piu ri­levante per lo studio del dramma barocco è l'intrigo di palazzo. Es­so svolge un suo ruolo anche nel dramma di genere alto: accanto alle «millanterie», ai «lamenti», alle «sepolture» e agli «epitaffi», Birken cita fra i temi del Trauerspiel anche «spergiuri e tradimen­ti ... inganni e raggiri»'9• Ma nel dramma colto la figura del consi­gliere intrigante non si esplica in piena libertà, come accade inve­ce nel teatro popolare. Qui, in quanto figura comica, è di casa. Co­si ad esempio il <<dottor Babra, giurista confusionario e favorito del re». Le sue «mattane politiche e la sua finta ingenuità ... con­feriscono alle Staatsaktionen una modesta capacità di divertire»60•

Con la figura dell'intrigante la comicità fa il suo ingresso nel dram­ma barocco. Dove peraltro non ha un puro carattere episodico. La comicità - o meglio: il puro divertimento - è il rovescio obbligato del lutto, che spunta qua e là come l'imbottitura dall'orlo o dalla fodera di un vestito. Il suo rappresentante, e colui che rappresen­ta il lutto, sono legati fra loro. «Nessun rancore, siamo buoni ami­ci, e anzi i signori colleghi non si faranno alcun male», dice Hans­wurst al «personaggio del tiranno Pelifonte di Messina»61

• Oppu­re, in chiave epigrammatica, su un'acquaforte raffigurante un palcoscenico con a sinistra un buffone e a destra un principe:

W ann die Biihne nu wird leer Gilt kein Narr und Konig mehr62

Poche volte, per non dire mai, l'estetica speculativa si è resa conto di quanto la comicità confini con l'orrore. A chi non è mai capitato di vedere i bambini ridere là dove l'adulto prova paura? Quell'inversione di ruoli fra il bambino.che ride e l'adulto terro­rizzato, che è propria del sadico, è dato di scorgerla nell'intrigan­te. Cosi fa Mone, nella sua magnifica descrizione del briccone in una sacra rappresentazione del '.300 sull'infanzia di Gesu. «Che

luto scarlatto e questa veste fiorita l E il raso nero, affinché dò che rallegra la mente, l E ciò che contrista il corpo,lo si possa leggere dai vestiti, l In cui la morte pallida recita l'ultimo atto].

"BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunstcit., p. 329. [Pralereyen Klag' Reden end­lich auch Begrabnise(n) und Grabschriften ... Meineid und Verratherrey ... Betriige und Practiken].

60 Die Glorreiche Marter Joannes von Nepomuck cit. in WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsactionen cit., pp. rr3 sgg.

•• STRANITZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 276 (Die gestUr.r.te Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, I, 8).

62 FILDOR, Trauer- Lust- und Misch-Spiele cit., frontespizio. [Quando il palco ormai è

vuoto l Non c'è piu buffone né re].

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IOO Il dramma barocco tedesco

ta tedesca, esso conserva in ogni caso quella eccentricità giocosa che è una presenza costante fra gli eroi del teatro di marionette. «Forse i cadaveri di Papiniano e di suo figlio ... venivano rappre­sentati da marionette? In ogni caso non potevano essere altro che burattini il cadavere trascinato di Leone, come anche le raffigura­zioni dei cadaveri di Cromwell, Irreton e Bradschaw appesi al pa­tibolo ... Anche l'orrida reliquia, la testa bruciata della nobile prin­cipessa di Georgia, rientra nello stesso quadro ... Nel prologo dell'Eternità alla Catharina si trovano sparsi sul pavimento tutta una serie di oggetti, simili forse a quelli che vediamo sul fronte­spizio dell'edizione del r657. Accanto allo scettro e al pastorale ve­diamo "gioielli, un quadro, oggetti di metallo e un documento eru­dito". Secondo le sue stesse parole l'Eternità ... calpesta il padre e il figlio. Se tutto ciò, come anche il principe che è stato appena nominato, veniva rappresentato davvero, poteva trattarsi solo di marionette>>'4• La filosofia politica a cui queste prospettive dove­vano apparire come sacrileghe ci fornisce la controprova. Leggia­mo in Salmasio: «Ce sont eux qui traittent les testes cles Roys com­me cles ballons, qui se ioiient cles Couronnes comme les enfans font d'vn cercle, qui considerent les Sceptres cles Princes comme cles marottes, et qui n'ont pas plus de veneration pour les liurées de la souueraine Magistrature, que pour cles quintaines»". Persino l'ap­parizione fisica degli attori, e soprattutto del Re, che si mostra nel­la sua pompa, poteva assumere un aspetto rigido e burattinesco.

Die Fiirsten denen ist der Purpur angebohrn Sind ohne Scepter kranck'6•

Questi versi di Lohenstein giustificano il paragone tra i sovra­ni della scena barocca ed i re delle carte da gioco. Nello stesso dramma Micipsa parla della caduta di Massinissa, «che era carico di corone»'7• E ancora Haugwitz:

Reicht uns den rothen Sammt und dies gebliimte Kleid Und schwartzen AtlaB daB man was den Sinn erfreut Und was den Leib betriibt kan auff den Kleidern lesen Und sehet wer wir sind in diesem Spie! gewesen Indem der blasse T od den letzten Auffzug macht'8•

,. FLIÌMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. 22 r. "SALMASIO, Apologie royale pour Charles I cit., p. 2.5. ,. LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele dt., p. 269 (Sophonisbe, I, 322 sgg.). [l prin­

cipi, ai quali la porpora è innata, l Senza scettro sono privi di forza]. "Ibid., p. 262 (Sophonisbe, I, 89). "HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuarda, p. 63 [V, 75 sgg.]). [Porgeteci il vel-

Dramma e tragedia (n) IOI

Fra i vari caratteri della Staatsaktion elencati da Horn, il piu ri­levante per lo studio del dramma barocco è l'intrigo di palazzo. Es­so svolge un suo ruolo anche nel dramma di genere alto: accanto alle «millanterie», ai «lamenti», alle «sepolture» e agli «epitaffi», Birken cita fra i temi del Trauerspiel anche «spergiuri e tradimen­ti ... inganni e raggiri»'9• Ma nel dramma colto la figura del consi­gliere intrigante non si esplica in piena libertà, come accade inve­ce nel teatro popolare. Qui, in quanto figura comica, è di casa. Co­si ad esempio il <<dottor Babra, giurista confusionario e favorito del re». Le sue «mattane politiche e la sua finta ingenuità ... con­feriscono alle Staatsaktionen una modesta capacità di divertire»60•

Con la figura dell'intrigante la comicità fa il suo ingresso nel dram­ma barocco. Dove peraltro non ha un puro carattere episodico. La comicità - o meglio: il puro divertimento - è il rovescio obbligato del lutto, che spunta qua e là come l'imbottitura dall'orlo o dalla fodera di un vestito. Il suo rappresentante, e colui che rappresen­ta il lutto, sono legati fra loro. «Nessun rancore, siamo buoni ami­ci, e anzi i signori colleghi non si faranno alcun male», dice Hans­wurst al «personaggio del tiranno Pelifonte di Messina»61

• Oppu­re, in chiave epigrammatica, su un'acquaforte raffigurante un palcoscenico con a sinistra un buffone e a destra un principe:

W ann die Biihne nu wird leer Gilt kein Narr und Konig mehr62

Poche volte, per non dire mai, l'estetica speculativa si è resa conto di quanto la comicità confini con l'orrore. A chi non è mai capitato di vedere i bambini ridere là dove l'adulto prova paura? Quell'inversione di ruoli fra il bambino.che ride e l'adulto terro­rizzato, che è propria del sadico, è dato di scorgerla nell'intrigan­te. Cosi fa Mone, nella sua magnifica descrizione del briccone in una sacra rappresentazione del '.300 sull'infanzia di Gesu. «Che

luto scarlatto e questa veste fiorita l E il raso nero, affinché dò che rallegra la mente, l E ciò che contrista il corpo,lo si possa leggere dai vestiti, l In cui la morte pallida recita l'ultimo atto].

"BIRKEN, Deutsche Redebind- und Dichtkunstcit., p. 329. [Pralereyen Klag' Reden end­lich auch Begrabnise(n) und Grabschriften ... Meineid und Verratherrey ... Betriige und Practiken].

60 Die Glorreiche Marter Joannes von Nepomuck cit. in WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsactionen cit., pp. rr3 sgg.

•• STRANITZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 276 (Die gestUr.r.te Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, I, 8).

62 FILDOR, Trauer- Lust- und Misch-Spiele cit., frontespizio. [Quando il palco ormai è

vuoto l Non c'è piu buffone né re].

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102 Il dramma baxocco tedesco

in questo personaggio ci siano i presupposti di un buffone di cor­te, è chiaro ... Qual è il tratto fo,ndamentale .deJ suo caratt~re? La derisione dell'umana superbia. E questo a distmguerlo dru. buffo: ni sconclusionati dell'epoca successiva. Hanswurst ha qualcosa di innocuo, questo vecchio briccone ha invece un sarcasmo morda­ce, provocatorio, che lo sospinge indirett~m~nte .verso l'orrore dell'infanticidio. C'è in questo qualcosa di diabolico, e solo ~er questo, per il fatto di essere in certo modo un pezzo del dem?~o, il briccone ha la sua parte nello spettacolo: per mandare ali aria, se mai fosse possibile, la redenzione, uccidendo il Bambino Ge­su»63. Ed è conforme alla secolarizzazione operata dal dramma ba­rocco il fatto che sia qui un funzionario a prendere il posto del dia­volo. Proprio alla figura del briccone.si richiama del rest~- e~ ciò non è forse estraneo il passo citato d1 Mone - la carattenzzaz10ne dell'intrigante in un saggio sulla Haupt- und Staatsaktion vienne: se. Lo Hanswurst delle Staatsaktionen si presentava «con le armi dell'ironia e dello scherno, si prendeva abitualmente gioco d~i suoi colleghi - come Scapino e Riepl - e non esitava a tenere lru stes­so le fila dell'intrigo ... Come ora nel teatro profano, già ne~e sa­cre rappresentazioni del xv secolo er~ il bric~one a ~volgere il ruo­lo comico, e anche allora, come ogg1, tale figura s1 adattava per­fettamente alla cornice dello spettacolo ed esercitava un peso decisivo sugli sviluppi dell'azione»64

• La parte tuttavia non è, co­me queste parole sembrano suggerire, una combir~.a~ior:e di el~­menti eterogenei. Lo scherzo crudele è n'?n m~r:o or1gmar1~ ~el di­vertimento innocente: le due cose sono m ongme molto v1cme, e il dramma barocco, che spesso cammina sÙi trampoli, deve proprio alla figura dell'intrigante il contatto vitale col terre~o .delle espe­rienze oniriche piu profonde. Ma se _i ~ue elementi, ,il ~u.tt? d.~l principe e la buffoneria del suo consigliere, sono cosi VlClnl, c1o accade infine solo perché in essi sono rappresentate le due pro­vince del regno di Satana. E il lutto, la cui falsa sacralità rende co­si minaccioso lo sprofondare dell'uomo etico, appare nella sua de­solazione non del tutto disperato se lo confrontiamo con la buffo­neria, da cui spunta inconfondibile il ghigno del demonio. Poche cose segnano cosi implacabilmente i confini del dramma barocco tedesco come il fatto di aver lasciato al teatro popolare l'elabora­zione di un motivo cosi pregnante. In Inghilterra invece Shake-

"MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters cit., p. 136. .., WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 48.

Dramma e tragedia (n) 103

speare ha modellato personaggi, come J ago e Polonia sul vecchio schema del buffone demoniaco. E con questi personaggi che la. com­media trapassa nel dranuna. L'affinità tra le due forme- il cui le-. game non consiste solo nei passaggi empirici dall'una all'altra, ma in una legge formale rigorosa, cosf come tragedia e commedia sono per natura opposte - è tale che la commedia emigra nel dramma: mai il dramma potrebbe svilupparsi in commedia. L'immagine del­lo «sviluppo» è ben fondata: la commedia si rimpicciolisce ed entra per cosi dire nel dramma. «Io creatura terrena e trastullo della mor­talità»6', scrive Lohenstein. E di nuovo bisogna pensare al rimpic­ciolimento degli oggetti riflessi. Il personaggio comico è un ragio­natore: nella sua riflessione diventa la marionetta di se stesso. Il dramma barocco non raggiunge i suoi vertici negli esempi canoni­ci, ma in quei passaggi giocosi dove si fa avvertire il timbro della commedia. Ed è per questo che Shakespeare e Calder6n hanno com­posto drammi piu significativi degli autori tedeschi del '6oo, i qua­li non sono mai andati oltre alla rigidità del tipo. Poiché «comme­dia e dramma guadagnano molto e in fondo cominciano a diventa­re poetici soltanto attraverso una delicata connessione simbolica»66

,

dice Novalis, cogliendo senz'altro la verità, almeno per quel che ri­guarda il dramma. Nel genio di Shakespeare egli vede soddisfatta tale esigenza. «<n Shakespeare la poesia si ·alterna all'an ti poesia, l'armonia alla disarmonia, l'ordinario, il volgare, il brutto al ro­mantico, al nobile e al bello, il reale all'invenzione: è esattamente l'opposto del dramma greco»67. In effetti, proprio la gravità del dramma barocco tedesco potrebbe essere uno dei pochi tratti spie­gabili con un rimando al dramma greco, anche se in nessun caso de­rivabili da quello. Sotto l'influsso di Shakespeare lo Sturm und Drang ha cercato di far emergere il nocciolo· comico del dramma, ed ecco allora riappatire il personaggio comico dell'intrigante.

La storia della letteratura tedesca si accosta al genere del dram­ma barocco, alle Haupt- und Staatsaktionen, al dramma dello Sturm und Drang, alla tragedia del destino, con una ruvidezza che non nasce tanto dall'incomprensione quanto da un'animosità specifi­ca verso i fermenti metafisici di questa forma. Tra i generi che ab­biamo nominato, nessuno sembra meritare questa ruvidezza, o

"'LOHENSTEIN, Blumen cit. (Hyacinthen), p. 47 [!eh irrdisches Geschopff und Schertz der Sterblichkeit].

"NOVAUS, Schriften, a cura di J. Minor, Jena 1907, vol. III, p. 4· "Ibid., p. 20.

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in questo personaggio ci siano i presupposti di un buffone di cor­te, è chiaro ... Qual è il tratto fo,ndamentale .deJ suo caratt~re? La derisione dell'umana superbia. E questo a distmguerlo dru. buffo: ni sconclusionati dell'epoca successiva. Hanswurst ha qualcosa di innocuo, questo vecchio briccone ha invece un sarcasmo morda­ce, provocatorio, che lo sospinge indirett~m~nte .verso l'orrore dell'infanticidio. C'è in questo qualcosa di diabolico, e solo ~er questo, per il fatto di essere in certo modo un pezzo del dem?~o, il briccone ha la sua parte nello spettacolo: per mandare ali aria, se mai fosse possibile, la redenzione, uccidendo il Bambino Ge­su»63. Ed è conforme alla secolarizzazione operata dal dramma ba­rocco il fatto che sia qui un funzionario a prendere il posto del dia­volo. Proprio alla figura del briccone.si richiama del rest~- e~ ciò non è forse estraneo il passo citato d1 Mone - la carattenzzaz10ne dell'intrigante in un saggio sulla Haupt- und Staatsaktion vienne: se. Lo Hanswurst delle Staatsaktionen si presentava «con le armi dell'ironia e dello scherno, si prendeva abitualmente gioco d~i suoi colleghi - come Scapino e Riepl - e non esitava a tenere lru stes­so le fila dell'intrigo ... Come ora nel teatro profano, già ne~e sa­cre rappresentazioni del xv secolo er~ il bric~one a ~volgere il ruo­lo comico, e anche allora, come ogg1, tale figura s1 adattava per­fettamente alla cornice dello spettacolo ed esercitava un peso decisivo sugli sviluppi dell'azione»64

• La parte tuttavia non è, co­me queste parole sembrano suggerire, una combir~.a~ior:e di el~­menti eterogenei. Lo scherzo crudele è n'?n m~r:o or1gmar1~ ~el di­vertimento innocente: le due cose sono m ongme molto v1cme, e il dramma barocco, che spesso cammina sÙi trampoli, deve proprio alla figura dell'intrigante il contatto vitale col terre~o .delle espe­rienze oniriche piu profonde. Ma se _i ~ue elementi, ,il ~u.tt? d.~l principe e la buffoneria del suo consigliere, sono cosi VlClnl, c1o accade infine solo perché in essi sono rappresentate le due pro­vince del regno di Satana. E il lutto, la cui falsa sacralità rende co­si minaccioso lo sprofondare dell'uomo etico, appare nella sua de­solazione non del tutto disperato se lo confrontiamo con la buffo­neria, da cui spunta inconfondibile il ghigno del demonio. Poche cose segnano cosi implacabilmente i confini del dramma barocco tedesco come il fatto di aver lasciato al teatro popolare l'elabora­zione di un motivo cosi pregnante. In Inghilterra invece Shake-

"MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters cit., p. 136. .., WEISS, Die Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 48.

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speare ha modellato personaggi, come J ago e Polonia sul vecchio schema del buffone demoniaco. E con questi personaggi che la. com­media trapassa nel dranuna. L'affinità tra le due forme- il cui le-. game non consiste solo nei passaggi empirici dall'una all'altra, ma in una legge formale rigorosa, cosf come tragedia e commedia sono per natura opposte - è tale che la commedia emigra nel dramma: mai il dramma potrebbe svilupparsi in commedia. L'immagine del­lo «sviluppo» è ben fondata: la commedia si rimpicciolisce ed entra per cosi dire nel dramma. «Io creatura terrena e trastullo della mor­talità»6', scrive Lohenstein. E di nuovo bisogna pensare al rimpic­ciolimento degli oggetti riflessi. Il personaggio comico è un ragio­natore: nella sua riflessione diventa la marionetta di se stesso. Il dramma barocco non raggiunge i suoi vertici negli esempi canoni­ci, ma in quei passaggi giocosi dove si fa avvertire il timbro della commedia. Ed è per questo che Shakespeare e Calder6n hanno com­posto drammi piu significativi degli autori tedeschi del '6oo, i qua­li non sono mai andati oltre alla rigidità del tipo. Poiché «comme­dia e dramma guadagnano molto e in fondo cominciano a diventa­re poetici soltanto attraverso una delicata connessione simbolica»66

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dice Novalis, cogliendo senz'altro la verità, almeno per quel che ri­guarda il dramma. Nel genio di Shakespeare egli vede soddisfatta tale esigenza. «<n Shakespeare la poesia si ·alterna all'an ti poesia, l'armonia alla disarmonia, l'ordinario, il volgare, il brutto al ro­mantico, al nobile e al bello, il reale all'invenzione: è esattamente l'opposto del dramma greco»67. In effetti, proprio la gravità del dramma barocco tedesco potrebbe essere uno dei pochi tratti spie­gabili con un rimando al dramma greco, anche se in nessun caso de­rivabili da quello. Sotto l'influsso di Shakespeare lo Sturm und Drang ha cercato di far emergere il nocciolo· comico del dramma, ed ecco allora riappatire il personaggio comico dell'intrigante.

La storia della letteratura tedesca si accosta al genere del dram­ma barocco, alle Haupt- und Staatsaktionen, al dramma dello Sturm und Drang, alla tragedia del destino, con una ruvidezza che non nasce tanto dall'incomprensione quanto da un'animosità specifi­ca verso i fermenti metafisici di questa forma. Tra i generi che ab­biamo nominato, nessuno sembra meritare questa ruvidezza, o

"'LOHENSTEIN, Blumen cit. (Hyacinthen), p. 47 [!eh irrdisches Geschopff und Schertz der Sterblichkeit].

"NOVAUS, Schriften, a cura di J. Minor, Jena 1907, vol. III, p. 4· "Ibid., p. 20.

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104 Il dramma barocco tedesco

meglio questo disprez~o, piu. del dra~ma d~l.destin~. Almeno a giudicare dal livello di alcuru prod?ttl ~ardivi. ~a l argomenta­zione addotta poggia sullo schema di qu<:I dr~mt, ~no? s~a. gr~­cile fattura dei dettagli. E invece proprio di questi ultlml ~md!: spensabile occuparsi, dal momento che lo schema, come si è gia accennato è cosi vicino a quello del dramma barocco da poter es­sere conc;pito come una sua variante. Ciò appare in tutta,chia­rezza e in tutto il suo significato nell'opera di Calderén. E im­possibile affrontare questa fiorente provincia del dramma la­gnandosi della presunta limitatez~a del suo sovr.ano, co~e ha tentato di fare la teoria del tragico di Volkelt, semplicemente Igno­rando i veri problemi posti dal suo oggetto. «N~n si [dovr~bbe] dimenticare- dice Volkelt- che questo poeta [visse] sotto il pe­so di una fede arcicattolica e di un concetto dell'onore spinto fi. no all'assurdità»68 • A questo genere di osserva~ioni ha già. risp~­sto Goèthe: «Si pensi a Shakespeare e a Calderon! Davllll:ti altri­bunale estetico supremo essi compaiono s~nza ~ac~hia,. e se qualche spirito sottile si ostinasse ~d ac~usarli per via di cer~I pas­si essi mostrerebbero con un sorriso limmagme della nazwne e d~ll'epoca per le quali hanno operato, e ne otterrebbero non ~olo indulgenza ma nuovi allori, per il fa~to ?i aver saputo adatt~si co­si felicemente ad esse»69

• Goethe mvita dunque allo studio del drammaturgo spagnolo non per scusarne i limiti, ma per impara­re a comprenderne la peculiare assolutezza. Questo riguardo è a~- · solutamente decisivo per la comprensione del dramma del desti­no. Il destino infatti non è un puro evento naturale, cosi come non è un puro evento storico. Per quanto possa travestirsi in forme pa­gane mitologiche il destino trova il suo pieno significato solo co­me ~ategoria sto;ico-naturale nel quadro della teologia contro­riformista. Esso è la potenza naturale elementare nell'accadere storico un accadere che non è soltanto natura perché lo stato crea­turale ;iflette ancora il sole della Grazia. Ma lo riflette nella pa­lude della colpa adamitica. Non è infatti l'ineludi~ile co~ca.ten~­zione causale in sé ad essere fatale. E per quanto si contmui art· peterlo, non sarà mai vero che il compito del drammaturgo è _di rappresentare in teatro un evento come causalmente necessariO. Come potrebbe l'arte dare sostegno a una tesi, la cui dife.sa è ~om: pito del determinismo? Se un'opera d'arte deve accogliere m se

68 VOLKELT, Asthetik des Tragischen cit., p. 460. · · 69 GOETHE, Siimt/iche Werke cit., vol. XXXIV: Schri/ten :r.ur Kunst, z, pp. 165 sgg. (Ra·

meaus Nel/e, Ein Dialog von Diderot, note).

Dramma e tragedia (n) 105

determinazioni filosofiche, queste saranno tali da avere per og­getto il senso dell'esistenza, mentre le teorie sulla legalità ogget­tiva dell'ordine cosmico, malgrado la loro portata universale, non avranno per l'arte alcun rilievo. La visione del determinismo non può condizionare nessuna forma d'arte. N o n cosi la nozione di de­stino, il cui contenuto decisivo è da cercare nel significato eterno di quella determinatezza. A partire da questo significato, essa non ha alcun bisogno di compiersi secondo leggi naturali: anche un mi­racolo può mostrarne benissimo il senso. T al e senso non risiede in una inevitabilità fattuale. Il nocciolo dell'idea di destino è piut­tosto la convinzione che la colpa, ossia in questo contesto la col­pa creaturale - e cristianamente: il peccato originale - non consi­sta in un errore morale di colui che agisce, in un fenomeno, ma­gari di poco peso, capace di mettere in moto una serie inarrestabile di fatalità. Il destino è l'entelechia dell'accadere nell'ambito del­la colpa. È questo campo energetico a contraddistinguerlo, un cam­po in cui ogni situazione ed occasione si intensifica all'estremo, e gli intrecci, ad esempio dell'onore, stanno a significare con la lo­ro paradossale frenesia: un destino ha galvanizzato questo gioco. Chi pensasse: «Se ci imbattiamo in casi inverosimili, in situazio­ni lambiccate, in intrighi troppo complicati ... l'impressione di fa­talità ... viene meno»70

, sarebbe completamente fuori strada. Per­ché proprio le combinazioni piu remote, che qui non sono affatto innaturali, cor!ispondono ai diversi destini nei diversi campi dell'accadere. E vero che alla tragedia tedesca del destino manca­va il campo di quelle idee che la rappresentazione del destino ri­chiede. L'intenzione teologica di un Werner non poteva com­pensare la mancanza di un codice pagano-cattolico, come quello che in Calderén sottopone anche i piccoli fatti della vita all'azio­ne di un destino astrale opptire magico. Nell'opera del dramma­turgo spagnolo, invece, il destino si svolge come spirito elemen­tare della storia, ed è logico che soltanto il re, il grande restaura­tore dell'ordine cosmico alterato, possa appianarlo. Il destino astrale, la maestà del sovrano: ecco i poli del mondo di Calderén. Il dramma barocco tedesco si caratterizza invece per la sua gran­de povertà di rappresentazioni non-cristiane. Per questo - si sa­rebbe quasi tentati di dire: solo per questo - non poté trasformarsi in dramma del destino. Colpisce in particolare fino a che punto la proba cristianità abbia rimosso la materia astrologica. Se il Mas-

10 VOLKELT, Asthetik des Tragischen cit., p. 125.

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meglio questo disprez~o, piu. del dra~ma d~l.destin~. Almeno a giudicare dal livello di alcuru prod?ttl ~ardivi. ~a l argomenta­zione addotta poggia sullo schema di qu<:I dr~mt, ~no? s~a. gr~­cile fattura dei dettagli. E invece proprio di questi ultlml ~md!: spensabile occuparsi, dal momento che lo schema, come si è gia accennato è cosi vicino a quello del dramma barocco da poter es­sere conc;pito come una sua variante. Ciò appare in tutta,chia­rezza e in tutto il suo significato nell'opera di Calderén. E im­possibile affrontare questa fiorente provincia del dramma la­gnandosi della presunta limitatez~a del suo sovr.ano, co~e ha tentato di fare la teoria del tragico di Volkelt, semplicemente Igno­rando i veri problemi posti dal suo oggetto. «N~n si [dovr~bbe] dimenticare- dice Volkelt- che questo poeta [visse] sotto il pe­so di una fede arcicattolica e di un concetto dell'onore spinto fi. no all'assurdità»68 • A questo genere di osserva~ioni ha già. risp~­sto Goèthe: «Si pensi a Shakespeare e a Calderon! Davllll:ti altri­bunale estetico supremo essi compaiono s~nza ~ac~hia,. e se qualche spirito sottile si ostinasse ~d ac~usarli per via di cer~I pas­si essi mostrerebbero con un sorriso limmagme della nazwne e d~ll'epoca per le quali hanno operato, e ne otterrebbero non ~olo indulgenza ma nuovi allori, per il fa~to ?i aver saputo adatt~si co­si felicemente ad esse»69

• Goethe mvita dunque allo studio del drammaturgo spagnolo non per scusarne i limiti, ma per impara­re a comprenderne la peculiare assolutezza. Questo riguardo è a~- · solutamente decisivo per la comprensione del dramma del desti­no. Il destino infatti non è un puro evento naturale, cosi come non è un puro evento storico. Per quanto possa travestirsi in forme pa­gane mitologiche il destino trova il suo pieno significato solo co­me ~ategoria sto;ico-naturale nel quadro della teologia contro­riformista. Esso è la potenza naturale elementare nell'accadere storico un accadere che non è soltanto natura perché lo stato crea­turale ;iflette ancora il sole della Grazia. Ma lo riflette nella pa­lude della colpa adamitica. Non è infatti l'ineludi~ile co~ca.ten~­zione causale in sé ad essere fatale. E per quanto si contmui art· peterlo, non sarà mai vero che il compito del drammaturgo è _di rappresentare in teatro un evento come causalmente necessariO. Come potrebbe l'arte dare sostegno a una tesi, la cui dife.sa è ~om: pito del determinismo? Se un'opera d'arte deve accogliere m se

68 VOLKELT, Asthetik des Tragischen cit., p. 460. · · 69 GOETHE, Siimt/iche Werke cit., vol. XXXIV: Schri/ten :r.ur Kunst, z, pp. 165 sgg. (Ra·

meaus Nel/e, Ein Dialog von Diderot, note).

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determinazioni filosofiche, queste saranno tali da avere per og­getto il senso dell'esistenza, mentre le teorie sulla legalità ogget­tiva dell'ordine cosmico, malgrado la loro portata universale, non avranno per l'arte alcun rilievo. La visione del determinismo non può condizionare nessuna forma d'arte. N o n cosi la nozione di de­stino, il cui contenuto decisivo è da cercare nel significato eterno di quella determinatezza. A partire da questo significato, essa non ha alcun bisogno di compiersi secondo leggi naturali: anche un mi­racolo può mostrarne benissimo il senso. T al e senso non risiede in una inevitabilità fattuale. Il nocciolo dell'idea di destino è piut­tosto la convinzione che la colpa, ossia in questo contesto la col­pa creaturale - e cristianamente: il peccato originale - non consi­sta in un errore morale di colui che agisce, in un fenomeno, ma­gari di poco peso, capace di mettere in moto una serie inarrestabile di fatalità. Il destino è l'entelechia dell'accadere nell'ambito del­la colpa. È questo campo energetico a contraddistinguerlo, un cam­po in cui ogni situazione ed occasione si intensifica all'estremo, e gli intrecci, ad esempio dell'onore, stanno a significare con la lo­ro paradossale frenesia: un destino ha galvanizzato questo gioco. Chi pensasse: «Se ci imbattiamo in casi inverosimili, in situazio­ni lambiccate, in intrighi troppo complicati ... l'impressione di fa­talità ... viene meno»70

, sarebbe completamente fuori strada. Per­ché proprio le combinazioni piu remote, che qui non sono affatto innaturali, cor!ispondono ai diversi destini nei diversi campi dell'accadere. E vero che alla tragedia tedesca del destino manca­va il campo di quelle idee che la rappresentazione del destino ri­chiede. L'intenzione teologica di un Werner non poteva com­pensare la mancanza di un codice pagano-cattolico, come quello che in Calderén sottopone anche i piccoli fatti della vita all'azio­ne di un destino astrale opptire magico. Nell'opera del dramma­turgo spagnolo, invece, il destino si svolge come spirito elemen­tare della storia, ed è logico che soltanto il re, il grande restaura­tore dell'ordine cosmico alterato, possa appianarlo. Il destino astrale, la maestà del sovrano: ecco i poli del mondo di Calderén. Il dramma barocco tedesco si caratterizza invece per la sua gran­de povertà di rappresentazioni non-cristiane. Per questo - si sa­rebbe quasi tentati di dire: solo per questo - non poté trasformarsi in dramma del destino. Colpisce in particolare fino a che punto la proba cristianità abbia rimosso la materia astrologica. Se il Mas-

10 VOLKELT, Asthetik des Tragischen cit., p. 125.

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I o6 Il dramma barocco tedesco

sinissa di Lohenstein osserva: «Nessuno può .vin~e~e gli infl~ssi del cielo»71

, o se !'«accordo delle stelle e degh arumi» suggensce un richiamo alle dottrine egizie sulla dipendenza della natura dal corso degli astrF2

, questi rimangono casi, isolati ed ide~l<?gici. Il Medioevo invece - quasi a compensare. l errore della ~It~ca mo­derna che considera il dramma del destmo dal punto di vista del tragico - cerca la fatalità astrologica, nella traged!~ greca. Essa è concepita da Ildeberto da Tours nell ~secolo «gia tu~ta n~l sen­so di quella caricatura a cui la concezione moderna l ha ndotta nella "tragedia del destino". In un .~enso c~oè pura;nente me~ca­nico o secondo quella che era all?ra limmagme d~~ante dell an­tichità pagana: in senso astrologico. Ildeberto def~ce_la sua (pW.:­troppo incompleta) rielaborazione del problema di Edipo come lz­ber mathematicus13

• Il destino corre incontro alla morte. Esso non è punizione ma espiazione, un'espressione d~ come la vita segna­ta dalla colpa sia sottomessa alla legge della vita naturale. Nel ~e­stino e nel dramma del destino la colpa è di casa, quella colpa m­torno alla quale si è spesso raccolta la teoria del tragico. Questa colpa che secondo gli antichi statuti doveva ricadere sull'uomo dall';sterno, attraverso la sventura, nel corso cl,ell'ev~nto tragico un eroe la assume su di sé e nel proprio interno. E nflettendola nella propria autocoscienza egli si libera della stia sovranità de­monica. Se negli eroi tragici si è cercata la «consapevolezza del loro destino dialettico», se nelle riflessioni trag~che si è trovato un «razionalismo mistico»7

\ forse- per quanto~ contes~o possa farne dubitare e renda estremamente problemattche tali espres­sioni - si è pensato alla nuova colpa tragica dell'eroe. Paradossa­le come tutte le manifestazioni dell'ordine tragico, essa consiste solo nell'orgogliosa coscienza della colpa, nella quale il soggetto eroico si libera della schiavitu che lega l' «innocente» alla colpa demonica. Nel senso dell'eroe tragico, e solo in questo, vale l'af­fermazione di Lukacs: «Se si guarda dall'esterno, non c'è colpa alcuna, perché non può esserci; ciascuno vede la colpa dell'altro come irretimento e caso, come qualcosa che avrebbe potuto esse­re modificato da ogni minimo soffio di vento. Ma per mezzo del-

71 Cfr. LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 320 (Sophonisbe, IV, 242). [Des Himmels Reitzungen kan niemand tiberwinden].

n Cfr. m., B/umen cit. (Rosen), pp. 130 sgg. [Ve~einbarung der Sterne und der Gemlither]. . .

" KARL BORINSKI Die Antike in Poetik und Kunsttheone et t., p. 2 I. 7' LUK.ks, Die S~le und die Formen cit., pP. 332 sgg.; trad. it. cit., p. 328.

Dramma e tragedia (rr) 107

la colpa l'uomo dice di sf a tutto ciò che gli è accaduto ... Gli uo­mini sublimi ... non si lasciano sfuggire nulla che per una volta sia entrato nella loro esistenza: perciò essi hanno la tragedia co­me loro privilegiçn>75

• Abbiamo cosi una variante della celebre frase di Hegel: «E il xanto dei grandi caratteri assumersi la col­pa dei propri atti»76

• E sempre questa la colpa di coloro che so­no colpevoli non con l'azione ma con la volontà, mentre nell' am­bito del destino demonico non è altro che l'atto, con la sua irri­soria casualità, a trascinare gli incolpevoli nell'abisso della colpa universale77

• L'antica maledizione, tramandata da una genera­zione all'altra, nella poesia tragica diventa il patrimonio interio­re del personaggio eroico. E cosi si estingue. Mentre nel dram­ma del destino essa continua ad agire, ed è appunto questa di­stinzione fra tragedia e dramma a chiarire l'osservazione secondo cui «il tragico» è solito «tirare di qua e di là come uno spirito ca­priccioso i personaggi delle "tragedie" cruente»78 • «Il soggetto del destino è indeterminabile»79

• Perciò il dramma barocco non conosce eroi, ma soltanto costellazioni. La maggioranza dei pro­tagonisti che incontriamo nei drammi barocchi - Leone e Balbo nel Leo Armenius, Caterina e Chach Abas nella Catharina von Georgien, Cardenio e Celinde nel dramma omonimo, Nerone e Agrippina, Massinissa e Sofonisba in Lohenstein - non sono tra­gici, ma adeguati al dramma luttuoso.

La fatalità non si distribuisce soltanto fra i personaggi, ma re­gna anche sulle cose. «Caratteristico della tragedia del destino è non solo il tramandarsi di una maledizione o di una colpa per in­tere generazioni, ma anche la sua connessione con ... un oggetto fatale»8

". Perché sulla vita umana, una volta che sia sprofondata nel dominio puramente creaturale, acquista potere anche quella

7' Ibid., pp. 355 sgg.; trad. it. cit., pp. :;:;o sgg. .

76 GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Vor!esungen uber die Asthetik, a cura di H. Glock­

ner, Stuttgart 1928, p. 553; trad. it. cit., p. 161o. 77 Cfr. W ALTER BENJAMIN, Zur Kritik der Gewalt, in «Archiv fiir Sozialwissenschaft und

Sozialpolitik», XLVII (I920·2I), p. 828 (n.:;, agosto 1921) (ora in Schriften cit., I, pp. 24 sgg.; trad. it. in Angelus Novus cit., pp. 5 sgg.).

73 EHRENBERG, Tragodie und Kreuz cit., vol. II, p. 53·

,. BENJAMIN, Schicksal und Charakter cit., p. 192 (ora in Schriften cit., I, p. 35; trad. it. cit., p. 33). Cfr. in generale BENJAMIN, Goethes Wahlverwandtschaften cit., pp. 98 sgg. (ora in Schriften cit., I, pp. 69 sgg.; trad. it. cit., pp. 170 sgg.), e inoltre Schicksal und Charak­tercit., pp. 189-92 (ora inSchriften cit., I, pp. 33-:;6; trad. it. cit., pp. 31-33).

30 MINOR, DieSchicksal-TragOdie in ihren Hauptvertretem cit., pp. 75 sgg.

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I o6 Il dramma barocco tedesco

sinissa di Lohenstein osserva: «Nessuno può .vin~e~e gli infl~ssi del cielo»71

, o se !'«accordo delle stelle e degh arumi» suggensce un richiamo alle dottrine egizie sulla dipendenza della natura dal corso degli astrF2

, questi rimangono casi, isolati ed ide~l<?gici. Il Medioevo invece - quasi a compensare. l errore della ~It~ca mo­derna che considera il dramma del destmo dal punto di vista del tragico - cerca la fatalità astrologica, nella traged!~ greca. Essa è concepita da Ildeberto da Tours nell ~secolo «gia tu~ta n~l sen­so di quella caricatura a cui la concezione moderna l ha ndotta nella "tragedia del destino". In un .~enso c~oè pura;nente me~ca­nico o secondo quella che era all?ra limmagme d~~ante dell an­tichità pagana: in senso astrologico. Ildeberto def~ce_la sua (pW.:­troppo incompleta) rielaborazione del problema di Edipo come lz­ber mathematicus13

• Il destino corre incontro alla morte. Esso non è punizione ma espiazione, un'espressione d~ come la vita segna­ta dalla colpa sia sottomessa alla legge della vita naturale. Nel ~e­stino e nel dramma del destino la colpa è di casa, quella colpa m­torno alla quale si è spesso raccolta la teoria del tragico. Questa colpa che secondo gli antichi statuti doveva ricadere sull'uomo dall';sterno, attraverso la sventura, nel corso cl,ell'ev~nto tragico un eroe la assume su di sé e nel proprio interno. E nflettendola nella propria autocoscienza egli si libera della stia sovranità de­monica. Se negli eroi tragici si è cercata la «consapevolezza del loro destino dialettico», se nelle riflessioni trag~che si è trovato un «razionalismo mistico»7

\ forse- per quanto~ contes~o possa farne dubitare e renda estremamente problemattche tali espres­sioni - si è pensato alla nuova colpa tragica dell'eroe. Paradossa­le come tutte le manifestazioni dell'ordine tragico, essa consiste solo nell'orgogliosa coscienza della colpa, nella quale il soggetto eroico si libera della schiavitu che lega l' «innocente» alla colpa demonica. Nel senso dell'eroe tragico, e solo in questo, vale l'af­fermazione di Lukacs: «Se si guarda dall'esterno, non c'è colpa alcuna, perché non può esserci; ciascuno vede la colpa dell'altro come irretimento e caso, come qualcosa che avrebbe potuto esse­re modificato da ogni minimo soffio di vento. Ma per mezzo del-

71 Cfr. LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 320 (Sophonisbe, IV, 242). [Des Himmels Reitzungen kan niemand tiberwinden].

n Cfr. m., B/umen cit. (Rosen), pp. 130 sgg. [Ve~einbarung der Sterne und der Gemlither]. . .

" KARL BORINSKI Die Antike in Poetik und Kunsttheone et t., p. 2 I. 7' LUK.ks, Die S~le und die Formen cit., pP. 332 sgg.; trad. it. cit., p. 328.

Dramma e tragedia (rr) 107

la colpa l'uomo dice di sf a tutto ciò che gli è accaduto ... Gli uo­mini sublimi ... non si lasciano sfuggire nulla che per una volta sia entrato nella loro esistenza: perciò essi hanno la tragedia co­me loro privilegiçn>75

• Abbiamo cosi una variante della celebre frase di Hegel: «E il xanto dei grandi caratteri assumersi la col­pa dei propri atti»76

• E sempre questa la colpa di coloro che so­no colpevoli non con l'azione ma con la volontà, mentre nell' am­bito del destino demonico non è altro che l'atto, con la sua irri­soria casualità, a trascinare gli incolpevoli nell'abisso della colpa universale77

• L'antica maledizione, tramandata da una genera­zione all'altra, nella poesia tragica diventa il patrimonio interio­re del personaggio eroico. E cosi si estingue. Mentre nel dram­ma del destino essa continua ad agire, ed è appunto questa di­stinzione fra tragedia e dramma a chiarire l'osservazione secondo cui «il tragico» è solito «tirare di qua e di là come uno spirito ca­priccioso i personaggi delle "tragedie" cruente»78 • «Il soggetto del destino è indeterminabile»79

• Perciò il dramma barocco non conosce eroi, ma soltanto costellazioni. La maggioranza dei pro­tagonisti che incontriamo nei drammi barocchi - Leone e Balbo nel Leo Armenius, Caterina e Chach Abas nella Catharina von Georgien, Cardenio e Celinde nel dramma omonimo, Nerone e Agrippina, Massinissa e Sofonisba in Lohenstein - non sono tra­gici, ma adeguati al dramma luttuoso.

La fatalità non si distribuisce soltanto fra i personaggi, ma re­gna anche sulle cose. «Caratteristico della tragedia del destino è non solo il tramandarsi di una maledizione o di una colpa per in­tere generazioni, ma anche la sua connessione con ... un oggetto fatale»8

". Perché sulla vita umana, una volta che sia sprofondata nel dominio puramente creaturale, acquista potere anche quella

7' Ibid., pp. 355 sgg.; trad. it. cit., pp. :;:;o sgg. .

76 GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Vor!esungen uber die Asthetik, a cura di H. Glock­

ner, Stuttgart 1928, p. 553; trad. it. cit., p. 161o. 77 Cfr. W ALTER BENJAMIN, Zur Kritik der Gewalt, in «Archiv fiir Sozialwissenschaft und

Sozialpolitik», XLVII (I920·2I), p. 828 (n.:;, agosto 1921) (ora in Schriften cit., I, pp. 24 sgg.; trad. it. in Angelus Novus cit., pp. 5 sgg.).

73 EHRENBERG, Tragodie und Kreuz cit., vol. II, p. 53·

,. BENJAMIN, Schicksal und Charakter cit., p. 192 (ora in Schriften cit., I, p. 35; trad. it. cit., p. 33). Cfr. in generale BENJAMIN, Goethes Wahlverwandtschaften cit., pp. 98 sgg. (ora in Schriften cit., I, pp. 69 sgg.; trad. it. cit., pp. 170 sgg.), e inoltre Schicksal und Charak­tercit., pp. 189-92 (ora inSchriften cit., I, pp. 33-:;6; trad. it. cit., pp. 31-33).

30 MINOR, DieSchicksal-TragOdie in ihren Hauptvertretem cit., pp. 75 sgg.

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'ro8 Il dramma barocco tedesco

delle cose apparentemente morte. Il suo manifestarsi nell'ambito della colpa è preannuncio della morte. Il movimento appassiona­to della vita creaturale nell'uomo- in una parola: la passione stes­sa- mette in azione l'oggetto fatale. Esso non è altro che l'ago si­smografico che dà notizia delle sue scosse. Nel dramma del de­stino la natura dell'uomo si esprime nella cieca passione e quella delle cose nel cieco caso, sotto la comune legge del destino. Que­sta legge si manifesta in modo tanto piu chiaro, quanto piu ade­guato è lo strumento che lo registra. Non è perciò indifferente se, come in tanti drammi tedeschi del destino, un oggetto innocuo si impone al perseguitato attraverso meschine complicazioni, o se invece, come in Calder6n, affiorano in quel punto motivi anti­chissimi. La profonda verità dell'osservazione di A. W. Schlegel, secondo cui egli «non conosceva alcun drammaturgo che sapesse poetizzare l'effetto fino a quel punto»81

, viene qui in piena luce. Calder6n era maestro in questo campo, perché l'effetto è la ne­cessità interiore della sua forma peculiare, il dramma del destino. E la misteriosa esteriorità di questo poeta non consiste tanto nel modo in cui, negli intrecci del dramma, l'oggetto fatale riesce a mantenersi con bravura in primo piano, quanto nell'esattezza con cui le passioni stesse assumono la natura di oggetti fatali. Il pu­gnale in una tragedia della gelosia diventa una cosa sola con le pas­sioni che lo guidano, perché la gelosia in Calder6n è altrettanto tagliente e maneggevole che un pugnale. Tutta la maestria del poe­ta sta nell'estrema esattezza con cui, in un dramma come quello di Erode, la passione si stacca dal movente psicologico dell'azio­ne, che è quello ricercato dal lettore moderno. La cosa è già sta­ta rilevata, ma in realtà senza coglierla. «Sarebbe stato naturale motivare la morte di Mariene con la gelosia di Erode. La solu­zione si imponeva addirittura con violenza coercitiva, ed è pale­se l'intenzionalità con cui Calder6n vi si oppone, per poter dare alla "tragedia del destino" la soluzione che le spetta»82

• Già: per­ché Erode non uccide la consorte per gelosia, bensi ella muore at­traverso la gelosia. Attraverso la gelosia Erode è assoggettato al suo destino, e questo si serve della gelosia- del funesto divam­pare della natura umana- come di un pugnale, come segno e stru­mento di sventura. E il caso come scomposizione dell'accadere in

11 SCHLEGEL, Siimmtliche Werke cit., vol. VI, p. 386. 82 PETER BERENS, Calder6ns Schicksa!stragodien, in «Romanische Forschungen», XXXIX

(1926), pp. 55 sgg. ·

Dramma e tragedia (n) 109

una serie di frammenti corrisponde senz'altro al senso dell'og­getto fatale. E proprio quest'ultimo allora il criterio della vera drammaturgia romantica del destino, nella sua differenza dalla tragedia classica, la quale si nega profondamente ad ogni ordine del destino.

La tragedia del destino si prepara nel dramma barocco. Ciò che la separa dal dramma barocco tedesco non è altro che il ricorso all'oggetto fatale, la cui esclusione denuncia un genuino influsso dell'antichità, e, se si vuole, un tratto autenticamente rinasci­mentale. Poche cose infatti distinguono la drammaturgia moder­na da quella antica in modo piu netto del fatto che in quest'ulti­ma il mondo degli oggetti profani non ha alcun posto. Cosi è an­che per il Classicismo barocco in Germania. Se però la tragedia è del tutto svincolata dal mondo degli oggetti, questo si innalza op­primente sull'orizzonte del dramma barocco. E la funzione dell'erudizione, con la farragine delle sue note, è di evocare il cli­ma da incubo con cui le cose gravano sull'azione drammatica. Per la forma evoluta del dramma del destino non è possibile prescin­dere dall'oggetto fatale. Solamente accanto stanno in esso i sogni, le apparizioni di spiriti, i terrori della fine, che appartengono già al repertorio obbligato della sua forma originaria, il dramma ba­rocco. Raccogliendosi, in cerchi piu o meno stretti, intorno alla morte, essi trovano un pieno sviluppo nel dramma barocco pro­prio come elementi dell'aldilà- di carattere perlopiu temporale­in contrasto con gli oggetti dell'aldiqua, di carattere perlopiu spa­ziale. A tutto ciò che ha a che fare con gli spiriti, soprattutto Gryphius attribuisce la massima importanza. A lui la lingua tede­sca deve, con questa frase, una trasposizione mirabile del deus ex machina: «Se a qualcuno dovesse apparire strano che noi non evO­chiamo, come gli antichi, un deus ex machina, ma uno spirito dal­la tomba, costui consideri quel che si scrive di continuo intorno agli spiriti»83

• Le sue riflessioni sull'argomento furono affidate- o forse intendeva affidarle - a un trattato dal titolo De spectris; di sicuro in proposito non si sa nulla. Alle apparizioni di fantasmi si affiancano, ed è una presenza quasi obbligata, i sogni veritieri, il cui racconto dà inizio talvolta al dramma in forma di prologo. Di solito essi preannunciano al tiranno la sua fine. La drammaturgia di allora può aver pensato di introdurre in questo modo gli oraco-

"GRYPHIUs, Trauenpiele cit., p. 263 (Cardenio und Celinde, prefazione).

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'ro8 Il dramma barocco tedesco

delle cose apparentemente morte. Il suo manifestarsi nell'ambito della colpa è preannuncio della morte. Il movimento appassiona­to della vita creaturale nell'uomo- in una parola: la passione stes­sa- mette in azione l'oggetto fatale. Esso non è altro che l'ago si­smografico che dà notizia delle sue scosse. Nel dramma del de­stino la natura dell'uomo si esprime nella cieca passione e quella delle cose nel cieco caso, sotto la comune legge del destino. Que­sta legge si manifesta in modo tanto piu chiaro, quanto piu ade­guato è lo strumento che lo registra. Non è perciò indifferente se, come in tanti drammi tedeschi del destino, un oggetto innocuo si impone al perseguitato attraverso meschine complicazioni, o se invece, come in Calder6n, affiorano in quel punto motivi anti­chissimi. La profonda verità dell'osservazione di A. W. Schlegel, secondo cui egli «non conosceva alcun drammaturgo che sapesse poetizzare l'effetto fino a quel punto»81

, viene qui in piena luce. Calder6n era maestro in questo campo, perché l'effetto è la ne­cessità interiore della sua forma peculiare, il dramma del destino. E la misteriosa esteriorità di questo poeta non consiste tanto nel modo in cui, negli intrecci del dramma, l'oggetto fatale riesce a mantenersi con bravura in primo piano, quanto nell'esattezza con cui le passioni stesse assumono la natura di oggetti fatali. Il pu­gnale in una tragedia della gelosia diventa una cosa sola con le pas­sioni che lo guidano, perché la gelosia in Calder6n è altrettanto tagliente e maneggevole che un pugnale. Tutta la maestria del poe­ta sta nell'estrema esattezza con cui, in un dramma come quello di Erode, la passione si stacca dal movente psicologico dell'azio­ne, che è quello ricercato dal lettore moderno. La cosa è già sta­ta rilevata, ma in realtà senza coglierla. «Sarebbe stato naturale motivare la morte di Mariene con la gelosia di Erode. La solu­zione si imponeva addirittura con violenza coercitiva, ed è pale­se l'intenzionalità con cui Calder6n vi si oppone, per poter dare alla "tragedia del destino" la soluzione che le spetta»82

• Già: per­ché Erode non uccide la consorte per gelosia, bensi ella muore at­traverso la gelosia. Attraverso la gelosia Erode è assoggettato al suo destino, e questo si serve della gelosia- del funesto divam­pare della natura umana- come di un pugnale, come segno e stru­mento di sventura. E il caso come scomposizione dell'accadere in

11 SCHLEGEL, Siimmtliche Werke cit., vol. VI, p. 386. 82 PETER BERENS, Calder6ns Schicksa!stragodien, in «Romanische Forschungen», XXXIX

(1926), pp. 55 sgg. ·

Dramma e tragedia (n) 109

una serie di frammenti corrisponde senz'altro al senso dell'og­getto fatale. E proprio quest'ultimo allora il criterio della vera drammaturgia romantica del destino, nella sua differenza dalla tragedia classica, la quale si nega profondamente ad ogni ordine del destino.

La tragedia del destino si prepara nel dramma barocco. Ciò che la separa dal dramma barocco tedesco non è altro che il ricorso all'oggetto fatale, la cui esclusione denuncia un genuino influsso dell'antichità, e, se si vuole, un tratto autenticamente rinasci­mentale. Poche cose infatti distinguono la drammaturgia moder­na da quella antica in modo piu netto del fatto che in quest'ulti­ma il mondo degli oggetti profani non ha alcun posto. Cosi è an­che per il Classicismo barocco in Germania. Se però la tragedia è del tutto svincolata dal mondo degli oggetti, questo si innalza op­primente sull'orizzonte del dramma barocco. E la funzione dell'erudizione, con la farragine delle sue note, è di evocare il cli­ma da incubo con cui le cose gravano sull'azione drammatica. Per la forma evoluta del dramma del destino non è possibile prescin­dere dall'oggetto fatale. Solamente accanto stanno in esso i sogni, le apparizioni di spiriti, i terrori della fine, che appartengono già al repertorio obbligato della sua forma originaria, il dramma ba­rocco. Raccogliendosi, in cerchi piu o meno stretti, intorno alla morte, essi trovano un pieno sviluppo nel dramma barocco pro­prio come elementi dell'aldilà- di carattere perlopiu temporale­in contrasto con gli oggetti dell'aldiqua, di carattere perlopiu spa­ziale. A tutto ciò che ha a che fare con gli spiriti, soprattutto Gryphius attribuisce la massima importanza. A lui la lingua tede­sca deve, con questa frase, una trasposizione mirabile del deus ex machina: «Se a qualcuno dovesse apparire strano che noi non evO­chiamo, come gli antichi, un deus ex machina, ma uno spirito dal­la tomba, costui consideri quel che si scrive di continuo intorno agli spiriti»83

• Le sue riflessioni sull'argomento furono affidate- o forse intendeva affidarle - a un trattato dal titolo De spectris; di sicuro in proposito non si sa nulla. Alle apparizioni di fantasmi si affiancano, ed è una presenza quasi obbligata, i sogni veritieri, il cui racconto dà inizio talvolta al dramma in forma di prologo. Di solito essi preannunciano al tiranno la sua fine. La drammaturgia di allora può aver pensato di introdurre in questo modo gli oraco-

"GRYPHIUs, Trauenpiele cit., p. 263 (Cardenio und Celinde, prefazione).

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IlO n dramma barocco tedesco

li greci nel teatro tedesco; qui è importante rilevarne l'apparte­nenza all'ambito naturale del destino, dove essi sarebbero impa­rentati solamente ad alcuni oracoli greci- soprattutto a quelli tel­lurici. L'ipotesi, invece, secondo la quale il significato di questi so­gni starebbe nel fatto che lo «spettatore è indotto a confrontare razionalmente l'azione con la sua anticipazione metaforica » 84

, è so­lo un'elucubrazione intellettualistica. Com'è facile capire parlan­do di sogni e di fantasmi, la notte svolge un ruolo importante. E anche qui solo un passo ci separa dal dramma del destino, che as­segna all'ora degli spiriti un posto privilegiato. Il Carolus Stuardus di Gryphius, l'Agrippina di Lohenstein iniziano a mezzanotte; al­tri drammi non solo si svolgono di notte, come richiedeva spesso l'unità di tempo, ma devono proprio alla notte l'atmosfera poeti­ca delle grandi scene, come il Leo Armenius, il Cardenio und Ce­linde e l'Epicharis. Il nesso tra l'accadere drammatico e 11\ notte, e in particolare la mezzanotte, ha una sua buona ragione. E opinio­ne diffusa che a quest'ora il tempo sia in equilibrio come l'ago di una bilancia. Ora, poiché il destino, il vero ordine dell'eterno ri­torno, può essere definito temporale solo in senso improp:io, pa­rassitario~, le sue manifestazioni cercano piuttosto lo spazio-tem­po. A mezzanotte esse trovano come una fessura del tempo, nella cui cornice compare ogni volta sempre la stessa immagine spettra­le. L'abisso che separa la tragedia e il dramma barocco si illumina in tutta la sua profondità laddove l'eccellente osservazione del­l'abate Le Bossu, autore di un Traité sur la poésie épique citato da Jean Paul, venga letta in senso strettamente terminologico. Essa dice che «nessuna tragedia può essere ambientata di notte». Al tempo diurno, richiesto da ogni azione tragica, si contrappone l'ora degli spiriti propria del dramma. «Ecco: è l'ora della notte piu stre­gata, quando si spalancano sui sagrati le fauci dei sepolcri e.l'i~­ferno esala i suoi miasmi in questo mondo»86

• Il mondo degh spi­riti è senza storia. Ed è li che il dramma fa scivolare le sue vitti­me. «Ohimè, io muoio, sf, sf, maledetto, muoio, ma tu dovrai temere la mia vendetta: anche sotto terra resterò il tuo acerrimo nemico, la furia vendicatrice del regno di Messina. Io scuoterò il tuo trono il talamo nuziale, turberò il tuo amore e la tua soddi­sfazione ~ con la mia ira provocherò al re e al regno ogni danno

"KOLITZ, ]ohann Christian Hallmanns Dramen cit., p. n3. . . . "BENJAMIN, Schicksal und Charaktercit., p. 192 (ora in Schriften, I, p. 36; trad. 1t. Clt.,

p. 33). d · di C V L d .. T . 6 86 WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto, III, 2, tra uz10ne . . o ov1c1 ormo 19 3·

Dramma e tragedia (n) III

possibile»87• A ragione è stato osservato che il dramma inglese pre­

shakespeariano non ha «una vera fine, la sua corrente continua a scorrere»88

• Ciò vale per il dramma barocco in generale; la sua con­clusione non stabilisce alcuna epochè, come accadeva invece, in sen­so storico e individuale, con la morte dell'eroe tragico. Questo si­gnificato individuale, a cui si aggiunge quello storico della fine del mito, si riassume nell'affermazione secondo cui la vita tragica è «la piu esclusivamente mondana di tutte le esistenze. Perciò il suo li­mite esistenziale si fonde sempre con la morte ... Per la tragedia, la morte- il limite in sé e per sé- è sempre una realtà immanen­te, indissolubilmente connessa con ogni suo evento»89

• La morte, come figura della vita tragica, è un destino individuale, ma nel dramma barocco essa entra non di rado come destino collettivo, come se invitasse tutti gli interessati davanti alla corte suprema.

In dreien Tagen solln zu Recht sie stehen: Sie sind geladen hin vor Gottes Throne; Nun la.Bt sie denken, wie sie da bestehen"'.

Mentre l'eroe tragico nella sua «immortalità» non salva la vita ma soltanto il nome, i personaggi del dramma barocco perdono con la morte la loro individualità nominale ma non la forza del ruolo, che rivive intatta nel mondo degli spiriti. «A qualcuno può venire in mente di scrivere dopo un Amleto un Fortebraccio; nessuno può impedirmi di far incontrare di nuovo tutti i personaggi all'inferno o in paradiso, di lasciare che di nuovo regolino i loro conti»91

• All' au­tore di questa osservazione è sfuggito che ciò dipende dalla legge del dramma, e non dall'opera citata e meno che mai dal suo sog­getto. Di fronte a quei grandi drammi che, come Amleto, conti­nuano ad attirare la critica, l'insulso concetto di tragedia con cui quest'ultima li giudica avrebbe dovuto apparire logoro già da tem­po. Dove può condurre una critica che riscontri nella morte di Am­leto un ultimo «residuo di naturalismo e di imitazione della natu­ra, il quale fa dimenticare al poeta che non è affatto suo compito

"STRANlTZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 322 (Die GestUrzte Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, III, 12).

"BHRENBERG, Tragadie und Kreuz cit., vol. II, p. 46. 89 LuxACS, Die Seele und die Formen cit.~ p. 345; trad. it. cit., pp. 321 sgg. "'FRIEDRJCH SCHLEGEL,A!arcos,Ein Trauerspiel, Berlin 18o2,p. 46 (II, 2). [Fra tre gior-

ni saranno sottoposti a giudizio: l Rinviati davanti al trono di Dio; l Lasciate che pensino a come difendersi].

91 ALBERT LUDWIG, Forlsetzungen. Bine Studie :r.ur Psychologie der Literatur, in «Germa­

nisch-romanische Monatsschrift», VI (1914), p. 433·

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IlO n dramma barocco tedesco

li greci nel teatro tedesco; qui è importante rilevarne l'apparte­nenza all'ambito naturale del destino, dove essi sarebbero impa­rentati solamente ad alcuni oracoli greci- soprattutto a quelli tel­lurici. L'ipotesi, invece, secondo la quale il significato di questi so­gni starebbe nel fatto che lo «spettatore è indotto a confrontare razionalmente l'azione con la sua anticipazione metaforica » 84

, è so­lo un'elucubrazione intellettualistica. Com'è facile capire parlan­do di sogni e di fantasmi, la notte svolge un ruolo importante. E anche qui solo un passo ci separa dal dramma del destino, che as­segna all'ora degli spiriti un posto privilegiato. Il Carolus Stuardus di Gryphius, l'Agrippina di Lohenstein iniziano a mezzanotte; al­tri drammi non solo si svolgono di notte, come richiedeva spesso l'unità di tempo, ma devono proprio alla notte l'atmosfera poeti­ca delle grandi scene, come il Leo Armenius, il Cardenio und Ce­linde e l'Epicharis. Il nesso tra l'accadere drammatico e 11\ notte, e in particolare la mezzanotte, ha una sua buona ragione. E opinio­ne diffusa che a quest'ora il tempo sia in equilibrio come l'ago di una bilancia. Ora, poiché il destino, il vero ordine dell'eterno ri­torno, può essere definito temporale solo in senso improp:io, pa­rassitario~, le sue manifestazioni cercano piuttosto lo spazio-tem­po. A mezzanotte esse trovano come una fessura del tempo, nella cui cornice compare ogni volta sempre la stessa immagine spettra­le. L'abisso che separa la tragedia e il dramma barocco si illumina in tutta la sua profondità laddove l'eccellente osservazione del­l'abate Le Bossu, autore di un Traité sur la poésie épique citato da Jean Paul, venga letta in senso strettamente terminologico. Essa dice che «nessuna tragedia può essere ambientata di notte». Al tempo diurno, richiesto da ogni azione tragica, si contrappone l'ora degli spiriti propria del dramma. «Ecco: è l'ora della notte piu stre­gata, quando si spalancano sui sagrati le fauci dei sepolcri e.l'i~­ferno esala i suoi miasmi in questo mondo»86

• Il mondo degh spi­riti è senza storia. Ed è li che il dramma fa scivolare le sue vitti­me. «Ohimè, io muoio, sf, sf, maledetto, muoio, ma tu dovrai temere la mia vendetta: anche sotto terra resterò il tuo acerrimo nemico, la furia vendicatrice del regno di Messina. Io scuoterò il tuo trono il talamo nuziale, turberò il tuo amore e la tua soddi­sfazione ~ con la mia ira provocherò al re e al regno ogni danno

"KOLITZ, ]ohann Christian Hallmanns Dramen cit., p. n3. . . . "BENJAMIN, Schicksal und Charaktercit., p. 192 (ora in Schriften, I, p. 36; trad. 1t. Clt.,

p. 33). d · di C V L d .. T . 6 86 WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto, III, 2, tra uz10ne . . o ov1c1 ormo 19 3·

Dramma e tragedia (n) III

possibile»87• A ragione è stato osservato che il dramma inglese pre­

shakespeariano non ha «una vera fine, la sua corrente continua a scorrere»88

• Ciò vale per il dramma barocco in generale; la sua con­clusione non stabilisce alcuna epochè, come accadeva invece, in sen­so storico e individuale, con la morte dell'eroe tragico. Questo si­gnificato individuale, a cui si aggiunge quello storico della fine del mito, si riassume nell'affermazione secondo cui la vita tragica è «la piu esclusivamente mondana di tutte le esistenze. Perciò il suo li­mite esistenziale si fonde sempre con la morte ... Per la tragedia, la morte- il limite in sé e per sé- è sempre una realtà immanen­te, indissolubilmente connessa con ogni suo evento»89

• La morte, come figura della vita tragica, è un destino individuale, ma nel dramma barocco essa entra non di rado come destino collettivo, come se invitasse tutti gli interessati davanti alla corte suprema.

In dreien Tagen solln zu Recht sie stehen: Sie sind geladen hin vor Gottes Throne; Nun la.Bt sie denken, wie sie da bestehen"'.

Mentre l'eroe tragico nella sua «immortalità» non salva la vita ma soltanto il nome, i personaggi del dramma barocco perdono con la morte la loro individualità nominale ma non la forza del ruolo, che rivive intatta nel mondo degli spiriti. «A qualcuno può venire in mente di scrivere dopo un Amleto un Fortebraccio; nessuno può impedirmi di far incontrare di nuovo tutti i personaggi all'inferno o in paradiso, di lasciare che di nuovo regolino i loro conti»91

• All' au­tore di questa osservazione è sfuggito che ciò dipende dalla legge del dramma, e non dall'opera citata e meno che mai dal suo sog­getto. Di fronte a quei grandi drammi che, come Amleto, conti­nuano ad attirare la critica, l'insulso concetto di tragedia con cui quest'ultima li giudica avrebbe dovuto apparire logoro già da tem­po. Dove può condurre una critica che riscontri nella morte di Am­leto un ultimo «residuo di naturalismo e di imitazione della natu­ra, il quale fa dimenticare al poeta che non è affatto suo compito

"STRANlTZKY, Wiener Haupt- und Staatsaktionen cit., p. 322 (Die GestUrzte Tyrannay in der Person deft Messinischen Wuttrichs Peli/onte, III, 12).

"BHRENBERG, Tragadie und Kreuz cit., vol. II, p. 46. 89 LuxACS, Die Seele und die Formen cit.~ p. 345; trad. it. cit., pp. 321 sgg. "'FRIEDRJCH SCHLEGEL,A!arcos,Ein Trauerspiel, Berlin 18o2,p. 46 (II, 2). [Fra tre gior-

ni saranno sottoposti a giudizio: l Rinviati davanti al trono di Dio; l Lasciate che pensino a come difendersi].

91 ALBERT LUDWIG, Forlsetzungen. Bine Studie :r.ur Psychologie der Literatur, in «Germa­

nisch-romanische Monatsschrift», VI (1914), p. 433·

Page 147: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

II2 Il dramma barocco tedesco

motivare la morte anche in termini fisiologici»? Quando si argo­menti che la morte non ha nell'Amleto «assolutamente alcuna re­lazione col conflitto. Amleto, il cui crollo interiore nasce dal fatto di non poter trovare altra soluzione al problema dell'esistenza se non la negazione della vita, muore per un fioretto avvelenato! Os­sia per una circostanza del tutto esterna e casuale ... A rigore, que­sta scena semplice della morte di Amleto elimina completamente la tragicità del dramma»92

• Sono queste le trovate di una critica che, nell'ambizione di essere filosoficamente informata, rinuncia a pe­netrare nell'opera di un genio. La morte di Amleto, che non asso­miglia alla morte tragica piu di quanto il Principe assomigli ad Aia­ce, è tipica del dramma barocco proprio per la sua clamorosa este­riorità, ed è degna del suo maestro anche solo per il fatto che Amleto, come risulta dal dialogo con Osrik, vorrebbe inspirare co­me una sostanza soffocante l'aria greve del destino. Amleto vuo­le morire per caso, e quando gli oggetti fatali si affollano intorno a lui come alloro signore, nella conclusione del dramma torna a balenare, come racchiuso in esso e in esso naturalmente superato, il dramma del destino. Se la tragedia si conclude con una decisio­ne, fosse pure la piu incerta, nell'essenza del dramma, e in parti­colare della sua morte, risuona un appello simile a quello formula­to dai martiri. Il linguaggio dei drammi pre-shakespeariani è sta­to definito felicemente come un «dialogo cruento in piu atti»9

$ .Que­sta incursione in campo giuridico si può spingere oltre fino a par­lare, nel senso dei «lamenti» medievali, di un processo della crea­tura, dove il lamento di quest'ultima contro la morte - o contro chiunque altro - verrà messo agli atti ancora incompiuto al termi­ne del dramma. La ripresa è implicita nel dramma e a volte viene fuori dal suo stato di latenza. Benché ciò avvenga, a dire il vero, solo nella sua ricca fioritura spagnola. Nella Vita è sogno la ripeti­zione della situazione principale è posta al centro dello sviluppo. I drammi del xvn secolo trattano sempre gli stessi oggetti, e li trat­tano nel senso del loro necessario ripetersi. La solita sprovvedu­tezza teorica ha impedito di riconoscerlo, e si è anzi voluto de­nunciare i «peculiari errori~> di Lohenstein in materia tragica, «co­me quello per cui l'effetto tragico dell'azione verrebbe rafforzato amplificandola con l'aggiunta di eventi simili. Anziché trasforma­re plasticamente l'azione facendola precipitare verso nuovi even-

92 ZIEGLER, Zur Metaphysik des Tragischen cit., p. 52. "EHRENBERG, Tragadie und Kreuz cit., vol. II, p. 57·

Dramma e tragedia (n) 113

ti, Lohenstein preferisce ricamare capricciosi arabeschi sempre uguali intorno ai momenti capitali del dramma, come se una sta­tua acquistasse bellezza raddoppiandone sul marmo le membra piu riuscite! »94

• Il numero degli atti di questi drammi non doveva es­sere dispari, com'era il caso di chi si richiamava al modello greco; il carattere ripetibile dell'evento che descrivono contiene piutto­sto, implicito, il numero pari. Nel Leo Armenius almeno l'azione si conclude col quarto atto. Emancipandosi dallo schema dei tre e dei cinque atti la drammaturgia moderna porta alla vittoria una tendenza del Barocco9

'.

"MiliLER, Beitrage zum Leben und Dichten Caspers von Lohenstein cit., pp. 82 sgg. "Cfr. CONRAD HOPER, Die Rudofstiidter Festspiele aus den ]ahren x665·1667 und ihr Di­

chter. Bine literarhistorische Studie, Leipzig 1904, p. 141.

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motivare la morte anche in termini fisiologici»? Quando si argo­menti che la morte non ha nell'Amleto «assolutamente alcuna re­lazione col conflitto. Amleto, il cui crollo interiore nasce dal fatto di non poter trovare altra soluzione al problema dell'esistenza se non la negazione della vita, muore per un fioretto avvelenato! Os­sia per una circostanza del tutto esterna e casuale ... A rigore, que­sta scena semplice della morte di Amleto elimina completamente la tragicità del dramma»92

• Sono queste le trovate di una critica che, nell'ambizione di essere filosoficamente informata, rinuncia a pe­netrare nell'opera di un genio. La morte di Amleto, che non asso­miglia alla morte tragica piu di quanto il Principe assomigli ad Aia­ce, è tipica del dramma barocco proprio per la sua clamorosa este­riorità, ed è degna del suo maestro anche solo per il fatto che Amleto, come risulta dal dialogo con Osrik, vorrebbe inspirare co­me una sostanza soffocante l'aria greve del destino. Amleto vuo­le morire per caso, e quando gli oggetti fatali si affollano intorno a lui come alloro signore, nella conclusione del dramma torna a balenare, come racchiuso in esso e in esso naturalmente superato, il dramma del destino. Se la tragedia si conclude con una decisio­ne, fosse pure la piu incerta, nell'essenza del dramma, e in parti­colare della sua morte, risuona un appello simile a quello formula­to dai martiri. Il linguaggio dei drammi pre-shakespeariani è sta­to definito felicemente come un «dialogo cruento in piu atti»9

$ .Que­sta incursione in campo giuridico si può spingere oltre fino a par­lare, nel senso dei «lamenti» medievali, di un processo della crea­tura, dove il lamento di quest'ultima contro la morte - o contro chiunque altro - verrà messo agli atti ancora incompiuto al termi­ne del dramma. La ripresa è implicita nel dramma e a volte viene fuori dal suo stato di latenza. Benché ciò avvenga, a dire il vero, solo nella sua ricca fioritura spagnola. Nella Vita è sogno la ripeti­zione della situazione principale è posta al centro dello sviluppo. I drammi del xvn secolo trattano sempre gli stessi oggetti, e li trat­tano nel senso del loro necessario ripetersi. La solita sprovvedu­tezza teorica ha impedito di riconoscerlo, e si è anzi voluto de­nunciare i «peculiari errori~> di Lohenstein in materia tragica, «co­me quello per cui l'effetto tragico dell'azione verrebbe rafforzato amplificandola con l'aggiunta di eventi simili. Anziché trasforma­re plasticamente l'azione facendola precipitare verso nuovi even-

92 ZIEGLER, Zur Metaphysik des Tragischen cit., p. 52. "EHRENBERG, Tragadie und Kreuz cit., vol. II, p. 57·

Dramma e tragedia (n) 113

ti, Lohenstein preferisce ricamare capricciosi arabeschi sempre uguali intorno ai momenti capitali del dramma, come se una sta­tua acquistasse bellezza raddoppiandone sul marmo le membra piu riuscite! »94

• Il numero degli atti di questi drammi non doveva es­sere dispari, com'era il caso di chi si richiamava al modello greco; il carattere ripetibile dell'evento che descrivono contiene piutto­sto, implicito, il numero pari. Nel Leo Armenius almeno l'azione si conclude col quarto atto. Emancipandosi dallo schema dei tre e dei cinque atti la drammaturgia moderna porta alla vittoria una tendenza del Barocco9

'.

"MiliLER, Beitrage zum Leben und Dichten Caspers von Lohenstein cit., pp. 82 sgg. "Cfr. CONRAD HOPER, Die Rudofstiidter Festspiele aus den ]ahren x665·1667 und ihr Di­

chter. Bine literarhistorische Studie, Leipzig 1904, p. 141.

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Dramma e tragedia (m)

!eh sitz ich lieg ich steh ist alles in Gedancken. Ich finde nirgends Ruh muli selber mit mir zancken

ANDREAS TSCHERNING, Me/ancho/ey Redet se/ber.

I grandi drammaturghi tedeschi dell'epoca barocca erano lute­rani. Mentre nei decenni della restaurazione controriformista il cattolicesimo compenetrava la vita profana con tutta la forza del­la sua disciplina, illuteranesimo aveva sempre adottato un atteg­giamento antinomico verso la vita quotidiana. Alla moralità rigo­rosa della condotta di vita borghese, che esso insegnava, si con­trapponeva il rifiuto delle «buone opere». Negando a queste ultime il loro effetto spirituale specifico e miracoloso, rimandando l'ani­ma alla grazia della fede e facendo dell'ambito mondano-statale il banco di prova di una vita religiosa soltanto destinata a dimostra­re le virtu borghesi, illuteranesimo radicò nel popolo un rigoroso senso del dovere ma diffuse tra le classi alte la melanconia. Già nello stesso Lutero, i cui ultimi due anni di vita furono dominati da una crescente oppressione d'animo, si avverte un contraccolpo alla svalutazione delle opere. Certo la «fede» continuava a soste­nerlo, ma ciò non impediva che la vita gli apparisse vuota.

Ma che cosa è l'uomo se il suo maggior bene e il migliore impiego del suo tempo è, per lui, mangiare e dormire? Una bestia, nient'altro. Certo chi aprf alla nostra percezione un cosf vasto orizzonte che vi si può comprendere e scoprire il prima e il poi, non ci accordò il privilegio divino della ragione per !asciarlo, trascurato, ad ammuffire2.

1 ANDREAS TSCHERNING, Vortrab Des Sommers Deutscher Getichte, Rostock 1655. [Non trovo mai pace, bisticcio con me stesso, l Siedo, giaccio, ristò, e. tutto ciò nei pensieri].

' sHAKESPEARE, Amleto cit., IV, 4·

Dramma e tragedia (m) r 15

Queste parole di Amleto sono filosofia di Wittenberg, e insie­me una protesta contro di essa. In quella reazione violenta che ave­va sgombrato il campo dalle buone opere tout court, e non solo dal loro carattere di merito o di espiazione, affiorava un ricordo di pa­ganesimo tedesco, e con esso la cupa fede nel potere del destino. Le azioni umane erano private di ogni valore. Nasceva un nuovo mondo: un mondo vuoto. Il calvinismo - per quanto tetro - com­prese questa impossibilità e cercò in parte di correggerla. La fede luterana guardava con diffidenza questo appiattimento e vi si op­pose. Che senso aveva la vita umana se, come nel calvinismo, nem­meno la fede aveva bisogno di una conferma? Se da un lato essa era nuda; assoluta, efficace, e dall'altro le azioni umane non si di­stinguevano. fra loro? Non c'era risposta, se non nella morale del­la piccola gente- «fedeltà nelle piccole cose», «vivere rettamen­te»- che allora si diffondeva e a cui si contrapponeva-il taedium vitae delle nature piu ricche. Perché coloro che scavavano piu a fondo si vedevano gettati nell'esistenza come in un campo di ma­cerie, di azioni inautentiche, lasciate a metà: Ma la vita si ribella­va. In profondo, essa avverte di non essere li per farsi svuotare dalla fede. In profondo, essa avverte un moto di orrore all'idea che l'intera vita possa svolgersi cosi. In profondo, essa si spaventa al pensiero della morte. Il lutto è quello stato d'animo per cui il sen­timento rianima il mondo svuotato gettandovi una maschera, per provare un piacere enigmatico alla sua vista. Ogni sentimento è le­gato a un oggetto a priori e la sua rappresentazione è fenomeno­logia. La teoria del lutto, che si è delineata come necessario pen­dant alla teoria della tragedia, può dunque svilupparsi solo come descrizione di quel mondo che si apre allo sguardo del melanconi-· co. Poiché i sentimenti, per quanto vaghi possano apparire all'au­topercezione, rispondono come un gesto motorio alla costruzione oggettuale del mondo. Se per il dramma barocco le leggi, in parte esplicite e in parte implicite, si trovano nel cuore del lutto, questo non è né lo stato emotivo del poeta né quello del pubblico a cui la rappresentazione si rivolge, ma piuttosto un sentire svincolato dal soggetto empirico e intimamente legato alla pienezza di un ogget­to. Una disposizione motoria che ha un posto ben determinato nel­la gerarchia delle intenzioni, e che chiamiamo sentimento solo per­ché non è al vertice della gerarchia. Esso è caratterizzato dalla sor­prendente tenacia della sua intenzione, una tenacia che, tra i sentimenti, è propria forse- e non è un caso -solo dell'amore. Mentre infatti, nell'ambito affettivo, l'attrazione suole alternarsi

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Dramma e tragedia (m)

!eh sitz ich lieg ich steh ist alles in Gedancken. Ich finde nirgends Ruh muli selber mit mir zancken

ANDREAS TSCHERNING, Me/ancho/ey Redet se/ber.

I grandi drammaturghi tedeschi dell'epoca barocca erano lute­rani. Mentre nei decenni della restaurazione controriformista il cattolicesimo compenetrava la vita profana con tutta la forza del­la sua disciplina, illuteranesimo aveva sempre adottato un atteg­giamento antinomico verso la vita quotidiana. Alla moralità rigo­rosa della condotta di vita borghese, che esso insegnava, si con­trapponeva il rifiuto delle «buone opere». Negando a queste ultime il loro effetto spirituale specifico e miracoloso, rimandando l'ani­ma alla grazia della fede e facendo dell'ambito mondano-statale il banco di prova di una vita religiosa soltanto destinata a dimostra­re le virtu borghesi, illuteranesimo radicò nel popolo un rigoroso senso del dovere ma diffuse tra le classi alte la melanconia. Già nello stesso Lutero, i cui ultimi due anni di vita furono dominati da una crescente oppressione d'animo, si avverte un contraccolpo alla svalutazione delle opere. Certo la «fede» continuava a soste­nerlo, ma ciò non impediva che la vita gli apparisse vuota.

Ma che cosa è l'uomo se il suo maggior bene e il migliore impiego del suo tempo è, per lui, mangiare e dormire? Una bestia, nient'altro. Certo chi aprf alla nostra percezione un cosf vasto orizzonte che vi si può comprendere e scoprire il prima e il poi, non ci accordò il privilegio divino della ragione per !asciarlo, trascurato, ad ammuffire2.

1 ANDREAS TSCHERNING, Vortrab Des Sommers Deutscher Getichte, Rostock 1655. [Non trovo mai pace, bisticcio con me stesso, l Siedo, giaccio, ristò, e. tutto ciò nei pensieri].

' sHAKESPEARE, Amleto cit., IV, 4·

Dramma e tragedia (m) r 15

Queste parole di Amleto sono filosofia di Wittenberg, e insie­me una protesta contro di essa. In quella reazione violenta che ave­va sgombrato il campo dalle buone opere tout court, e non solo dal loro carattere di merito o di espiazione, affiorava un ricordo di pa­ganesimo tedesco, e con esso la cupa fede nel potere del destino. Le azioni umane erano private di ogni valore. Nasceva un nuovo mondo: un mondo vuoto. Il calvinismo - per quanto tetro - com­prese questa impossibilità e cercò in parte di correggerla. La fede luterana guardava con diffidenza questo appiattimento e vi si op­pose. Che senso aveva la vita umana se, come nel calvinismo, nem­meno la fede aveva bisogno di una conferma? Se da un lato essa era nuda; assoluta, efficace, e dall'altro le azioni umane non si di­stinguevano. fra loro? Non c'era risposta, se non nella morale del­la piccola gente- «fedeltà nelle piccole cose», «vivere rettamen­te»- che allora si diffondeva e a cui si contrapponeva-il taedium vitae delle nature piu ricche. Perché coloro che scavavano piu a fondo si vedevano gettati nell'esistenza come in un campo di ma­cerie, di azioni inautentiche, lasciate a metà: Ma la vita si ribella­va. In profondo, essa avverte di non essere li per farsi svuotare dalla fede. In profondo, essa avverte un moto di orrore all'idea che l'intera vita possa svolgersi cosi. In profondo, essa si spaventa al pensiero della morte. Il lutto è quello stato d'animo per cui il sen­timento rianima il mondo svuotato gettandovi una maschera, per provare un piacere enigmatico alla sua vista. Ogni sentimento è le­gato a un oggetto a priori e la sua rappresentazione è fenomeno­logia. La teoria del lutto, che si è delineata come necessario pen­dant alla teoria della tragedia, può dunque svilupparsi solo come descrizione di quel mondo che si apre allo sguardo del melanconi-· co. Poiché i sentimenti, per quanto vaghi possano apparire all'au­topercezione, rispondono come un gesto motorio alla costruzione oggettuale del mondo. Se per il dramma barocco le leggi, in parte esplicite e in parte implicite, si trovano nel cuore del lutto, questo non è né lo stato emotivo del poeta né quello del pubblico a cui la rappresentazione si rivolge, ma piuttosto un sentire svincolato dal soggetto empirico e intimamente legato alla pienezza di un ogget­to. Una disposizione motoria che ha un posto ben determinato nel­la gerarchia delle intenzioni, e che chiamiamo sentimento solo per­ché non è al vertice della gerarchia. Esso è caratterizzato dalla sor­prendente tenacia della sua intenzione, una tenacia che, tra i sentimenti, è propria forse- e non è un caso -solo dell'amore. Mentre infatti, nell'ambito affettivo, l'attrazione suole alternarsi

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1 I 6 Il dramma barocco tedesco

all'estraneità nel rapporto fra l'intenzione e l'oggetto, il lutto è su­scettibile di un'intensità crescente, di un continuo approfondi­mento della sua intenzione. La gravità di pensiero è peculiare di chi è triste. Sulla via verso l'oggetto - anzi: lungo la traiettoria in­terna all'oggetto - questa intenzione procede lenta e solenne co­me i cortei dei potenti. La partecipazione appassionata allo sfarzo delle Haupt- und Staatsaktionen, che per un lato era un modo di uscire dai limiti della pietà domestica, scaturiva dall'altro dall'in-. clinazione della profondità di pensiero verso la gravità. In essa la profondità' di pensiero riconosce il proprio ritmo. La parentela fra lutto e ostentazione, che il linguaggio barocco attesta in modo co­sf grandioso, ha qui una delle sue 1;adici, come pure l'assorta me­ditazione di fronte allo spettacolo grandioso degli eventi monda­ni. Uno spettacolo che può certo premiare lo sguardo attento con la scoperta dei suoi significati nascosti, ma il cui infinito ripetersi non fa che promuovere lo sconsolato dominio di un temperamen­to melanconico e ostile alla vita. Perfino all'eredità rinascimenta­le l'epoca riusd ad attingere quegli elementi che dovevano ap­profondire la sua fissità contemplativa. Dalla à.mlth::ta stoica al lut­to non vi è che un passo, un passo possibile, certo, solo nella cornice del cristianesimo. Come tutto quel che è ~i è, nel baroc­co, di anticheggiante, anche il suo stoicismo si rivela pseudoanti­co. La ricezione del suo pessimismo razionale conta qui assai me­no dell'isolamento a cui l'individuo è condotto dalla prassi stoica. L'estinzione degli affetti, lo spegnersi delle onde vitali da cui di­pende il loro vigore corporeo, può portare la distanza dal mondo esterno fino all'estraniazione dal proprio stesso corpo. Nel conce­pire questo sintomo di spersonalizzazione come il grado estremo della tristezza, l'idea di questo stato patologico, in cui anche la co­sa meno appariscente, poiché manca ogni rapporto vitale e creati­vo con essa, diventa la cifra di una enigmatica saggezza, entra in un contesto fra i piu fecondi. Ed è in questo spirito che, nella Me­lencolia di Albrecht Dfuer, gli strumenti della vita attiva giaccio­no inerti sul terreno, come oggetti di una sterile ruminazione. Que­sta incisione anticipa in molte cose il barocco. Il sapere di colui che rimugina e la ricerca dell'erudito si sono fusi in essa non me­no intimamente che negli uomini dell'età barocca. Il Rinascimen­to esplorava l'universo, il Barocco le biblioteche. Il suo pensiero assume la forma del libro. «Il mondo non conosce libro piu gran­de di sé medesimo; ma la sua parte piu nobile è l'uomo, su cui Dio ha stampato, anziché un bel frontespizio, la propria incomparabi-

l Dramma e tragedia (m) I I 7

le effigie, facendone inoltre il compendio, il nocciolo e la gemma dell'intero libro del mondo»3

• Il «libro della natura» e il «libro dei tempi» sono gli oggetti della riflessione barocca. In essi il Baroc­co trova qualcosa di domestico e di protettivo. Ma vi si nasconde anche l'imbarazzo borghese del poeta incoronato, che da tempo non conosceva piu l'onore del Petrarca, e che s'innalza, con so­lenne dignità, sopra i minuti piaceri delle sue «ore oziose». Non in ultimo, il libro era considerato un monumento duraturo sulla scena «scritturale» della natura. L'editore di Ayrer, in una prefa­zione alle opere del poeta che si segnala per il fatto di indicare nel­la melanconia l'atmosfera dell'epoca, ha espresso questo significa­to del libro, e lo raccomanda come un arcano rimedio contro gli attacchi dello humor nero. «<n considerazione del fatto che le pi­ramidi, le colonne e i monumenti di qualsiasi materiale col tempo si danneggiano o vengono distrutti o vanno in rovina .... che inte­re città sono sprofondate, crollate o sommerse, mentre gli scritti e i libri sono immuni dalla rovina, perché se qualcosa viene di­strutto in un certo luogo e paese lo .si ritrova senza difficoltà in al­tri innumerevoli, allora, per parlare da un punto di vista umano, non vi è nulla di piu duraturo e immortale appunto dei libri»4• La stessa mescolanza di domesticità e contemplazione fa sf che il <<na­zionalismo barocco» non si sia «combinato con l'azione politica, e che anzi proprio l'ostilità barocca verso le convenzioni dovesse da­re luogo piu tardi alla volontà rivoluzionaria dello Sturm und Drang e alla lotta romantica contro il filisteismo dello stato e della vita borghese»5

• Il vuoto affaccendarsi dell'intrigante era considerato il pendant ignobile della contemplazione appassionata, alla quale sol­tanto era accordato il dono di liberare l'uomo di rango dall'intrec­cio satanico della storia, quella storia in cui il Barocco vedeva solo politica. Eppure: anche il meditare poteva trascinare nel vuoto. È quanto insegna la dottrina del temperamento melanconico.

In questo patrimonio imponente che il Barocco eredita dal Ri­nascimento, e che si sviluppa nel corso di quasi due secoli, la po­sterità trova un commentario al dramma barocco piu preciso di quanto non potessero offrirle le varie poetiche sul tema. Intorno

'SAMUEL VON BUTSCHKY, Parabeln und Aphorismen, in «Monatsschrift von und fiir Schlesien», r829, vol. I, p . .330.

'JAKOB AYRER, Dramen, a cura di A. von Keller, Stuttgart r865, p. 4· Cfr. anche BUT· SCHKY, Wohlbebauter Rosental cit., pp. 410 sgg.

'HiÌBSCHER, Barock als Gestaltung antìthetìschen Lebensgefiihls cit., p. 552.

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1 I 6 Il dramma barocco tedesco

all'estraneità nel rapporto fra l'intenzione e l'oggetto, il lutto è su­scettibile di un'intensità crescente, di un continuo approfondi­mento della sua intenzione. La gravità di pensiero è peculiare di chi è triste. Sulla via verso l'oggetto - anzi: lungo la traiettoria in­terna all'oggetto - questa intenzione procede lenta e solenne co­me i cortei dei potenti. La partecipazione appassionata allo sfarzo delle Haupt- und Staatsaktionen, che per un lato era un modo di uscire dai limiti della pietà domestica, scaturiva dall'altro dall'in-. clinazione della profondità di pensiero verso la gravità. In essa la profondità' di pensiero riconosce il proprio ritmo. La parentela fra lutto e ostentazione, che il linguaggio barocco attesta in modo co­sf grandioso, ha qui una delle sue 1;adici, come pure l'assorta me­ditazione di fronte allo spettacolo grandioso degli eventi monda­ni. Uno spettacolo che può certo premiare lo sguardo attento con la scoperta dei suoi significati nascosti, ma il cui infinito ripetersi non fa che promuovere lo sconsolato dominio di un temperamen­to melanconico e ostile alla vita. Perfino all'eredità rinascimenta­le l'epoca riusd ad attingere quegli elementi che dovevano ap­profondire la sua fissità contemplativa. Dalla à.mlth::ta stoica al lut­to non vi è che un passo, un passo possibile, certo, solo nella cornice del cristianesimo. Come tutto quel che è ~i è, nel baroc­co, di anticheggiante, anche il suo stoicismo si rivela pseudoanti­co. La ricezione del suo pessimismo razionale conta qui assai me­no dell'isolamento a cui l'individuo è condotto dalla prassi stoica. L'estinzione degli affetti, lo spegnersi delle onde vitali da cui di­pende il loro vigore corporeo, può portare la distanza dal mondo esterno fino all'estraniazione dal proprio stesso corpo. Nel conce­pire questo sintomo di spersonalizzazione come il grado estremo della tristezza, l'idea di questo stato patologico, in cui anche la co­sa meno appariscente, poiché manca ogni rapporto vitale e creati­vo con essa, diventa la cifra di una enigmatica saggezza, entra in un contesto fra i piu fecondi. Ed è in questo spirito che, nella Me­lencolia di Albrecht Dfuer, gli strumenti della vita attiva giaccio­no inerti sul terreno, come oggetti di una sterile ruminazione. Que­sta incisione anticipa in molte cose il barocco. Il sapere di colui che rimugina e la ricerca dell'erudito si sono fusi in essa non me­no intimamente che negli uomini dell'età barocca. Il Rinascimen­to esplorava l'universo, il Barocco le biblioteche. Il suo pensiero assume la forma del libro. «Il mondo non conosce libro piu gran­de di sé medesimo; ma la sua parte piu nobile è l'uomo, su cui Dio ha stampato, anziché un bel frontespizio, la propria incomparabi-

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le effigie, facendone inoltre il compendio, il nocciolo e la gemma dell'intero libro del mondo»3

• Il «libro della natura» e il «libro dei tempi» sono gli oggetti della riflessione barocca. In essi il Baroc­co trova qualcosa di domestico e di protettivo. Ma vi si nasconde anche l'imbarazzo borghese del poeta incoronato, che da tempo non conosceva piu l'onore del Petrarca, e che s'innalza, con so­lenne dignità, sopra i minuti piaceri delle sue «ore oziose». Non in ultimo, il libro era considerato un monumento duraturo sulla scena «scritturale» della natura. L'editore di Ayrer, in una prefa­zione alle opere del poeta che si segnala per il fatto di indicare nel­la melanconia l'atmosfera dell'epoca, ha espresso questo significa­to del libro, e lo raccomanda come un arcano rimedio contro gli attacchi dello humor nero. «<n considerazione del fatto che le pi­ramidi, le colonne e i monumenti di qualsiasi materiale col tempo si danneggiano o vengono distrutti o vanno in rovina .... che inte­re città sono sprofondate, crollate o sommerse, mentre gli scritti e i libri sono immuni dalla rovina, perché se qualcosa viene di­strutto in un certo luogo e paese lo .si ritrova senza difficoltà in al­tri innumerevoli, allora, per parlare da un punto di vista umano, non vi è nulla di piu duraturo e immortale appunto dei libri»4• La stessa mescolanza di domesticità e contemplazione fa sf che il <<na­zionalismo barocco» non si sia «combinato con l'azione politica, e che anzi proprio l'ostilità barocca verso le convenzioni dovesse da­re luogo piu tardi alla volontà rivoluzionaria dello Sturm und Drang e alla lotta romantica contro il filisteismo dello stato e della vita borghese»5

• Il vuoto affaccendarsi dell'intrigante era considerato il pendant ignobile della contemplazione appassionata, alla quale sol­tanto era accordato il dono di liberare l'uomo di rango dall'intrec­cio satanico della storia, quella storia in cui il Barocco vedeva solo politica. Eppure: anche il meditare poteva trascinare nel vuoto. È quanto insegna la dottrina del temperamento melanconico.

In questo patrimonio imponente che il Barocco eredita dal Ri­nascimento, e che si sviluppa nel corso di quasi due secoli, la po­sterità trova un commentario al dramma barocco piu preciso di quanto non potessero offrirle le varie poetiche sul tema. Intorno

'SAMUEL VON BUTSCHKY, Parabeln und Aphorismen, in «Monatsschrift von und fiir Schlesien», r829, vol. I, p . .330.

'JAKOB AYRER, Dramen, a cura di A. von Keller, Stuttgart r865, p. 4· Cfr. anche BUT· SCHKY, Wohlbebauter Rosental cit., pp. 410 sgg.

'HiÌBSCHER, Barock als Gestaltung antìthetìschen Lebensgefiihls cit., p. 552.

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u8 Il dramma barocco tedesco

ad esso si raccolgono armoniosamente le idee filosofiche e le teo­rie politiche, che stanno alla base della concezione della storia co­me dramma. Il principe è il paradigma del melanconico. Nulla di­mostra piu efficacemente la fragilità della creatura del fatto che anche il principe le è sottomesso. Uno dei passi piu potenti dei Pen­sieri di Pascal è quello in cui egli dà voce, con questa riflessione, al sentire del suo tempo. «L' Ame ne trouve rien en elle qui la con­tente. Elle n'y voit rien qui ne l'afflige quand elle y pense. C'est ce qui la contraint de se répandre au dehors, et de chercher dans l' application aux choses extérieures, à perdre le souvenir de son état véritable. Sa joie consiste dans cet oubli; et il suffit, pour la rendre misérable, de l'obliger de se voir et d'etre avec soi»6

• «La dignité royale n'est-elle pas assez grande d'elle-meme pour rendre celui qui la possède heureux parla seule vue de ce qu'il est? Fau­dra-t-il encore le divertir de cette pensée comme les gens du com­mun? Je vois bien que c'est rendre uh homme heuretix que de le détourner de la vue de ses misères domestiques, pour remplir tou­te sa pensée du soin de bien danser. Mais en sera-t-il de meme d'un Roi? Et sera-t-il plus heureux en s'attachant à ces vains amuse­ments qu'à la vue de sa grandeur? Quel objet plus satisfaisant pour­rait-on donner à son esprit? Ne serait-ce pas faire tort à sa joie d'occuper son ame à penserà ajuster ses pas à la cadence d'un air, ou à piacer adroitement une balle, au lieu de le laisser jouir en re­pos de la contemplation de la gloire majestueuse qui l' environne? Qu'on en fasse l'épreuve; qu'on laisse un Roi tout seui, sans au­cune satisfaction des sens, sans aucun soin dans l'esprit, et l'on verra qu'un Roi qui se voit est un homme plein de misèrès, et qu'il les ressent comme un autre. Aussi on évite cela soigneusement et il ne manque jamais d'y avoir auprès des personnes des Rois un grand nombre de gens qui veillent à faire succéder le divertisse­ment aux affaires, et qui observent tout le temps de leur loisir pour leur fournir des plaisirs et des jeux, en sorte qu'il n'y ait point de vide. C'est-à-dire qu'ils sont environnés de personnes qui ont un soin merveilleux de prendre garde que le Roi ne soit seui et en état de penser à soi, sachant qu'il sera malheureux, tout Roi qu'il est, s'il y pense»7 • Il dramma barocco tedesco fa ampia eco a queste pa­role. Sono state appena formulate, e subito ne abbiamo un rifles­so. Leo Armenia parla del principe cosf:

6 BLAISE PASCAL, Pensées, Paris s. d. [1905], pp. 2.1 I sgg. 7 Ibid., pp. li5 sgg.

Dramma e tragedia (m)

Er. zagt vor se~nem sch~erdt. Wenn er zu tische geht, Wtrd der ge~schte wem, der in crystalle steht, In gall un? gtfft ve~~ehrt. Alsbald der tag erblichen, Kommt die .besc?warzte !!chaar, das heer der angst geschlichen, Und wacht m semem bett. Er kan in helffenbein In purpur und scharlat niemahl so ruhig seyn ' A1s die, so ihren leib vertraun der harten erden Mag ja der kurtze schlaff ihm noch zu theile w~rden So faJlt ihn Morpheus an und mahlt ihm in der nach~ Durch graue bilder vor, was er bey lichte dacht U~d schreckt ihn bald mi t blut, bald mit gestii;ztem throne, Mit brandt, mit ach und tod und hingeraubter crone•.

II9

E in forma epigrammatica: «Dove c'è scettro c'è terrore»9

Oppu~e: «La .tri~t~ melanconia dimora soprattutt~ nei palazzi»10:

Questi enu?~Iati nguardano sia lo stato interiore del sovrano che la sua condiziOne esterna, ed è perciò giustificato il richiamo a Pa­sca!. Perché il melanconico è «all'inizio ... come uno che è stato morso da un ~ane rabbioso.: gli vengono sogni terrificanti, e ha pau­r~ se~z~ m~t.tvo»~1

•• Cosf Agidius Albertinus, l'autore monacense di scnttt e~iftcanti, .m Lu.cifers Konigreich und Seelengeiaidt, un' ope­ra che contie~e testiiD?ruanze caratteristiche per la concezione po­polare, ~roprio perch.e estranea alle nuove teorie. Nello stesso te­sto leggiamo: «Alle corti dei signori è sempre freddo e inverno pere~~ il.sole della gius!izia è da loro lontano ... ragion per cui i cortlgiant tremano per il freddo, la paura e la tristezza»12

• Sono qe~a. stessa raz~a del cortigiano tipico descritto da Guevara, che ~gidtus Al~ertmus tradus~~· e se si pensa in lui all'intrigante, se SI pensa al tiranno, allora l Immagine della corte non è molto lon­tana da quella dell'inferno, che è detto infatti il luogo del lutto

• GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 34 (Leo Armenius, I, 385 sgg.). [Teme la propria spa­da .. Q':'ando va a t~vola, l !l vino ~escolato nei cristalli, l Gli va in fiele e in veleno. Appe­na il. gtorno è svantto, l GIUng~ stns:iando ~ schi~ra luttuosa, l'esercito dell'angoscia, l E vegha nel suo letto. Adorno di avor10, vestito l Dt porpora e di raso non potrà mai aver pace quanto l Quelli che ~onsegnano il corpo alla terra dura. l Quando gli vien largito un h:eve sonno, l Morfeo lo mves~e e nella notte gli effigia l In grige immagini ciò ch'egli di g~orno ha pensato, l E lo atternsce ora col sarigue, ora col rovesciato trono, l E con incen­di e :Ug?sce e morte e la coron_a usurpata].

Ibzd., p. III (Leo Armenzus, V, 53). [W o scepter, da ist furcht!] 10

FILIDOR, Trauer- Lust- und Misch-Spie/e cit. (Emelinde), p. IJ8. [Die traurige Me­lankoley wohnt mehrentheiles in Pallasten].

11 Cfr. AG~IU~ ALBERTINUS, Lucif= Kiinigreich und See/engefaidtcit., p. 300. [ ... zu An­fru:g .. · als ~t Emet;'-, den der tolle Hund gebissen hat: es kommen ihm eschreckliche Traume, er furchtet stch ohn' Ursach]. . " Ibid ., p. 4 I r. [An den Herrnhofen ist es gemeinklich Kalt vnnd allzeit Winter dann

die S?,nn der Gerechtigkeit !st weit von jhnen ... derowegen Zittern die Hofleut auB lau­ter Kiilte Forcht vnd Trawrtgkeit].

Page 154: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

u8 Il dramma barocco tedesco

ad esso si raccolgono armoniosamente le idee filosofiche e le teo­rie politiche, che stanno alla base della concezione della storia co­me dramma. Il principe è il paradigma del melanconico. Nulla di­mostra piu efficacemente la fragilità della creatura del fatto che anche il principe le è sottomesso. Uno dei passi piu potenti dei Pen­sieri di Pascal è quello in cui egli dà voce, con questa riflessione, al sentire del suo tempo. «L' Ame ne trouve rien en elle qui la con­tente. Elle n'y voit rien qui ne l'afflige quand elle y pense. C'est ce qui la contraint de se répandre au dehors, et de chercher dans l' application aux choses extérieures, à perdre le souvenir de son état véritable. Sa joie consiste dans cet oubli; et il suffit, pour la rendre misérable, de l'obliger de se voir et d'etre avec soi»6

• «La dignité royale n'est-elle pas assez grande d'elle-meme pour rendre celui qui la possède heureux parla seule vue de ce qu'il est? Fau­dra-t-il encore le divertir de cette pensée comme les gens du com­mun? Je vois bien que c'est rendre uh homme heuretix que de le détourner de la vue de ses misères domestiques, pour remplir tou­te sa pensée du soin de bien danser. Mais en sera-t-il de meme d'un Roi? Et sera-t-il plus heureux en s'attachant à ces vains amuse­ments qu'à la vue de sa grandeur? Quel objet plus satisfaisant pour­rait-on donner à son esprit? Ne serait-ce pas faire tort à sa joie d'occuper son ame à penserà ajuster ses pas à la cadence d'un air, ou à piacer adroitement une balle, au lieu de le laisser jouir en re­pos de la contemplation de la gloire majestueuse qui l' environne? Qu'on en fasse l'épreuve; qu'on laisse un Roi tout seui, sans au­cune satisfaction des sens, sans aucun soin dans l'esprit, et l'on verra qu'un Roi qui se voit est un homme plein de misèrès, et qu'il les ressent comme un autre. Aussi on évite cela soigneusement et il ne manque jamais d'y avoir auprès des personnes des Rois un grand nombre de gens qui veillent à faire succéder le divertisse­ment aux affaires, et qui observent tout le temps de leur loisir pour leur fournir des plaisirs et des jeux, en sorte qu'il n'y ait point de vide. C'est-à-dire qu'ils sont environnés de personnes qui ont un soin merveilleux de prendre garde que le Roi ne soit seui et en état de penser à soi, sachant qu'il sera malheureux, tout Roi qu'il est, s'il y pense»7 • Il dramma barocco tedesco fa ampia eco a queste pa­role. Sono state appena formulate, e subito ne abbiamo un rifles­so. Leo Armenia parla del principe cosf:

6 BLAISE PASCAL, Pensées, Paris s. d. [1905], pp. 2.1 I sgg. 7 Ibid., pp. li5 sgg.

Dramma e tragedia (m)

Er. zagt vor se~nem sch~erdt. Wenn er zu tische geht, Wtrd der ge~schte wem, der in crystalle steht, In gall un? gtfft ve~~ehrt. Alsbald der tag erblichen, Kommt die .besc?warzte !!chaar, das heer der angst geschlichen, Und wacht m semem bett. Er kan in helffenbein In purpur und scharlat niemahl so ruhig seyn ' A1s die, so ihren leib vertraun der harten erden Mag ja der kurtze schlaff ihm noch zu theile w~rden So faJlt ihn Morpheus an und mahlt ihm in der nach~ Durch graue bilder vor, was er bey lichte dacht U~d schreckt ihn bald mi t blut, bald mit gestii;ztem throne, Mit brandt, mit ach und tod und hingeraubter crone•.

II9

E in forma epigrammatica: «Dove c'è scettro c'è terrore»9

Oppu~e: «La .tri~t~ melanconia dimora soprattutt~ nei palazzi»10:

Questi enu?~Iati nguardano sia lo stato interiore del sovrano che la sua condiziOne esterna, ed è perciò giustificato il richiamo a Pa­sca!. Perché il melanconico è «all'inizio ... come uno che è stato morso da un ~ane rabbioso.: gli vengono sogni terrificanti, e ha pau­r~ se~z~ m~t.tvo»~1

•• Cosf Agidius Albertinus, l'autore monacense di scnttt e~iftcanti, .m Lu.cifers Konigreich und Seelengeiaidt, un' ope­ra che contie~e testiiD?ruanze caratteristiche per la concezione po­polare, ~roprio perch.e estranea alle nuove teorie. Nello stesso te­sto leggiamo: «Alle corti dei signori è sempre freddo e inverno pere~~ il.sole della gius!izia è da loro lontano ... ragion per cui i cortlgiant tremano per il freddo, la paura e la tristezza»12

• Sono qe~a. stessa raz~a del cortigiano tipico descritto da Guevara, che ~gidtus Al~ertmus tradus~~· e se si pensa in lui all'intrigante, se SI pensa al tiranno, allora l Immagine della corte non è molto lon­tana da quella dell'inferno, che è detto infatti il luogo del lutto

• GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 34 (Leo Armenius, I, 385 sgg.). [Teme la propria spa­da .. Q':'ando va a t~vola, l !l vino ~escolato nei cristalli, l Gli va in fiele e in veleno. Appe­na il. gtorno è svantto, l GIUng~ stns:iando ~ schi~ra luttuosa, l'esercito dell'angoscia, l E vegha nel suo letto. Adorno di avor10, vestito l Dt porpora e di raso non potrà mai aver pace quanto l Quelli che ~onsegnano il corpo alla terra dura. l Quando gli vien largito un h:eve sonno, l Morfeo lo mves~e e nella notte gli effigia l In grige immagini ciò ch'egli di g~orno ha pensato, l E lo atternsce ora col sarigue, ora col rovesciato trono, l E con incen­di e :Ug?sce e morte e la coron_a usurpata].

Ibzd., p. III (Leo Armenzus, V, 53). [W o scepter, da ist furcht!] 10

FILIDOR, Trauer- Lust- und Misch-Spie/e cit. (Emelinde), p. IJ8. [Die traurige Me­lankoley wohnt mehrentheiles in Pallasten].

11 Cfr. AG~IU~ ALBERTINUS, Lucif= Kiinigreich und See/engefaidtcit., p. 300. [ ... zu An­fru:g .. · als ~t Emet;'-, den der tolle Hund gebissen hat: es kommen ihm eschreckliche Traume, er furchtet stch ohn' Ursach]. . " Ibid ., p. 4 I r. [An den Herrnhofen ist es gemeinklich Kalt vnnd allzeit Winter dann

die S?,nn der Gerechtigkeit !st weit von jhnen ... derowegen Zittern die Hofleut auB lau­ter Kiilte Forcht vnd Trawrtgkeit].

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!20 Il dramma barocco tedesco

eterno. Anche lo «spirito di tristezza»!} che troviamo in Har­sdorffer non è probabilmente altri che il Demonio. Alla stessa me­lanconia che prende il sopravvento sull'uomo con i brividi dell'an­goscia i dotti attribuiscono quelle apparizioni tra le quali suole com­piersi la fine del despota. Che i casi gravi sfocino nella pazzia, è

· dato per certo. E il tiranno rimane un modello fin nella sua rovi­na. «Vengono meno, dunque, in lui, vivo il corpo, i sensi, poiché egli non vede e non sente piu il mondo, qu~e intorr:o a ~ui ~i~e e si muove, bensf soltanto le menzogne che il demoruo gli dipmge nel cervello e gli soffia nelle orecchie, finché alla fine egli cad~ in preda alla follia e muore nella disperazione»14. Questa, secondo Agi­dius Albertinus, la fine del melanconico. Caratteristico e abba­stanza curioso è, nella Sophonisbe, il tentativo di screditare la Ge­losia come figura allegorica attribuendole i gesti del folle melanco­nico. Se infatti la confutazione allegorica della gelosia appare qui singolare15, se non altro per il fatto che la gelosia di Siface per Mas­sinissa è piu che motivata, è estremamente significativo il fatto che il delirio della gelosia venga caratterizzato dapprima come un in­ganno dei sensi - scambiare per rivali gli scarafaggi, le cavallette, le ombre ecc. -, e che poi la gelosia, ad onta delle spiegazioni ra­zionali, continui a diffidarne richiamandosi al mito del rivale divi­no. L'insieme non è tanto l'analisi di una passione, quanto di un grave disturbo psichico. Agidius Albertinus consiglia esp~essamer:t~ di mettere i melanconici in ceppi, «in modo che codesti fantast1c1 non diventino mostri, tiranni e assassini dei giovani o delle don­ne»16. In catene appare anche il Nabucodonosor di Hunold17.

La codificazione di questo complesso sintomatico risale all'Al­to Medioevo, e la forma che la scuola medica di Salerno, attraverso il suo maggiore esponente Costantino Africano, aveva dato nel xn secolo alla· dottrina dei temperamenti, rimase viva fino al Rina­scimento. Secondo questa dottrina il melanconico è «invidioso, triste, avido, avaro, infedele, pauroso e terreo»18

, e l' humor me-

"HARSDORFFER, PoetischerTrichtercit., J, p. n6 .. 14 Nella prima edizione la citazione non è numerata. Si tratta prohl!hilmente di una pa­

rafrasi di Benjamin [N. d. T.]. "Cfr. LOHENSTF:IN, Afrikanische Trauerspielecit., pp. 308 sgg. (Sophonisbe, III, 431 sgg.}. 16 AGIDWS ALBERTINUS, Luci/ers Konigreich und Seelengeiaidt cit., p. 414. [ ... damit au.B

solchen Fantasten keine Wiitrich Tyrannen vnd der Jugendt oder Weibermorder gebriitet werden].

17 Cfr. HUNOLD, Theatralische Galante cit., p. r8o (Nebucadnezar, III, J). 18 CARL GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia I» und der maximilianische Humanistenkreis,

Dramma e tragedia (m) 121

lancholicus è il «complesso piu abietto»19• La patologia umorale in­

dividuava la causa di questi fenomeni nell'eccesso dell'elemento secco e freddo nell'uomo. Tale elemento era la bile nera- bilis in­naturalis o atra, contrapposta alla bilis naturalis o candida - cosf co­me il temperamento umido e caldo - sanguigno - si credeva aves­se la sua sede nel sangue, quello umido e freddo - flemmatico -nell'acqua, e quello asciutto e caldo - collerico - nella bile gialla. Secondo questa teoria, inoltre, la milza aveva un'importanza de­cisiva nella formazione della bile nera. Il sangue «denso e secco» che scorre nella milza e che vi prende il sopravvento diminuisce il riso nell'uomo e genera l'ipocondria. L'origine fisiologica della me­lanconia- «0 è solo fantasia quella che turba lo spirito stanco, l Il quale, essendo nel corpo, ama la propria pena ?» 20

, come si leg­ge in Gryphius - doveva esercitare una forte impressione sul Ba­rocco, che aveva davanti agli occhi la miseria della condizione uma­na nel suo stato creaturale. Se dagli abissi del dominio creaturale, a cui la speculazione dell'epoca si vedeva legata dai lacci della Chie­sa, sale la melanconia, la sua onnipotenza è dichiarata. Tra le in­tenzioni contemplative essa è in effetti quella propriamente crea­turale, e da sempre è stato osservato che lo sguardo del cane la esprime con non minore intensità del genio che rimugina. «Gra­zioso signore, la tristezza non è fatta per le bestie, ma per gli uo­mini; solo quando gli uomini le van dietro oltre ogni misura di­ventano bestie»21

: con queste parole Sancho si rivolge a Don Chi­sciatte. In termini teologici lo stesso pensiero si ritrova in Paracelso, e ben difficilmente è il risultato di sue deduzioni origi­nali. «L'allegrezza e la tristezza sono del pari nate da Adamo ed Eva. L'allegrezza è depositata in Eva e la tristezza in Adamo ... Un essere umano allegro quanto Eva non nascerà mai piu: e si­milmente, quanto è stato triste Adamo, nessun uomo sarà mai piu. Poiché le due materie di Adamo e di Eva si sono mescolate, cosi che la tristezza è stata temperata dall'allegrezza, e ugualmente l'al­legrezza dalla tristezza ... L'ira, la tirannia, e la facoltà del furo-·

in «Mitteilungen der Gesellschaft fìir vervielfiiltigende Kunst», supplemento a «Graphi­schen Kiinste», XXVI (1903), n. 2, p. 32.

" Wiener Hofbibliothek, Codex 5486 (Sammelband medizinischer Manuskripte von 1471) cit. in GIEHLOW, Dìirers Stich .rMelencolia I» cit., p. 34·

"'GRYPHIUs, Trauerspiele cit., p. 91 (Leo Armenius, III, 406 sgg.}. [Oder ist nur phan­tasey, die den miiden geist betriibet,l Welcher, weil er in dem corper, seinen eignen kum­mer liebet ?]

21 MIGUEL CERVANTES DE SAAVJ!DRA, Don Quixote, Leipzig 1914, vol. II, p. ro6.

Page 156: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

!20 Il dramma barocco tedesco

eterno. Anche lo «spirito di tristezza»!} che troviamo in Har­sdorffer non è probabilmente altri che il Demonio. Alla stessa me­lanconia che prende il sopravvento sull'uomo con i brividi dell'an­goscia i dotti attribuiscono quelle apparizioni tra le quali suole com­piersi la fine del despota. Che i casi gravi sfocino nella pazzia, è

· dato per certo. E il tiranno rimane un modello fin nella sua rovi­na. «Vengono meno, dunque, in lui, vivo il corpo, i sensi, poiché egli non vede e non sente piu il mondo, qu~e intorr:o a ~ui ~i~e e si muove, bensf soltanto le menzogne che il demoruo gli dipmge nel cervello e gli soffia nelle orecchie, finché alla fine egli cad~ in preda alla follia e muore nella disperazione»14. Questa, secondo Agi­dius Albertinus, la fine del melanconico. Caratteristico e abba­stanza curioso è, nella Sophonisbe, il tentativo di screditare la Ge­losia come figura allegorica attribuendole i gesti del folle melanco­nico. Se infatti la confutazione allegorica della gelosia appare qui singolare15, se non altro per il fatto che la gelosia di Siface per Mas­sinissa è piu che motivata, è estremamente significativo il fatto che il delirio della gelosia venga caratterizzato dapprima come un in­ganno dei sensi - scambiare per rivali gli scarafaggi, le cavallette, le ombre ecc. -, e che poi la gelosia, ad onta delle spiegazioni ra­zionali, continui a diffidarne richiamandosi al mito del rivale divi­no. L'insieme non è tanto l'analisi di una passione, quanto di un grave disturbo psichico. Agidius Albertinus consiglia esp~essamer:t~ di mettere i melanconici in ceppi, «in modo che codesti fantast1c1 non diventino mostri, tiranni e assassini dei giovani o delle don­ne»16. In catene appare anche il Nabucodonosor di Hunold17.

La codificazione di questo complesso sintomatico risale all'Al­to Medioevo, e la forma che la scuola medica di Salerno, attraverso il suo maggiore esponente Costantino Africano, aveva dato nel xn secolo alla· dottrina dei temperamenti, rimase viva fino al Rina­scimento. Secondo questa dottrina il melanconico è «invidioso, triste, avido, avaro, infedele, pauroso e terreo»18

, e l' humor me-

"HARSDORFFER, PoetischerTrichtercit., J, p. n6 .. 14 Nella prima edizione la citazione non è numerata. Si tratta prohl!hilmente di una pa­

rafrasi di Benjamin [N. d. T.]. "Cfr. LOHENSTF:IN, Afrikanische Trauerspielecit., pp. 308 sgg. (Sophonisbe, III, 431 sgg.}. 16 AGIDWS ALBERTINUS, Luci/ers Konigreich und Seelengeiaidt cit., p. 414. [ ... damit au.B

solchen Fantasten keine Wiitrich Tyrannen vnd der Jugendt oder Weibermorder gebriitet werden].

17 Cfr. HUNOLD, Theatralische Galante cit., p. r8o (Nebucadnezar, III, J). 18 CARL GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia I» und der maximilianische Humanistenkreis,

Dramma e tragedia (m) 121

lancholicus è il «complesso piu abietto»19• La patologia umorale in­

dividuava la causa di questi fenomeni nell'eccesso dell'elemento secco e freddo nell'uomo. Tale elemento era la bile nera- bilis in­naturalis o atra, contrapposta alla bilis naturalis o candida - cosf co­me il temperamento umido e caldo - sanguigno - si credeva aves­se la sua sede nel sangue, quello umido e freddo - flemmatico -nell'acqua, e quello asciutto e caldo - collerico - nella bile gialla. Secondo questa teoria, inoltre, la milza aveva un'importanza de­cisiva nella formazione della bile nera. Il sangue «denso e secco» che scorre nella milza e che vi prende il sopravvento diminuisce il riso nell'uomo e genera l'ipocondria. L'origine fisiologica della me­lanconia- «0 è solo fantasia quella che turba lo spirito stanco, l Il quale, essendo nel corpo, ama la propria pena ?» 20

, come si leg­ge in Gryphius - doveva esercitare una forte impressione sul Ba­rocco, che aveva davanti agli occhi la miseria della condizione uma­na nel suo stato creaturale. Se dagli abissi del dominio creaturale, a cui la speculazione dell'epoca si vedeva legata dai lacci della Chie­sa, sale la melanconia, la sua onnipotenza è dichiarata. Tra le in­tenzioni contemplative essa è in effetti quella propriamente crea­turale, e da sempre è stato osservato che lo sguardo del cane la esprime con non minore intensità del genio che rimugina. «Gra­zioso signore, la tristezza non è fatta per le bestie, ma per gli uo­mini; solo quando gli uomini le van dietro oltre ogni misura di­ventano bestie»21

: con queste parole Sancho si rivolge a Don Chi­sciatte. In termini teologici lo stesso pensiero si ritrova in Paracelso, e ben difficilmente è il risultato di sue deduzioni origi­nali. «L'allegrezza e la tristezza sono del pari nate da Adamo ed Eva. L'allegrezza è depositata in Eva e la tristezza in Adamo ... Un essere umano allegro quanto Eva non nascerà mai piu: e si­milmente, quanto è stato triste Adamo, nessun uomo sarà mai piu. Poiché le due materie di Adamo e di Eva si sono mescolate, cosi che la tristezza è stata temperata dall'allegrezza, e ugualmente l'al­legrezza dalla tristezza ... L'ira, la tirannia, e la facoltà del furo-·

in «Mitteilungen der Gesellschaft fìir vervielfiiltigende Kunst», supplemento a «Graphi­schen Kiinste», XXVI (1903), n. 2, p. 32.

" Wiener Hofbibliothek, Codex 5486 (Sammelband medizinischer Manuskripte von 1471) cit. in GIEHLOW, Dìirers Stich .rMelencolia I» cit., p. 34·

"'GRYPHIUs, Trauerspiele cit., p. 91 (Leo Armenius, III, 406 sgg.}. [Oder ist nur phan­tasey, die den miiden geist betriibet,l Welcher, weil er in dem corper, seinen eignen kum­mer liebet ?]

21 MIGUEL CERVANTES DE SAAVJ!DRA, Don Quixote, Leipzig 1914, vol. II, p. ro6.

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I 2 2 Il dramma barocco tedesco

re, e parimenti la mitezza, la ricchezza di virtU., e la modestia, an­ch'esse vengono da quei due: le prime da Eva, le altre da Adam~, e si distribuirono mescolandosi all'intera progenie»22

• Adamo, pri­mogenito di una creazione intatt~, ~ssied~ l~ tristezza creaturale, Eva, creata per ralle~arlo, .poSSled; la .le!tzta. Il .legame conven­zionale tra melancorua e follia non e qw riSpettato: doveva es~ere proprio Eva a introdurre il peccato originale. 9"?est~ conce~10n~ della melanconia come tristezza non è però ongmar!a. Nell antt: chità essa era intesa piuttosto dialetticamente: sotto il concetto di melanconia un celebre passo aristotelico mette in relazione la g~­nialità con la pazzia. Ora, la teoria s~tom~tica. della melancorua esposta nel cap. xxx dei Problemata è rtmasta m vtgore per ~ltre due millenni. Ercole Egiziaco è il prototipo di un caratt~e des!mato al: le imprese piu alte prima di sprofondare nella pazZia .. «G~ estremi opposti di una intensa attività spirituale e. della sua ptu ~b!5sale ro­vina» susciteranno nell'osservatore propno per la loro vtcmanza lo stesso brivido di orrore2

'. Occorre poi aggi~gere ~e l~ ~eni~tà melanconica suole annunciarsi soprattutto m ambtto divmatono. Antica - e ripresa dal trattato aristote~co De ~ivinati~ne somnium - è l'idea secondo la quale la melanco?Ja f~v~ruebbe ~ ~ono della veggenza. E_questo resid~o intatt~ dt ~tt~h} teo~emt ritorna alla luce nella tradizione medievale det sogru VlStonan, che ~arebbe;o accordati appunto al melanconico. Anche n~l xvn secolo m.c,ontna­mo diagnosi del genere, e sia pure su un .regtstro se~p.~e pm cupo: «Una generale tristezza suole preannunciare l~ peggton.sventure». E cosf pure, con forte rilievo, il ~el poe~a di Tscherrung, Melan­choley Redet se/ber [La melancorua parla m persona]:

Ich Mutter schweren bluts ich faule Last der Erden Wil sagen was ich bin und was dur~ m.ich.kan ~~den. Ich bin die schwartze Gal! 'nechst 1m Latem gehort Im Deutschen aber nun und keines doch gelehrt. . Ich kan durch wahnwitz fast so gute V erse schreiben Als einer der sich liist den weisen Fobus treiben

:u PARACELSO, Erster Theil der Bucher und Schrifften, Basel 1589, part~ I, ~P: 36~ ~g. [D. Froligkeit vnn die Traurigkeit ist auch geboren von Adam vnn Eua. Dte Froligkett ~st in ~ua gelegen vnn die Traurigkeit in Adam ... So ein frolichs Mensch als ?ua çewes~ 1St wirdt nimmermehr geboren: De.Bgleichen als traurig als Adam gewese? 1St wtr?t wetter kein Mensch geboren. Da~ die zwo Materien A~~e v~ Euae ~be~. s!ch ;rerm1sch~ daB die Traurigkeit temperiert 1st worden vonn der Froligke1t vnnd di~ Froligkett de.Bgle~chen von der Traurigkeit ... Der Zorn Tyranney vnnd die Wuet.end Etge~afft de.Bgletchen die Mildte Tugentreiche vnnd Bescheidenheit ist auch yon ~ ~yden hie: daB Erste von Eua, das Ander von Adamo, und dur~ ve~ung emgetheilt mn alle Proles].

., GIEHLOW, Durers Stich .rMelencolia l» c1t., XXVII (1904), p. 7'~ (n. 4).

Dramma e tragedia (m) I 2 3

Den Vater aller Kunst. Ich fiirchte nur allein Es mochte bey der W el t der Argwohn von mir seyn Als ob vom Hollengeist ich etwas wolt'ergriinden Sonst kont' ich vor der Zeit was noch nicht ist verkiinden Indessen bleib ich doch stets eine Poetinn Besinge meinen fall und was ich selber bin. Und diesen Ruhm hat mir mein edles Blut geleget Und Himmelischer Geist warm der sich in mir reget Entziind ich als ein Gott die Herzten schleunig an Da gehn sie ausser sich und suchen eine Bahn Die mehr als Weltlich ist. Hat jemand was gesehen Von der Sibyllen Han d so ists durch mich geschehen24 •

La tenacia di questo schema, proprio di un'analisi antropolo­gica di non comune profondità, è tale da sorprendere. Ancora Kant dipingeva il quadro del melanconico con gli stessi colori che tro­viamo nei teorici piu antichi: le Osservazioni sul sentimento del bel­lo e del sublime gli attribuiscono «desiderio di vendetta ... avrà vi­sioni, sentirà voci ... sogni premonitori, vaticini, prodigi»25 •

Se nella scuola di Salerno l'antica patologia umorale rivive at­traverso la mediazione della scienza araba, l'Arabia fu anche la eu­stode di quell'altra scienza ellenistica di cui si nutrf la teoria del melanconico: l'astrologia. Qualè fonte principale della lettura me­dievale degli astri si può indicare l'astronomia di Abii Ma'shar, a sua volta debitrice di fonti tardoantiche. La teoria della melanco­nia sta in un rapporto preciso con la dottrina degli influssi astrali. E fra i vari influssi, quello che presiedeva all'umore melanconico non poteva essere che il piu sciagurato, quello di Saturno. Se, com'è noto, nella teoria del temperamento melanconico il registro astrologico e quello medico rimangono separati - Paracelso vole­va bandire la melanconia dal secondo per relegarla nel primo2\ e

"'TSCHERNING, Vortrab Des Sommers cit. [lo madre di sangue greve, io pigro gravame della terra l Voglio dire che cosa sono, e quali sono i miei poteri. l Sono la bile nera, come prima si diceva in latino l E ora anche in tedesco l Eppure nessuno mi conosce. l So, at­traverso la follia, scrivere versi buoni, l Come quelli di chi si lascia guidare dal saggio Fe­bo, l TI padre di ogni arte. E temo soltanto l Che intorno a me nel mondo si generi il so­spetto l Come se volessi scrutare gli spiriti infernali l Cos! da annunciare prima del tempo ciò che ancora non è. l Intanto rimango una poetessa, l Canto la mia caduta e quel ch'io so· no. l E questa fama mi viene dal mio nobile sangue l E da spirito celeste, quand'esso aleg­gia in me. l Accendo allora i cuori come un dio l Ed essi van fuori di sé, e cercano una via l Piu che mondana. Se mai qualcuno ha visto qualcosa l Per mano delle SibilJe, ciò è avve­nuto grazie a me].

, IMMANUEL KANT, Beobachtungen uber das Gefuhl des SchOnen und Erhabenen, Konigs­berg 1764, pp. 33 sgg.; trad. it. di P. Carabellese in Scritti precritici, Bari 1982, p. 308 .

" Cfr. PARACELSo, Erster Theil der Bucher und Schrifften cit., .PP· 82 sgg., 86; ibid.: An-

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I 2 2 Il dramma barocco tedesco

re, e parimenti la mitezza, la ricchezza di virtU., e la modestia, an­ch'esse vengono da quei due: le prime da Eva, le altre da Adam~, e si distribuirono mescolandosi all'intera progenie»22

• Adamo, pri­mogenito di una creazione intatt~, ~ssied~ l~ tristezza creaturale, Eva, creata per ralle~arlo, .poSSled; la .le!tzta. Il .legame conven­zionale tra melancorua e follia non e qw riSpettato: doveva es~ere proprio Eva a introdurre il peccato originale. 9"?est~ conce~10n~ della melanconia come tristezza non è però ongmar!a. Nell antt: chità essa era intesa piuttosto dialetticamente: sotto il concetto di melanconia un celebre passo aristotelico mette in relazione la g~­nialità con la pazzia. Ora, la teoria s~tom~tica. della melancorua esposta nel cap. xxx dei Problemata è rtmasta m vtgore per ~ltre due millenni. Ercole Egiziaco è il prototipo di un caratt~e des!mato al: le imprese piu alte prima di sprofondare nella pazZia .. «G~ estremi opposti di una intensa attività spirituale e. della sua ptu ~b!5sale ro­vina» susciteranno nell'osservatore propno per la loro vtcmanza lo stesso brivido di orrore2

'. Occorre poi aggi~gere ~e l~ ~eni~tà melanconica suole annunciarsi soprattutto m ambtto divmatono. Antica - e ripresa dal trattato aristote~co De ~ivinati~ne somnium - è l'idea secondo la quale la melanco?Ja f~v~ruebbe ~ ~ono della veggenza. E_questo resid~o intatt~ dt ~tt~h} teo~emt ritorna alla luce nella tradizione medievale det sogru VlStonan, che ~arebbe;o accordati appunto al melanconico. Anche n~l xvn secolo m.c,ontna­mo diagnosi del genere, e sia pure su un .regtstro se~p.~e pm cupo: «Una generale tristezza suole preannunciare l~ peggton.sventure». E cosf pure, con forte rilievo, il ~el poe~a di Tscherrung, Melan­choley Redet se/ber [La melancorua parla m persona]:

Ich Mutter schweren bluts ich faule Last der Erden Wil sagen was ich bin und was dur~ m.ich.kan ~~den. Ich bin die schwartze Gal! 'nechst 1m Latem gehort Im Deutschen aber nun und keines doch gelehrt. . Ich kan durch wahnwitz fast so gute V erse schreiben Als einer der sich liist den weisen Fobus treiben

:u PARACELSO, Erster Theil der Bucher und Schrifften, Basel 1589, part~ I, ~P: 36~ ~g. [D. Froligkeit vnn die Traurigkeit ist auch geboren von Adam vnn Eua. Dte Froligkett ~st in ~ua gelegen vnn die Traurigkeit in Adam ... So ein frolichs Mensch als ?ua çewes~ 1St wirdt nimmermehr geboren: De.Bgleichen als traurig als Adam gewese? 1St wtr?t wetter kein Mensch geboren. Da~ die zwo Materien A~~e v~ Euae ~be~. s!ch ;rerm1sch~ daB die Traurigkeit temperiert 1st worden vonn der Froligke1t vnnd di~ Froligkett de.Bgle~chen von der Traurigkeit ... Der Zorn Tyranney vnnd die Wuet.end Etge~afft de.Bgletchen die Mildte Tugentreiche vnnd Bescheidenheit ist auch yon ~ ~yden hie: daB Erste von Eua, das Ander von Adamo, und dur~ ve~ung emgetheilt mn alle Proles].

., GIEHLOW, Durers Stich .rMelencolia l» c1t., XXVII (1904), p. 7'~ (n. 4).

Dramma e tragedia (m) I 2 3

Den Vater aller Kunst. Ich fiirchte nur allein Es mochte bey der W el t der Argwohn von mir seyn Als ob vom Hollengeist ich etwas wolt'ergriinden Sonst kont' ich vor der Zeit was noch nicht ist verkiinden Indessen bleib ich doch stets eine Poetinn Besinge meinen fall und was ich selber bin. Und diesen Ruhm hat mir mein edles Blut geleget Und Himmelischer Geist warm der sich in mir reget Entziind ich als ein Gott die Herzten schleunig an Da gehn sie ausser sich und suchen eine Bahn Die mehr als Weltlich ist. Hat jemand was gesehen Von der Sibyllen Han d so ists durch mich geschehen24 •

La tenacia di questo schema, proprio di un'analisi antropolo­gica di non comune profondità, è tale da sorprendere. Ancora Kant dipingeva il quadro del melanconico con gli stessi colori che tro­viamo nei teorici piu antichi: le Osservazioni sul sentimento del bel­lo e del sublime gli attribuiscono «desiderio di vendetta ... avrà vi­sioni, sentirà voci ... sogni premonitori, vaticini, prodigi»25 •

Se nella scuola di Salerno l'antica patologia umorale rivive at­traverso la mediazione della scienza araba, l'Arabia fu anche la eu­stode di quell'altra scienza ellenistica di cui si nutrf la teoria del melanconico: l'astrologia. Qualè fonte principale della lettura me­dievale degli astri si può indicare l'astronomia di Abii Ma'shar, a sua volta debitrice di fonti tardoantiche. La teoria della melanco­nia sta in un rapporto preciso con la dottrina degli influssi astrali. E fra i vari influssi, quello che presiedeva all'umore melanconico non poteva essere che il piu sciagurato, quello di Saturno. Se, com'è noto, nella teoria del temperamento melanconico il registro astrologico e quello medico rimangono separati - Paracelso vole­va bandire la melanconia dal secondo per relegarla nel primo2\ e

"'TSCHERNING, Vortrab Des Sommers cit. [lo madre di sangue greve, io pigro gravame della terra l Voglio dire che cosa sono, e quali sono i miei poteri. l Sono la bile nera, come prima si diceva in latino l E ora anche in tedesco l Eppure nessuno mi conosce. l So, at­traverso la follia, scrivere versi buoni, l Come quelli di chi si lascia guidare dal saggio Fe­bo, l TI padre di ogni arte. E temo soltanto l Che intorno a me nel mondo si generi il so­spetto l Come se volessi scrutare gli spiriti infernali l Cos! da annunciare prima del tempo ciò che ancora non è. l Intanto rimango una poetessa, l Canto la mia caduta e quel ch'io so· no. l E questa fama mi viene dal mio nobile sangue l E da spirito celeste, quand'esso aleg­gia in me. l Accendo allora i cuori come un dio l Ed essi van fuori di sé, e cercano una via l Piu che mondana. Se mai qualcuno ha visto qualcosa l Per mano delle SibilJe, ciò è avve­nuto grazie a me].

, IMMANUEL KANT, Beobachtungen uber das Gefuhl des SchOnen und Erhabenen, Konigs­berg 1764, pp. 33 sgg.; trad. it. di P. Carabellese in Scritti precritici, Bari 1982, p. 308 .

" Cfr. PARACELSo, Erster Theil der Bucher und Schrifften cit., .PP· 82 sgg., 86; ibid.: An-

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124 n dramma barocco tedesco

se le speculazioni armonizzanti intessute sulle loro basi possono apparire casuali in rapporto al carattere empirico, allora è stupe­facente, e quasi inspiegabile, la ricchezza di osservazioni antropo­logiche in cui essa sfocia. Vengono in mente remoti particolari, co­me l'inclinazione del melanconico ai lunghi viaggi: di qui il mare sullo sfondo della Melencolia diireriana; ma anche l'esotismo fa­natico dei drammi di Lohenstein, il gusto, proprio dell'epoca, per le descrizioni di viaggio. Qui la deduzione astronomica è oscura. Diverso è il caso quando la distanza dalla terra, e quindi la lunga durata orbitale del pianeta, non vengono piu intesi in senso nefa­sto, come faceva la scuola di Salerno richiamandosi al divino prin­cipio che assegna all'astro minaccioso il posto piu remoto, ma ven­gono intesi al contrario in senso benefico, e la profondità di spiri­to del melanconico viene attribuita a Saturno, il quale, «come il pianeta piu alto e piu lontano dalla vita quotidiana, e come ispi­ratore di ogni profonda contemplazione, richiama l'anima dall'este­riorità verso l'interno, la fa salire sempre piu in alto e infine le con­cede il sapere supremo e i doni della profezia»27

• Nelle interpreta­zioni di questo tipo, che conferiscono agli sviluppi di quelle dottrine il loro fascino peculiare, si annuncia un tratto dialettico della concezione di Saturno, che corrisponde nel modo piu sor­prendente alla dialettica del concetto greco di melanconia. L'aver scoperto questo nucleo vitale dell'immagine di Saturno è il meri­to specifico di Panofsky e Saxl nel loro bel lavoro Durers Melen­colia I, un merito che si aggiunge alle scoperte del loro straordi­nario modello, ovvero gli studi di Giehlow Durers Stich «Melenco­lia I» und der maximilianische Humanistenkreis [La Melencolia I di Diirer e la cerchia umanistica di Massimiliano]. Leggiamo cosi nel­lo studio piu recente: «Questa extremitas che, rispetto agli altri tre temperamenti, ha reso la melanconia cosi significativa e proble­matica, cosi benefica e inquietante per tutti i secoli. a seguire ... fonda anche il rapporto piu profondo e decisivo tra la melanconia e Saturno ... Come la melanconia, cosi anche Saturno, questo de­mone degli opposti, rende l'anima da un lato inerte ed ottusa, e dall'altro le conferisce il vigore dell'intelligenza e della contem­plazione; come la melanconia, cosi anche Saturno minaccia i suoi sudditi, fossero anche gli spiriti piu illuminati, coi pericoli della follia e del delirio, quel Saturno che, per citare Ficino, "di rado

• der Theil der Bucher und Schri/ften, pp. zo6; ibid.: Vierdter Theil der BiJcher und Schrif/ten, pp. 157 sgg. Vedi anche I, p. 44; IV, pp. 189 sgg.

n GIEHLOW, Durers Stich .rMelencolia Iv cit., XXVII (1904), n. 1-2, p. 14.

Dramma e tragedia (m) 125

sc:g~a. caratte;i ~ dest~ comuni, ma individui diversi dagli altri, divltll o bestiali, beatl oppure oppressi nella piu profonda mise­ria" »28

• Per quanto riguarda questa dialettica saturnina essa ri­chiede una spiegazione «che va cercata nella struttura inclma del­la con~ezione mitologica di Crono in quanto tale ... La rappre­sc:ntaziOne di Crono non è solo dualistica in rapporto all'azione del di_? verso l'~sterno, ma lo è anche in rapporto al suo proprio de­stmo, ~e; dir cosi personale, e lo è inoltre con una tale ampiezza e drast1c1tà che Crono può venire senz' altro definito come un dio degli estremi. Da un lato egli è il signore dell'età dell'oro ... -dall'altro è il dio triste, detronizzato e oltraggiato ... da un lato egli genera (e divora) innumerevoli figli ... dall'altro è condannato a un:eterna sterilità; da un lato egli è ... uno spirito maligno da raggtta;e con l'a~tuzi~ ... dall'altro è l'antico dio della saggezza, che ... m quanto Intelligenza suprema viene venerato come 3tQOf.I.TJ· iteuç e 3tQOfLUVtwç •.• In questa polarità immanente del concetto di Crono trova la sua spiegazione ultima il carattere peculiare della rappresentazione astrologica di Saturno - un carattere che risulta determinato in ultima analisi da uno spiccato e fondamentale dua-li 29p • il smo» . « er portare un esempiO, ancora· commentatore dante-sco J acopo della Lana ha delineato con estrema chiarezza questa an­titesi immanente, e l'ha motivata con acume, mostrando come Sa­turno, per la sua qualità di pianeta grave, freddo, asciutto generi individui completamente materiali, adatti al duro lavoro del campi --: mentre in virtU della sua posizione, essendo il piu alto dei piane­t!, genera al contrario gli individui piu spirituali, i piu lontani dalla vita terrena, i "religiosi contemplativi" »'0 • Nell'ambito di questa dialettica si svolge la storia del problema della melanconia. In que­sta storia è la magia rinascimentale a rappresentare il punto piu al­to. Se le osservazioni di Aristotele sulla duplicità del temperamen­to melanconico, cosi come il carattere antitetico dell'influsso sa­turnino avevano dato luogo nel Medioevo a una concezione puramente demonica di tale influsso, conforme alla speculazione cristiana, col Rinascimento riemerse nuovamente, dalle antiche fon­ti, l'intero repertorio delle vecchie teorie. Avere scoperto questo

• 28 ~WIN PANOFSKY e ~ .sAXL, purers .rMe/e.ncolia I». Bine quel/en- und typenge­

schtchtliche Untersuchung, Le1pz1g-Berlin 1923, pp. r8 sgg.; cfr. trad. it. in RAYMOND KLI· BANSKY, ERWIN PANOFSKY e FRITZ SAXL, Satumo e la melanconia. Studi di storia della/ilo­sofia naturale, religione e arte, Torino 1983, pp. 148.

"Ibid., p. ro; cfr. trad. it. cit., p. 125 sgg. ,. Ibid., p. 14; cfr. trad. it. ci t., p. 2 38.

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124 n dramma barocco tedesco

se le speculazioni armonizzanti intessute sulle loro basi possono apparire casuali in rapporto al carattere empirico, allora è stupe­facente, e quasi inspiegabile, la ricchezza di osservazioni antropo­logiche in cui essa sfocia. Vengono in mente remoti particolari, co­me l'inclinazione del melanconico ai lunghi viaggi: di qui il mare sullo sfondo della Melencolia diireriana; ma anche l'esotismo fa­natico dei drammi di Lohenstein, il gusto, proprio dell'epoca, per le descrizioni di viaggio. Qui la deduzione astronomica è oscura. Diverso è il caso quando la distanza dalla terra, e quindi la lunga durata orbitale del pianeta, non vengono piu intesi in senso nefa­sto, come faceva la scuola di Salerno richiamandosi al divino prin­cipio che assegna all'astro minaccioso il posto piu remoto, ma ven­gono intesi al contrario in senso benefico, e la profondità di spiri­to del melanconico viene attribuita a Saturno, il quale, «come il pianeta piu alto e piu lontano dalla vita quotidiana, e come ispi­ratore di ogni profonda contemplazione, richiama l'anima dall'este­riorità verso l'interno, la fa salire sempre piu in alto e infine le con­cede il sapere supremo e i doni della profezia»27

• Nelle interpreta­zioni di questo tipo, che conferiscono agli sviluppi di quelle dottrine il loro fascino peculiare, si annuncia un tratto dialettico della concezione di Saturno, che corrisponde nel modo piu sor­prendente alla dialettica del concetto greco di melanconia. L'aver scoperto questo nucleo vitale dell'immagine di Saturno è il meri­to specifico di Panofsky e Saxl nel loro bel lavoro Durers Melen­colia I, un merito che si aggiunge alle scoperte del loro straordi­nario modello, ovvero gli studi di Giehlow Durers Stich «Melenco­lia I» und der maximilianische Humanistenkreis [La Melencolia I di Diirer e la cerchia umanistica di Massimiliano]. Leggiamo cosi nel­lo studio piu recente: «Questa extremitas che, rispetto agli altri tre temperamenti, ha reso la melanconia cosi significativa e proble­matica, cosi benefica e inquietante per tutti i secoli. a seguire ... fonda anche il rapporto piu profondo e decisivo tra la melanconia e Saturno ... Come la melanconia, cosi anche Saturno, questo de­mone degli opposti, rende l'anima da un lato inerte ed ottusa, e dall'altro le conferisce il vigore dell'intelligenza e della contem­plazione; come la melanconia, cosi anche Saturno minaccia i suoi sudditi, fossero anche gli spiriti piu illuminati, coi pericoli della follia e del delirio, quel Saturno che, per citare Ficino, "di rado

• der Theil der Bucher und Schri/ften, pp. zo6; ibid.: Vierdter Theil der BiJcher und Schrif/ten, pp. 157 sgg. Vedi anche I, p. 44; IV, pp. 189 sgg.

n GIEHLOW, Durers Stich .rMelencolia Iv cit., XXVII (1904), n. 1-2, p. 14.

Dramma e tragedia (m) 125

sc:g~a. caratte;i ~ dest~ comuni, ma individui diversi dagli altri, divltll o bestiali, beatl oppure oppressi nella piu profonda mise­ria" »28

• Per quanto riguarda questa dialettica saturnina essa ri­chiede una spiegazione «che va cercata nella struttura inclma del­la con~ezione mitologica di Crono in quanto tale ... La rappre­sc:ntaziOne di Crono non è solo dualistica in rapporto all'azione del di_? verso l'~sterno, ma lo è anche in rapporto al suo proprio de­stmo, ~e; dir cosi personale, e lo è inoltre con una tale ampiezza e drast1c1tà che Crono può venire senz' altro definito come un dio degli estremi. Da un lato egli è il signore dell'età dell'oro ... -dall'altro è il dio triste, detronizzato e oltraggiato ... da un lato egli genera (e divora) innumerevoli figli ... dall'altro è condannato a un:eterna sterilità; da un lato egli è ... uno spirito maligno da raggtta;e con l'a~tuzi~ ... dall'altro è l'antico dio della saggezza, che ... m quanto Intelligenza suprema viene venerato come 3tQOf.I.TJ· iteuç e 3tQOfLUVtwç •.• In questa polarità immanente del concetto di Crono trova la sua spiegazione ultima il carattere peculiare della rappresentazione astrologica di Saturno - un carattere che risulta determinato in ultima analisi da uno spiccato e fondamentale dua-li 29p • il smo» . « er portare un esempiO, ancora· commentatore dante-sco J acopo della Lana ha delineato con estrema chiarezza questa an­titesi immanente, e l'ha motivata con acume, mostrando come Sa­turno, per la sua qualità di pianeta grave, freddo, asciutto generi individui completamente materiali, adatti al duro lavoro del campi --: mentre in virtU della sua posizione, essendo il piu alto dei piane­t!, genera al contrario gli individui piu spirituali, i piu lontani dalla vita terrena, i "religiosi contemplativi" »'0 • Nell'ambito di questa dialettica si svolge la storia del problema della melanconia. In que­sta storia è la magia rinascimentale a rappresentare il punto piu al­to. Se le osservazioni di Aristotele sulla duplicità del temperamen­to melanconico, cosi come il carattere antitetico dell'influsso sa­turnino avevano dato luogo nel Medioevo a una concezione puramente demonica di tale influsso, conforme alla speculazione cristiana, col Rinascimento riemerse nuovamente, dalle antiche fon­ti, l'intero repertorio delle vecchie teorie. Avere scoperto questo

• 28 ~WIN PANOFSKY e ~ .sAXL, purers .rMe/e.ncolia I». Bine quel/en- und typenge­

schtchtliche Untersuchung, Le1pz1g-Berlin 1923, pp. r8 sgg.; cfr. trad. it. in RAYMOND KLI· BANSKY, ERWIN PANOFSKY e FRITZ SAXL, Satumo e la melanconia. Studi di storia della/ilo­sofia naturale, religione e arte, Torino 1983, pp. 148.

"Ibid., p. ro; cfr. trad. it. cit., p. 125 sgg. ,. Ibid., p. 14; cfr. trad. it. ci t., p. 2 38.

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126 Il dramma barocco tedesco

punto di svolta, e averlo rappresentato in tutta la sua intensità drammatica, costituisce il grande merito e la superiore bellezza del lavoro di Giehlow. Per il Rinascimento, che reinterpretò la me­lanconia saturnina nel senso di una dottrina del genio con una ra­dicalità mai raggiunta neanche dal pensiero antico, «al centro del~ la fede astrologica stava - per usare un espressione di W arburg -il timore di Saturno»n. Già il Medioevo si era impadronito, in nu­merose varianti, della semantica saturnina. Il signore dei mesi, «il dio greco del tempo e il demone romano delle messi»32

, sono di­ventati la Morte mietitrice con la sua falce, rivolta non piu alle messi ma al genere umano, e cosi il tempo non è piu dominato dal corso dell'anno, col succedersi di semina, mietitura e tregua inver­nale, ma dalla corsa implacabile di ogni vita verso la morte. Ma per un'epoca impegnata con tutte le sue forze a indagare le fonti oc­culte della filosofia naturale l'immagine del melanconico poneva un quesito: come fosse possibile carpire a Saturno le energie spiritua­li senza cadere nella follia. Si trattava di distinguere la melanconia sublime, Melencolia il!a heroica di Marsilio Ficino e Melantone33

,

dalla melanconia ordinaria e funesta. L'incantesimo astrologico mi­ra a una precisa dietetica del corpo e dell'anima: la nobilitazione della melanconia è il tema principale dell'opera De vita triplici di Marsilio Ficino. Il quadrato magico, che si trova inciso sulla tavo­la a capo della Melencolia diireriana, è il sigillo planetario di Gio­ve, il cui influsso si oppone alle forze oscure di Saturno. Accanto alla tavola è appesa la bilancia, che allude all'emblema astrologico di Giove. «Multo generosior est melancholia, si coniunctione Sa­turni et Iouis in libra temperetur, qualis uidetur Augusti melan­cholia fuisse»'4

• Sotto l'influsso di Giove le ispirazioni nefaste di­ventano benefiche, Saturno diventa il nume tutelare delle ricerche piu sublimi; anche l'astrologia ricade nella sua sfera. Cosi Diirer po­teva nutrire il proposito di «esprimere nei tratti saturnini del vol­to anche la concentrazione divinatoria della mente»35

"ABY WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung in Wort und Bild zu Luthers Zeiten, Hei­delberg 1920 («Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Philo­sophisch-historische Klasse», 1920 [ma 1919], n. 26, p. 24); trad. it. La rinascita delpaga­nesimo antico. Contributi alla storia della cultura, Firenze 1966, p. 332.

"Ibid., p. 25; trad. it. cit., p. 333· "FILIPPO MELANTONE, De anima, Vitebergae 1548, f. 82r; cit. in WARBURG, Heidni-

sch-antike Weissagung cit., p. 61. "Ibid., f. 7611; cit. in WARBURG, Heidnisch-antike Weissagungcit., p. 62.

"GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia l» cit., p. 78 (n. 4).

Dramma e tragedia (m) 12 7

La teoria della melanconia si è venuta cristallizzando intorno a una ~erie di an~chi. simboli, su~ il Rinascimento proiettò, con genialità mterpretatl.va mcomparabile, quella complessa dialettica dottrinale. Tra le figure emblematiche che si affollano davanti alla Melancolia diireriana c'è quella del cane. Non a caso, una descrizione di Egidio Albertino riferita allo stato d'animo del melanconico si richiama alla rabbia'6• Secondo un'antica tradizione «è la milza a dominare l'orga­nismo del cane»37

• Ed è questo un tratto che lo accomuna al melan­conico. Se quest'organo, descritto come particolarmente delicato si altera, il cane perderà la sua allegria e cadrà in preda alla rabbia.' In questo senso il cane simboleggia l'aspetto oscuro del temperamento melanconico. D'altra parte ci si richiamava al suo fiuto e alla sua re­sistenza per vedere in esso l'emblema della ricerca instancabile e ri­ll;lu~te. «Nel suo commentario a questo geroglifico Pierio Vale­nano dice espressamente che il cane migliore nel fiuto e nella corsa è quello che "faciem melancholicam prae se ferat" »38

• Nell'incisione di Diirer l'ambivalenza dell'emblema è poi arricchita dal fatto che l'ani­male è raffigurato mentre dorme: se i sogni nefasti vengono dalla mil­za, anche quelli divinatori sono un privilegio del melanconico. n dram­ll;l~ barocco li conosce come patrimonio comune dei principi e dei mar­tlrl. Ma anche questi sogni divinatori vanno intesi come l'incubazione geomantica nel tempio della creazione, e non come ispirazioni subli­mi o addirittura divine. Perché tutta la saggezza del melanconico ap­partiene alla profondità: essa nasce da un'immersione nella vita delle cose creaturali, la voce della rivelazione le è ignota. La sfera saturni­na rimanda alle pròfondità della terra, ed è qui che si conserva il vec­chio dio delle messi. Secondo Agrippa di Nettesheim Saturno dona «il seme della profondità e ... i tesori nascosti»39

• Gli occhi rivolti ver­so il basso sono qui un segno distintivo dell'uomo saturnino che sca-va il terreno con lo sguardo. E cosf anche Tscherning: '

Wem ich noch unbekandt der kennt mich von Geberden Ich wende fort und fi.ir mein'Augen hin zur Erden W eil von der Erden ich zuvor entsprossen bin So seh ich nirgends mehr als auff die Mutter hin40

,. Cfr. AGIDIUS ALBERTINUS, Luci/ers Konigreich und Seelengejaidtcit., p. 417. 37 GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia I» cit., p. 72. ncit. in ibid. )• FRANZ JOHANNES BOLL, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen

der Astrologie, Leipzig-Berlin 1926, p. 37· 40 TSCHERNING, Vortrab Des Sommers cit. [Chi ancora non mi conosce mi riconosce ai

gesti, l Continuamente rivolgo i miei occhi alla terra, l Poiché prima dali~ terra sono ger­mogliata, l Cosi io non guardo piu nulla se non la madre].

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126 Il dramma barocco tedesco

punto di svolta, e averlo rappresentato in tutta la sua intensità drammatica, costituisce il grande merito e la superiore bellezza del lavoro di Giehlow. Per il Rinascimento, che reinterpretò la me­lanconia saturnina nel senso di una dottrina del genio con una ra­dicalità mai raggiunta neanche dal pensiero antico, «al centro del~ la fede astrologica stava - per usare un espressione di W arburg -il timore di Saturno»n. Già il Medioevo si era impadronito, in nu­merose varianti, della semantica saturnina. Il signore dei mesi, «il dio greco del tempo e il demone romano delle messi»32

, sono di­ventati la Morte mietitrice con la sua falce, rivolta non piu alle messi ma al genere umano, e cosi il tempo non è piu dominato dal corso dell'anno, col succedersi di semina, mietitura e tregua inver­nale, ma dalla corsa implacabile di ogni vita verso la morte. Ma per un'epoca impegnata con tutte le sue forze a indagare le fonti oc­culte della filosofia naturale l'immagine del melanconico poneva un quesito: come fosse possibile carpire a Saturno le energie spiritua­li senza cadere nella follia. Si trattava di distinguere la melanconia sublime, Melencolia il!a heroica di Marsilio Ficino e Melantone33

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dalla melanconia ordinaria e funesta. L'incantesimo astrologico mi­ra a una precisa dietetica del corpo e dell'anima: la nobilitazione della melanconia è il tema principale dell'opera De vita triplici di Marsilio Ficino. Il quadrato magico, che si trova inciso sulla tavo­la a capo della Melencolia diireriana, è il sigillo planetario di Gio­ve, il cui influsso si oppone alle forze oscure di Saturno. Accanto alla tavola è appesa la bilancia, che allude all'emblema astrologico di Giove. «Multo generosior est melancholia, si coniunctione Sa­turni et Iouis in libra temperetur, qualis uidetur Augusti melan­cholia fuisse»'4

• Sotto l'influsso di Giove le ispirazioni nefaste di­ventano benefiche, Saturno diventa il nume tutelare delle ricerche piu sublimi; anche l'astrologia ricade nella sua sfera. Cosi Diirer po­teva nutrire il proposito di «esprimere nei tratti saturnini del vol­to anche la concentrazione divinatoria della mente»35

"ABY WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung in Wort und Bild zu Luthers Zeiten, Hei­delberg 1920 («Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Philo­sophisch-historische Klasse», 1920 [ma 1919], n. 26, p. 24); trad. it. La rinascita delpaga­nesimo antico. Contributi alla storia della cultura, Firenze 1966, p. 332.

"Ibid., p. 25; trad. it. cit., p. 333· "FILIPPO MELANTONE, De anima, Vitebergae 1548, f. 82r; cit. in WARBURG, Heidni-

sch-antike Weissagung cit., p. 61. "Ibid., f. 7611; cit. in WARBURG, Heidnisch-antike Weissagungcit., p. 62.

"GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia l» cit., p. 78 (n. 4).

Dramma e tragedia (m) 12 7

La teoria della melanconia si è venuta cristallizzando intorno a una ~erie di an~chi. simboli, su~ il Rinascimento proiettò, con genialità mterpretatl.va mcomparabile, quella complessa dialettica dottrinale. Tra le figure emblematiche che si affollano davanti alla Melancolia diireriana c'è quella del cane. Non a caso, una descrizione di Egidio Albertino riferita allo stato d'animo del melanconico si richiama alla rabbia'6• Secondo un'antica tradizione «è la milza a dominare l'orga­nismo del cane»37

• Ed è questo un tratto che lo accomuna al melan­conico. Se quest'organo, descritto come particolarmente delicato si altera, il cane perderà la sua allegria e cadrà in preda alla rabbia.' In questo senso il cane simboleggia l'aspetto oscuro del temperamento melanconico. D'altra parte ci si richiamava al suo fiuto e alla sua re­sistenza per vedere in esso l'emblema della ricerca instancabile e ri­ll;lu~te. «Nel suo commentario a questo geroglifico Pierio Vale­nano dice espressamente che il cane migliore nel fiuto e nella corsa è quello che "faciem melancholicam prae se ferat" »38

• Nell'incisione di Diirer l'ambivalenza dell'emblema è poi arricchita dal fatto che l'ani­male è raffigurato mentre dorme: se i sogni nefasti vengono dalla mil­za, anche quelli divinatori sono un privilegio del melanconico. n dram­ll;l~ barocco li conosce come patrimonio comune dei principi e dei mar­tlrl. Ma anche questi sogni divinatori vanno intesi come l'incubazione geomantica nel tempio della creazione, e non come ispirazioni subli­mi o addirittura divine. Perché tutta la saggezza del melanconico ap­partiene alla profondità: essa nasce da un'immersione nella vita delle cose creaturali, la voce della rivelazione le è ignota. La sfera saturni­na rimanda alle pròfondità della terra, ed è qui che si conserva il vec­chio dio delle messi. Secondo Agrippa di Nettesheim Saturno dona «il seme della profondità e ... i tesori nascosti»39

• Gli occhi rivolti ver­so il basso sono qui un segno distintivo dell'uomo saturnino che sca-va il terreno con lo sguardo. E cosf anche Tscherning: '

Wem ich noch unbekandt der kennt mich von Geberden Ich wende fort und fi.ir mein'Augen hin zur Erden W eil von der Erden ich zuvor entsprossen bin So seh ich nirgends mehr als auff die Mutter hin40

,. Cfr. AGIDIUS ALBERTINUS, Luci/ers Konigreich und Seelengejaidtcit., p. 417. 37 GIEHLOW, Diirers Stich .rMelencolia I» cit., p. 72. ncit. in ibid. )• FRANZ JOHANNES BOLL, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen

der Astrologie, Leipzig-Berlin 1926, p. 37· 40 TSCHERNING, Vortrab Des Sommers cit. [Chi ancora non mi conosce mi riconosce ai

gesti, l Continuamente rivolgo i miei occhi alla terra, l Poiché prima dali~ terra sono ger­mogliata, l Cosi io non guardo piu nulla se non la madre].

Page 163: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

128 Il dramma barocco tedesco

Le ispirazioni della Madre Terra vengono incontro al melan­conico nelle sue ruminazioni notturne come tesori dalle viscere del­la terra: l'intuizione che colpisce fulminea gli è ignota. Nota in pas­sato unicamente come elemento freddo e asciutto, la terra trova tutta la ricchezza del ,suo significato esoterico in una riflessione scientifica di Ficino. E la nuova analogia tra la forza di gravità e la concentrazione del pensiero a immettere il vecchio simbolo nel grande quadro interpretativo del filosofo rinascimentale. «Natu­ralis autem causa esse videtur, quod ad scientias, praesertim dif­ficiles consequendas, necesse est animum ab externis ad interna, tamquam a circumferentia quadam ad centrum sese recipere at­que, dum speculatur, in ipso (ut ita dixerim) hominis centro sta­bilissime permanere. Ad centrum vero a circumferentia se colli­gere figique in centro, maxime terrae ipsius est proprium, cui qui­clero atra bilis persimilis est. Igitur atra bilis animum, ut se et colligat in unum et sistat in uno comtempleturque, assidue provo­cat. Atque ipsa mundi centro similis ad centrum rerum singularum cogit investigandum, evehitque ad altissima quaeque comprehen­denda»41. Se a questo proposito Panofsky e Saxl osservano, con­tro Giehlow, che non si può dire che Ficino «raccomandi» la con­centrazione al melanconico42

, essi hanno ragione. Ma è un'affer­mazione di ben poco peso di fronte alla serie analogica che allinea il pensiero, la concentrazione, la terra, la bile, e non solo per con­durre dal primo all'ultimo termine, ma con evidente allusione a una nuova interpretazione della terra nella vecchia dottrina dei temperamenti. Questa infatti, secondo un'antica teoria, deve la sua forma sferica e quindi, come già asseriva Tolomeo, la sua po­sizione centrale nell'universo alla forza di concentrazione. Sicché anche l'ipotesi di Giehlow, secondo cui la sfera dell'incisione dii­reriana sarebbe un emblema del rimuginare, non è senz' altro da respingere43 • E questo «frutto estremamente maturo e misterioso della cultura cosmologica dell'epoca di Massimiliano » 44

, come lo chiama W arburg, potrebbe contenere in germe la pienezza alle­gorica del Barocco, qui ancora legata dalla forza di un genio e tut­tavia pronta a un'esplosiva fioritura. Il recupero degli antichi sim­boli della melanconia, documentato da questa incisione e dalla spe-

41 MARSILIO FICINO, De vita triplici; cit. in PANOFSKY e SAXL, Durers ..-Melencolia b> cit., p. 51, nota 2.

42 Cfr. ibid. "Cfr. ibid., p. 64, nota 2.

"WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung ci t., p. 54·

Dramma e tragedia (m) 129

culazione contemporanea, ne ha probabilmente sorvolato uno che sembra essere sfuggito all'attenzione di Giehlow e di altri s~dio­si. Si tratta d~Jla pietra. Il suo posto nell'inventario dei simboli è sicuro. Se in Ag!dius Albert~us leggiamo del melanconico quan­to segue: «la tristezza, che m genere ammorbidisce il cuore in umiltà, non fa che renderlo piu ostinato nel suo perverso pensie­ro, perché le sue lacrime non cadono dentro il cuore in modo da ~orbidir~e la ~urezza, ma si comporta come la pietra, che quan­do il te~po e umido suda solo all'esterno»45

, si sarebbe tentati di cercare m queste parole un significato particolare. Ma il quadro cambia quando, nel discorso funebre di Hallmann per il signor Sa­~uel von But~chky, leggiamo queste parole: «Era per natura me­ditabondo e di complessione melanconica, e questi animi rifletto­no con piu ostinazione e sono in tutte le azioni piu cauti. La testa di Medusa piena di serpi, come pure il mostro africano e il coc­codrillo piangente del nostro mondo, non potevano sed~re i suoi occhi, e meno che mai trasformare le sue membra in una sgrazia­ta pietra»46

• E per la terza volta incontriamo la pietra nel bel dia­logo di Filidoro tra la Melanconia e la Gioia:

~elank~ley. Fr:ude. Jene ist ein altes Weib in verachtlichen Lumpen gekle1det nnt verhiilleten (!) Haupt sitzet auff einem Stein unter einem diirren Baum den Kopff in den SchooB legend Neben ihr stehet eine Nacht-Eule... ·

MELANKOLEY

Der harte Stein der diirre Baum Der abgestorbenen Zypressen Giebt meiner Schwermuth sichern Raum un d macht der Scheelsucht mich vergessen ...

FREUD E

W er ist diB Murmelthier hier an den diirren Ast gekrfunmet? Der tieffen Augen rothe straalt wie ein Blut Comete der zum Verderb und Schrecken glimmet ...

"Cfr. AGIDlUS ÀLBERTINUS, Lucifers Kiinigreich undSeelengeyaidtcit., p. 406. [Die Triib­s~, als welche sonsten das Herz in Demut erweicht, machet ihn nur immer storrischer in semem verkehrten Gedanken, denn seine Trlinen fallen ihn1 nicht in ins Herz hinein daB siedi~ Hartigkeit erweichten, sondern es ist mit ihn1 wie mit dem Stein, der nur von a~ schw1tzt, wenn das Wetter feucht ist]. • "'HALLMAN~, Leichreden cit., p. 137· [Er war von Natur tieffsinnig und Melancho­

lischer ~o~plex1on, welche Gemiither einer Sache bestiindiger nachdencken und in a]. len ~ct1;orubus behuttsam verfahren. ~as Schlangenvolle Medusen Haupt wie auch das Afncarusche Monstrum, nebst dem wemenden Crocodille dieser Welt konten seine Au­gen nicht verfiihren vie! weniger seine Glieder in einen unarthigen Stein verwandeln].

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128 Il dramma barocco tedesco

Le ispirazioni della Madre Terra vengono incontro al melan­conico nelle sue ruminazioni notturne come tesori dalle viscere del­la terra: l'intuizione che colpisce fulminea gli è ignota. Nota in pas­sato unicamente come elemento freddo e asciutto, la terra trova tutta la ricchezza del ,suo significato esoterico in una riflessione scientifica di Ficino. E la nuova analogia tra la forza di gravità e la concentrazione del pensiero a immettere il vecchio simbolo nel grande quadro interpretativo del filosofo rinascimentale. «Natu­ralis autem causa esse videtur, quod ad scientias, praesertim dif­ficiles consequendas, necesse est animum ab externis ad interna, tamquam a circumferentia quadam ad centrum sese recipere at­que, dum speculatur, in ipso (ut ita dixerim) hominis centro sta­bilissime permanere. Ad centrum vero a circumferentia se colli­gere figique in centro, maxime terrae ipsius est proprium, cui qui­clero atra bilis persimilis est. Igitur atra bilis animum, ut se et colligat in unum et sistat in uno comtempleturque, assidue provo­cat. Atque ipsa mundi centro similis ad centrum rerum singularum cogit investigandum, evehitque ad altissima quaeque comprehen­denda»41. Se a questo proposito Panofsky e Saxl osservano, con­tro Giehlow, che non si può dire che Ficino «raccomandi» la con­centrazione al melanconico42

, essi hanno ragione. Ma è un'affer­mazione di ben poco peso di fronte alla serie analogica che allinea il pensiero, la concentrazione, la terra, la bile, e non solo per con­durre dal primo all'ultimo termine, ma con evidente allusione a una nuova interpretazione della terra nella vecchia dottrina dei temperamenti. Questa infatti, secondo un'antica teoria, deve la sua forma sferica e quindi, come già asseriva Tolomeo, la sua po­sizione centrale nell'universo alla forza di concentrazione. Sicché anche l'ipotesi di Giehlow, secondo cui la sfera dell'incisione dii­reriana sarebbe un emblema del rimuginare, non è senz' altro da respingere43 • E questo «frutto estremamente maturo e misterioso della cultura cosmologica dell'epoca di Massimiliano » 44

, come lo chiama W arburg, potrebbe contenere in germe la pienezza alle­gorica del Barocco, qui ancora legata dalla forza di un genio e tut­tavia pronta a un'esplosiva fioritura. Il recupero degli antichi sim­boli della melanconia, documentato da questa incisione e dalla spe-

41 MARSILIO FICINO, De vita triplici; cit. in PANOFSKY e SAXL, Durers ..-Melencolia b> cit., p. 51, nota 2.

42 Cfr. ibid. "Cfr. ibid., p. 64, nota 2.

"WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung ci t., p. 54·

Dramma e tragedia (m) 129

culazione contemporanea, ne ha probabilmente sorvolato uno che sembra essere sfuggito all'attenzione di Giehlow e di altri s~dio­si. Si tratta d~Jla pietra. Il suo posto nell'inventario dei simboli è sicuro. Se in Ag!dius Albert~us leggiamo del melanconico quan­to segue: «la tristezza, che m genere ammorbidisce il cuore in umiltà, non fa che renderlo piu ostinato nel suo perverso pensie­ro, perché le sue lacrime non cadono dentro il cuore in modo da ~orbidir~e la ~urezza, ma si comporta come la pietra, che quan­do il te~po e umido suda solo all'esterno»45

, si sarebbe tentati di cercare m queste parole un significato particolare. Ma il quadro cambia quando, nel discorso funebre di Hallmann per il signor Sa­~uel von But~chky, leggiamo queste parole: «Era per natura me­ditabondo e di complessione melanconica, e questi animi rifletto­no con piu ostinazione e sono in tutte le azioni piu cauti. La testa di Medusa piena di serpi, come pure il mostro africano e il coc­codrillo piangente del nostro mondo, non potevano sed~re i suoi occhi, e meno che mai trasformare le sue membra in una sgrazia­ta pietra»46

• E per la terza volta incontriamo la pietra nel bel dia­logo di Filidoro tra la Melanconia e la Gioia:

~elank~ley. Fr:ude. Jene ist ein altes Weib in verachtlichen Lumpen gekle1det nnt verhiilleten (!) Haupt sitzet auff einem Stein unter einem diirren Baum den Kopff in den SchooB legend Neben ihr stehet eine Nacht-Eule... ·

MELANKOLEY

Der harte Stein der diirre Baum Der abgestorbenen Zypressen Giebt meiner Schwermuth sichern Raum un d macht der Scheelsucht mich vergessen ...

FREUD E

W er ist diB Murmelthier hier an den diirren Ast gekrfunmet? Der tieffen Augen rothe straalt wie ein Blut Comete der zum Verderb und Schrecken glimmet ...

"Cfr. AGIDlUS ÀLBERTINUS, Lucifers Kiinigreich undSeelengeyaidtcit., p. 406. [Die Triib­s~, als welche sonsten das Herz in Demut erweicht, machet ihn nur immer storrischer in semem verkehrten Gedanken, denn seine Trlinen fallen ihn1 nicht in ins Herz hinein daB siedi~ Hartigkeit erweichten, sondern es ist mit ihn1 wie mit dem Stein, der nur von a~ schw1tzt, wenn das Wetter feucht ist]. • "'HALLMAN~, Leichreden cit., p. 137· [Er war von Natur tieffsinnig und Melancho­

lischer ~o~plex1on, welche Gemiither einer Sache bestiindiger nachdencken und in a]. len ~ct1;orubus behuttsam verfahren. ~as Schlangenvolle Medusen Haupt wie auch das Afncarusche Monstrum, nebst dem wemenden Crocodille dieser Welt konten seine Au­gen nicht verfiihren vie! weniger seine Glieder in einen unarthigen Stein verwandeln].

Page 165: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

Jetzt kenn ich dich du Feindin meiner Freuden Melanckoley erzeugt im T artarschlund vom drey gekopfften Hund'. O! soli t' ich dich in meiner Gegend leiden? Nein warlich nein! der kalte Stein der Bliitterlose Strauch muB auBgerottet seyn und du Unholdin auch 47

Può darsi che nel simbolo della pietra si debba vedere solo la figura piu esplicita della Terra fredd~. e asciutta. Ma si può anche pensare - e considerando il passo di Agidius Albertinus non è im­probabile - che la massa inerte alluda al concetto propriament~ teologico di melanconico, che è quello di un peccato mortale. E l'acedia, la pigrizia del cuore. Ed è proprio questa inerzia a stabi­lire un legame tra il melanconico e l'orbita strisciante del debole Saturno, un legame che - sia esso fondato su basi astrologiche op­pure no- si trova già attestato in un manoscritto del xm secolo. «Della pigrizia. ll quarto peccato capitale è: pigrizia nel servizio di Dio. E questo è quando mi volgo da una laboriosa e difficile opera buona a un vano pentimento. E quando mi distolgo dall'ope­ra buona, perché mi è gravosa, da ciò viene amarezza del cuore»48

In Dante l'accidia occupa il quinto posto nella gerarchia dei pec­cati capitali. Nella sua cerchia regna un freddo glaciale, e ciò ri­manda ai dati della patologia umorale, la qualità fredda e asciutta della terra. In quanto acedia, la me.~anconia del tiranno appare sot­to una nuova luce, piu nitida. Agidius Albertinus attribuisce espressamente all'accidia il complesso sintomatico del melanconi­co: «L'accidia o pigrizia viene appropriatamente paragonata al morso di un cane rabbioso, poiché chi è morso da esso, subito è assalito da sogni spaventosi, e nel sonno ha paura, diventa furio-

47 sTIELER [?], Trauer- Lust· und Misch-Spiele cit., p. 1.35 (Emelinde). [La Melanconia. La Gioia. La prima è una vecchia, vestita di miseri stracci, con la testa velata (!), seduta su una pietra sotto un albero rinsecchito,la testa china in grembo, accanto a lei una civet· . ta ... La Melanconia: La dura pietra Il' albero secco l il cipresso morto l danno uno spazio sicuro alla mia tristezza l e mi fanno dimenticare l'astio ... La Gioia. Chi è codesta mar­motta, appollaiata a quel ramo secco? L'occhio profondo e arrossato brilla l come una co­meta di sangue l che luccica di rovina e di orrore ... Ora ti riconosco l nemica della mia gioia! l Melanconia, generata nell'abisso del Tartaro dal cane a tre teste. Oh! dovrei sop­portarti nei miei luoghi? No! l davvero l no! la fredda pietra l il cespuglio senza foglie l vanno scacciati l e tu mostro tu pure].

"Cit. in MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters cit., p . .329. [Von der tracheit. Du vierde houbet sunde ist. tracheit. an gottes dienste. Du ist so mich kere. von eime er­beitsamen. unt sweren guoten werke. zuo einer itelen ruowe. So ich mih here. von deme guoten werke. wande ez mir svere ist. da von kumet bitterkeit des hercen].

Dramma e tragedia (m)

so, dissennato, rifiuta ogni bevanda, teme l'acqua, abbaia come un cane, e diventa a tal punto timoroso che per timore cade giu. Tali persone muoiono presto, se non si presta loro aiuto»49

• So­prattutto l'indecisione del principe non è altro che acedia saturni­na. Saturno rende «apatici, indecisi, lenti»50

• Il tiranno va in ro­vina per l'inerzia del cuore. E se questa riguarda la figura del ti­ranno, l'infedeltà - un altro tratto dell'uomo saturnino - colpisce la figura del cortigiano. Nulla è piu oscillante dell'uomo di corte, come lo dipinge il dramma barocco: il tradimento è il suo elemen­to naturale. Non è per !abilità o per mancanza di carattere degli autori che i cortigiani, senza nemmeno darsi il tempo di riflette­re, abbandonano il loro signore e passano al partito opposto. Il lo­ro agire mette in mostra una amoralità che è, in parte, machiavel­lismo consapevole, in parte soggezione melanconica e sconsolata a un ordine, ritenuto impenetrabile, di costellazioni maligne, un or­dine che assume un carattere senz'altro cosale. La corona, la por­pora, lo scettro, sono in ultima analisi oggetti fatali nel senso del dramma del destino: portatori di un fato a cui il cortigiano è il pri­mo a sottomettersi come suo augure. Alla sua infedeltà verso gli esseri umani fa riscontro una fedeltà verso questi oggetti a dir po­co sommersa nella sua dedizione contemplativa. Appena in questa disperata fedeltà al mondo creaturale e alla legge della colpa che governa la sua vita, il concetto di melanconia si trova nello stato della propria realizzazione adeguata. Tutte le decisioni essenziali nei confronti degli uomini possono infatti offendere la fedeltà: in esse valgono leggi superiori. La fedeltà è invece del tutto adegua­ta solo nel rapporto fra l'uomo e le cose. Esse non conoscono una legge piu alta, e la fedeltà non conosce alcun oggetto al quale ap­partenere in modo piu esclusivo che al mondo delle cose. Questo la evoca sempre intorno a sé, e ogni premio alla fedeltà si circon­da dei frammenti del mondo cosale come degli oggetti ad essa piu appropriati e conformi. Impacciata e senza motivo essa esprime a suo modo una verità per la quale naturalmente tradisce il mondo. La melanconia tradisce il mondo per amore della conoscenza. Ma

"Cfr. AGmros ALBERTINUS, Lucifers Kiinigreich und Seelengefaidt cit., p. 390. [Artlich wirdt die Accidia oder Tragheit dem Bill eines wiitigen Hundts verglichen dann wer von demselbigen gebissen wird den vberkompt alsbaldt erschrockliche Traum er forchtet sich im Schlaf wird Wiitig V nsinnig verwirfft alles Getranck forchtet das W asser bellet wie ein Hund vnd wirdt dermassen forchtsamb daE er au.B forcht niderfellt. Dergleichen Leut ster-ben auch bald wann jhnen nicht geholfen wirdt]. ·

10 ANTON HAUBER, Planetenkinderbilder und Stembilder. Zur Geschichte des mensch/ichen

Glaubens und Irrens, Strtillburg 1916, p. 126.

Page 166: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

Jetzt kenn ich dich du Feindin meiner Freuden Melanckoley erzeugt im T artarschlund vom drey gekopfften Hund'. O! soli t' ich dich in meiner Gegend leiden? Nein warlich nein! der kalte Stein der Bliitterlose Strauch muB auBgerottet seyn und du Unholdin auch 47

Può darsi che nel simbolo della pietra si debba vedere solo la figura piu esplicita della Terra fredd~. e asciutta. Ma si può anche pensare - e considerando il passo di Agidius Albertinus non è im­probabile - che la massa inerte alluda al concetto propriament~ teologico di melanconico, che è quello di un peccato mortale. E l'acedia, la pigrizia del cuore. Ed è proprio questa inerzia a stabi­lire un legame tra il melanconico e l'orbita strisciante del debole Saturno, un legame che - sia esso fondato su basi astrologiche op­pure no- si trova già attestato in un manoscritto del xm secolo. «Della pigrizia. ll quarto peccato capitale è: pigrizia nel servizio di Dio. E questo è quando mi volgo da una laboriosa e difficile opera buona a un vano pentimento. E quando mi distolgo dall'ope­ra buona, perché mi è gravosa, da ciò viene amarezza del cuore»48

In Dante l'accidia occupa il quinto posto nella gerarchia dei pec­cati capitali. Nella sua cerchia regna un freddo glaciale, e ciò ri­manda ai dati della patologia umorale, la qualità fredda e asciutta della terra. In quanto acedia, la me.~anconia del tiranno appare sot­to una nuova luce, piu nitida. Agidius Albertinus attribuisce espressamente all'accidia il complesso sintomatico del melanconi­co: «L'accidia o pigrizia viene appropriatamente paragonata al morso di un cane rabbioso, poiché chi è morso da esso, subito è assalito da sogni spaventosi, e nel sonno ha paura, diventa furio-

47 sTIELER [?], Trauer- Lust· und Misch-Spiele cit., p. 1.35 (Emelinde). [La Melanconia. La Gioia. La prima è una vecchia, vestita di miseri stracci, con la testa velata (!), seduta su una pietra sotto un albero rinsecchito,la testa china in grembo, accanto a lei una civet· . ta ... La Melanconia: La dura pietra Il' albero secco l il cipresso morto l danno uno spazio sicuro alla mia tristezza l e mi fanno dimenticare l'astio ... La Gioia. Chi è codesta mar­motta, appollaiata a quel ramo secco? L'occhio profondo e arrossato brilla l come una co­meta di sangue l che luccica di rovina e di orrore ... Ora ti riconosco l nemica della mia gioia! l Melanconia, generata nell'abisso del Tartaro dal cane a tre teste. Oh! dovrei sop­portarti nei miei luoghi? No! l davvero l no! la fredda pietra l il cespuglio senza foglie l vanno scacciati l e tu mostro tu pure].

"Cit. in MONE (a cura di), Schauspiele des Mittelalters cit., p . .329. [Von der tracheit. Du vierde houbet sunde ist. tracheit. an gottes dienste. Du ist so mich kere. von eime er­beitsamen. unt sweren guoten werke. zuo einer itelen ruowe. So ich mih here. von deme guoten werke. wande ez mir svere ist. da von kumet bitterkeit des hercen].

Dramma e tragedia (m)

so, dissennato, rifiuta ogni bevanda, teme l'acqua, abbaia come un cane, e diventa a tal punto timoroso che per timore cade giu. Tali persone muoiono presto, se non si presta loro aiuto»49

• So­prattutto l'indecisione del principe non è altro che acedia saturni­na. Saturno rende «apatici, indecisi, lenti»50

• Il tiranno va in ro­vina per l'inerzia del cuore. E se questa riguarda la figura del ti­ranno, l'infedeltà - un altro tratto dell'uomo saturnino - colpisce la figura del cortigiano. Nulla è piu oscillante dell'uomo di corte, come lo dipinge il dramma barocco: il tradimento è il suo elemen­to naturale. Non è per !abilità o per mancanza di carattere degli autori che i cortigiani, senza nemmeno darsi il tempo di riflette­re, abbandonano il loro signore e passano al partito opposto. Il lo­ro agire mette in mostra una amoralità che è, in parte, machiavel­lismo consapevole, in parte soggezione melanconica e sconsolata a un ordine, ritenuto impenetrabile, di costellazioni maligne, un or­dine che assume un carattere senz'altro cosale. La corona, la por­pora, lo scettro, sono in ultima analisi oggetti fatali nel senso del dramma del destino: portatori di un fato a cui il cortigiano è il pri­mo a sottomettersi come suo augure. Alla sua infedeltà verso gli esseri umani fa riscontro una fedeltà verso questi oggetti a dir po­co sommersa nella sua dedizione contemplativa. Appena in questa disperata fedeltà al mondo creaturale e alla legge della colpa che governa la sua vita, il concetto di melanconia si trova nello stato della propria realizzazione adeguata. Tutte le decisioni essenziali nei confronti degli uomini possono infatti offendere la fedeltà: in esse valgono leggi superiori. La fedeltà è invece del tutto adegua­ta solo nel rapporto fra l'uomo e le cose. Esse non conoscono una legge piu alta, e la fedeltà non conosce alcun oggetto al quale ap­partenere in modo piu esclusivo che al mondo delle cose. Questo la evoca sempre intorno a sé, e ogni premio alla fedeltà si circon­da dei frammenti del mondo cosale come degli oggetti ad essa piu appropriati e conformi. Impacciata e senza motivo essa esprime a suo modo una verità per la quale naturalmente tradisce il mondo. La melanconia tradisce il mondo per amore della conoscenza. Ma

"Cfr. AGmros ALBERTINUS, Lucifers Kiinigreich und Seelengefaidt cit., p. 390. [Artlich wirdt die Accidia oder Tragheit dem Bill eines wiitigen Hundts verglichen dann wer von demselbigen gebissen wird den vberkompt alsbaldt erschrockliche Traum er forchtet sich im Schlaf wird Wiitig V nsinnig verwirfft alles Getranck forchtet das W asser bellet wie ein Hund vnd wirdt dermassen forchtsamb daE er au.B forcht niderfellt. Dergleichen Leut ster-ben auch bald wann jhnen nicht geholfen wirdt]. ·

10 ANTON HAUBER, Planetenkinderbilder und Stembilder. Zur Geschichte des mensch/ichen

Glaubens und Irrens, Strtillburg 1916, p. 126.

Page 167: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

il suo ostinato sprofondarsi solleva le cose morte nella sua con­templazione per salvarle. Il poeta di cui si riferisce quanto segue, parla nello spirito della tristezza. «Péguy parlait de cette inapti­tude des choses à etre sauvées, de cette résistence, de cette pe­santeur des choses, des etres memes, qui ne laisse subsister enfin qu'un peu de cendre de l'effort des héros et des saints»~1 • L'osti­nazione che si palesa nell'atteggiamento del lutto nasce dalla sua fedeltà al mondo delle cose. Cosi pure va intesa l'infedeltà che i calendari attribuiscono all'uomo saturnino, e cosi va reinterpreta­ta la contrapposizione dialettica, la «fedeltà in amore», che Abu Ma'shar assegna ai figli di Saturno52

• La fedeltà è il ritmo delle emanazioni discendenti, in cui le emanazioni ascendenti della teo­sofia neoplatonica si rispecchiano trasformate, arricchite da mol­teplici implicazioni.

Con P atteggiamento caratteristico della reazione controrifor­mista, là tipologia del dramma barocco tedesco seg\}e ovunque l'im­magine scolastica medievale della melanconia. E però la forma complessiva del dramma a distinguersi radicalmente da quella ti­pologia: il suo stile e il suo linguaggio non sono pensabili senza quella svolta audace per cui le speculazioni rinascimentali rico­nobbero nei tratti della meditazione lacrimosa~3 il riflesso di una luce remota, che le brillava incontro dal fondo del suo rimugina­re. Almeno una volta l'epoca riusd a evocare la figura umana cor­rispondente a quella doppia luce neo-antica e medievale in cui il barocco vide il melanconico. Ma ciò non riusd in Germania. Si tratta dell'Amleto. Il mistero del suo personaggio è racchiuso nel suo passare giocoso, ma perciò adeguato, attraverso tutte le sta­zioni di questo spazio intenzionale, cosf come il mistero del suo destino è racchiuso in un accadere che è del tutto omogeneo al suo sguardo. Soltanto Amleto è, per il dramma barocco, spettatore per grazia divina; non però la recita, ma solo e unicamente il suo de­stino, può soddisfarlo. La sua vita, come oggetto offerto esem­plarmente al suo lutto, rimanda, prima di estinguersi, alla Provvi­denza cristiana, nel cui grembo le sue tristi immagini si trasfor­mano in esistenza beata. Soltanto in una vita di questo genere, principesca, la melanconia, incontrando se stessa, si risolve. Il re-

"DANIEL HALÉvY, Charles Péguy et !es Cahiers de la Quim:aine, Paris 1919, p. 230. "Cod. Leid. Or. 47, p. 255; cit. in PANOFSKY e SAXL, Durers "'Melencolia 1» cit., p. 5;

trad. it. cit., p. 122 e nota xx. "Cfr. BOLL, Sternglaube cit., p. 37·

Dramma e tragedia (m) I 3 3

sto è silenzio. Perché tutto ciò che non è stato vissuto è destinato alla rovina, in questo spazio in cui la parola della saggezza aleggia solo ingannevolmente. Soltanto Shakespeare riusd a fare scocca­re la scintilla cristiana dalla rigidezza barocca, non stoica e non cri­stiana, pseudoantica e pseudopietista, del melanconico. Se lo sguar­do acuto con cui Rochus von Liliencron leggeva nei tratti di Am­leto l'affinità saturnina e il Male de f Acedia'4 non s'inganna intorno al proprio oggetto migliore, esso vedrà in questo dramma lo spet­tacolo singolare del suo superamento nello spirito cristiano. Solo in questo principe la concentrazione melanconica diventa cristia­na. Il dramma barocco tedesco non ha mai saputo animarsi, non ha saputo ri,destare al proprio interno il tocco argentino dell'auto­coscienza. E rimasto sorprendentemente oscuro a se stesso, e ha saputo dipingere il melanconico solo con le tinte crude e logore dei libri medievali sulle complessioni. Perché allora questo excursus? Le immagini e le figure che esso mette in scena sono dedicate al genio diireriano della Melencolia alata. La sua rozza scena comin­cia di fronte ad esso la sua vita piu intima.

"ROCHUS FREIHERR VON ULIENCRON, Wie man in Amwafd Musik macbt. Die siebente Todsunte, Leipzig 1903.

Page 168: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

il suo ostinato sprofondarsi solleva le cose morte nella sua con­templazione per salvarle. Il poeta di cui si riferisce quanto segue, parla nello spirito della tristezza. «Péguy parlait de cette inapti­tude des choses à etre sauvées, de cette résistence, de cette pe­santeur des choses, des etres memes, qui ne laisse subsister enfin qu'un peu de cendre de l'effort des héros et des saints»~1 • L'osti­nazione che si palesa nell'atteggiamento del lutto nasce dalla sua fedeltà al mondo delle cose. Cosi pure va intesa l'infedeltà che i calendari attribuiscono all'uomo saturnino, e cosi va reinterpreta­ta la contrapposizione dialettica, la «fedeltà in amore», che Abu Ma'shar assegna ai figli di Saturno52

• La fedeltà è il ritmo delle emanazioni discendenti, in cui le emanazioni ascendenti della teo­sofia neoplatonica si rispecchiano trasformate, arricchite da mol­teplici implicazioni.

Con P atteggiamento caratteristico della reazione controrifor­mista, là tipologia del dramma barocco tedesco seg\}e ovunque l'im­magine scolastica medievale della melanconia. E però la forma complessiva del dramma a distinguersi radicalmente da quella ti­pologia: il suo stile e il suo linguaggio non sono pensabili senza quella svolta audace per cui le speculazioni rinascimentali rico­nobbero nei tratti della meditazione lacrimosa~3 il riflesso di una luce remota, che le brillava incontro dal fondo del suo rimugina­re. Almeno una volta l'epoca riusd a evocare la figura umana cor­rispondente a quella doppia luce neo-antica e medievale in cui il barocco vide il melanconico. Ma ciò non riusd in Germania. Si tratta dell'Amleto. Il mistero del suo personaggio è racchiuso nel suo passare giocoso, ma perciò adeguato, attraverso tutte le sta­zioni di questo spazio intenzionale, cosf come il mistero del suo destino è racchiuso in un accadere che è del tutto omogeneo al suo sguardo. Soltanto Amleto è, per il dramma barocco, spettatore per grazia divina; non però la recita, ma solo e unicamente il suo de­stino, può soddisfarlo. La sua vita, come oggetto offerto esem­plarmente al suo lutto, rimanda, prima di estinguersi, alla Provvi­denza cristiana, nel cui grembo le sue tristi immagini si trasfor­mano in esistenza beata. Soltanto in una vita di questo genere, principesca, la melanconia, incontrando se stessa, si risolve. Il re-

"DANIEL HALÉvY, Charles Péguy et !es Cahiers de la Quim:aine, Paris 1919, p. 230. "Cod. Leid. Or. 47, p. 255; cit. in PANOFSKY e SAXL, Durers "'Melencolia 1» cit., p. 5;

trad. it. cit., p. 122 e nota xx. "Cfr. BOLL, Sternglaube cit., p. 37·

Dramma e tragedia (m) I 3 3

sto è silenzio. Perché tutto ciò che non è stato vissuto è destinato alla rovina, in questo spazio in cui la parola della saggezza aleggia solo ingannevolmente. Soltanto Shakespeare riusd a fare scocca­re la scintilla cristiana dalla rigidezza barocca, non stoica e non cri­stiana, pseudoantica e pseudopietista, del melanconico. Se lo sguar­do acuto con cui Rochus von Liliencron leggeva nei tratti di Am­leto l'affinità saturnina e il Male de f Acedia'4 non s'inganna intorno al proprio oggetto migliore, esso vedrà in questo dramma lo spet­tacolo singolare del suo superamento nello spirito cristiano. Solo in questo principe la concentrazione melanconica diventa cristia­na. Il dramma barocco tedesco non ha mai saputo animarsi, non ha saputo ri,destare al proprio interno il tocco argentino dell'auto­coscienza. E rimasto sorprendentemente oscuro a se stesso, e ha saputo dipingere il melanconico solo con le tinte crude e logore dei libri medievali sulle complessioni. Perché allora questo excursus? Le immagini e le figure che esso mette in scena sono dedicate al genio diireriano della Melencolia alata. La sua rozza scena comin­cia di fronte ad esso la sua vita piu intima.

"ROCHUS FREIHERR VON ULIENCRON, Wie man in Amwafd Musik macbt. Die siebente Todsunte, Leipzig 1903.

Page 169: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Allegoria e dramma barocco (I)

Wer diese gebrechliche Hiiten wo das Elend alle Ecken zieret I!Ùt einem verniinftigen Wortschlusse wol­te beglantzen der wiirde keinen unformlichen Aus­spruch machen noch das ZielmaB der gegriindeten W ahrheit iiberschreiten wann er die W dt nennte einen allgemeinen Kauffladen eine Zollbude des Todes wo der Mensch die gangbahre Wahre der Tod der wun­derbahre Handels-Mann Gott der gewisseste Buchhal­ter das Grab aber das versiegelte Gewand und Kauff­HauB ist.

CHRISTOPH MANNUNG,

Schaubuhne des Todes oder Leich-Reden1•

Da piu di cent'anni pesa sulla filosofia dell'arte il dominio di un usurpatore, salito al potere nei torbidi del romanticismo. L'aspi­razione dell'estetica romantica a una conoscenza dell'assoluto bril­lante e in definitiva asistematica ha accreditato nei dibattiti piu comuni di filosofia dell'arte un concetto di simbolo che non ha nul­la da spartire con quello genuino all'infuori del nome. Quest'ulti­mo, che è di competenza della teologia, non avrebbe mai potuto diffondere nella filosofia dell'arte quella vaga atmosfera senti­mentale che dalla fine del primo romanticismo si è fatta via via piu densa. Eppure, proprio l'uso strisciante di questo discorso sul sim­bolico permette di penetrare ogni forma d'arte «in profondità» e contribuisce enormemente al «comfort» delle ricerche storico-ar­tistiche. In quest'ultimo, cioè .nell'uso linguistico volgare, la cosa piu sorprendente è che il concetto, col suo riferimento imperativo al legame inscindibile tra forma e contenuto, lavora poi per una le-

1 [Chi volesse illustrare queste fragili capanne dove la miseria tutti gli angoli decora con una formula ragionevole non userebbe un'espressione inadeguata né valicherebbe i con­fini di una fondata verità se definisse il mondo una bottega universale, un dazio della mor­te dove l'uomo è la merce corrente, la morte il mirabile mercante, Dio il contabile piu co­scienzioso e la tomba l'imballaggio sigillato e l'emporio].

Allegoria e dramma barocco (I) 135

gittimazione filosofica di quell'impotenza che condanna l'analisi formale a mancare il contenuto e l'estetica cotenutistica a manca­re la forma, per difetto di tempra dialettica. Questo uso equivoco del co~c~tto ha luogo infatti ogniqualvolta, nell'opera d'arte, ven­ga deftruto come «simbolo» !'«apparire» di un'«idea». L'unità dell'oggetto sensibile e di quello soprasensibile, che è il paradosso del simbolo teologico, viene distorta in una relazione fra apparenza e? essenza. L'ingresso di questo concetto deformato in campo este­ttco ha preceduto, come romantica e mortale dissipazione, il de­serto della recente critica d'arte. Come forma simbolica, il bello dovrebbe trapassare nel divino senza soluzione di continuità. L'il­limitata immanenza del mondo etico nella sfera del bello è stata sviluppata nell'estetica teosofica dei romantici. Ma le sue basi era­no poste da tempo. Il classicismo tende abbastanza chiaramente all'apote~si dell'esistenza nella forma dell'individuo completo, e non solo tn senso morale. Tipicamente romantica è invece la tra­sposizione di questo individuo compiuto in una progressione infi­nita sf ma salvifica, anzi sacrale2

• Ma una volta che il soggetto eti­co si è calato nell'individuo, nessun rigorismo- fosse pure quello kantiano - è in grado di salvarlo e di conservare il suo profilo vi­rile. Il suo cuore si perde nell'«anima bella». E il raggio d'azione -anzi no- il raggio educativo dell'individuo cosf compiuto e bel­lo, descrive il cerchio del «simbolico». Di fronte ad esso l'apoteo­si barocca è dialettica. Essa si compie nel rovesciamento degli estre­mi. In questo movimento eccentrico e dialettico l'interiorità sen­za opposizioni del classicismo non gioca alcun ruolo perché i problemi attuali del Barocco in quanto dimensione politico-reli­giosa non riguardavano tanto l'individuo e la sua etica, quanto la sua appartenenza alla comunità ecclesiale. Contemporaneamente al concetto profano di simbolo, proprio del classicismo, viene for­mandosi il suo pendant speculativo, quello di allegoria. È vero che una dottrina vera e propria dell'allegoria non vide la luce allora né mai era esistita in precedenza. Definire «speculativo» il nuov~ concetto di allegoria è nondimeno giustificato, poiché esso si pro­pone in effetti come lo sfondo oscuro sul quale si doveva staccare il mondo luminoso del simbolo. Alla pari di molte altre forme espressive, l'allegoria non perde il suo significato per il semplice fatto di «invecchiare». Piuttosto, anche qui come in molti altri ca-

2 Cfr. W ALTER BENJAMIN, Der Begriff der Kunstkritik in der deutschen Romantik, Bern 1920, pp. 6 sgg. e 8o sgg.

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Allegoria e dramma barocco (I)

Wer diese gebrechliche Hiiten wo das Elend alle Ecken zieret I!Ùt einem verniinftigen Wortschlusse wol­te beglantzen der wiirde keinen unformlichen Aus­spruch machen noch das ZielmaB der gegriindeten W ahrheit iiberschreiten wann er die W dt nennte einen allgemeinen Kauffladen eine Zollbude des Todes wo der Mensch die gangbahre Wahre der Tod der wun­derbahre Handels-Mann Gott der gewisseste Buchhal­ter das Grab aber das versiegelte Gewand und Kauff­HauB ist.

CHRISTOPH MANNUNG,

Schaubuhne des Todes oder Leich-Reden1•

Da piu di cent'anni pesa sulla filosofia dell'arte il dominio di un usurpatore, salito al potere nei torbidi del romanticismo. L'aspi­razione dell'estetica romantica a una conoscenza dell'assoluto bril­lante e in definitiva asistematica ha accreditato nei dibattiti piu comuni di filosofia dell'arte un concetto di simbolo che non ha nul­la da spartire con quello genuino all'infuori del nome. Quest'ulti­mo, che è di competenza della teologia, non avrebbe mai potuto diffondere nella filosofia dell'arte quella vaga atmosfera senti­mentale che dalla fine del primo romanticismo si è fatta via via piu densa. Eppure, proprio l'uso strisciante di questo discorso sul sim­bolico permette di penetrare ogni forma d'arte «in profondità» e contribuisce enormemente al «comfort» delle ricerche storico-ar­tistiche. In quest'ultimo, cioè .nell'uso linguistico volgare, la cosa piu sorprendente è che il concetto, col suo riferimento imperativo al legame inscindibile tra forma e contenuto, lavora poi per una le-

1 [Chi volesse illustrare queste fragili capanne dove la miseria tutti gli angoli decora con una formula ragionevole non userebbe un'espressione inadeguata né valicherebbe i con­fini di una fondata verità se definisse il mondo una bottega universale, un dazio della mor­te dove l'uomo è la merce corrente, la morte il mirabile mercante, Dio il contabile piu co­scienzioso e la tomba l'imballaggio sigillato e l'emporio].

Allegoria e dramma barocco (I) 135

gittimazione filosofica di quell'impotenza che condanna l'analisi formale a mancare il contenuto e l'estetica cotenutistica a manca­re la forma, per difetto di tempra dialettica. Questo uso equivoco del co~c~tto ha luogo infatti ogniqualvolta, nell'opera d'arte, ven­ga deftruto come «simbolo» !'«apparire» di un'«idea». L'unità dell'oggetto sensibile e di quello soprasensibile, che è il paradosso del simbolo teologico, viene distorta in una relazione fra apparenza e? essenza. L'ingresso di questo concetto deformato in campo este­ttco ha preceduto, come romantica e mortale dissipazione, il de­serto della recente critica d'arte. Come forma simbolica, il bello dovrebbe trapassare nel divino senza soluzione di continuità. L'il­limitata immanenza del mondo etico nella sfera del bello è stata sviluppata nell'estetica teosofica dei romantici. Ma le sue basi era­no poste da tempo. Il classicismo tende abbastanza chiaramente all'apote~si dell'esistenza nella forma dell'individuo completo, e non solo tn senso morale. Tipicamente romantica è invece la tra­sposizione di questo individuo compiuto in una progressione infi­nita sf ma salvifica, anzi sacrale2

• Ma una volta che il soggetto eti­co si è calato nell'individuo, nessun rigorismo- fosse pure quello kantiano - è in grado di salvarlo e di conservare il suo profilo vi­rile. Il suo cuore si perde nell'«anima bella». E il raggio d'azione -anzi no- il raggio educativo dell'individuo cosf compiuto e bel­lo, descrive il cerchio del «simbolico». Di fronte ad esso l'apoteo­si barocca è dialettica. Essa si compie nel rovesciamento degli estre­mi. In questo movimento eccentrico e dialettico l'interiorità sen­za opposizioni del classicismo non gioca alcun ruolo perché i problemi attuali del Barocco in quanto dimensione politico-reli­giosa non riguardavano tanto l'individuo e la sua etica, quanto la sua appartenenza alla comunità ecclesiale. Contemporaneamente al concetto profano di simbolo, proprio del classicismo, viene for­mandosi il suo pendant speculativo, quello di allegoria. È vero che una dottrina vera e propria dell'allegoria non vide la luce allora né mai era esistita in precedenza. Definire «speculativo» il nuov~ concetto di allegoria è nondimeno giustificato, poiché esso si pro­pone in effetti come lo sfondo oscuro sul quale si doveva staccare il mondo luminoso del simbolo. Alla pari di molte altre forme espressive, l'allegoria non perde il suo significato per il semplice fatto di «invecchiare». Piuttosto, anche qui come in molti altri ca-

2 Cfr. W ALTER BENJAMIN, Der Begriff der Kunstkritik in der deutschen Romantik, Bern 1920, pp. 6 sgg. e 8o sgg.

Page 171: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

si entra in gioco un antagonismo tra il significato piu antico e il piu recente, un antagonismo tanto piu incline a :isolversi nel si­lenzio in quanto privo di concetti, profondo e r~dicale. Intorno al 18oo il pensiero simbolizzante si ~ontrappo~eva m ~odo co~ _fron­tale all'originaria forma espressiva allegor~ca che_I tentatlv~, pe: raltro isolati, di penetrare teoreticamente l allegoria, sono privi di valore cosf da confermare la profondità dell'antagonismo. La se­guent~ affermazione di Goethe può essere definita una ricost~­zione postuma dell'allegoria in chiave negativa: «E cosa molto di­versa se il poeta cerca il particolare in funzione dell'universale, o se nel particolare scorge l'universale. Dalla prima maniera risulta l'allegoria, dove il particolare non è che l'emblema, l'esempio dell'universale; ma la seconda è propriamente la nat:ura della poe­sia: essa esprime un particolare, senza pensare all'uruversale o sen­za alludervi. Chi questo particolare lo coglie vivo, coglie in pari tempo l'universale, senza avvedersene, o avvedendosene solo tar­di»3. Questo, indotto da uno scritto di Schiller, l'atteggiamento di Goethe verso l'allegoria. Goethe non vi trova alcuno spunto de­gno di riflessione. Piu dettagli~ta un'os~ervazione di Scho­penhauer, di qualche anno posteriOre ma dt ~egno analo_go: «Se adunque è fine di tutte le arti il comunicare l'Idea percepita ... se inoltre è nell'arte da rigettarsi il muovere dal concetto; non po­tremo per conseguenza approvare che un'opera d'arte sia inten­zionalmente e palesemente destinata all'espressione di un concet­to: com'è il caso dell'allegoria ... Se quindi un quadro allegorico ha pregio d'arte, questo è del tutto separato e indipendente da!l'uf­ficio dell'allegoria: un'opera siffatta serve insieme a due scopi, os­sia all'espressione di un concetto e all'espressione di un'idea, ma esclusivamente il secondo può essere un fine dell'arte, mentre l'al­tro è uno scopo estraneo; è la piacevolezza scherzosa di fare che un quadro serva in pari tempo come un'iscrizione, un geroglifi­co ... È vero che un'immagine allegorica può appunto in questa sua qualità produrre un vivo effetto sull'animo: ma l'effetto me­desimo produrrebbe, in circostanze eguali, anche un'iscrizione. Cosi, per esempio, se nell'animo d'un uomo sia fermamente e for­temente radicata la brama della gloria ... e quest'uomo venga da­vanti al Genio della Fama [di Annibale Carracci] coronato d'allo­ro; tutto il suo animo ne sarà infervorato, e la sua energia sprona-

' GOETHE Siimtliche Werke eit., vol. XXXVIII: Schriften zur Literatur, 3, p. 261 (Maxi­men und Refkxionen); trad. it. Massime e riflessioni, a cura di B. Allason, Torino 1943, pp. 48 sgg.

Allegoria e dramma barocco (r) 137

ta all'azione. Ma non accadrebbe altrimenti, se d'un tratto egli leg­gesse grande e chiara sulla parete la parola "gloria" ... »4

• Per quan­to quest'ultima osservazione possa avvicinarsi all'essenza dell'al­legoria, l'impronta logicistica dell'argomentazione, che distin­guendo l' «espressione di un concetto» dall' «espressione di un'idea» accoglie precisamente il discorso moderno e insostenibi­le sull'allegoria e sul simbolo, impedisce a queste osservazioni di essere qualcosa di diverso da una delle tante e sbrigative condan­ne della forma allegorica, e ciò a prescindere dal fatto che Scho­penhauer stesso usi poi il concetto di simbolo in modo diverso. Queste osservazioni sono rimaste decisive fino ai tempi piu re­centi. Anche grandi artisti e teorici non comuni, come Yeats', con­tinuano a ritenere che l'allegoria sia un nesso convenzionale tra un'immagine e il significato che essa designa. Dei documenti au­tentici della concezione allegorica moderna, le opere letterarie ed emblematiche del Barocco, i nostri autori hanno di solito una co­noscenza piuttosto vaga. Negli epigoni tardi e piu noti del xvrn se­colo lo spirito di quei documenti è ormai cosf indebolito che solo il lettore delle opere originarie può percepire la forza intatta dell'in­tenzione allegorica. Ma di fronte a quelle opere si poneva il ver­detto del pregiudizio classicistico. Si tratta, in altre parole, di una denuncia della forma espressiva allegorica in quanto puro modo del designare. Ora l'allegoria - e le pagine che seguono dovrebbe­ro servire a dimostrarlo - non è un semplice artificio retorico, ma espressione piena, come lo è il linguaggio, anzi come lo è la scrit­tura. E stava appunto qui l' experimentum crucis. Proprio la scrit­tura appariva come il sistema di segni convenzionale per eccellen­za. Schopenhauer non è l'unico a ritenere che l'allegoria possa es­sere liquidata denunciando la sua sostanziale affinità con la scrittura. Da questa obiezione dipende, in ultima analisi, il rap­porto con i grandi oggetti della filologia barocca. La cui fondazio­ne filosofica -per quanto possa apparire faticosa e prolissa- è tut­tavia indispensabile. Al suo centro si pone la discussione sull'alle­gorico, e un primo cenn.o in questo senso è fuor di dubbio contenuto nella Deutsche Barockdichtung [Poesia barocca tedesca] di Herbert Cysarz. Tuttavia, sia che il primato dichiarato della classicità come entelechia della poesia barocca vanifichi la com-

' SCHOPENHAUER, Siimmtliche Werke ci t., vol. I: Die Welt als Wil/e und Vorstellung ci t., I, pp. 314 sgg.; trad. it. cit., vol. I, pp. 294 sgg.

'Cfr. wn.LIAM BUTLER YEATS, Erziihlungen und Essays, Leipzig 1916, p. II4.

Page 172: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

si entra in gioco un antagonismo tra il significato piu antico e il piu recente, un antagonismo tanto piu incline a :isolversi nel si­lenzio in quanto privo di concetti, profondo e r~dicale. Intorno al 18oo il pensiero simbolizzante si ~ontrappo~eva m ~odo co~ _fron­tale all'originaria forma espressiva allegor~ca che_I tentatlv~, pe: raltro isolati, di penetrare teoreticamente l allegoria, sono privi di valore cosf da confermare la profondità dell'antagonismo. La se­guent~ affermazione di Goethe può essere definita una ricost~­zione postuma dell'allegoria in chiave negativa: «E cosa molto di­versa se il poeta cerca il particolare in funzione dell'universale, o se nel particolare scorge l'universale. Dalla prima maniera risulta l'allegoria, dove il particolare non è che l'emblema, l'esempio dell'universale; ma la seconda è propriamente la nat:ura della poe­sia: essa esprime un particolare, senza pensare all'uruversale o sen­za alludervi. Chi questo particolare lo coglie vivo, coglie in pari tempo l'universale, senza avvedersene, o avvedendosene solo tar­di»3. Questo, indotto da uno scritto di Schiller, l'atteggiamento di Goethe verso l'allegoria. Goethe non vi trova alcuno spunto de­gno di riflessione. Piu dettagli~ta un'os~ervazione di Scho­penhauer, di qualche anno posteriOre ma dt ~egno analo_go: «Se adunque è fine di tutte le arti il comunicare l'Idea percepita ... se inoltre è nell'arte da rigettarsi il muovere dal concetto; non po­tremo per conseguenza approvare che un'opera d'arte sia inten­zionalmente e palesemente destinata all'espressione di un concet­to: com'è il caso dell'allegoria ... Se quindi un quadro allegorico ha pregio d'arte, questo è del tutto separato e indipendente da!l'uf­ficio dell'allegoria: un'opera siffatta serve insieme a due scopi, os­sia all'espressione di un concetto e all'espressione di un'idea, ma esclusivamente il secondo può essere un fine dell'arte, mentre l'al­tro è uno scopo estraneo; è la piacevolezza scherzosa di fare che un quadro serva in pari tempo come un'iscrizione, un geroglifi­co ... È vero che un'immagine allegorica può appunto in questa sua qualità produrre un vivo effetto sull'animo: ma l'effetto me­desimo produrrebbe, in circostanze eguali, anche un'iscrizione. Cosi, per esempio, se nell'animo d'un uomo sia fermamente e for­temente radicata la brama della gloria ... e quest'uomo venga da­vanti al Genio della Fama [di Annibale Carracci] coronato d'allo­ro; tutto il suo animo ne sarà infervorato, e la sua energia sprona-

' GOETHE Siimtliche Werke eit., vol. XXXVIII: Schriften zur Literatur, 3, p. 261 (Maxi­men und Refkxionen); trad. it. Massime e riflessioni, a cura di B. Allason, Torino 1943, pp. 48 sgg.

Allegoria e dramma barocco (r) 137

ta all'azione. Ma non accadrebbe altrimenti, se d'un tratto egli leg­gesse grande e chiara sulla parete la parola "gloria" ... »4

• Per quan­to quest'ultima osservazione possa avvicinarsi all'essenza dell'al­legoria, l'impronta logicistica dell'argomentazione, che distin­guendo l' «espressione di un concetto» dall' «espressione di un'idea» accoglie precisamente il discorso moderno e insostenibi­le sull'allegoria e sul simbolo, impedisce a queste osservazioni di essere qualcosa di diverso da una delle tante e sbrigative condan­ne della forma allegorica, e ciò a prescindere dal fatto che Scho­penhauer stesso usi poi il concetto di simbolo in modo diverso. Queste osservazioni sono rimaste decisive fino ai tempi piu re­centi. Anche grandi artisti e teorici non comuni, come Yeats', con­tinuano a ritenere che l'allegoria sia un nesso convenzionale tra un'immagine e il significato che essa designa. Dei documenti au­tentici della concezione allegorica moderna, le opere letterarie ed emblematiche del Barocco, i nostri autori hanno di solito una co­noscenza piuttosto vaga. Negli epigoni tardi e piu noti del xvrn se­colo lo spirito di quei documenti è ormai cosf indebolito che solo il lettore delle opere originarie può percepire la forza intatta dell'in­tenzione allegorica. Ma di fronte a quelle opere si poneva il ver­detto del pregiudizio classicistico. Si tratta, in altre parole, di una denuncia della forma espressiva allegorica in quanto puro modo del designare. Ora l'allegoria - e le pagine che seguono dovrebbe­ro servire a dimostrarlo - non è un semplice artificio retorico, ma espressione piena, come lo è il linguaggio, anzi come lo è la scrit­tura. E stava appunto qui l' experimentum crucis. Proprio la scrit­tura appariva come il sistema di segni convenzionale per eccellen­za. Schopenhauer non è l'unico a ritenere che l'allegoria possa es­sere liquidata denunciando la sua sostanziale affinità con la scrittura. Da questa obiezione dipende, in ultima analisi, il rap­porto con i grandi oggetti della filologia barocca. La cui fondazio­ne filosofica -per quanto possa apparire faticosa e prolissa- è tut­tavia indispensabile. Al suo centro si pone la discussione sull'alle­gorico, e un primo cenn.o in questo senso è fuor di dubbio contenuto nella Deutsche Barockdichtung [Poesia barocca tedesca] di Herbert Cysarz. Tuttavia, sia che il primato dichiarato della classicità come entelechia della poesia barocca vanifichi la com-

' SCHOPENHAUER, Siimmtliche Werke ci t., vol. I: Die Welt als Wil/e und Vorstellung ci t., I, pp. 314 sgg.; trad. it. cit., vol. I, pp. 294 sgg.

'Cfr. wn.LIAM BUTLER YEATS, Erziihlungen und Essays, Leipzig 1916, p. II4.

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r 38 Il dramma barocco tedesco

prensione della sua essenza, e in particolare la comprensione dell'al­legoria, sia invece che l'ostinato pregiudizio antiallegorico porti coerentemente in primo piano il classicismo come suo antenato le­gittimo, la tesi secondo cui l' allegoresi sarebbe «la legge stilistica dominante in particolare nell'Alto Barocco»6 perde il proprio va­lore per voler ridurre tale formulazione a un semplice slogan. In contrapposizione al classicismo, sarebbe propria del Barocco «non tanto l'arte del simbolo, quanto la tecnica dell'allegoria»7

• Anche questa nuova formula intende attribuire all'allegoria il carattere di segno. Si rimane cosf fermi al vecchio pregiudizio, a cui Creu­zer ha fornito una veste linguistica definitiva con l'espressione Zeichenallegorie [allegoria segnica]8

Per il resto, sono proprio le grandi riflessioni teoriche sul sim­bolismo contenute nel primo volume della Mythologie di Creuzer a risultare indirettamente assai preziose per la conoscenza dell'al­legorico. Accanto alla vecchia banale dottrina che pure in esse si conserva, tali riflessioni contengono spunti la cui portata gnoseo­logica avrebbe potuto condurre ben piu lontano di quanto Creu­zer non seppe fare. Cosf egli pone l'essenza dei simboli, di cui vuo­le preservare il rango e la distanza rispetto all'allegoria, nei seguenti quattro momenti: «<l momentaneo, il totale, l'imperscrutabile del­la loro origine, il necessario »9

, e a proposito del primo troviamo in un altro passo un'osservazione eccellente: «Quell'aspetto illumi­nante e ::t volte sconvolgente è legato a un'altra caratteristica, la brevità. E come uno spirito che appare all'improvv\so, o come un lampo che illumini a un tratto l'oscurità della notte. E un momento che investe tutto il nostro essere ... A causa di questa feconda bre­vità essi- gli antichi -lo paragonano allaconismo ... Nelle cir­cost~nze importanti della vita, quando ogni momento è gravido di futuro e mantiene l'anima in grande tensione, nei momenti fata­li, gli antichi erano sensibili ai segni divini, che chiamavano sym­bola»10. I requisiti del simbolo saranno invece «chiarezza ... bre­vità ... il grazioso e il bello»u, dove il primo e gli ultimi due rie­cheggiano chiaramente quel modo di vedere che Creuzer ha in

6 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 40.

'Ibid., p. 296. 8 FRIEDRICH CREUZER, Symbolik und Mythologie der alten Vo/ker, besonders der Griechen,

Leizpig-Darmstadt x8x9, parte I, 2, p. nS. 'Ibid., p. 64. 10 Ibid., pp. 59 sgg. n Ibid., pp. 66 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I) 139

comune con le teorie classicistiche del simbolo. È questa la dot­trina del simbolo artistico, che è la forma piu alta e va tenuta di­stinta dal simbolo religioso, piu limitato, oppure mistico. Che qui Creuzer sia stato influenzato dalla venerazione di Winckelmann per la scultura greca- l'esempio che viene portato al riguardo è quello delle divinità greche- è fuor di dubbio. Il simbolo artisti­co è plastico. L'antitesi creuzeriana fra il simbolo plastico e il sim­bolo mistico è tutta nello spirito di Winckelmann. «Qui regna l'inesprimibile, e andando alla ricerca di un'espressione esso fini­sce per far saltare la forma terrena, come un recipiente troppo fra­gile, con la potenza infinita del suo essere. Ma con ciò la chiarez­za del contemplare è subito annientata, e non resta altro che uno stupore muto». Nel simbolo plastico invece «l'essere non tende a straripare, ma, obbedendo alla natura, si adatta alla sua forma, la compenetra e la anima. Quell'antagonismo tra il finito e l'infini­to viene dunque risolto per il fatto che il primo, limitandosi, as­sume una forma umana. Questa purificazione dell'elemento figu­rativo da un lato, e la spontanea rinuncia allo smisuratp dall'altro, produce il piu bel frutto di tutta la sfera simbolica. E il simbolo divino, che unisce mirabilmente la bellezza della forma alla mas­sima pienezza della sostanza, e poiché esso trova la sua realizza­zione piu compiuta nella scultura greca si può chiamarlo simbolo plastico»12

• Il classicismo cercava l'«umanm> in quanto massima «pienezza dell'essere», e se, in questa sua aspirazione, cosf come non poteva non sdegnare l'allegoria, esso doveva cogliere solo una falsa immagine del simbolo. Anche in Creuzer troviamo perciò un paragone, non lontano dalle teorie correnti, fra il simbolo e «l'al­legoria, che l'uso linguistico ordinario scambia cosf spesso con il simbolo>>13

• La «differenza tra raffigurazione simbolica ed allego­rica»: «Questa significa semplicemente un concetto generale, o un'idea, comunque diversa da essa; quella è l'idea stessa resa sen­sibile, incorporata. 11 avviene una sostituzione ... Qui il concet­to stesso è sceso nel mondo dei corpi, e nell'immagine noi lo ve­diamo direttamente e in persoha». Ma cosf Creuzer torna alla sua concezione iniziale. «La differenza tra i due generi va posta per­ciò nel momentaneo, di cui l'allegoria è priva ... 11- ossia nel sim­bolo- c'è una totalità momentanea; qui c'è progresso attraverso una serie di momenti. Per questo anche è l'allegoria, non il sim-

12 Ibid., pp. 6.3 sgg. n Ibid., p. 68.

Page 174: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

r 38 Il dramma barocco tedesco

prensione della sua essenza, e in particolare la comprensione dell'al­legoria, sia invece che l'ostinato pregiudizio antiallegorico porti coerentemente in primo piano il classicismo come suo antenato le­gittimo, la tesi secondo cui l' allegoresi sarebbe «la legge stilistica dominante in particolare nell'Alto Barocco»6 perde il proprio va­lore per voler ridurre tale formulazione a un semplice slogan. In contrapposizione al classicismo, sarebbe propria del Barocco «non tanto l'arte del simbolo, quanto la tecnica dell'allegoria»7

• Anche questa nuova formula intende attribuire all'allegoria il carattere di segno. Si rimane cosf fermi al vecchio pregiudizio, a cui Creu­zer ha fornito una veste linguistica definitiva con l'espressione Zeichenallegorie [allegoria segnica]8

Per il resto, sono proprio le grandi riflessioni teoriche sul sim­bolismo contenute nel primo volume della Mythologie di Creuzer a risultare indirettamente assai preziose per la conoscenza dell'al­legorico. Accanto alla vecchia banale dottrina che pure in esse si conserva, tali riflessioni contengono spunti la cui portata gnoseo­logica avrebbe potuto condurre ben piu lontano di quanto Creu­zer non seppe fare. Cosf egli pone l'essenza dei simboli, di cui vuo­le preservare il rango e la distanza rispetto all'allegoria, nei seguenti quattro momenti: «<l momentaneo, il totale, l'imperscrutabile del­la loro origine, il necessario »9

, e a proposito del primo troviamo in un altro passo un'osservazione eccellente: «Quell'aspetto illumi­nante e ::t volte sconvolgente è legato a un'altra caratteristica, la brevità. E come uno spirito che appare all'improvv\so, o come un lampo che illumini a un tratto l'oscurità della notte. E un momento che investe tutto il nostro essere ... A causa di questa feconda bre­vità essi- gli antichi -lo paragonano allaconismo ... Nelle cir­cost~nze importanti della vita, quando ogni momento è gravido di futuro e mantiene l'anima in grande tensione, nei momenti fata­li, gli antichi erano sensibili ai segni divini, che chiamavano sym­bola»10. I requisiti del simbolo saranno invece «chiarezza ... bre­vità ... il grazioso e il bello»u, dove il primo e gli ultimi due rie­cheggiano chiaramente quel modo di vedere che Creuzer ha in

6 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 40.

'Ibid., p. 296. 8 FRIEDRICH CREUZER, Symbolik und Mythologie der alten Vo/ker, besonders der Griechen,

Leizpig-Darmstadt x8x9, parte I, 2, p. nS. 'Ibid., p. 64. 10 Ibid., pp. 59 sgg. n Ibid., pp. 66 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I) 139

comune con le teorie classicistiche del simbolo. È questa la dot­trina del simbolo artistico, che è la forma piu alta e va tenuta di­stinta dal simbolo religioso, piu limitato, oppure mistico. Che qui Creuzer sia stato influenzato dalla venerazione di Winckelmann per la scultura greca- l'esempio che viene portato al riguardo è quello delle divinità greche- è fuor di dubbio. Il simbolo artisti­co è plastico. L'antitesi creuzeriana fra il simbolo plastico e il sim­bolo mistico è tutta nello spirito di Winckelmann. «Qui regna l'inesprimibile, e andando alla ricerca di un'espressione esso fini­sce per far saltare la forma terrena, come un recipiente troppo fra­gile, con la potenza infinita del suo essere. Ma con ciò la chiarez­za del contemplare è subito annientata, e non resta altro che uno stupore muto». Nel simbolo plastico invece «l'essere non tende a straripare, ma, obbedendo alla natura, si adatta alla sua forma, la compenetra e la anima. Quell'antagonismo tra il finito e l'infini­to viene dunque risolto per il fatto che il primo, limitandosi, as­sume una forma umana. Questa purificazione dell'elemento figu­rativo da un lato, e la spontanea rinuncia allo smisuratp dall'altro, produce il piu bel frutto di tutta la sfera simbolica. E il simbolo divino, che unisce mirabilmente la bellezza della forma alla mas­sima pienezza della sostanza, e poiché esso trova la sua realizza­zione piu compiuta nella scultura greca si può chiamarlo simbolo plastico»12

• Il classicismo cercava l'«umanm> in quanto massima «pienezza dell'essere», e se, in questa sua aspirazione, cosf come non poteva non sdegnare l'allegoria, esso doveva cogliere solo una falsa immagine del simbolo. Anche in Creuzer troviamo perciò un paragone, non lontano dalle teorie correnti, fra il simbolo e «l'al­legoria, che l'uso linguistico ordinario scambia cosf spesso con il simbolo>>13

• La «differenza tra raffigurazione simbolica ed allego­rica»: «Questa significa semplicemente un concetto generale, o un'idea, comunque diversa da essa; quella è l'idea stessa resa sen­sibile, incorporata. 11 avviene una sostituzione ... Qui il concet­to stesso è sceso nel mondo dei corpi, e nell'immagine noi lo ve­diamo direttamente e in persoha». Ma cosf Creuzer torna alla sua concezione iniziale. «La differenza tra i due generi va posta per­ciò nel momentaneo, di cui l'allegoria è priva ... 11- ossia nel sim­bolo- c'è una totalità momentanea; qui c'è progresso attraverso una serie di momenti. Per questo anche è l'allegoria, non il sim-

12 Ibid., pp. 6.3 sgg. n Ibid., p. 68.

Page 175: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

Il dramma barocco tedesco

bolo, a ricomprendere il mito ... la cui essenza esprime nella for­ma piu perfetta l'epos progrediente»14

• E tuttavia, ben lungi dal­lo sviluppare questa intuizione in una rivalutazione dell'espres­sione allegorica, si dirà in un altro passo, a partire da questi enun­ciati e a proposito dei filosofi ionici della natura: «Essi restituiscono al simbolo, rimosso dalla garrula saga, i suoi antichi diritti: il simbolo che, figlio, in origine, della figuratività e poi in­corporato nel discorso, con la sua brevità significante, con lato­talità e la concisa esuberanza del suo essere, è assai piu adatto del­la saga a suggerire l'uno e l'inesprimibile della religione»1

'. Intor­no a queste riflessioni e ad altre simili Gorres fa in una lettera un'osservazione eccellente: della «concezione del simbolo come essere e dell'allegoria come significato, non so che farmene ... Pos­siamo benissimo accontentarci della spiegazione che vede nel pri­mo un segno delle idee in sé concluso, compatto, arroccato in se stesso, e nella seconda invece un'immagine delle medesime pro­grediente e successiva, che scorre nel tempo, drammaticamente mobile e fluente. I due stanno, l'uno rispetto all'altro, come la mu­ta, grande, poderosa natura dei monti e delle piante e la storia uma­na vivente e progressiva»16

• Con ciò, alcune cose sono rimesse in ordine. Poiché il contrasto fra una teoria del simbolo che pone l' ac­cento sull'aspetto naturale- come i monti o le piante- nel sim­bolo stesso, e l'insistenza di Creuzer sul suo aspetto momentaneo, rimanda assai chiaramente al vero stato delle cose. La misura tem­porale dell'esperienza simbolica è l'attimo mistico, in cui il sim­bolo accoglie il senso nel suo interno nascosto e, se si può dire, bo­scoso. A sua volta, anche l'allegoria non è affatto esente da una si­mile dialettica, e la pace contemplativa con la quale essa si sprofonda nell'abisso tra l'essere figurale e il significato non ha nulla di quella apatica sufficienza che si trova nell'intenzione ap­parentemente affine del segno. Con quanto vigore il movimento dialettico rumoreggi nell'abisso dell'allegoria, è qualcosa che lo stu­dio del dramma barocco permetterà di chiarire meglio di ogni al­tro. Quella portata mondana, storica, che Gorres e Creuzer attri­buiscono all'intenzione allegorica, è in quanto storia naturale, in quanto storia originaria del significare, di tipo dialettico. Sotto la categoria decisiva del tempo, la cui trasposizione in ambito se­miotico è la grande intuizione romantica di questi pensa tori, il rap-

14 Ibid., pp. 70 sgg. "Ibid., p. I99· 16 Ibid., p. 147 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I)

porto tra simbolo e allegoria si può fissare con la precisione di una formula. Mentre nel simbolo, con la trasfigurazione della caducità si manifesta fugacemente il volto trasfigurato della natura nella lu: ce della redenzione, l'allegoria mostra agli occhi dell'osservatore la facies hippocratica della storia come irrigidito paesaggio origina­rio. La storia in tutto ciò che essa ha fin dall'inizio di immaturo, di sofferente, di mancato, si imprime in un volto, anzi: nel teschio di un morto. E se è vero che ad esso manca ogni libertà «simboli­ca» dell'espressione, ogni armonia classica della figura, ogni uma­nità, in questa figura - che è fra tutte la piu degradata - si espri­me significativamente sotto forma di enigma, non solo la natura dell'esistenza umll{la in generale, ma la storicità biografica di una singola esistenza. E questo il nucleo della visione allegorica, della esposizione barocca, profana della storia come via crucis monda­na: essa ha significato solo helle stazioni del suo decadere. Tanto è il significato quanto è l'abbandono alla morte, perché è proprio la morte a scavare piu profondamente la linea di demarcazione tra physis e significato. Ma se la natura è da sempre esposta alla mor­te, allora essa è anche allegorica da sempre. Il significato e la mor­te maturano nello sviluppo della storia, cosi come sono contenuti in germe, l'uno nell'altro, nello stato peccaminoso e senza grazia della creatura. La prospettiva del mito decifrato come allegoria, che svolge in Creuzer un certo ruolo, risulta alla fine moderata e piu moderna proprio dal punto di vista barocco. Contro di essa si rivolge, significativamente, Voss: «Le saghe omeriche sul-mondo e sugli dèi erano considerate da Aristarco e da tutte le persone di giudizio come una fede ingenua dell'età nestoriana degli eroi. Cra­tete invece, a cui si aggiunsero il geografo Strabone e i grammati~ ci tardi, vedeva in esse i simboli primordiali dei misteri orfici, di origine soprattutto egizia. Questa simbologia, che spostava arbi­trariamente ai tempi arcaici le esperienze e le dottrine religiose dell'era posto.merica, restò dominante attraverso i secoli del mo­nachesi.mo, e fu chiamata perlopiu allegoria»17

• L'autore disapprova questa riduzione del mito ad allegoria, ma ne ammette la pensabi­lità, che poggia su una teoria della saga come quella. svolta da Creu­zer. L'epos è in effetti la forma classica di una storia della natura significante, cosi come l'allegoria è la sua forma barocca. Mfine com'era a entrambi gli orientamenti, il romanticismo doveva av­vicinare l'uno all'altra epos e allegoria. Cosi Schelling ha formu-

·17 JOHANN HEINRICH voss, Antisymbolik, Stuttgart 1826, vol. II, p. 223.

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Il dramma barocco tedesco

bolo, a ricomprendere il mito ... la cui essenza esprime nella for­ma piu perfetta l'epos progrediente»14

• E tuttavia, ben lungi dal­lo sviluppare questa intuizione in una rivalutazione dell'espres­sione allegorica, si dirà in un altro passo, a partire da questi enun­ciati e a proposito dei filosofi ionici della natura: «Essi restituiscono al simbolo, rimosso dalla garrula saga, i suoi antichi diritti: il simbolo che, figlio, in origine, della figuratività e poi in­corporato nel discorso, con la sua brevità significante, con lato­talità e la concisa esuberanza del suo essere, è assai piu adatto del­la saga a suggerire l'uno e l'inesprimibile della religione»1

'. Intor­no a queste riflessioni e ad altre simili Gorres fa in una lettera un'osservazione eccellente: della «concezione del simbolo come essere e dell'allegoria come significato, non so che farmene ... Pos­siamo benissimo accontentarci della spiegazione che vede nel pri­mo un segno delle idee in sé concluso, compatto, arroccato in se stesso, e nella seconda invece un'immagine delle medesime pro­grediente e successiva, che scorre nel tempo, drammaticamente mobile e fluente. I due stanno, l'uno rispetto all'altro, come la mu­ta, grande, poderosa natura dei monti e delle piante e la storia uma­na vivente e progressiva»16

• Con ciò, alcune cose sono rimesse in ordine. Poiché il contrasto fra una teoria del simbolo che pone l' ac­cento sull'aspetto naturale- come i monti o le piante- nel sim­bolo stesso, e l'insistenza di Creuzer sul suo aspetto momentaneo, rimanda assai chiaramente al vero stato delle cose. La misura tem­porale dell'esperienza simbolica è l'attimo mistico, in cui il sim­bolo accoglie il senso nel suo interno nascosto e, se si può dire, bo­scoso. A sua volta, anche l'allegoria non è affatto esente da una si­mile dialettica, e la pace contemplativa con la quale essa si sprofonda nell'abisso tra l'essere figurale e il significato non ha nulla di quella apatica sufficienza che si trova nell'intenzione ap­parentemente affine del segno. Con quanto vigore il movimento dialettico rumoreggi nell'abisso dell'allegoria, è qualcosa che lo stu­dio del dramma barocco permetterà di chiarire meglio di ogni al­tro. Quella portata mondana, storica, che Gorres e Creuzer attri­buiscono all'intenzione allegorica, è in quanto storia naturale, in quanto storia originaria del significare, di tipo dialettico. Sotto la categoria decisiva del tempo, la cui trasposizione in ambito se­miotico è la grande intuizione romantica di questi pensa tori, il rap-

14 Ibid., pp. 70 sgg. "Ibid., p. I99· 16 Ibid., p. 147 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I)

porto tra simbolo e allegoria si può fissare con la precisione di una formula. Mentre nel simbolo, con la trasfigurazione della caducità si manifesta fugacemente il volto trasfigurato della natura nella lu: ce della redenzione, l'allegoria mostra agli occhi dell'osservatore la facies hippocratica della storia come irrigidito paesaggio origina­rio. La storia in tutto ciò che essa ha fin dall'inizio di immaturo, di sofferente, di mancato, si imprime in un volto, anzi: nel teschio di un morto. E se è vero che ad esso manca ogni libertà «simboli­ca» dell'espressione, ogni armonia classica della figura, ogni uma­nità, in questa figura - che è fra tutte la piu degradata - si espri­me significativamente sotto forma di enigma, non solo la natura dell'esistenza umll{la in generale, ma la storicità biografica di una singola esistenza. E questo il nucleo della visione allegorica, della esposizione barocca, profana della storia come via crucis monda­na: essa ha significato solo helle stazioni del suo decadere. Tanto è il significato quanto è l'abbandono alla morte, perché è proprio la morte a scavare piu profondamente la linea di demarcazione tra physis e significato. Ma se la natura è da sempre esposta alla mor­te, allora essa è anche allegorica da sempre. Il significato e la mor­te maturano nello sviluppo della storia, cosi come sono contenuti in germe, l'uno nell'altro, nello stato peccaminoso e senza grazia della creatura. La prospettiva del mito decifrato come allegoria, che svolge in Creuzer un certo ruolo, risulta alla fine moderata e piu moderna proprio dal punto di vista barocco. Contro di essa si rivolge, significativamente, Voss: «Le saghe omeriche sul-mondo e sugli dèi erano considerate da Aristarco e da tutte le persone di giudizio come una fede ingenua dell'età nestoriana degli eroi. Cra­tete invece, a cui si aggiunsero il geografo Strabone e i grammati~ ci tardi, vedeva in esse i simboli primordiali dei misteri orfici, di origine soprattutto egizia. Questa simbologia, che spostava arbi­trariamente ai tempi arcaici le esperienze e le dottrine religiose dell'era posto.merica, restò dominante attraverso i secoli del mo­nachesi.mo, e fu chiamata perlopiu allegoria»17

• L'autore disapprova questa riduzione del mito ad allegoria, ma ne ammette la pensabi­lità, che poggia su una teoria della saga come quella. svolta da Creu­zer. L'epos è in effetti la forma classica di una storia della natura significante, cosi come l'allegoria è la sua forma barocca. Mfine com'era a entrambi gli orientamenti, il romanticismo doveva av­vicinare l'uno all'altra epos e allegoria. Cosi Schelling ha formu-

·17 JOHANN HEINRICH voss, Antisymbolik, Stuttgart 1826, vol. II, p. 223.

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142 Il dramma barocco tedesco

lato il programma dell'interpretazione allegorica dell'epos nel fa­moso detto per cui l'Odissea è la storia dello spirito umano, e l'Ilia­de la storia della natura.

L'espressione all~goric~ viene al mondo con un singolare in­treccio di natura e storia. E stata la grande opera di Cari Giehlow a gettare luce sulla sua origine. Solo a partire dalla sua monumen­tale ricerca, Die Hieroglyphenkunde des Humanismus in der Allego- . rie der Renaissance, besonders der Ehrenpforte Kaisers Maximilians I [La teoria umanistica dei geroglifici nell'allegoria del Rinascimen­to, specialmente nel portale d'onore dell'imperatore Massimiliano I], è stato possibile documentare anche in termini storici come la moderna allegoria, nata nel xvi secolo, si stacchi da quella medie­vale. Senza dubbio- e ciò apparirà estremamente significativo nel corso di questo studio - esiste fra le due un rapporto preciso ed essenziale. Tuttavia, soltanto là dove la connessione si stacca co­me costante dalle variabili storiche essa si dà a conoscere nel suo contenuto, e tale distinzione è diventata possibile solo dopo la sco­perta di Giehlow. Tra gli studiosi precedenti, solo Creuzer e Gor­res, e soprattutto Herder, sembrano avere avuto un occhio parti­colare per l'enigma di questa forma espressiva. Riguardo all'epo­ca in questione è proprio Herder a riconoscere: «La storia di questa epoca e del suo gusto è ancora immersa nell' oscurità»18

• La sua per­sonale congettura: «Si imitava la vecchia pittura monastica, ma con molta intelligenza e grande penetrazione delle cose, sicché sa­rei incline a definire quest'epoca come l'epoca emblematica»19

, è storicamente errata, ma rivela una comprensione intuitiva di que­sta letteratura superiore a quella dei mitologi romantici. Creuzer si richiama a lui nelle sue riflessioni sull'emblema moderno. «An­che piu tardi si rimase fedeli a questo amore per la forma allegori­ca, anzi nel xvi secolo essa sembrò conoscere una nuova vita ... N ello stesso periodo l'allegoria assunse fra i tedeschi, conforme­mente alla serietà del loro carattere nazionale, un indirizzo piu eti­co. Con i progressi della Riforma il simbolismo come espressione dei misteri religiosi perdette via via terreno ... Il vecchio amore per l'immediatezza intuitiva si manifestò ... in raffigurazioni sim­boliche di natura morale e-politica. Doveva essere infatti l'allego­ria a dare veste sensibile alla nuova verità. Un grande scrittore del-

18 JOHANN GO'ITFRIED HERDER, Siimmtliche Werke, a cura di B. Suphan, Berlitn r887, vol. XVI, p. r6r.

"lbid., p. 2,30.

Allegoria e dramma barocco (I) 143

la nostra nazione, che nel suo spirito universale non trova infan­tile e immatura neanche questa espressione del vigore tedesco, ma anzi decorosa e degna d'interesse, prende spunto dall'universale diffusione di quella forma rappresentativa per definire l'epoca del­la Riforma come l'epoca emblematica, e fornisce al riguardo cen­ni incoraggianti»20

• Conformemente allo stato allora vacillante del sapere, Creuzer poté correggere la valutazione ma non la com­prensione teorica dell'allegoria. Soltanto l'opera di Gièhlow, che è di carattere storico, dischiude la possibilità di una comprensio­ne storico-filosofica di questa forma. Egli individuò lo spunto del­la sua genesi negli sforzi compiuti dai dotti umanisti per decifra­re i geroglifici. Gli umanisti attinsero il metodo della loro ricerca da u? corpus pseudoepigrafico, gli Hieroglyphica di Orapollo, com­post! verso la fine del n o del IV secolo d. C. Lo scritto si occupa­va - è la sua caratteristica, e nasce di qui il suo influsso sugli uma­~sti - solo dei cosiddetti geroglifici simbolici o enigmatici: puri 1deogrammi che, nel quadro di una tradizione sacrale, venivano trasmessi allo ierogrammata, al di fuori dei segni fonetici corren­ti, come ultimo gradino di una filosofia mistica della natura. Con le reminiscenze di questa lettura ci si accinse a studiare gli obeli­schi, e la nuova, ricca, forma espressiva, destinata a diffondersi in modo imprevedibile, sorse da un equivoco. I letterati elaborarono infatti la nuova forma di scrittura partendo dall'interpretazione allegorica dei geroglifici egizi, dove i dati storici e cultuali cede­vano il passo a un inventario di nozioni cosmologiche, mistiche e morali. Nacquero cosf le iconologie, le quali non soltanto svilup­pavano i loro motti in immagini o traducevano intere frasi «paro­l~ per parola per mezzo di uno speciale linguaggio figurato»21

, ma s1 presentarono non di rado come veri e propri lessici22

• «Sotto la guida dell' Alberti, artista ed erudito, gli umanisti si misero cosf a scrivere, anziché con le lettere, con immagini delle cose (rebus); sulla base degli enigmatici geroglifici nacque allora la parola "re­bus", e le medaglie, le colonne, le porte trionfali e tutti i possibi­li oggetti d'arte del Rinascimento ·si riempirono di simili scritture cifrate »23

• «Insieme alla dottrina greca della libertà dell' intuizio-

"'CREUZER, Symbolik und Mythologie cit., pp. 227 sgg. 21 CARL GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde des Humanismus in der Allegorie der Renaissan­

c~, besonders der Ehrenpforte Kaisers Maximiliam I, Wien-Leipzig 1915 («Jahrbuch der Kunst­historischen Sammlungen cles allerhOchsten Kaiserhauses», vol. XXXII, fase. r), p. 36.

22 Cfr. CESARE RIPA, Iconologia, Milano r6o2. "GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde cit., p . .34·

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lato il programma dell'interpretazione allegorica dell'epos nel fa­moso detto per cui l'Odissea è la storia dello spirito umano, e l'Ilia­de la storia della natura.

L'espressione all~goric~ viene al mondo con un singolare in­treccio di natura e storia. E stata la grande opera di Cari Giehlow a gettare luce sulla sua origine. Solo a partire dalla sua monumen­tale ricerca, Die Hieroglyphenkunde des Humanismus in der Allego- . rie der Renaissance, besonders der Ehrenpforte Kaisers Maximilians I [La teoria umanistica dei geroglifici nell'allegoria del Rinascimen­to, specialmente nel portale d'onore dell'imperatore Massimiliano I], è stato possibile documentare anche in termini storici come la moderna allegoria, nata nel xvi secolo, si stacchi da quella medie­vale. Senza dubbio- e ciò apparirà estremamente significativo nel corso di questo studio - esiste fra le due un rapporto preciso ed essenziale. Tuttavia, soltanto là dove la connessione si stacca co­me costante dalle variabili storiche essa si dà a conoscere nel suo contenuto, e tale distinzione è diventata possibile solo dopo la sco­perta di Giehlow. Tra gli studiosi precedenti, solo Creuzer e Gor­res, e soprattutto Herder, sembrano avere avuto un occhio parti­colare per l'enigma di questa forma espressiva. Riguardo all'epo­ca in questione è proprio Herder a riconoscere: «La storia di questa epoca e del suo gusto è ancora immersa nell' oscurità»18

• La sua per­sonale congettura: «Si imitava la vecchia pittura monastica, ma con molta intelligenza e grande penetrazione delle cose, sicché sa­rei incline a definire quest'epoca come l'epoca emblematica»19

, è storicamente errata, ma rivela una comprensione intuitiva di que­sta letteratura superiore a quella dei mitologi romantici. Creuzer si richiama a lui nelle sue riflessioni sull'emblema moderno. «An­che piu tardi si rimase fedeli a questo amore per la forma allegori­ca, anzi nel xvi secolo essa sembrò conoscere una nuova vita ... N ello stesso periodo l'allegoria assunse fra i tedeschi, conforme­mente alla serietà del loro carattere nazionale, un indirizzo piu eti­co. Con i progressi della Riforma il simbolismo come espressione dei misteri religiosi perdette via via terreno ... Il vecchio amore per l'immediatezza intuitiva si manifestò ... in raffigurazioni sim­boliche di natura morale e-politica. Doveva essere infatti l'allego­ria a dare veste sensibile alla nuova verità. Un grande scrittore del-

18 JOHANN GO'ITFRIED HERDER, Siimmtliche Werke, a cura di B. Suphan, Berlitn r887, vol. XVI, p. r6r.

"lbid., p. 2,30.

Allegoria e dramma barocco (I) 143

la nostra nazione, che nel suo spirito universale non trova infan­tile e immatura neanche questa espressione del vigore tedesco, ma anzi decorosa e degna d'interesse, prende spunto dall'universale diffusione di quella forma rappresentativa per definire l'epoca del­la Riforma come l'epoca emblematica, e fornisce al riguardo cen­ni incoraggianti»20

• Conformemente allo stato allora vacillante del sapere, Creuzer poté correggere la valutazione ma non la com­prensione teorica dell'allegoria. Soltanto l'opera di Gièhlow, che è di carattere storico, dischiude la possibilità di una comprensio­ne storico-filosofica di questa forma. Egli individuò lo spunto del­la sua genesi negli sforzi compiuti dai dotti umanisti per decifra­re i geroglifici. Gli umanisti attinsero il metodo della loro ricerca da u? corpus pseudoepigrafico, gli Hieroglyphica di Orapollo, com­post! verso la fine del n o del IV secolo d. C. Lo scritto si occupa­va - è la sua caratteristica, e nasce di qui il suo influsso sugli uma­~sti - solo dei cosiddetti geroglifici simbolici o enigmatici: puri 1deogrammi che, nel quadro di una tradizione sacrale, venivano trasmessi allo ierogrammata, al di fuori dei segni fonetici corren­ti, come ultimo gradino di una filosofia mistica della natura. Con le reminiscenze di questa lettura ci si accinse a studiare gli obeli­schi, e la nuova, ricca, forma espressiva, destinata a diffondersi in modo imprevedibile, sorse da un equivoco. I letterati elaborarono infatti la nuova forma di scrittura partendo dall'interpretazione allegorica dei geroglifici egizi, dove i dati storici e cultuali cede­vano il passo a un inventario di nozioni cosmologiche, mistiche e morali. Nacquero cosf le iconologie, le quali non soltanto svilup­pavano i loro motti in immagini o traducevano intere frasi «paro­l~ per parola per mezzo di uno speciale linguaggio figurato»21

, ma s1 presentarono non di rado come veri e propri lessici22

• «Sotto la guida dell' Alberti, artista ed erudito, gli umanisti si misero cosf a scrivere, anziché con le lettere, con immagini delle cose (rebus); sulla base degli enigmatici geroglifici nacque allora la parola "re­bus", e le medaglie, le colonne, le porte trionfali e tutti i possibi­li oggetti d'arte del Rinascimento ·si riempirono di simili scritture cifrate »23

• «Insieme alla dottrina greca della libertà dell' intuizio-

"'CREUZER, Symbolik und Mythologie cit., pp. 227 sgg. 21 CARL GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde des Humanismus in der Allegorie der Renaissan­

c~, besonders der Ehrenpforte Kaisers Maximiliam I, Wien-Leipzig 1915 («Jahrbuch der Kunst­historischen Sammlungen cles allerhOchsten Kaiserhauses», vol. XXXII, fase. r), p. 36.

22 Cfr. CESARE RIPA, Iconologia, Milano r6o2. "GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde cit., p . .34·

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144 Il dramma barocco tedesco

ne artistica, il Rinascimento riprese dall'antichità allo stesso tem­po il dogma egizio della costrizione artistica. Le due concezioni dovevano affrontarsi in una lotta che fu frenata, in un primo tem­po, da alcuni artisti geniali, ma la seconda era destinata a preva­lere non appena uno spirito ieratico avesse dominato il mondo»24

Nei prodotti del Barocco maturo si fa sempre piu riconoscibile la distanza dai primi inizi dell'emblematìca, anteriori di un secolo, la somiglianza col simbolo si fa sempre piu labile e l'ostentazione ieratica piu marcata. Qualcosa come una teologia naturale della scrittura ha già un suo ruolo nei Libri de re aedificatoria decem di Leon Battista Alberti. «In occasione di una ricerca sulle epigrafi, i segni e le sculture da apporre sui monumenti funebri, egli coglie lo spunto per tracciare un parallelo fra la scrittura alfabetica e i se­gni egizi. Egli sottolinea come un difetto della prima quello di es­sere conosciuta solo al proprio tempo, e di dover poi cadere nell'oblio ... E contrappone ad essa il sistema egizio, che rappre­sentava ad esempio Dio con un occhio, la natura con un avvoltoio, il tempo con un cerchio, la pace con un bue»2

'. La speculazione si volse però, nello stesso tempo, a un'apologia meno razionalistica dell'emblematica, che afferma con molta piu decisione il caratte­re ieratico della forma. Nel suo commento alle Enneadi di Plotino, Marsilio Ficino osserva a proposito dei geroglifici che, per mezzo di essi, i sacerdoti egizi «avrebbero voluto creare qualcosa di cor­rispondente al pensiero divino, giacché la divinità possiede il sa­pere su tutte le cose non come una mutevole rappresentazione ma, per cosf dire, come la semplice e solida forma della cosa stessa. I geroglifici dunque ·come immagini delle idee divine! A titolo di esempio egli porta il geroglifico usato per il concetto di tempo, quello cioè del serpente alato che si morde la coda. La molteplicità e la mobilità dell'umana rappresentazione del tempo, il suo con­giungere in un rapido giro l'inizio e la fine, l'insegnamento della furbizia, il suo dare e il suo togliere le cose: tutta questa serie di pensieri sarebbe contenuta nell'immagine precisa e definita del ser­pente avvolto su se stesso»26

• La convinzione teologica secondo la quale i geroglifici egizi conterrebbero una sapienza originaria, ca­pace di svelare tutte le oscurità della natura, si trova espressa in questa frase di Pierio Valeriano: «Quippe cum hieroglyphice lo-

"Ibid., p. 12.

"Ibid., p. JI. "Ibid., p. 23.

Allegoria e dramma barocco (I) 145

qui nihil aliud sit, quam diuinarum humanarumque rerum natu­ram aperire»27. E sono appunto i Hieroglyphica a osservare, nella loro Epistola nuncupatoria: «Nec deerit occasio recte sentientibus, qui accomodate ad religionem nostram haec retulerint et expo­suerint. Nec etiam arborum et herbarum consideratio nobis odo­sa est, cum B. Paulus et ante eum Dauid ex rerum creatarum co­gnitione, Dei magnitudinem et dignitatem intellegi tradant. Quae cum ita sin t, quis nostrum tam torpescenti, ac terrenis faecibusque immerso erit animo, qui se non innumeris obstrictum a Deo be­neficiis fateatur, cum se hominem creatum uideat, et omnia quae coelo, aere, aqua, terraque continent, hominis causa generata es­se»28. In quell'«hominis causa» non bisognerà pensare alla teleo­logia illuministica, per cui la felicità umana era il fine supremo del­la natura, ma a una teleologia barocca affatto diversa. Essa non è rivolta alla felicità terrena o al bene morale delle creature, ma, uni­camente, alla loro misteriosa edificazione. Per il Barocco infatti il fine della natura è l'espressione del suo significato, la rappresen­tazione emblematica del suo senso, che in quanto allegorico è in­guaribilmente diverso dalla sua realizzazione storica. Negli esem­pi e nelle catastrofi morali la storia valeva solo come momento ma­teriale dell'emblematica. Quel che prevale è il volto rigido della natura significante, e una volta per tutte la storia dovrà restare racchiusa nell'oggetto fatale. L'allegoria medievale è cristiano-di­dattica, in senso mistico e storico-naturale il Barocco risale inve­ce all'antichità. All'antichità egizia, e poi ben presto a quella gre­ca. Lo scopritore dei suoi segreti tesori inventivi era considerato Ludovico da Feltre, «detto "il Morto" per la sua attività "grotte­sca" di scopritore sotterraneo. Al pittore antico che, in base al ci­tatissimo passo di Plinio sulla pittura decorativa, era ritenuto il classico del grottesco, al "pittore di balconi" Serapione, si richiamò infine, attraverso la mediazione di un omonimo anacoreta, la per­sonificazione letteraria dell'elemento sotterraneo-fantastico, se­greto-spettrale (nei Serapionsbriider [l fratelli di San Serapione] di E. T. A. Hoffmann). Perché già allora l'effetto enigmatico-miste­rioso sembra accompagnarsi al sotterraneo-misterioso nell'origine del "grottesco" dalle rovine sepolte e dalle catacombe. Esso non deriverebbe da "grotta" in senso letterale, ma dal senso di "na­scosto", "scavato", espresso dalle immagini della caverna e della

"PIERIO VALERIANO, Hieroglyphica, Basileae 1556, frontespizio. "Ibid., f. 4·

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ne artistica, il Rinascimento riprese dall'antichità allo stesso tem­po il dogma egizio della costrizione artistica. Le due concezioni dovevano affrontarsi in una lotta che fu frenata, in un primo tem­po, da alcuni artisti geniali, ma la seconda era destinata a preva­lere non appena uno spirito ieratico avesse dominato il mondo»24

Nei prodotti del Barocco maturo si fa sempre piu riconoscibile la distanza dai primi inizi dell'emblematìca, anteriori di un secolo, la somiglianza col simbolo si fa sempre piu labile e l'ostentazione ieratica piu marcata. Qualcosa come una teologia naturale della scrittura ha già un suo ruolo nei Libri de re aedificatoria decem di Leon Battista Alberti. «In occasione di una ricerca sulle epigrafi, i segni e le sculture da apporre sui monumenti funebri, egli coglie lo spunto per tracciare un parallelo fra la scrittura alfabetica e i se­gni egizi. Egli sottolinea come un difetto della prima quello di es­sere conosciuta solo al proprio tempo, e di dover poi cadere nell'oblio ... E contrappone ad essa il sistema egizio, che rappre­sentava ad esempio Dio con un occhio, la natura con un avvoltoio, il tempo con un cerchio, la pace con un bue»2

'. La speculazione si volse però, nello stesso tempo, a un'apologia meno razionalistica dell'emblematica, che afferma con molta piu decisione il caratte­re ieratico della forma. Nel suo commento alle Enneadi di Plotino, Marsilio Ficino osserva a proposito dei geroglifici che, per mezzo di essi, i sacerdoti egizi «avrebbero voluto creare qualcosa di cor­rispondente al pensiero divino, giacché la divinità possiede il sa­pere su tutte le cose non come una mutevole rappresentazione ma, per cosf dire, come la semplice e solida forma della cosa stessa. I geroglifici dunque ·come immagini delle idee divine! A titolo di esempio egli porta il geroglifico usato per il concetto di tempo, quello cioè del serpente alato che si morde la coda. La molteplicità e la mobilità dell'umana rappresentazione del tempo, il suo con­giungere in un rapido giro l'inizio e la fine, l'insegnamento della furbizia, il suo dare e il suo togliere le cose: tutta questa serie di pensieri sarebbe contenuta nell'immagine precisa e definita del ser­pente avvolto su se stesso»26

• La convinzione teologica secondo la quale i geroglifici egizi conterrebbero una sapienza originaria, ca­pace di svelare tutte le oscurità della natura, si trova espressa in questa frase di Pierio Valeriano: «Quippe cum hieroglyphice lo-

"Ibid., p. 12.

"Ibid., p. JI. "Ibid., p. 23.

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qui nihil aliud sit, quam diuinarum humanarumque rerum natu­ram aperire»27. E sono appunto i Hieroglyphica a osservare, nella loro Epistola nuncupatoria: «Nec deerit occasio recte sentientibus, qui accomodate ad religionem nostram haec retulerint et expo­suerint. Nec etiam arborum et herbarum consideratio nobis odo­sa est, cum B. Paulus et ante eum Dauid ex rerum creatarum co­gnitione, Dei magnitudinem et dignitatem intellegi tradant. Quae cum ita sin t, quis nostrum tam torpescenti, ac terrenis faecibusque immerso erit animo, qui se non innumeris obstrictum a Deo be­neficiis fateatur, cum se hominem creatum uideat, et omnia quae coelo, aere, aqua, terraque continent, hominis causa generata es­se»28. In quell'«hominis causa» non bisognerà pensare alla teleo­logia illuministica, per cui la felicità umana era il fine supremo del­la natura, ma a una teleologia barocca affatto diversa. Essa non è rivolta alla felicità terrena o al bene morale delle creature, ma, uni­camente, alla loro misteriosa edificazione. Per il Barocco infatti il fine della natura è l'espressione del suo significato, la rappresen­tazione emblematica del suo senso, che in quanto allegorico è in­guaribilmente diverso dalla sua realizzazione storica. Negli esem­pi e nelle catastrofi morali la storia valeva solo come momento ma­teriale dell'emblematica. Quel che prevale è il volto rigido della natura significante, e una volta per tutte la storia dovrà restare racchiusa nell'oggetto fatale. L'allegoria medievale è cristiano-di­dattica, in senso mistico e storico-naturale il Barocco risale inve­ce all'antichità. All'antichità egizia, e poi ben presto a quella gre­ca. Lo scopritore dei suoi segreti tesori inventivi era considerato Ludovico da Feltre, «detto "il Morto" per la sua attività "grotte­sca" di scopritore sotterraneo. Al pittore antico che, in base al ci­tatissimo passo di Plinio sulla pittura decorativa, era ritenuto il classico del grottesco, al "pittore di balconi" Serapione, si richiamò infine, attraverso la mediazione di un omonimo anacoreta, la per­sonificazione letteraria dell'elemento sotterraneo-fantastico, se­greto-spettrale (nei Serapionsbriider [l fratelli di San Serapione] di E. T. A. Hoffmann). Perché già allora l'effetto enigmatico-miste­rioso sembra accompagnarsi al sotterraneo-misterioso nell'origine del "grottesco" dalle rovine sepolte e dalle catacombe. Esso non deriverebbe da "grotta" in senso letterale, ma dal senso di "na­scosto", "scavato", espresso dalle immagini della caverna e della

"PIERIO VALERIANO, Hieroglyphica, Basileae 1556, frontespizio. "Ibid., f. 4·

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grotta ... Ancora nel XVIII secolo c'era per questo l'espressione verk­rochen [«raggrinzito»]. L'idea dell"'enigmatico" era dunque pre­sente fin dall'inizio»29

• Winckelmann non è del tutto estraneo a questà concezione. Per quanto egli si opponga recisamente ai prin­cipi stilistici dell'allegoria barocca, la sua teoria rimane per molti aspetti molto affine agli autori anteriori. Borinski lo vede con mol­ta chiarezza nel Versuch einer Allegorie [Saggio di una allegoria]. «Proprio qui Winckelmann è ancora tutto preso dall'universale credenza rinascimentale nella sapientia veterum, nel legame spiri­tuale tra la verità originaria e l'arte, tra scienza intellettuale e ar­cheologia ... Egli cerca nell'allegoria genuina "degli antichi", "in­sufflata" dalla pienezza dell'ispirazione omerica, la panacea psi­chica contro lo sterile, eterno ripetersi di scene martirologiche e mitologiche nell'arte dei moderni ... Solo questa allegoria insegna agli artisti a "inventare": cosa che lo pone alla stessa altezza del poeta»30

• Cosf la semplice edificazione si stacca dall'allegorico an­cora piu radicalmente che nel Barocco.

Quanto piu lo sviluppo dell'emblematica si ramificò, tanto piu questa espressione si fece impenetrabile. Il linguaggio figurale egi­zio si intrecciò con quello greco e con quello cristiano. Per il favo­re dimostratole dalla teologia, un'opera significativa è il Polyhistor symbolicusl1, redatto da quello stesso gesuita Caussin, di cui Gryphius tradusse dal latino la Felicitas. D'altra parte, nessuna scrit­tura piu di questo codice cifrato comprensibile solo ai dotti poteva apparire adatta a mascherare le massime dell'alta politica e della ve­ra saggezza di vita. Nel suo saggio su Johann Valentin Andreae, Herder ha avanzato addirittura l'ipotesi che tale scrittura abbia of­ferto un asilo sicuro a certi pensieri che davanti ai principi non si voleva chiamare per nome. La tesi di Opitz suona piu paradossale. Poiché da un lato egli concepisce l'esoterismo teologico di questa forma espressiva come il radicalizzarsi di un'origine elitaria della poesia, dall'altro però egli ritiene che essa sia stata introdotta per ragioni di comprensibilità universale. Sulla frase dell'Art poétique di Delbene- «La poésie n'était au premier age qu'une théologie al­légorique»- egli ha· coniato la celebre formula del secondo capito­lo della Deutsche Poeterey: «La poesia non è stata all'inizio nient'al-

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 189. •• Ibid., vol. II, pp. 208 sg. "Cfr. NICOLAS cAussiN, Polyhistor symbolicus, electorum symbolorum et parabolarum

historicarum stromata, XII libris complectens, Coloniae 1623.

Allegoria e dramma barocco (x) 147

tro che teologia mascherata». Ma altrove leggiamo: «Poiché il mon­do primo e selvaggio era troppo rozzo e incolto per poter cogliere e comprendere rettamente le dottrine della saggezza e delle cose ce­lesti, alcuni uomini saggi dovettero nascondere e travestire in rime e favole, che la gente comune è piu incline ad ascoltare, ciò che in­ventavano per l'edificazione del timor di Dio, dei buoni costumi e della condotta»32

• Questa concezione rimase determinante e anche in Harsdorffer, forse il piu coerente fra gli allegoristi, è pr~prio es­sa a fondare la teoria di questa forma espressiva. E poiché essa si insediò in tutti gli ambiti, piu vasti o piu ristretti, della vita cultu­rale, dalla teologia alla filosofia della natura e alla morale, fino all'araldica, alla letteratura celebrativa e al linguaggio amoroso, il suo repertorio di oggetti intuitivi è pressoché illimitato. Per ogni idea, il momento espressivo coincide con una vera eruzione di im­magini, e le metafore che le fissano si presentano come una massa caotica e dispersa. Cosi, in questo stile si rappresenta il sublime. « Universa rerum natura materiam praebet huic philosophiae (se. imaginum) nec qvicquam ista protulit, qvod non in emblema abire possit, ex cujus contemplatione utilem virtutum doctrinam in vita civili capere liceat: adeo ut qvemadmodum Historiae ex Numi­smatibus, ita Morali philosophiae ex Emblematis lux inferatur»33

Questa similitudine è particolarmente felice. La natura infatti, che negli emblemi porta l'impronta della storia, e ne è anzi lo scenario, ha qualcosa di numismatico. Lo stesso autore - uno dei redattori degli Acta eruditorum- dice in un altro passo: «Quamvis rem sym­bolis et emblematibus praebere materiam, nec quic quam in hoc universo existere, quod non idoneum iis argumentum suppeditet, supra in Actis ... fui t monitum; cum primum philosophiae imagi­num tomum superiori anno edito enarraremus. Cujus assertionis al­ter hic tomug34, qui hoc anno prodiit, egregia praebet documenta· a naturalibus et artificialibus rebus, elementis, igne, montibus igni: vomis, tormentis, pulverariis et aliis machinis bellicis, chymicis item

"oPrrz, Prosodia Germanica cit., p. 2. [Weil elle erste und rawe welt grober und un­geschlachter war ;ùs das sie hetten elle Iehren von weiliheit und himmlischen dingen recht fassen und. verstehen konnen so haben weise Miinner was sie zu erbawung der gottesfur­cht guter s1tten und wandels erfunden in.Reime und Fabeln welche sonderlich der gemei­ne Pofel zu horen geneigt ist verstecken und verbergen miissen].

" Comunicazione anonima su CLAUDE FRANçors MENESTRIBR, La philosophie des ima­ges (cfr. nota seguente), in Acta eruditorum, anno MDCLXXXUI publicata, Lipsiae x683, p. 17· . ,. Cfr. ID., La philosophie des images, Paris 1682. Inoltre: ID., Devises des princes, cava­

liers, dames, scavans, et autres personnages illustres de l'Europe, Paris x683.

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grotta ... Ancora nel XVIII secolo c'era per questo l'espressione verk­rochen [«raggrinzito»]. L'idea dell"'enigmatico" era dunque pre­sente fin dall'inizio»29

• Winckelmann non è del tutto estraneo a questà concezione. Per quanto egli si opponga recisamente ai prin­cipi stilistici dell'allegoria barocca, la sua teoria rimane per molti aspetti molto affine agli autori anteriori. Borinski lo vede con mol­ta chiarezza nel Versuch einer Allegorie [Saggio di una allegoria]. «Proprio qui Winckelmann è ancora tutto preso dall'universale credenza rinascimentale nella sapientia veterum, nel legame spiri­tuale tra la verità originaria e l'arte, tra scienza intellettuale e ar­cheologia ... Egli cerca nell'allegoria genuina "degli antichi", "in­sufflata" dalla pienezza dell'ispirazione omerica, la panacea psi­chica contro lo sterile, eterno ripetersi di scene martirologiche e mitologiche nell'arte dei moderni ... Solo questa allegoria insegna agli artisti a "inventare": cosa che lo pone alla stessa altezza del poeta»30

• Cosf la semplice edificazione si stacca dall'allegorico an­cora piu radicalmente che nel Barocco.

Quanto piu lo sviluppo dell'emblematica si ramificò, tanto piu questa espressione si fece impenetrabile. Il linguaggio figurale egi­zio si intrecciò con quello greco e con quello cristiano. Per il favo­re dimostratole dalla teologia, un'opera significativa è il Polyhistor symbolicusl1, redatto da quello stesso gesuita Caussin, di cui Gryphius tradusse dal latino la Felicitas. D'altra parte, nessuna scrit­tura piu di questo codice cifrato comprensibile solo ai dotti poteva apparire adatta a mascherare le massime dell'alta politica e della ve­ra saggezza di vita. Nel suo saggio su Johann Valentin Andreae, Herder ha avanzato addirittura l'ipotesi che tale scrittura abbia of­ferto un asilo sicuro a certi pensieri che davanti ai principi non si voleva chiamare per nome. La tesi di Opitz suona piu paradossale. Poiché da un lato egli concepisce l'esoterismo teologico di questa forma espressiva come il radicalizzarsi di un'origine elitaria della poesia, dall'altro però egli ritiene che essa sia stata introdotta per ragioni di comprensibilità universale. Sulla frase dell'Art poétique di Delbene- «La poésie n'était au premier age qu'une théologie al­légorique»- egli ha· coniato la celebre formula del secondo capito­lo della Deutsche Poeterey: «La poesia non è stata all'inizio nient'al-

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 189. •• Ibid., vol. II, pp. 208 sg. "Cfr. NICOLAS cAussiN, Polyhistor symbolicus, electorum symbolorum et parabolarum

historicarum stromata, XII libris complectens, Coloniae 1623.

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tro che teologia mascherata». Ma altrove leggiamo: «Poiché il mon­do primo e selvaggio era troppo rozzo e incolto per poter cogliere e comprendere rettamente le dottrine della saggezza e delle cose ce­lesti, alcuni uomini saggi dovettero nascondere e travestire in rime e favole, che la gente comune è piu incline ad ascoltare, ciò che in­ventavano per l'edificazione del timor di Dio, dei buoni costumi e della condotta»32

• Questa concezione rimase determinante e anche in Harsdorffer, forse il piu coerente fra gli allegoristi, è pr~prio es­sa a fondare la teoria di questa forma espressiva. E poiché essa si insediò in tutti gli ambiti, piu vasti o piu ristretti, della vita cultu­rale, dalla teologia alla filosofia della natura e alla morale, fino all'araldica, alla letteratura celebrativa e al linguaggio amoroso, il suo repertorio di oggetti intuitivi è pressoché illimitato. Per ogni idea, il momento espressivo coincide con una vera eruzione di im­magini, e le metafore che le fissano si presentano come una massa caotica e dispersa. Cosi, in questo stile si rappresenta il sublime. « Universa rerum natura materiam praebet huic philosophiae (se. imaginum) nec qvicquam ista protulit, qvod non in emblema abire possit, ex cujus contemplatione utilem virtutum doctrinam in vita civili capere liceat: adeo ut qvemadmodum Historiae ex Numi­smatibus, ita Morali philosophiae ex Emblematis lux inferatur»33

Questa similitudine è particolarmente felice. La natura infatti, che negli emblemi porta l'impronta della storia, e ne è anzi lo scenario, ha qualcosa di numismatico. Lo stesso autore - uno dei redattori degli Acta eruditorum- dice in un altro passo: «Quamvis rem sym­bolis et emblematibus praebere materiam, nec quic quam in hoc universo existere, quod non idoneum iis argumentum suppeditet, supra in Actis ... fui t monitum; cum primum philosophiae imagi­num tomum superiori anno edito enarraremus. Cujus assertionis al­ter hic tomug34, qui hoc anno prodiit, egregia praebet documenta· a naturalibus et artificialibus rebus, elementis, igne, montibus igni: vomis, tormentis, pulverariis et aliis machinis bellicis, chymicis item

"oPrrz, Prosodia Germanica cit., p. 2. [Weil elle erste und rawe welt grober und un­geschlachter war ;ùs das sie hetten elle Iehren von weiliheit und himmlischen dingen recht fassen und. verstehen konnen so haben weise Miinner was sie zu erbawung der gottesfur­cht guter s1tten und wandels erfunden in.Reime und Fabeln welche sonderlich der gemei­ne Pofel zu horen geneigt ist verstecken und verbergen miissen].

" Comunicazione anonima su CLAUDE FRANçors MENESTRIBR, La philosophie des ima­ges (cfr. nota seguente), in Acta eruditorum, anno MDCLXXXUI publicata, Lipsiae x683, p. 17· . ,. Cfr. ID., La philosophie des images, Paris 1682. Inoltre: ID., Devises des princes, cava­

liers, dames, scavans, et autres personnages illustres de l'Europe, Paris x683.

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instrumentis, subterraneis cuniculis, fumo luminaribus, igne sacro, aere et variis avium generibus deprompta symbola et apposita lem­mata exhibens»3'. Basterà una sola testimonianza a dimostrare fi­no a che punto ci si spinse in questa direzione. Nella Ars heraldica di Bockler si legge: «Delle foglie. Di rado si trovano foglie sugli stemmi, ma laddove si ritrovano esse portano il significato della ve­rità, poiché in qualche modo sono simili alla lingua e al cuore»36

«Delle nuvole. Sf come le nuvole planano alte sopra a se medesime (!),e di lassu rovesciano pioggia feconda, da cui il campo, e i frut­ti e gli uomini sono rinfrescati e ristorati, cosi anche un animo no­bile, nelle cose della virtU deve per cosi dire salire in alto, e inoltre, coi suoi doni, aver cura di servire alla patria»37

• «l cavalli bianchi significano la pace trionfante, dopo la guerra, e insieme anche la velocità»38• Ma la cosa piu sorprendente è un sistema completo di geroglifica cromatica, a cui questo libro rimanda come a una com­binatoria di colori raggruppati a coppie: «Rosso su argento, chie­dono vendetta»39

, «Blu ... su rosso, scortesia»40, «Nero ... su por­

pora, costante devozione»41• «Le molteplici oscurità del rapporto

tra significato e segno ... non scoraggiavano ma anzi invitavano a utilizzare come simboli qualità sempre piu remote dell'oggetto si­gnificante, al punto da superare in astruseria gli stessi egizi. A ciò si aggiungeva la forza dogmatica dei significati tramandati dagli an­tichi, cosicché un'unica medesima cosa può simboleggiare altret­tanto bene una virtU come un vizio, e quindi, in definitiva, tutto» 42

Quest'ultima circostanza porta alle antinomie dell'allegorico, la cui trattazione dialettica non può essere rimandata se si vuole evocare l'immagine del dramma barocco. Ogni personaggio, ogni

"Comunicazione anonima su MENESTRIER, La philosophie des images eit., p. IJI. •• GEORG ANDREAS séicKLER, An hera/Jica, Das ist: Die Hoch-Edle Teutsche Adels-Kunst,

Niirnbetg r688, p. 1J"I. [Von Blattetn. Man findet selten Bliitter in den Wappen wo sie abet gefunden werden so fiihren sie die Deutung der Warheit weilen sie etlicher Massen der Zungen und dem Hetzen gleichen].

"Ibid., p. 140. [Von Wolcken. Gleichwie die Wolcken sich iibersich (!)indie Hohe schwingen hetnach fruchtbaren Regen herab giessen davon das Feld Friicht und Menschen etfrischet und erquicket werden also soli auch ein Adeliches Gemiith in Tugend-Sachen gleichsam in die Hohe aufsteigen alsdenn mit seinen Gaben dem Vattetland zu dienen be-flissen seyn]. .

"Ibid., p. 109. [Die weise (!) Pferde bedeuten den obsiegenden Frieden nach geen-digtem Krieg und zugleich auch die Geschwindigkeit].

"Ibid., p. 81. [Roth zu Silber Vetlangen sich zu riichen]. "'Ibid., p. 8z. [Blau ... iu Roth Unhoflichkeit]. 41 Ibid., p. 83. [Schwartz ... zu Purpur bestiindige Andacht]. "GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde cit., p. 127.

Allegoria e dramma barocco (I) 149

cosa, ogni situazione può significare qualsiasi altra cosa. Questa possibilità equivale a un giudizio distruttivo, benché giusto,' sul mondo profano: esso viene caratterizzato come un mondo in cui i dettagli a rigore non contano nulla. Eppure, soprattutto per chi ha presente l'esegesi allegorica della Scrittura, è innegabile che que­gli oggetti significanti acquistino, proprio col loro continuo ri­mandare ad altro, un potere che li fa apparire incommensurabili c~n le cose profane e che può sollevarli su un piano piu alto, sul ptano del sacro. Di conseguenza, nella concezione allegorica il mon­do profano viene al tempo stesso innalzato di rango e svalutato. Questa dialettica religiosa sostanziale ha, come suo correlato for­male, la dialettica di convenzione ed espressione. Perché l'allego­ria è le due cose insieme, e queste sono per natura contradditto­rie. Ma se la dottrina barocca concepiva la storia in generale come un accadere creato, l'allegoria in particolare, pur essendo conven­zionale come ogni scrittura, è anche creata come lo è la Scrittura sacra. L'allegoria del xvn secolo non è convenzione dell'espressio­ne ma espressione della convenzione. Espressione, anche, dell' au­torità: segretamente per la dignità della sua origine, pubblicamente per il suo ambito di validità. Ed è di nuovo la stessa antinomia, quella che s'incontra sul piano figurativo nel conflitto tra la fred­dezza di una tecnica pronta per l'uso e l'espressività eruttiva dell'allegoresi. Anche qui la soluzione è dialettica, e sta nell'es­senza stessa della scrittura. Della lingua rivelata, infatti, si può pensare senza contraddizione un uso vivente, libero, in cui essa non perderebbe nulla della sua dignità. Non cosi della sua scrittu­ra, quale appunto l'allegoria aspirava ad essere. La sacralità della scrittura è inseparabile dalla sua codificazione rigorosa. Perché ogni scrittura sacra si fissa in blocchi di senso, i quali alla fine mi­rano a costituirne o formarne uno solo ed immutabile. Perciò la scrittura alfabetica, in quanto combinazione di atomi scritturali si allontana al massimo dalla scrittura per agglomerati sacrali. Que: sti ultimi si imprimono invece nella forma geroglifica. Se la scrit­tura vuole assicurarsi del proprio carattere sacrale - e allora non potrà sottrarsi al conflitto tra valore sacrale e comprensibilj.tà pro­fana - essa tenderà agli agglomerati, ossia al geroglifico. E quan­to accade nel Barocco. Da un punto di vista esterno e stilistico -nella cirasticità dèlla frase come nella metafora sovraccarica - lo scritto tende all'immagine. Non è possibile pensare qualcosa di piu lontano dal simbolo artistico, dal simbolo plastico, dall'immagine della totalità organica, di questo frammento amorfo che è l'ideo-

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148 Il dramma barocco tedesco

instrumentis, subterraneis cuniculis, fumo luminaribus, igne sacro, aere et variis avium generibus deprompta symbola et apposita lem­mata exhibens»3'. Basterà una sola testimonianza a dimostrare fi­no a che punto ci si spinse in questa direzione. Nella Ars heraldica di Bockler si legge: «Delle foglie. Di rado si trovano foglie sugli stemmi, ma laddove si ritrovano esse portano il significato della ve­rità, poiché in qualche modo sono simili alla lingua e al cuore»36

«Delle nuvole. Sf come le nuvole planano alte sopra a se medesime (!),e di lassu rovesciano pioggia feconda, da cui il campo, e i frut­ti e gli uomini sono rinfrescati e ristorati, cosi anche un animo no­bile, nelle cose della virtU deve per cosi dire salire in alto, e inoltre, coi suoi doni, aver cura di servire alla patria»37

• «l cavalli bianchi significano la pace trionfante, dopo la guerra, e insieme anche la velocità»38• Ma la cosa piu sorprendente è un sistema completo di geroglifica cromatica, a cui questo libro rimanda come a una com­binatoria di colori raggruppati a coppie: «Rosso su argento, chie­dono vendetta»39

, «Blu ... su rosso, scortesia»40, «Nero ... su por­

pora, costante devozione»41• «Le molteplici oscurità del rapporto

tra significato e segno ... non scoraggiavano ma anzi invitavano a utilizzare come simboli qualità sempre piu remote dell'oggetto si­gnificante, al punto da superare in astruseria gli stessi egizi. A ciò si aggiungeva la forza dogmatica dei significati tramandati dagli an­tichi, cosicché un'unica medesima cosa può simboleggiare altret­tanto bene una virtU come un vizio, e quindi, in definitiva, tutto» 42

Quest'ultima circostanza porta alle antinomie dell'allegorico, la cui trattazione dialettica non può essere rimandata se si vuole evocare l'immagine del dramma barocco. Ogni personaggio, ogni

"Comunicazione anonima su MENESTRIER, La philosophie des images eit., p. IJI. •• GEORG ANDREAS séicKLER, An hera/Jica, Das ist: Die Hoch-Edle Teutsche Adels-Kunst,

Niirnbetg r688, p. 1J"I. [Von Blattetn. Man findet selten Bliitter in den Wappen wo sie abet gefunden werden so fiihren sie die Deutung der Warheit weilen sie etlicher Massen der Zungen und dem Hetzen gleichen].

"Ibid., p. 140. [Von Wolcken. Gleichwie die Wolcken sich iibersich (!)indie Hohe schwingen hetnach fruchtbaren Regen herab giessen davon das Feld Friicht und Menschen etfrischet und erquicket werden also soli auch ein Adeliches Gemiith in Tugend-Sachen gleichsam in die Hohe aufsteigen alsdenn mit seinen Gaben dem Vattetland zu dienen be-flissen seyn]. .

"Ibid., p. 109. [Die weise (!) Pferde bedeuten den obsiegenden Frieden nach geen-digtem Krieg und zugleich auch die Geschwindigkeit].

"Ibid., p. 81. [Roth zu Silber Vetlangen sich zu riichen]. "'Ibid., p. 8z. [Blau ... iu Roth Unhoflichkeit]. 41 Ibid., p. 83. [Schwartz ... zu Purpur bestiindige Andacht]. "GIEHLOW, Die Hieroglyphenkunde cit., p. 127.

Allegoria e dramma barocco (I) 149

cosa, ogni situazione può significare qualsiasi altra cosa. Questa possibilità equivale a un giudizio distruttivo, benché giusto,' sul mondo profano: esso viene caratterizzato come un mondo in cui i dettagli a rigore non contano nulla. Eppure, soprattutto per chi ha presente l'esegesi allegorica della Scrittura, è innegabile che que­gli oggetti significanti acquistino, proprio col loro continuo ri­mandare ad altro, un potere che li fa apparire incommensurabili c~n le cose profane e che può sollevarli su un piano piu alto, sul ptano del sacro. Di conseguenza, nella concezione allegorica il mon­do profano viene al tempo stesso innalzato di rango e svalutato. Questa dialettica religiosa sostanziale ha, come suo correlato for­male, la dialettica di convenzione ed espressione. Perché l'allego­ria è le due cose insieme, e queste sono per natura contradditto­rie. Ma se la dottrina barocca concepiva la storia in generale come un accadere creato, l'allegoria in particolare, pur essendo conven­zionale come ogni scrittura, è anche creata come lo è la Scrittura sacra. L'allegoria del xvn secolo non è convenzione dell'espressio­ne ma espressione della convenzione. Espressione, anche, dell' au­torità: segretamente per la dignità della sua origine, pubblicamente per il suo ambito di validità. Ed è di nuovo la stessa antinomia, quella che s'incontra sul piano figurativo nel conflitto tra la fred­dezza di una tecnica pronta per l'uso e l'espressività eruttiva dell'allegoresi. Anche qui la soluzione è dialettica, e sta nell'es­senza stessa della scrittura. Della lingua rivelata, infatti, si può pensare senza contraddizione un uso vivente, libero, in cui essa non perderebbe nulla della sua dignità. Non cosi della sua scrittu­ra, quale appunto l'allegoria aspirava ad essere. La sacralità della scrittura è inseparabile dalla sua codificazione rigorosa. Perché ogni scrittura sacra si fissa in blocchi di senso, i quali alla fine mi­rano a costituirne o formarne uno solo ed immutabile. Perciò la scrittura alfabetica, in quanto combinazione di atomi scritturali si allontana al massimo dalla scrittura per agglomerati sacrali. Que: sti ultimi si imprimono invece nella forma geroglifica. Se la scrit­tura vuole assicurarsi del proprio carattere sacrale - e allora non potrà sottrarsi al conflitto tra valore sacrale e comprensibilj.tà pro­fana - essa tenderà agli agglomerati, ossia al geroglifico. E quan­to accade nel Barocco. Da un punto di vista esterno e stilistico -nella cirasticità dèlla frase come nella metafora sovraccarica - lo scritto tende all'immagine. Non è possibile pensare qualcosa di piu lontano dal simbolo artistico, dal simbolo plastico, dall'immagine della totalità organica, di questo frammento amorfo che è l'ideo-

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Il dramma barocco tedesco

gramma allegorico. In essa il baroc~o si di~ostra w; pendant per­fetto del Classicismo, quel ant che fmora si voleva riconoscere so­lo nel Romanticismo. Né va respinta la tentazione di cercare la co­stante che li attraversa. In entrambi - nel Romanticismo come nel Barocco - non si tratta tanto di un correttivo del Classicismo, quanto di un corre~tivo dell' ar~e come tale .. E. a. quel cont:astato preludio del Classicismo che fu~ Barocco è difficile n~gar~, m q';le,­st' opera di rettifica, una superiore concretezza, anzi un autorita piu alta e una validità piu duratura. Se il Romanticismo, in nome dell'infinità della forma e dell'idea, potenzia criticamente la for­ma compiuta43 , la profondità dello sguardo allegorico trasforma in un sol colpo le cose e le opere in scrittura eccitante. Uno sguardo che è ancora penetrante nella Descrizione del tors? di E;co!; al ~el­vedere di Roma di Winckelmann44

: nel modo anticlassico m cw lo percorre pezzo per pezzo, particolare ~ p~_icolare. E r:on ~.ca­so si tratta di un torso. Nel campo dell mtwz10ne allegorica l Im­magine è frammento, runa. La sua bellezza simbolica si volatiliz­za, perché a colpirla è la luce della scienza divina. La falsa app_a­renza della totalità si spegne. Poiché l' eidos si oscura, entra m campo la metafora, e il cosmo che vi è contenuto si inaridisce. Nel­le rebus inaridite, che ancora rimang~no, è presente un senso che si lascia cogliere solo da colui che medita, rimuginando. Cogliere la non-libertà, l'incompiutezza e la fragilità della natura sensibil~, del bello naturale al classicismo non era dato. Ma sono proprio questi i caratteri che l'allegoria barocca propone, nascosti sotto la sua pompa sfarzosa, con una insistenza fino a quel punto ignota. Una percezione radicale della problematicità d~:arte -.n~n era solo un'affettazione di casta ma uno scrupolo religioso a limitarne la pratica alle «ore libere» - si presenta come contraccolpo della sua autoglorificazione rinascimentale. Se gli artisti e i pensatori dell'età classica non si sono occupati di quella che per loro era pu­ra parodia, alcune tesi dell'.estetica neokan~iana_posso~o dare un'idea dell!asprezza della controversia. La dialettica dell espres­sione allegorica vi è misconosciuta e sospettata di «ambiguità». «L'ambiguità, la molteplicità di senso, è il trat~o ~ondament~e dell'allegoria; l'allegoria, il Barocco, vanno org~gliosi della loro ric­chezza di significati. Ma questa ambiguità è la ricchezza dello spre-

"'Cfr. BENJAMIN, Der Begriff der Kunstkritik cit., p. 105: . •• • • .. JOHANN JOACHIM WINCKELMANN, V ersuch einer Allegone besonders for die Kumt, Letp-

zig 1866, pp. 143 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I)

co; la natura invece, secondo le regole della vecchia metafisica co­me pure secondo quelle della meccanica, è vincolata non in ultimo alla legge dell'economia. L'ambiguità è perciò dovunque in con­traddizione con la purezza e l'unità del significato»45

• Non meno dottrinarie le argomentazioni di un allievo di Hermann Cohen, Carl Horst, che nella sua analisi della «problematica barocca» avrebbe dovuto attenersi a un punto di vista piu concreto. Ad ogni modo, dell'allegoria vi si dice che essa «dà sempre a riconoscere un "superamento dei confini dell'altro genere", uno sconfinare delle "arti figurative" nel campo rappresentativo di quelle "di­scorsive". E questa violazione di confini - prosegue l'autore - si vendica spietatamente soprattutto nella cultura del sentimento, che concerne le "arti figurative" pure piu di quelle discorsive, e che avvicina le prime alla musica ... In quel freddo intreccio delle piu diverse modalità espressive e di intenzioni concettose ... il sen­timento e la comprensione artistica vengono mortificati e violen­tati. Ed è quanto accade con l'allegoria nel campo delle arti "fi­gurative". Si potrebbe definire la sua irruzione come un attacco grossolano contro l'ordine costituito della legalità artistica. Eppu­re nel suo ambito essa ha regnato incontrastata, e i piu grandi ar­tisti le hanno dedicato le proprie opere»46

• Questo semplice fatto avrebbe dovuto ovviamente suggerire una diversa considerazione dell'allegoria. Ma lo stile adialettico della scuola neokantiana non è in grado di cogliere la sintesi che nella scrittura allegorica risul­ta dalla lotta fra le intenzioni della teologia e dell'arte, non già nel senso di una pace duratura, ma nel senso di una tregua Dei fra le due prospettive in conflitto.

· Se nel dramma barocco la storia emigra sulla scena, essa lo fa come scrittura. Sul volto della natura sta scritta la parola «storia» nei caratteri della caducità. La fisionomia allegorica della storia­natura, che il dramma barocco trasporta sulla scena, è realmente presente come rovina. Con essa, la storia si è ridotta materialmente al palcoscenico. E, beninteso, la storia cosf conformata non appa­re come il processo di una vita eterna, ma come il progredire di una inarrestabile decadenza. In questo modo l'allegoria si pone al di là della bellezza. Le allegorie sono nel regno del pensiero quel che sono le rovine nel regno delle cose. Di qui il culto barocco del-

"HERMANN COHEN, Asthetik des reinen Gefohls, Berlin 1912, vol. II), p. 305. "CARL HORST, Barockprobleme, Miinchen 1912, pp. 39 sgg.; cfr. anche pp. 41 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

gramma allegorico. In essa il baroc~o si di~ostra w; pendant per­fetto del Classicismo, quel ant che fmora si voleva riconoscere so­lo nel Romanticismo. Né va respinta la tentazione di cercare la co­stante che li attraversa. In entrambi - nel Romanticismo come nel Barocco - non si tratta tanto di un correttivo del Classicismo, quanto di un corre~tivo dell' ar~e come tale .. E. a. quel cont:astato preludio del Classicismo che fu~ Barocco è difficile n~gar~, m q';le,­st' opera di rettifica, una superiore concretezza, anzi un autorita piu alta e una validità piu duratura. Se il Romanticismo, in nome dell'infinità della forma e dell'idea, potenzia criticamente la for­ma compiuta43 , la profondità dello sguardo allegorico trasforma in un sol colpo le cose e le opere in scrittura eccitante. Uno sguardo che è ancora penetrante nella Descrizione del tors? di E;co!; al ~el­vedere di Roma di Winckelmann44

: nel modo anticlassico m cw lo percorre pezzo per pezzo, particolare ~ p~_icolare. E r:on ~.ca­so si tratta di un torso. Nel campo dell mtwz10ne allegorica l Im­magine è frammento, runa. La sua bellezza simbolica si volatiliz­za, perché a colpirla è la luce della scienza divina. La falsa app_a­renza della totalità si spegne. Poiché l' eidos si oscura, entra m campo la metafora, e il cosmo che vi è contenuto si inaridisce. Nel­le rebus inaridite, che ancora rimang~no, è presente un senso che si lascia cogliere solo da colui che medita, rimuginando. Cogliere la non-libertà, l'incompiutezza e la fragilità della natura sensibil~, del bello naturale al classicismo non era dato. Ma sono proprio questi i caratteri che l'allegoria barocca propone, nascosti sotto la sua pompa sfarzosa, con una insistenza fino a quel punto ignota. Una percezione radicale della problematicità d~:arte -.n~n era solo un'affettazione di casta ma uno scrupolo religioso a limitarne la pratica alle «ore libere» - si presenta come contraccolpo della sua autoglorificazione rinascimentale. Se gli artisti e i pensatori dell'età classica non si sono occupati di quella che per loro era pu­ra parodia, alcune tesi dell'.estetica neokan~iana_posso~o dare un'idea dell!asprezza della controversia. La dialettica dell espres­sione allegorica vi è misconosciuta e sospettata di «ambiguità». «L'ambiguità, la molteplicità di senso, è il trat~o ~ondament~e dell'allegoria; l'allegoria, il Barocco, vanno org~gliosi della loro ric­chezza di significati. Ma questa ambiguità è la ricchezza dello spre-

"'Cfr. BENJAMIN, Der Begriff der Kunstkritik cit., p. 105: . •• • • .. JOHANN JOACHIM WINCKELMANN, V ersuch einer Allegone besonders for die Kumt, Letp-

zig 1866, pp. 143 sgg.

Allegoria e dramma barocco (I)

co; la natura invece, secondo le regole della vecchia metafisica co­me pure secondo quelle della meccanica, è vincolata non in ultimo alla legge dell'economia. L'ambiguità è perciò dovunque in con­traddizione con la purezza e l'unità del significato»45

• Non meno dottrinarie le argomentazioni di un allievo di Hermann Cohen, Carl Horst, che nella sua analisi della «problematica barocca» avrebbe dovuto attenersi a un punto di vista piu concreto. Ad ogni modo, dell'allegoria vi si dice che essa «dà sempre a riconoscere un "superamento dei confini dell'altro genere", uno sconfinare delle "arti figurative" nel campo rappresentativo di quelle "di­scorsive". E questa violazione di confini - prosegue l'autore - si vendica spietatamente soprattutto nella cultura del sentimento, che concerne le "arti figurative" pure piu di quelle discorsive, e che avvicina le prime alla musica ... In quel freddo intreccio delle piu diverse modalità espressive e di intenzioni concettose ... il sen­timento e la comprensione artistica vengono mortificati e violen­tati. Ed è quanto accade con l'allegoria nel campo delle arti "fi­gurative". Si potrebbe definire la sua irruzione come un attacco grossolano contro l'ordine costituito della legalità artistica. Eppu­re nel suo ambito essa ha regnato incontrastata, e i piu grandi ar­tisti le hanno dedicato le proprie opere»46

• Questo semplice fatto avrebbe dovuto ovviamente suggerire una diversa considerazione dell'allegoria. Ma lo stile adialettico della scuola neokantiana non è in grado di cogliere la sintesi che nella scrittura allegorica risul­ta dalla lotta fra le intenzioni della teologia e dell'arte, non già nel senso di una pace duratura, ma nel senso di una tregua Dei fra le due prospettive in conflitto.

· Se nel dramma barocco la storia emigra sulla scena, essa lo fa come scrittura. Sul volto della natura sta scritta la parola «storia» nei caratteri della caducità. La fisionomia allegorica della storia­natura, che il dramma barocco trasporta sulla scena, è realmente presente come rovina. Con essa, la storia si è ridotta materialmente al palcoscenico. E, beninteso, la storia cosf conformata non appa­re come il processo di una vita eterna, ma come il progredire di una inarrestabile decadenza. In questo modo l'allegoria si pone al di là della bellezza. Le allegorie sono nel regno del pensiero quel che sono le rovine nel regno delle cose. Di qui il culto barocco del-

"HERMANN COHEN, Asthetik des reinen Gefohls, Berlin 1912, vol. II), p. 305. "CARL HORST, Barockprobleme, Miinchen 1912, pp. 39 sgg.; cfr. anche pp. 41 sgg.

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Il dramma barocco tedesco

le rovine. Ne è consapevole Borinski, che è peraltro piu preci.so nella relazione dei fatti di quanto non sia esauriente nella loro spie­gazione: «<l frontone crollato, le colonne spezzate, sono li ad at­testare il prodigio di un edificio sacro sopravvissuto alle forze piu elementari della distruzione, il fulmine, il terremoto. La rovina ar­tificiale appare qui come l'ultima erede di un'antichità che suJ ter­reno moderno è vista ormai di fatto come un puro campo di ma­cerie» 47 • Una nota dice: «Si segua il diffondersi di questa tenden­za nell'uso rinascimentale di ambientare la Nascita di Cristo e l'Adorazione dei pastori non piu in una stalla, come nel Medioe­vo, ma tra le rovine di un tempio antico. Se in un Domenico Ghir­landaio (Firenze, Accademia), le rovine consistono ancora in fram­menti fastosi magnificamente conservati, esse raggiungono ora il loro vero fine - quello di servire come sfondo pittorico di un pas­sato splendore- nelle plastiche e pittoresche scene di Presepio»48

Ben oltre le reminiscenze anticheggianti, si impone qui una sensi­bilità stilistica affatto nuova. Quel che vediamo giacere a pezzi, come frammento insigne, come rovina: è questa la materia piu no­bile della creazione barocca. Perché il tratto comune a queste com­posizioni poetiche è di ammassare frammenti senza scopo preciso, e, nell'attesa inesausta del miracolo, prendere un accumulo di ste­reotipi per un crescendo di intensità. I letterati barocchi devono aver visto l'opera d'arte come un prodigio in questo senso. E d'al­tra parte, che il prodigio potesse apparire come il risultato calco­labile dell'accumulo non è una contraddizione in termini, nello stesso senso in cui la coscienza di un alchimista vedeva nel prodi­gio dell' opus risultato delle sue ricette teoriche sottili. La pratica degli adepti assomiglia alla sperimentazione dei poeti barocchi.I:e rovine lasciate dal mondo antico sono per loro, pezzo per pezzo, gli elementi con cui comporre la nuova totalità. O meglio: con cui costruirla. Giacché la visione completa di questa nuova totalità è appunto la rovina. A padroneggiare con disinvoltura gli elementi antichi in un edificio che, senza congiungerli in un tutto, si dimo­stri superiore, distruggendole, alle antiche armonie, servirà una tecnica basata nei suoi dettagli sull'uso degli oggetti, dei fiori re­torici, delle regole. La poesia dovrà chiamarsi An inveniendi. La figura dell'uomo di genio, del maestro nell'an inveniendi, era quel­la di un uomo capace di giocare sovranamente coi modelli. La «fan-

"BORINSKI Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, pp. 193 sgg. 48 Ibid., pp: 305 sgg., nota. .

Allegoria e dramma barocco (I) 153

tasia», la facoltà creativa nel senso moderno, era ignota come cri­terio di distinzione intellettuale. «Del fatto che finora nessuno nel­la poesia tedesca possa anche solo eguagliare il nostro Opitz, e tan­to meno essergli superiore (cosa che non potrà accadere nemmeno in futuro), la causa principale è che, oltre alle sue eccezionali doti di natura, egli è esperto sia nelle lettere latine che in quelle gre­che, e che egli stesso sa poi esprimersi e inventare cosf bene»49

• Ma la lingua tedesca, cosf come la vedevano i grammatici del tempo, è in questo senso solo un'altra «natura» accanto ai modelli anti­chi. «La natura della lingua - cosf Hankamer illustra la propria concezione - contiene tutti i misteri della natura materiale». Il poeta «non le apporta nuove energie, non crea nessuna nuova ve­rità dall'anima autocreativa che si esprime»50

• Il poeta non può na­scondere la sua attività combinatoria a meno che non voglia far ta­cere il tutto, giacché proprio la messa in mostra della sua costru­zione era al centro degli effetti perseguiti. Di qui l'ostentazione della fattura, che, specialmente in Calder6n, affiora allo scoperto come la struttura muraria di un edificio dall'intonaco scrostato. Cosf, se si vuole, an_che per i poeti di quest'epoca la natura è ri­masta la grande maestra. Ma ad essi la natura non appare nel boc­ciolo e nel fiore, ma nella maturità estrema e nella decadenza del­le sue creature. La natura si mostra ad essi come un'eterna cadu­cità, in cui soltanto lo sguardo saturnino di quelle generazioni riconosceva la storia. Nei suoi monumenti, nelle rovine, dimora­no, secondo Agrippa Nettesheim, gli animali di Saturno. Con la dec.adenza, e solo e unicamente con essa, l'accadere storico si con­trae ed entra nella scena. La quintessenza di quel disfacimento è l'estremo opposto della natura trasfigurata quale la concepiva il primo Rinascimento. Di questo concetto .rinascimentale Burdach ha mostrato che esso «non era affatto il nostro». «Esso resta an­cora a lungo dipendente dall'uso linguistico e dal pensiero del Me­dioevo, benché la quotazione del termine e del concetto di "natu-

"AUGUST BùCHNER, Wegweiser zur deutschen Tichtkunst [Guida di A. B. all'arte poe­tica tedesca], Jehna, s. d. [x663], pp. So sgg.; cit. in BORCHERDT, Augustus Buchner cit., p. 8x. [DaB bishero unsern Opitius niemand in der teutschen Poeterey nur gleichkommen, viel weniger iiberlegen sein konnen (welches auch ins kiinftige nicht geschehen wird), ist die vornehmste Ursache, daB neben der sonderbaren Geschicklichkeit der trefflichen Na­tur, so in ihm ist, er in der Latiner und Griechen Schriften sowohl (!) belesen und selbe so artig auszudriicken und inventieren weill].

50 PAUL HANKAMER, Die Sprache. Ihr Begriff und ihre Deutung im sechzehnten und sieb~ zehnten Jahrhundert, ein Beitrag zur Frage der literarhistorischen Gliederung des Zeitraums, Bonn 1927, p. 135·

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Il dramma barocco tedesco

le rovine. Ne è consapevole Borinski, che è peraltro piu preci.so nella relazione dei fatti di quanto non sia esauriente nella loro spie­gazione: «<l frontone crollato, le colonne spezzate, sono li ad at­testare il prodigio di un edificio sacro sopravvissuto alle forze piu elementari della distruzione, il fulmine, il terremoto. La rovina ar­tificiale appare qui come l'ultima erede di un'antichità che suJ ter­reno moderno è vista ormai di fatto come un puro campo di ma­cerie» 47 • Una nota dice: «Si segua il diffondersi di questa tenden­za nell'uso rinascimentale di ambientare la Nascita di Cristo e l'Adorazione dei pastori non piu in una stalla, come nel Medioe­vo, ma tra le rovine di un tempio antico. Se in un Domenico Ghir­landaio (Firenze, Accademia), le rovine consistono ancora in fram­menti fastosi magnificamente conservati, esse raggiungono ora il loro vero fine - quello di servire come sfondo pittorico di un pas­sato splendore- nelle plastiche e pittoresche scene di Presepio»48

Ben oltre le reminiscenze anticheggianti, si impone qui una sensi­bilità stilistica affatto nuova. Quel che vediamo giacere a pezzi, come frammento insigne, come rovina: è questa la materia piu no­bile della creazione barocca. Perché il tratto comune a queste com­posizioni poetiche è di ammassare frammenti senza scopo preciso, e, nell'attesa inesausta del miracolo, prendere un accumulo di ste­reotipi per un crescendo di intensità. I letterati barocchi devono aver visto l'opera d'arte come un prodigio in questo senso. E d'al­tra parte, che il prodigio potesse apparire come il risultato calco­labile dell'accumulo non è una contraddizione in termini, nello stesso senso in cui la coscienza di un alchimista vedeva nel prodi­gio dell' opus risultato delle sue ricette teoriche sottili. La pratica degli adepti assomiglia alla sperimentazione dei poeti barocchi.I:e rovine lasciate dal mondo antico sono per loro, pezzo per pezzo, gli elementi con cui comporre la nuova totalità. O meglio: con cui costruirla. Giacché la visione completa di questa nuova totalità è appunto la rovina. A padroneggiare con disinvoltura gli elementi antichi in un edificio che, senza congiungerli in un tutto, si dimo­stri superiore, distruggendole, alle antiche armonie, servirà una tecnica basata nei suoi dettagli sull'uso degli oggetti, dei fiori re­torici, delle regole. La poesia dovrà chiamarsi An inveniendi. La figura dell'uomo di genio, del maestro nell'an inveniendi, era quel­la di un uomo capace di giocare sovranamente coi modelli. La «fan-

"BORINSKI Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, pp. 193 sgg. 48 Ibid., pp: 305 sgg., nota. .

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tasia», la facoltà creativa nel senso moderno, era ignota come cri­terio di distinzione intellettuale. «Del fatto che finora nessuno nel­la poesia tedesca possa anche solo eguagliare il nostro Opitz, e tan­to meno essergli superiore (cosa che non potrà accadere nemmeno in futuro), la causa principale è che, oltre alle sue eccezionali doti di natura, egli è esperto sia nelle lettere latine che in quelle gre­che, e che egli stesso sa poi esprimersi e inventare cosf bene»49

• Ma la lingua tedesca, cosf come la vedevano i grammatici del tempo, è in questo senso solo un'altra «natura» accanto ai modelli anti­chi. «La natura della lingua - cosf Hankamer illustra la propria concezione - contiene tutti i misteri della natura materiale». Il poeta «non le apporta nuove energie, non crea nessuna nuova ve­rità dall'anima autocreativa che si esprime»50

• Il poeta non può na­scondere la sua attività combinatoria a meno che non voglia far ta­cere il tutto, giacché proprio la messa in mostra della sua costru­zione era al centro degli effetti perseguiti. Di qui l'ostentazione della fattura, che, specialmente in Calder6n, affiora allo scoperto come la struttura muraria di un edificio dall'intonaco scrostato. Cosf, se si vuole, an_che per i poeti di quest'epoca la natura è ri­masta la grande maestra. Ma ad essi la natura non appare nel boc­ciolo e nel fiore, ma nella maturità estrema e nella decadenza del­le sue creature. La natura si mostra ad essi come un'eterna cadu­cità, in cui soltanto lo sguardo saturnino di quelle generazioni riconosceva la storia. Nei suoi monumenti, nelle rovine, dimora­no, secondo Agrippa Nettesheim, gli animali di Saturno. Con la dec.adenza, e solo e unicamente con essa, l'accadere storico si con­trae ed entra nella scena. La quintessenza di quel disfacimento è l'estremo opposto della natura trasfigurata quale la concepiva il primo Rinascimento. Di questo concetto .rinascimentale Burdach ha mostrato che esso «non era affatto il nostro». «Esso resta an­cora a lungo dipendente dall'uso linguistico e dal pensiero del Me­dioevo, benché la quotazione del termine e del concetto di "natu-

"AUGUST BùCHNER, Wegweiser zur deutschen Tichtkunst [Guida di A. B. all'arte poe­tica tedesca], Jehna, s. d. [x663], pp. So sgg.; cit. in BORCHERDT, Augustus Buchner cit., p. 8x. [DaB bishero unsern Opitius niemand in der teutschen Poeterey nur gleichkommen, viel weniger iiberlegen sein konnen (welches auch ins kiinftige nicht geschehen wird), ist die vornehmste Ursache, daB neben der sonderbaren Geschicklichkeit der trefflichen Na­tur, so in ihm ist, er in der Latiner und Griechen Schriften sowohl (!) belesen und selbe so artig auszudriicken und inventieren weill].

50 PAUL HANKAMER, Die Sprache. Ihr Begriff und ihre Deutung im sechzehnten und sieb~ zehnten Jahrhundert, ein Beitrag zur Frage der literarhistorischen Gliederung des Zeitraums, Bonn 1927, p. 135·

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ra" sia visibilmente salita. In ogni caso, la teora dell'arte fra il XIV

e il XVI secolo intende per "imitazione della natura" l'imitazione della natura plasmata da Dio»51

• Ma la natura~ cui. s'ifl;prime l'im­magine del corso storico è la natura caduta. ~ ~nclinazto~e del ba­rocco all'apoteosi è in controcanto alla sua vlSlone peculiare delle cose. Nell'onnipotenza del loro significa:e alle_gorico, qu~ste ~?r­tano il marchio del troppo-terreno. Non st trasftgurano mat dallt~­terno. Di qui il loro illuminarsi nella luce teatrale dell' apote~s~ .. Non è forse mai esistita una poesia il cui illusionismo virtuoststl· co abbia espulso piu radicalmente dalle proprie. opere l' apparc;nza che trasfigura, e attraverso la quale ~ temP? s~ tent~ya a ragtone di determinare l'essenza della creat1v1tà arttsttca. L mapparenza di tutta la lirica barocca può essere definita come una delle su~ ca­ratteristiche piu rigorose. E nel dramma le cose non stanno diver-samente.

So muB man durch den T od in jenes Leben dringen Das UfiS Aegyptens Nacht in Gosems Tag verkehrt Und den beperlten Rock der Ewigkeit gewehr~2•

Cosf, attingendo al repertorio teatrale, Hallmann dipinge la vi­ta eterna. L'ostinata fedeltà all'oggetto vanifica la rappresenta­zione dell'amore. La parola ha una lascivia stralunata, perduta nell'immagine.

Ein schones W eib ist ja, die tausend Zierden mahlen, Ein unverzehrlich Tisch, dèr ibrer viel macht satt. Ein unverseigend Quell, das allzeit Wasser hat, J a siisse Libes-Milch; W enn gleich in hundert Rohre Der linde Zukker rinnt. Es ist der Unhold Lehre, Des schelen Neides Art, wenn andern man verwehrt Die Speise, die sie labt, sich aber nicht verzehr~3 •

Nelle opere tipicamente barocche il contenuto è messo a nudo senza residui. Anche nelle forme minori di poesia, la loro pretesa è opprimente. E manca ogni interesse per il piccolo, per il segre-

"BURDACH, Reformatìon cit., p. 278. . "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mana~ne, p. 90) [V,472]); [C?·

si attraverso la morte si deve penetrare in quella vita, l Che a no1 trasforma la notte d Egtt­t~ nel giorno di Gosem, l E concede la veste carica di peri~ d~' eternità].

"LOHENSTEIN, Riimische Trauerspiele cit., p. 50. (Agrzppzna,,II, 380 ~gg.). [U?a h~a donna, che mille ornamenti dipingono, l Una tavola mconsumabile, eh; dt sé moltl sazta! l Una fonte inestinguibile, che dà sempre a~q~, l E ~i dolce l~tte 4 amore; anch~ s~ m cento canne l Si riversa il dolce zucchero. E una dottrina malvagta, l E una forma di bteca invidia, rifiutare ad altri l D cibo, che li ristora, ma che non si consuma].

Allegoria e dramma barocco (I) 155

to. Si cerca di sostituirlo, sontuosamente e vanamente, con l'enig­ma e con l'allusione. Nella vera opera d'arte il piacere sa rendersi impalpabile, vivere nell'istante, svanire, rinnovarsi. L'opera d'ar­te barocca non vuoi far altro che durare, e si aggrappa con tutti i suoi organi all'eterno. Solo cosf si può capire la dolcezza liberato­da che sedusse il lettore delle prime Tà'ndeleyen [Scherzi amorosi] agli inizi del nuovo secolo, e si può capire come le cineserie del Ro­cocò abbiano preso il posto della ieratica Bisanzio. Se il critico ba­rocco presenta l'opera d'arte totale come il vertice nella gerarchia estetica del tempo e come l'ideale stesso del dramma baroccd\ egli non fa che rafforzare in altro modo questo spirito di gravità. Harsdorffer, da esperto allegorista, è fra i molti teorici del tempo quello che si è pronunciato con piu decisione a favore di un in­treccio fra tutte le arti. Perché appunto ciò è richiesto dal predo­minio della concezione allegorica. Sia pure con qualche esagera­zione polemica, Winckelmann chiarisce questo stato di cose quan­do osserva: «Vana è ... la speranza di coloro i quali credono che l'allegoria si debba spingere a un punto tale da poter trasporre un'ode in pittura»55

• A ciò si aggiunge un altro elemento, piu scon­certante. Ed è il modo in cui le composizioni poetiche del tempo vengono introdotte: dediche, prefazioni e poscritti di mano pro­pria e altrui, certificati e referenze con cui presentarsi ai maestri sono la regola. Come una cornice sovraccarica esse racchiudono senza eccezione le edizioni piu importanti e quelle integrali. Per­ché lo sguardo capace di appagarsi della cosa stessa era raro. Si pensava di appropriarsi delle opere d'arte cogliendole nel bel mez­zo delle loro relazioni mondane, e occuparsi di queste era una fac­cenda assai meno indiscreta di quanto sarebbe divenuto piu tardi. La lettura di quei testi-cornice era obbligatoria e formativa. Co­me correlato di questa concezione presso il pubblico va intesa la diffusione, la mancanza di segreti e l'ampiezza dei prodotti. Essi si sentono meno destinati a crescere e a diffondersi nel tempo che ad occupare lo spazio presente, terreno. E in un certo senso tro­vano qui la propria ricompensa. Eppure proprio per questo la cri­tica si svolge con rara evidenza nella loro lunga durata. Essi sono predisposti fin dall'inizio a quella scomposizione critica che il cor­so del tempo avrebbe esercitato su di essi. La bellezza non ha nul­la da dire a colui che non sa. E per costui il dramma barocco te-

"Cfr. KOUTZ, Johann Christian Hallmanns Dramen cit., pp. x66 sgg. "WINCKELMANN, Versuch einer Allegorie besonders fiir die Kumt cit., p. 19.

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ra" sia visibilmente salita. In ogni caso, la teora dell'arte fra il XIV

e il XVI secolo intende per "imitazione della natura" l'imitazione della natura plasmata da Dio»51

• Ma la natura~ cui. s'ifl;prime l'im­magine del corso storico è la natura caduta. ~ ~nclinazto~e del ba­rocco all'apoteosi è in controcanto alla sua vlSlone peculiare delle cose. Nell'onnipotenza del loro significa:e alle_gorico, qu~ste ~?r­tano il marchio del troppo-terreno. Non st trasftgurano mat dallt~­terno. Di qui il loro illuminarsi nella luce teatrale dell' apote~s~ .. Non è forse mai esistita una poesia il cui illusionismo virtuoststl· co abbia espulso piu radicalmente dalle proprie. opere l' apparc;nza che trasfigura, e attraverso la quale ~ temP? s~ tent~ya a ragtone di determinare l'essenza della creat1v1tà arttsttca. L mapparenza di tutta la lirica barocca può essere definita come una delle su~ ca­ratteristiche piu rigorose. E nel dramma le cose non stanno diver-samente.

So muB man durch den T od in jenes Leben dringen Das UfiS Aegyptens Nacht in Gosems Tag verkehrt Und den beperlten Rock der Ewigkeit gewehr~2•

Cosf, attingendo al repertorio teatrale, Hallmann dipinge la vi­ta eterna. L'ostinata fedeltà all'oggetto vanifica la rappresenta­zione dell'amore. La parola ha una lascivia stralunata, perduta nell'immagine.

Ein schones W eib ist ja, die tausend Zierden mahlen, Ein unverzehrlich Tisch, dèr ibrer viel macht satt. Ein unverseigend Quell, das allzeit Wasser hat, J a siisse Libes-Milch; W enn gleich in hundert Rohre Der linde Zukker rinnt. Es ist der Unhold Lehre, Des schelen Neides Art, wenn andern man verwehrt Die Speise, die sie labt, sich aber nicht verzehr~3 •

Nelle opere tipicamente barocche il contenuto è messo a nudo senza residui. Anche nelle forme minori di poesia, la loro pretesa è opprimente. E manca ogni interesse per il piccolo, per il segre-

"BURDACH, Reformatìon cit., p. 278. . "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mana~ne, p. 90) [V,472]); [C?·

si attraverso la morte si deve penetrare in quella vita, l Che a no1 trasforma la notte d Egtt­t~ nel giorno di Gosem, l E concede la veste carica di peri~ d~' eternità].

"LOHENSTEIN, Riimische Trauerspiele cit., p. 50. (Agrzppzna,,II, 380 ~gg.). [U?a h~a donna, che mille ornamenti dipingono, l Una tavola mconsumabile, eh; dt sé moltl sazta! l Una fonte inestinguibile, che dà sempre a~q~, l E ~i dolce l~tte 4 amore; anch~ s~ m cento canne l Si riversa il dolce zucchero. E una dottrina malvagta, l E una forma di bteca invidia, rifiutare ad altri l D cibo, che li ristora, ma che non si consuma].

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to. Si cerca di sostituirlo, sontuosamente e vanamente, con l'enig­ma e con l'allusione. Nella vera opera d'arte il piacere sa rendersi impalpabile, vivere nell'istante, svanire, rinnovarsi. L'opera d'ar­te barocca non vuoi far altro che durare, e si aggrappa con tutti i suoi organi all'eterno. Solo cosf si può capire la dolcezza liberato­da che sedusse il lettore delle prime Tà'ndeleyen [Scherzi amorosi] agli inizi del nuovo secolo, e si può capire come le cineserie del Ro­cocò abbiano preso il posto della ieratica Bisanzio. Se il critico ba­rocco presenta l'opera d'arte totale come il vertice nella gerarchia estetica del tempo e come l'ideale stesso del dramma baroccd\ egli non fa che rafforzare in altro modo questo spirito di gravità. Harsdorffer, da esperto allegorista, è fra i molti teorici del tempo quello che si è pronunciato con piu decisione a favore di un in­treccio fra tutte le arti. Perché appunto ciò è richiesto dal predo­minio della concezione allegorica. Sia pure con qualche esagera­zione polemica, Winckelmann chiarisce questo stato di cose quan­do osserva: «Vana è ... la speranza di coloro i quali credono che l'allegoria si debba spingere a un punto tale da poter trasporre un'ode in pittura»55

• A ciò si aggiunge un altro elemento, piu scon­certante. Ed è il modo in cui le composizioni poetiche del tempo vengono introdotte: dediche, prefazioni e poscritti di mano pro­pria e altrui, certificati e referenze con cui presentarsi ai maestri sono la regola. Come una cornice sovraccarica esse racchiudono senza eccezione le edizioni piu importanti e quelle integrali. Per­ché lo sguardo capace di appagarsi della cosa stessa era raro. Si pensava di appropriarsi delle opere d'arte cogliendole nel bel mez­zo delle loro relazioni mondane, e occuparsi di queste era una fac­cenda assai meno indiscreta di quanto sarebbe divenuto piu tardi. La lettura di quei testi-cornice era obbligatoria e formativa. Co­me correlato di questa concezione presso il pubblico va intesa la diffusione, la mancanza di segreti e l'ampiezza dei prodotti. Essi si sentono meno destinati a crescere e a diffondersi nel tempo che ad occupare lo spazio presente, terreno. E in un certo senso tro­vano qui la propria ricompensa. Eppure proprio per questo la cri­tica si svolge con rara evidenza nella loro lunga durata. Essi sono predisposti fin dall'inizio a quella scomposizione critica che il cor­so del tempo avrebbe esercitato su di essi. La bellezza non ha nul­la da dire a colui che non sa. E per costui il dramma barocco te-

"Cfr. KOUTZ, Johann Christian Hallmanns Dramen cit., pp. x66 sgg. "WINCKELMANN, Versuch einer Allegorie besonders fiir die Kumt cit., p. 19.

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Il dramma barocco tedesco

desco è ostico come poche altre cose. La sua apparenza si è spen­ta perché era la piu rozza: Quel che dura, è il dettaglio curioso dei rimandi allegorici: un oggetto del sapere, che si annida fra quegli ammassi concettosi di rovine. La critica è mortificazione delle ope­re. Ora, l'essenza di questa produzione letteraria viene incontro a tale principio piu di qualunque altra. Mortificazione delle opere: non dunque - romanticamente - un risvegliare la coscienza nell'opera vivente'6, ma un trasferire il sapere in esse, le opere mor­te. La bellezza che dura è un oggetto del sapere. E ci si potrebbe chiedere se la bellezza che dura possa chiamarsi ancora cosf: resta fermo che non vi è nulla di bello che non sia anche oggetto di un sapere possibile. La filosofia non può contestare il fatto di ride­stare, proprio lei, la bellezza dell'opera. «La scienza non può con­durre a un godimento ingenuo dell'opera d'arte, cosi come i geo­logi e i botanici non possono risvegliare la sensibilità per un bel paesaggio»17: questa affermazione è tanto discutibile quanto è sba­gliato il paragone che dovrebbe sorreggerla. Il geologo e il bota­nico possono servire benissimo allo scopo. Anzi, senza intuire in qualche modo la vita del dettaglio attraverso la struttura, ogni aspi­razione alla bellezza rimane pura fantasia. Stru,ttura e dettaglio so­no sempre, in definitiva, carichi di storicità. E compito della cri­tica filosofica mostrare che la funzione della forma artistica è ap­punto questa: trasformare i dati storici che stanno alla base di ogni opera significativa in contenuti di verità. Questa metamorfosi dei dati di fatto in contenuti di verità fa sf che l'affievolirsi, decennio dopo decennio, del fascino originario dell'opera, diventi il germe di una nuova nascita, in cui ogni bellezza effimera viene comple­tamente a cadere e l'opera si afferma come rovina. Nella costru­zione allegorica del dramma barocco tedesco si delineano distin­tamente fin dall'inizio le forme in rovina dell'opera d'arte giunta alla sua salvezza.

Alla metamorfosi della storia in natura, che sta alla base dell'al­legorico, veniva ampiamente incontro anche la storia della salvez­za. Per quanto essa venisse interpretata in termini mondani, ri­tardanti, poche volte ciò si è spinto all'estremo come in Sigmund von Birken. La sua poetica fornisce «come esempi di composizio­ni battesimali, nuziali e funebri, di poemi encomiastici ed augu-

56 Cfr. BENJ~. Der Begriff der Kunstkritik cit., pp. 5.3 sgg. "PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte cit., p. n.

Allegoria e dramma barocco (I)

rali, canzoni sulla nascita e la morte di Cristo, sulle sue nozze spi. rituali con l'anima, sulla sua gloria e la sua vittoria »'8• L'« attimo» mistico diventa l' «ora» attuale: il simbolico si stravolge in allego­rico. Dal processo della storia della salvezza si isola l'eterno, e quel che resta è un'immagine vivente, esposta a tutti gli interventi del­la regia. Ciò corrisponde nel modo piu intimo alla maniera dilato­ria, pivagante, voluttuosamente esitante, della formatività baroc­ca. E stato osser'i(ato giustamente da Hausenstein che nelle apo­teosi pittoriche il primo piano suol essere trattato con un realismo estremo, cosf da rendere piu credibili gli oggetti piu remoti del campo visivo. Quel primo piano cosf in evidenza cerca di racco­gliere in sé tutto l'accadere mondano, non solo per accrescere la tensione fra immanenza e trascendenza, ma anche per conferire a quest'ultima il tnaggior rigore possibile, di farla apparire esclusiva e implacabile. E un gesto di una forza innegabile, quello per cui Cristo stesso viene trasferito nel transitorio, nel quotidiano, nel precario. A questo punto interviene con decisione lo Sturm und Drang e scrive con Merck «che il grand'uomo non ne viene dimi­nuito in nulla, se noi sappiamo che è nato in una stalla e che era avvolto in fasce tra un bue e un asino»'9

•. E dopotutto, quel che vi è in questo gesto di irritante o di sorprendente è proprio il suo ca­rattere barocco. Dove il simbolo riassorbe in sé l'uomo, dal fondo dell'essere l'allegorico va incontro.all'intenzione sulla sua strada e la colpisce in fronte. Nella lirica barocca ritroviamo lo stesso mo­vimento peculiare. Nelle sue composizioni non vi è «alcun movi­mento progressivo, ma come un gonfiarsi dall'interno»60

• Per ar­ginare questa inclinazione deve intervenire e svilupparsi con sem­pre nuove sorprese l'elemento allegorico. Il simbolo invece, conformemente alla visione dei mitologi romantici, rimane osti­natamente lo stesso. Quale contrasto fra i versi uniformi dei libri di emblemi, la vanitas vanitatum vanitas, e la prassi alla moda dei versi incalzanti che prende piede verso la metà del secolo! Le al­legorie invecchiano perché lo sconcertante appartiene alla loro es­senza. Se l'oggetto diventa allegorico sotto lo sguardo della me­lanconia, se questa lascia scorrere la vita via da esso e l'oggetto ri­mane come morto, ma assicurato in eterno, eccolo affidato alle mani dell'allegorista, nella buona e nella cattiva sorte. Ossia:

" STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p. 26. ,. JOHANN HEINRICH MERCK, Ausgewiihlte Schri/ten zur schi:inen Literatur und Kunst, a eu·

radi A. Stahr, Oldenburg 1840, p. ,308. .. STRICH, Der /yrische Sti/ des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p . .39·

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Il dramma barocco tedesco

desco è ostico come poche altre cose. La sua apparenza si è spen­ta perché era la piu rozza: Quel che dura, è il dettaglio curioso dei rimandi allegorici: un oggetto del sapere, che si annida fra quegli ammassi concettosi di rovine. La critica è mortificazione delle ope­re. Ora, l'essenza di questa produzione letteraria viene incontro a tale principio piu di qualunque altra. Mortificazione delle opere: non dunque - romanticamente - un risvegliare la coscienza nell'opera vivente'6, ma un trasferire il sapere in esse, le opere mor­te. La bellezza che dura è un oggetto del sapere. E ci si potrebbe chiedere se la bellezza che dura possa chiamarsi ancora cosf: resta fermo che non vi è nulla di bello che non sia anche oggetto di un sapere possibile. La filosofia non può contestare il fatto di ride­stare, proprio lei, la bellezza dell'opera. «La scienza non può con­durre a un godimento ingenuo dell'opera d'arte, cosi come i geo­logi e i botanici non possono risvegliare la sensibilità per un bel paesaggio»17: questa affermazione è tanto discutibile quanto è sba­gliato il paragone che dovrebbe sorreggerla. Il geologo e il bota­nico possono servire benissimo allo scopo. Anzi, senza intuire in qualche modo la vita del dettaglio attraverso la struttura, ogni aspi­razione alla bellezza rimane pura fantasia. Stru,ttura e dettaglio so­no sempre, in definitiva, carichi di storicità. E compito della cri­tica filosofica mostrare che la funzione della forma artistica è ap­punto questa: trasformare i dati storici che stanno alla base di ogni opera significativa in contenuti di verità. Questa metamorfosi dei dati di fatto in contenuti di verità fa sf che l'affievolirsi, decennio dopo decennio, del fascino originario dell'opera, diventi il germe di una nuova nascita, in cui ogni bellezza effimera viene comple­tamente a cadere e l'opera si afferma come rovina. Nella costru­zione allegorica del dramma barocco tedesco si delineano distin­tamente fin dall'inizio le forme in rovina dell'opera d'arte giunta alla sua salvezza.

Alla metamorfosi della storia in natura, che sta alla base dell'al­legorico, veniva ampiamente incontro anche la storia della salvez­za. Per quanto essa venisse interpretata in termini mondani, ri­tardanti, poche volte ciò si è spinto all'estremo come in Sigmund von Birken. La sua poetica fornisce «come esempi di composizio­ni battesimali, nuziali e funebri, di poemi encomiastici ed augu-

56 Cfr. BENJ~. Der Begriff der Kunstkritik cit., pp. 5.3 sgg. "PETERSEN, Der Aufbau der Literaturgeschichte cit., p. n.

Allegoria e dramma barocco (I)

rali, canzoni sulla nascita e la morte di Cristo, sulle sue nozze spi. rituali con l'anima, sulla sua gloria e la sua vittoria »'8• L'« attimo» mistico diventa l' «ora» attuale: il simbolico si stravolge in allego­rico. Dal processo della storia della salvezza si isola l'eterno, e quel che resta è un'immagine vivente, esposta a tutti gli interventi del­la regia. Ciò corrisponde nel modo piu intimo alla maniera dilato­ria, pivagante, voluttuosamente esitante, della formatività baroc­ca. E stato osser'i(ato giustamente da Hausenstein che nelle apo­teosi pittoriche il primo piano suol essere trattato con un realismo estremo, cosf da rendere piu credibili gli oggetti piu remoti del campo visivo. Quel primo piano cosf in evidenza cerca di racco­gliere in sé tutto l'accadere mondano, non solo per accrescere la tensione fra immanenza e trascendenza, ma anche per conferire a quest'ultima il tnaggior rigore possibile, di farla apparire esclusiva e implacabile. E un gesto di una forza innegabile, quello per cui Cristo stesso viene trasferito nel transitorio, nel quotidiano, nel precario. A questo punto interviene con decisione lo Sturm und Drang e scrive con Merck «che il grand'uomo non ne viene dimi­nuito in nulla, se noi sappiamo che è nato in una stalla e che era avvolto in fasce tra un bue e un asino»'9

•. E dopotutto, quel che vi è in questo gesto di irritante o di sorprendente è proprio il suo ca­rattere barocco. Dove il simbolo riassorbe in sé l'uomo, dal fondo dell'essere l'allegorico va incontro.all'intenzione sulla sua strada e la colpisce in fronte. Nella lirica barocca ritroviamo lo stesso mo­vimento peculiare. Nelle sue composizioni non vi è «alcun movi­mento progressivo, ma come un gonfiarsi dall'interno»60

• Per ar­ginare questa inclinazione deve intervenire e svilupparsi con sem­pre nuove sorprese l'elemento allegorico. Il simbolo invece, conformemente alla visione dei mitologi romantici, rimane osti­natamente lo stesso. Quale contrasto fra i versi uniformi dei libri di emblemi, la vanitas vanitatum vanitas, e la prassi alla moda dei versi incalzanti che prende piede verso la metà del secolo! Le al­legorie invecchiano perché lo sconcertante appartiene alla loro es­senza. Se l'oggetto diventa allegorico sotto lo sguardo della me­lanconia, se questa lascia scorrere la vita via da esso e l'oggetto ri­mane come morto, ma assicurato in eterno, eccolo affidato alle mani dell'allegorista, nella buona e nella cattiva sorte. Ossia:

" STRICH, Der lyrische Stil des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p. 26. ,. JOHANN HEINRICH MERCK, Ausgewiihlte Schri/ten zur schi:inen Literatur und Kunst, a eu·

radi A. Stahr, Oldenburg 1840, p. ,308. .. STRICH, Der /yrische Sti/ des siebzehnten ]ahrhunderts cit., p . .39·

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Il dramma barocco tedesco

quell'oggetto è ormai del tutto incapace di irradiare un significa­to, un senso; il suo significato sarà quello che l'allegorista gli as­segna. Egli lo inserisce e lo cala profondamente nell'oggetto: e la situazione non è psicologica ma antologica. Nelle sue mani la co­sa diventa qualcos'altro, per mezzo di essa egli parla d'altro, e la cosa diventa allora la chiave per accedere al regrio di un sapere se­greto, per cui l'allegorista la venera come emblema. Nasce di qui il carattere scritturale dell'allegoria. Essa è uno schema, e in quan­to schema non può andare perduto perché è qualcosa di fisso: im­magine fissata e segno fissante a un tempo. L'ideale barocco del sapere, l'accumulo, il cui monumento sono le grandi sale delle bi­blioteche, si realizza nell'ideogramma. Quasi come in Cina, l'ideo­gramma non è soltanto segno di ciò che occorre sapere, ma ogget­to di sapere in proprio. Anche per questa via, l'allegoria giunse coi romantici a un princ~pio di consapevolezza. Soprattutto con Baa­der. Nel suo scritto Uberden EinflujS der Zeichen der Gedanken au/ deren Erzeugung und Gestaltung [Sopra l'influsso dei segni del pen­siero sulla loro produzione e formazione] si dice: «Com'è noto, di­pende solo da noi usare un qualsiasi oggetto naturale come segno convenzionale del pensiero, come vediamo nella scrittura simbo­lica e geroglifica, e questo oggetto assume un nuovo carattere so­lo se vogliamo comunicare per mezzo di esso non i suoi contrasse­gni naturali, ma quelli che noi stessi gli abbiamo per cosf dire pre­stato»61. Il commento è fornito da una nota a questo passo: «C'è una buona ragione nel fatto che tutto ciò che vediamo nella natu­ra esterna ci appaia come scrittura, come una sorta di linguaggio per segni a cui manca peraltro l'essenziale, la pronuncia: quest'ul­tima, in definitiva, dev'essere venuta all'uomo da qualche altra parte»62

• «Da qualche altra parte» va dunque a prenderla l'allego­rista, senza evitare affatto l'arbitrio in cui si manifesta perento­riamente il suo potere. La folla di cifre che l'allegorista trovava nel mondo creaturale, profondamente plas~ato dalla storia, giustifi­ca le proteste di Cohen sullo «spreco». E certo possibile che esso non corrisponda alle leggi di natura: ma la voluttà con cui il signi­ficato domina, come un fosco ~ultano, l'harem delle cose, ne dà un'espressione incomparabile. E proprio del sadico umiliare il pro­prio oggetto e quindi - o in questo modo - soddisfarlo. Cosf pro­cede l'allegorista in questo periodo ebbro di violenze immaginarie

61 FRANZ VON BAADER, Sammt/iche Werke, Leipzig 1851, vol. II, p. 129. ., Ibid.

Allegoria e dramma barocco (I) 159

ed effettive. Ciò si fa valere persino nella pittura religiosa. Il« col­po d'occhio» che la pittura barocca sviluppa «in uno schema ... del tutto indipendente dalla situazione effettuale del momento»6), tra­disce e svaluta le cose in modo indicibile. La funzione dell'ideo­grafia barocca non è tanto di svelare le cose quanto di denudarle. L'emblematista non mostra l'essenza nascosta «dietro l'immagi­ne»64. Nella forma della scrittura, della divisa, che nei libri di em­blemi è strettamente connessa alla figura, egli ne trascina l'essen­za di fronte all'immagine. Perché in fondo anche il dramma ba­rocco, cresciuto nella sfera allegorica, è per la sua forma un dramma destinato alla lettura. T al e cognizione non dice nulla sul valore e la possibilità della sua messa in scena. Essa però mette in chiaro che lo spettatore ideale di questi drammi si immergeva in essi in un atteggiamento meditativo, e perlomeno simile alla lettura; e si comprende perché le situazioni sceniche non cambino troppo spes­so ma all'improvviso, come cambia l'aspetto della pagina quando si sfoglia un libro. E si capisce perché, quasi intuendo vagamente e controvoglia la legge di questi drammi, la vecchia critica lette­raria si ostinasse ad affermare che essi non erano mai stati rap­presentati.

Questa tesi era certamente erronea. Se è vero che l'allegoria è l'unico, e poderoso, divertissement che sia dato al melanconico. Cer­to, la solennità ostentatoria con cui l'oggetto banale sembra emer­gere dalla profondità dell'allegoria cede subito il passo al suo scon­solato volto quotidiano, e alla partecipazione meditabonda del ma­lato al singolo particolare, alla singola minuzia, fa seguito la delusione: !'.emblema, svuotato, viene lasciato cadere, secondo un ritmo che l'osservatore speculativo ritroverebbe, significativa­mente, nel comportamento delle scimmie. E tuttavia, i particola­ri amorfi con cui si dà l'allegoria continuano ad affollarsi senza so­sta. Se infatti la regola dice che «ogni cosa» va «considerata per se stessa, cosi» potrà «crescere l'intelligenza e svilupparsi la fi­nezza del gusto»6', l'oggetto adeguato di una tale intenzione sarà presente in ogni momento. Nei suoi Gespriichspielen [Dialoghi], Harsdorffer fonda addirittura un genere particolare, appellando­si al fatto «che, secondo ]dc. rx, 8, in luogo degli animali delle fa-

61 HiiBsCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensge/iihls cit., p. 560. 64 Ibid., p. 555· ., COHN, Gesellscha/tsideale und Gesellschaftsroman des z7.]ahrhunderts cit., p. 23.

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Il dramma barocco tedesco

quell'oggetto è ormai del tutto incapace di irradiare un significa­to, un senso; il suo significato sarà quello che l'allegorista gli as­segna. Egli lo inserisce e lo cala profondamente nell'oggetto: e la situazione non è psicologica ma antologica. Nelle sue mani la co­sa diventa qualcos'altro, per mezzo di essa egli parla d'altro, e la cosa diventa allora la chiave per accedere al regrio di un sapere se­greto, per cui l'allegorista la venera come emblema. Nasce di qui il carattere scritturale dell'allegoria. Essa è uno schema, e in quan­to schema non può andare perduto perché è qualcosa di fisso: im­magine fissata e segno fissante a un tempo. L'ideale barocco del sapere, l'accumulo, il cui monumento sono le grandi sale delle bi­blioteche, si realizza nell'ideogramma. Quasi come in Cina, l'ideo­gramma non è soltanto segno di ciò che occorre sapere, ma ogget­to di sapere in proprio. Anche per questa via, l'allegoria giunse coi romantici a un princ~pio di consapevolezza. Soprattutto con Baa­der. Nel suo scritto Uberden EinflujS der Zeichen der Gedanken au/ deren Erzeugung und Gestaltung [Sopra l'influsso dei segni del pen­siero sulla loro produzione e formazione] si dice: «Com'è noto, di­pende solo da noi usare un qualsiasi oggetto naturale come segno convenzionale del pensiero, come vediamo nella scrittura simbo­lica e geroglifica, e questo oggetto assume un nuovo carattere so­lo se vogliamo comunicare per mezzo di esso non i suoi contrasse­gni naturali, ma quelli che noi stessi gli abbiamo per cosf dire pre­stato»61. Il commento è fornito da una nota a questo passo: «C'è una buona ragione nel fatto che tutto ciò che vediamo nella natu­ra esterna ci appaia come scrittura, come una sorta di linguaggio per segni a cui manca peraltro l'essenziale, la pronuncia: quest'ul­tima, in definitiva, dev'essere venuta all'uomo da qualche altra parte»62

• «Da qualche altra parte» va dunque a prenderla l'allego­rista, senza evitare affatto l'arbitrio in cui si manifesta perento­riamente il suo potere. La folla di cifre che l'allegorista trovava nel mondo creaturale, profondamente plas~ato dalla storia, giustifi­ca le proteste di Cohen sullo «spreco». E certo possibile che esso non corrisponda alle leggi di natura: ma la voluttà con cui il signi­ficato domina, come un fosco ~ultano, l'harem delle cose, ne dà un'espressione incomparabile. E proprio del sadico umiliare il pro­prio oggetto e quindi - o in questo modo - soddisfarlo. Cosf pro­cede l'allegorista in questo periodo ebbro di violenze immaginarie

61 FRANZ VON BAADER, Sammt/iche Werke, Leipzig 1851, vol. II, p. 129. ., Ibid.

Allegoria e dramma barocco (I) 159

ed effettive. Ciò si fa valere persino nella pittura religiosa. Il« col­po d'occhio» che la pittura barocca sviluppa «in uno schema ... del tutto indipendente dalla situazione effettuale del momento»6), tra­disce e svaluta le cose in modo indicibile. La funzione dell'ideo­grafia barocca non è tanto di svelare le cose quanto di denudarle. L'emblematista non mostra l'essenza nascosta «dietro l'immagi­ne»64. Nella forma della scrittura, della divisa, che nei libri di em­blemi è strettamente connessa alla figura, egli ne trascina l'essen­za di fronte all'immagine. Perché in fondo anche il dramma ba­rocco, cresciuto nella sfera allegorica, è per la sua forma un dramma destinato alla lettura. T al e cognizione non dice nulla sul valore e la possibilità della sua messa in scena. Essa però mette in chiaro che lo spettatore ideale di questi drammi si immergeva in essi in un atteggiamento meditativo, e perlomeno simile alla lettura; e si comprende perché le situazioni sceniche non cambino troppo spes­so ma all'improvviso, come cambia l'aspetto della pagina quando si sfoglia un libro. E si capisce perché, quasi intuendo vagamente e controvoglia la legge di questi drammi, la vecchia critica lette­raria si ostinasse ad affermare che essi non erano mai stati rap­presentati.

Questa tesi era certamente erronea. Se è vero che l'allegoria è l'unico, e poderoso, divertissement che sia dato al melanconico. Cer­to, la solennità ostentatoria con cui l'oggetto banale sembra emer­gere dalla profondità dell'allegoria cede subito il passo al suo scon­solato volto quotidiano, e alla partecipazione meditabonda del ma­lato al singolo particolare, alla singola minuzia, fa seguito la delusione: !'.emblema, svuotato, viene lasciato cadere, secondo un ritmo che l'osservatore speculativo ritroverebbe, significativa­mente, nel comportamento delle scimmie. E tuttavia, i particola­ri amorfi con cui si dà l'allegoria continuano ad affollarsi senza so­sta. Se infatti la regola dice che «ogni cosa» va «considerata per se stessa, cosi» potrà «crescere l'intelligenza e svilupparsi la fi­nezza del gusto»6', l'oggetto adeguato di una tale intenzione sarà presente in ogni momento. Nei suoi Gespriichspielen [Dialoghi], Harsdorffer fonda addirittura un genere particolare, appellando­si al fatto «che, secondo ]dc. rx, 8, in luogo degli animali delle fa-

61 HiiBsCHER, Barock als Gestaltung antithetischen Lebensge/iihls cit., p. 560. 64 Ibid., p. 555· ., COHN, Gesellscha/tsideale und Gesellschaftsroman des z7.]ahrhunderts cit., p. 23.

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x6o n dramma baiocco tedesco

vole esopiche si può far agire e dare la parola a oggetti inanima­ti -la foresta, l'albero, la pietra- mentre ancora un altro genere può nascere facendo delle parole, delle sillabe e delle lettere dei veri personaggi»66

• In quest'ultima direzione ha dato alta prova di sé Christian Gryphius, il figlio di Andreas, nel suo dramma di­dattico Der deutschen Sprache unterschiedene Alter [Le diverse età della lingua tedesca]. Questa frammentazione grafica è un princi­pio base della concezione allegorica. Tanto piu che nel Barocco ve­diamo il personaggio allegorico cedere il passo agli emblemi, i qua­li si offrono perlopiu allo sguardo nel malinconico squallore della dispersione. Buona parte del V ersuch einer Allegorie di Winckel­mann va inteso come un atto di rivolta contro questo stile. «La semplicità consiste nell'abbozzare un quadro che sappia esprime­re la cosa significata col minor numero possibile di segni, e questa è la peculiarità dell'allegoria nelle epoche migliori degli antichi. Nelle epoche piu tarde si cominciò a combinare piu concetti con altrettanti segni in un'unica figura, come sono quelle divinità che chiamano Panthei, e che portano gli attributi di tutti gli dèi ... La migliore e piu perfetta allegoria di un concetto, o di piu concetti, va concepita o rappresentata in un'unica figura»67

• Cosf parla l'aspi­razione a quella totalità simbolica che l'umanesimo venerava nel­la figura umana. Ma nell'immagine allegorica le cose in quanto ope­re frammentarie hanno uno sguardo fisso. I veri teorici in questo campo non ebbero mai simpatia per esse, neppure fra i romantici. Venivano soppesate contro il simbolo e venivano trovate troppo leggere. «Il simbolo ... tedesco manca del tutto di quella signifi­cativa dignità. Esso doveva restare perciò limitato a una sfera ... inferiore, e doveva rimanere completamente escluso dall'espres­sione simbolica»68

• A proposito di questa frase di Creuzer, Gorres commenta: «Se Lei dichiara che il simbolo mistico è quello for­male, in cui lo spirito cerca di eliminare la forma e di distruggere il corpo, mentre il simbolo plastico sarebbe la pura linea interme­dia fra spirito e natura, manca ancora l'opposto del primo, il sim­bolo reale, dove la forma corporea inghiotte la sua anima, e que­sto potrebbe essere benissimo il posto dell'emblema e del simbo­lo tedesco nella sua accezione limitativa»69

• La collocazione

66 TITrMANN, Die Niimberger Dichterschule cit., p. 94· 67 WINCKELMANN, Versuch einer Allegorie besonders/iirdie Kunst cit., p. 27; cfr. anche

CREUZER, Symbolik und Mythologie cit., pp. 67 e 109 sg. "Ibid., p. 64. "Ibid., p. I47.

Allegoria e dramma baiocco (I) I6I

romantica di questi due autori era troppo poco solida perché la di­dattica razionale di cui questa forma sembrava sospetta non li ren­desse ostili; è vero d'altronde che il carattere grossolano, lambic­cato, popolaresco che contraddistingue molti dei loro prodotti' non doveva dispiacere almeno a Gorres. Ad ogni modo, egli non è ve­nuto in chiaro su questo punto. Ed è ancor oggi addirittura ovvio che nel primato del cosale sul personale, del frammento sulla to­talità, l'allegoria si contrappone polarmente al simbolo, e appun­to perciò con ugual forza. La personificazione allegorica ha sem­pre tratto in inganno su questo punto: che il suo compito non è di personificare la cosa, ma piuttosto di potenziarne il ruolo metten­dola nei panni di un personaggio. Qui Cysarz ha visto con molto acume. «11 Barocco volgarizza la vecchia mitologia, immettendo figure (non anime) in ogni cosa: è l'ultimo gradino dell'esterioriz­zazione dopo l'estetizzazione ovidiana e la profanazione neolati­na dei contenuti ieratici di fede. Di una spiritualizzazione del cor­poreo non vi è la minima traccia. L'intera natura viene personifi­cata, ma non per interiorizzarla, bensf al contrario per svuotarla della sua anima»70

• La grevità e la goffaggine che venivano addos­sate ora all'imperizia degli artisti ora all'ottusità dei committenti è necessaria all'allegoria. Tanto piu notevole è il fatto che Nova­lis, il cui congedo dagli ideali classici è senza paragone piu deciso che nei romantici tardi, nei pochi passi in cui sfiora l'argomento fornisca indicazioni profonde sull'essenza dell'allegoria. Chi leg­ga con· attenzione l'appunto che segue vedrà rinascere di colpo l' intérieur tipico del poeta del '5 oo, il poeta-cortigiano, esperto nei segreti di stato e carico di incombenze: «Anche gli affari si pos­sono trattare poeticamente ... Un certo arcaismo dello stile, una corretta disposizione delle masse, un lieve accenno all'allegoria, una certa preziosità, devozione e meraviglia che tralucono dal g(\· nere di scrittura- ecco alcuni tratti essenziali di quest'arte»71

• E in questo spirito che la prassi barocca si rivolge agli oggetti. Che il genio romantico comunichi con lo spirito barocco proprio sul ter­reno dell'allegoria è attestato poi con uguale chiarezza da quest'al­tro frammento: «Composizioni poetiche dal bel suono e piene di belle parole, ma anche prive di senso e di qualunque nesso- com­prensibili, al massimo, alcune singole strofe - come frammenti di cose diversissime. Tutt'al piu la vera poesia può avere un senso al-

70 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 3 r. 71 NOVAUS, Schriften cit., vol. III, p. 5·

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vole esopiche si può far agire e dare la parola a oggetti inanima­ti -la foresta, l'albero, la pietra- mentre ancora un altro genere può nascere facendo delle parole, delle sillabe e delle lettere dei veri personaggi»66

• In quest'ultima direzione ha dato alta prova di sé Christian Gryphius, il figlio di Andreas, nel suo dramma di­dattico Der deutschen Sprache unterschiedene Alter [Le diverse età della lingua tedesca]. Questa frammentazione grafica è un princi­pio base della concezione allegorica. Tanto piu che nel Barocco ve­diamo il personaggio allegorico cedere il passo agli emblemi, i qua­li si offrono perlopiu allo sguardo nel malinconico squallore della dispersione. Buona parte del V ersuch einer Allegorie di Winckel­mann va inteso come un atto di rivolta contro questo stile. «La semplicità consiste nell'abbozzare un quadro che sappia esprime­re la cosa significata col minor numero possibile di segni, e questa è la peculiarità dell'allegoria nelle epoche migliori degli antichi. Nelle epoche piu tarde si cominciò a combinare piu concetti con altrettanti segni in un'unica figura, come sono quelle divinità che chiamano Panthei, e che portano gli attributi di tutti gli dèi ... La migliore e piu perfetta allegoria di un concetto, o di piu concetti, va concepita o rappresentata in un'unica figura»67

• Cosf parla l'aspi­razione a quella totalità simbolica che l'umanesimo venerava nel­la figura umana. Ma nell'immagine allegorica le cose in quanto ope­re frammentarie hanno uno sguardo fisso. I veri teorici in questo campo non ebbero mai simpatia per esse, neppure fra i romantici. Venivano soppesate contro il simbolo e venivano trovate troppo leggere. «Il simbolo ... tedesco manca del tutto di quella signifi­cativa dignità. Esso doveva restare perciò limitato a una sfera ... inferiore, e doveva rimanere completamente escluso dall'espres­sione simbolica»68

• A proposito di questa frase di Creuzer, Gorres commenta: «Se Lei dichiara che il simbolo mistico è quello for­male, in cui lo spirito cerca di eliminare la forma e di distruggere il corpo, mentre il simbolo plastico sarebbe la pura linea interme­dia fra spirito e natura, manca ancora l'opposto del primo, il sim­bolo reale, dove la forma corporea inghiotte la sua anima, e que­sto potrebbe essere benissimo il posto dell'emblema e del simbo­lo tedesco nella sua accezione limitativa»69

• La collocazione

66 TITrMANN, Die Niimberger Dichterschule cit., p. 94· 67 WINCKELMANN, Versuch einer Allegorie besonders/iirdie Kunst cit., p. 27; cfr. anche

CREUZER, Symbolik und Mythologie cit., pp. 67 e 109 sg. "Ibid., p. 64. "Ibid., p. I47.

Allegoria e dramma baiocco (I) I6I

romantica di questi due autori era troppo poco solida perché la di­dattica razionale di cui questa forma sembrava sospetta non li ren­desse ostili; è vero d'altronde che il carattere grossolano, lambic­cato, popolaresco che contraddistingue molti dei loro prodotti' non doveva dispiacere almeno a Gorres. Ad ogni modo, egli non è ve­nuto in chiaro su questo punto. Ed è ancor oggi addirittura ovvio che nel primato del cosale sul personale, del frammento sulla to­talità, l'allegoria si contrappone polarmente al simbolo, e appun­to perciò con ugual forza. La personificazione allegorica ha sem­pre tratto in inganno su questo punto: che il suo compito non è di personificare la cosa, ma piuttosto di potenziarne il ruolo metten­dola nei panni di un personaggio. Qui Cysarz ha visto con molto acume. «11 Barocco volgarizza la vecchia mitologia, immettendo figure (non anime) in ogni cosa: è l'ultimo gradino dell'esterioriz­zazione dopo l'estetizzazione ovidiana e la profanazione neolati­na dei contenuti ieratici di fede. Di una spiritualizzazione del cor­poreo non vi è la minima traccia. L'intera natura viene personifi­cata, ma non per interiorizzarla, bensf al contrario per svuotarla della sua anima»70

• La grevità e la goffaggine che venivano addos­sate ora all'imperizia degli artisti ora all'ottusità dei committenti è necessaria all'allegoria. Tanto piu notevole è il fatto che Nova­lis, il cui congedo dagli ideali classici è senza paragone piu deciso che nei romantici tardi, nei pochi passi in cui sfiora l'argomento fornisca indicazioni profonde sull'essenza dell'allegoria. Chi leg­ga con· attenzione l'appunto che segue vedrà rinascere di colpo l' intérieur tipico del poeta del '5 oo, il poeta-cortigiano, esperto nei segreti di stato e carico di incombenze: «Anche gli affari si pos­sono trattare poeticamente ... Un certo arcaismo dello stile, una corretta disposizione delle masse, un lieve accenno all'allegoria, una certa preziosità, devozione e meraviglia che tralucono dal g(\· nere di scrittura- ecco alcuni tratti essenziali di quest'arte»71

• E in questo spirito che la prassi barocca si rivolge agli oggetti. Che il genio romantico comunichi con lo spirito barocco proprio sul ter­reno dell'allegoria è attestato poi con uguale chiarezza da quest'al­tro frammento: «Composizioni poetiche dal bel suono e piene di belle parole, ma anche prive di senso e di qualunque nesso- com­prensibili, al massimo, alcune singole strofe - come frammenti di cose diversissime. Tutt'al piu la vera poesia può avere un senso al-

70 CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. 3 r. 71 NOVAUS, Schriften cit., vol. III, p. 5·

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Il dramma barocco tedesco

legorico in grande ed esercitare un effetto diretto, come la musi­ca ecc. La natura è perciò puramente poetica, e cosi la stanza di un mago o di un fisico, la camera di un bambino, un ripostiglio o una dispensa» 72

• Questo riferire l'allegorico alla frammentarietà, al disordine e al sovraccarico che regna nel gabinetto del mago o nel laboratorio dell'alchimista, non deve essere considerato ca­suale. Le opere diJean Paul, il piu grande allegorista fra i poeti te­deschi, non sono forse appunto come le camere dei bambini o de­gli spiriti? In nessuno meglio che in lui una vera storia della stili­stica romantica potrebbe mostrare come il frammento e la stessa ironia siano metamorfosi dell'allegorico. Ma ci accontenteremo di questo: la tecnica del Romanticismo conduce da varie direzioni nel dominio dell'emblematica e dell'allegoria. L'allegoria- per for­mulare cosi i rapporti fra le due - porta con sé nella sua forma evo­luta, quella barocca, un'intera corte: intorno all'immagine centra­le, che nelle vere allegorie non manca mai come pendant alle peri­fasi concettuali, si raggruppa la folla degli emblemi. Essi sembrano disposti ad arbitrio: La «corte>> con/usa- che è il titolo di un dram­ma spagnolo - potrebbe essere lo schema dell'allegoria. La legge di questa corte si chiama «dispersione» e «collezione». Le cose so­no raggruppate secondo il loro significato; il disinteresse per la lo­ro esistenza reale torna poi a disperderle. Il disordine della mes­sinscena allegorica è qui un contraltare del boudoir galante. Se­condo la dialettica interna a questa forma espressiva, il fanatismo del raccogliere è bilanciato dalla !abilità della diposizione: parti­colarmente parados,sale è il sontuoso ripartirsi degli strumenti del­la penitenza o della violenza. Il fatto che, come ben dice Borinski dell'architettura barocca, «questo stile compensi la sua esuberan­za costruttiva sul piano decorativo, o, per usare il suo linguaggio, "galante" »73

, ne fa un legittimo contemporaneo dell'allegoria. Ma anche la poetica barocca vuoi essere letta in termini di criticasti­listica nel senso di questa osservazione. La sua teoria della «tra­gedia» riprende le singole leggi della tragedia classica come ele­menti senza vita e le ammassa intorno alla figura allegorica della musa tragica. Solo il fraintendimento classicistico del dramma, di cùi il Barocco si rese responsabile fraintendendo se stesso, poteva trasformare le «regole» della tragedia classica in quelle regole amor­fe, obbligate ed emblematiche con cui crebbe la nuova forma. In

12 Ibid., vol. II, p. 308. 11 BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorieeit., vol. I, p. 192.

Allegoria e dramma barocco (I)

questa frammentazione o spezzettamento allegorico l'immagine della tragedia greca apparve come l'unico contrassegno possibile, come il contrassegno naturale della poesia «tragica» in generale. Le sue regole diventano rimandi pregnanti al dramma barocco, i suoi testi vengono letti come se fossero testi di drammi. In che mi­sura ciò fosse e rimanesse possibile, ne danno un'idea adeguata le traduzioni da Sofocle di Holderlin risalenti al periodo tardo del poeta: quello che non a caso Hellingrath ha definito «barocco».

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Il dramma barocco tedesco

legorico in grande ed esercitare un effetto diretto, come la musi­ca ecc. La natura è perciò puramente poetica, e cosi la stanza di un mago o di un fisico, la camera di un bambino, un ripostiglio o una dispensa» 72

• Questo riferire l'allegorico alla frammentarietà, al disordine e al sovraccarico che regna nel gabinetto del mago o nel laboratorio dell'alchimista, non deve essere considerato ca­suale. Le opere diJean Paul, il piu grande allegorista fra i poeti te­deschi, non sono forse appunto come le camere dei bambini o de­gli spiriti? In nessuno meglio che in lui una vera storia della stili­stica romantica potrebbe mostrare come il frammento e la stessa ironia siano metamorfosi dell'allegorico. Ma ci accontenteremo di questo: la tecnica del Romanticismo conduce da varie direzioni nel dominio dell'emblematica e dell'allegoria. L'allegoria- per for­mulare cosi i rapporti fra le due - porta con sé nella sua forma evo­luta, quella barocca, un'intera corte: intorno all'immagine centra­le, che nelle vere allegorie non manca mai come pendant alle peri­fasi concettuali, si raggruppa la folla degli emblemi. Essi sembrano disposti ad arbitrio: La «corte>> con/usa- che è il titolo di un dram­ma spagnolo - potrebbe essere lo schema dell'allegoria. La legge di questa corte si chiama «dispersione» e «collezione». Le cose so­no raggruppate secondo il loro significato; il disinteresse per la lo­ro esistenza reale torna poi a disperderle. Il disordine della mes­sinscena allegorica è qui un contraltare del boudoir galante. Se­condo la dialettica interna a questa forma espressiva, il fanatismo del raccogliere è bilanciato dalla !abilità della diposizione: parti­colarmente parados,sale è il sontuoso ripartirsi degli strumenti del­la penitenza o della violenza. Il fatto che, come ben dice Borinski dell'architettura barocca, «questo stile compensi la sua esuberan­za costruttiva sul piano decorativo, o, per usare il suo linguaggio, "galante" »73

, ne fa un legittimo contemporaneo dell'allegoria. Ma anche la poetica barocca vuoi essere letta in termini di criticasti­listica nel senso di questa osservazione. La sua teoria della «tra­gedia» riprende le singole leggi della tragedia classica come ele­menti senza vita e le ammassa intorno alla figura allegorica della musa tragica. Solo il fraintendimento classicistico del dramma, di cùi il Barocco si rese responsabile fraintendendo se stesso, poteva trasformare le «regole» della tragedia classica in quelle regole amor­fe, obbligate ed emblematiche con cui crebbe la nuova forma. In

12 Ibid., vol. II, p. 308. 11 BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorieeit., vol. I, p. 192.

Allegoria e dramma barocco (I)

questa frammentazione o spezzettamento allegorico l'immagine della tragedia greca apparve come l'unico contrassegno possibile, come il contrassegno naturale della poesia «tragica» in generale. Le sue regole diventano rimandi pregnanti al dramma barocco, i suoi testi vengono letti come se fossero testi di drammi. In che mi­sura ciò fosse e rimanesse possibile, ne danno un'idea adeguata le traduzioni da Sofocle di Holderlin risalenti al periodo tardo del poeta: quello che non a caso Hellingrath ha definito «barocco».

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Allegoria e dramma barocco (n)

Ihr kraft beraubte Wort', ihr seid zerstiickte Stiick', Und seichte schattenstreif, allein, entweicht zu riik; Vermehlet mit Gemiihl ihr werdet zu gelassen, Wenn ein tief Sinnebild hilft das verborgne fassen.

FRANZ JULWS VON DEM KNESEBECK,

Dreystiindige Sinnbilder'.

Soltanto la conoscenza filosofica dell'allegoria, e in particola­re la conoscenza dialettica della sua forma limite, è lo sfondo dal quale l'immagine del dramma barocco si stacca con colori ;rivaci e, se cosf è lecito esprimersi, belli: esso è l'unico sfondo a c.m non re­sti attaccato il grigio dei ritocchi. Nel coro e nell'interludio la strut­tura barocca del dramma emerge con tale evidenza che non pote­va sfuggire del tutto agli osservatori. Ma appunto per ques~o. e.s­si rimasero i punti critici attraverso i quali _Penetrare nell'e~hf1c10 - che ambiva a presentarsi come u,n temp~o greco -:- P,er distrug­gerlo. Cosf Wackernagel: «<l coro e eredita e prol?net~ della sce­na greca: e solo su questa è la conseguenza: orgamca di premesse storiche. Da noi è mancata l'occasione su cui un tale coro P.otesse prender forma, e cosi i tentativi compiuti dai drammaturghi tede­schi del xvi e del xVII secolo ... per portar lo sulla scena tedesca non potevano avere che un esito infelice»2

• Se è indu?bia l'i~p~onta nazionale del dramma corale greco, altrettanto mdubb10 e che un'analoga impronta nazionale si manifesta nell'apparente imita­zione del teatro greco propria del XVII ~ecol~. _Il cor? nel dramma barocco non è nulla di esteriore. Esso e anzi Il suo mterno, nello

1 FRANZ JULIUS VON DEM KNESEBECK, Dreystiindige Sinnbilder, Bra~nsch~eig 1643, ta­

vola. [Parole private della forza, siete frammenti staccati l E povere stm~e d omb:a, ~a so­le ritiratevi; l Associate a un dipinto sarete ammesse, l Se un profondo s1mbolo amt1 a co­gliere l'occulto].

'WACKERNAGEL, UberdiedramatischePoesiecit., p. II.

Allegoria e dramma barocco (rr) I 65

stesso senso in cui il gruppo ad intaglio di un altare gotico si mo­stra come suo interno, dietro gli sportelli spalancati e adorni di sto­rie dipinte. Nel coro, ovvero nell'interludio, l'allegoria non è piu variopinta, legata alla storia, ma pura e severa. Alla fine del quar­to atto della Sophonisbe di Lohenstein si affrontano la Voluttà e la Virtu. Alla fine la Voluttà viene smascherata e si lascia dire dalla Virtu:

W ol! wk wolln bald des Engels Schonheit sehn! I eh muB dir den geborgten Rock ausziehen. Kan sich ein Bettler in was lirgers nehn? Wer wollte nicht fiir dieser Sclavin fliehen? Wirff aber auch den Bettler-Mantel weg. Schaut ist ein Schwein besudelter zu schauen? Dill ist ein Krebs- und dill ein Aussatz-Fleck. MuB dir nicht selbst fiir Schwer- und Eyter grauen? Der Wollust Kopff ist Schwan der Leib ein Schwein. LaBt uns die Schminck' im Antlitz auch vertilgen. Hier fault das Fleisch dort frillt die LauB sich ein So wandeln sich in Koth der W ollust Liljen. Noch nicht genug! zeuch auch die Lumpen aus; W as zeigt sich nun? Ein AaB ein todt Gerippe. Besieh' itzt auch der Wollust innres Haus: DaB man sie indie Schinder-Grube schippe!3

È l'antico motivo allegorico della Donna Mondo. Da questi passi caratteristici anche gli autori del secolo scorso hanno potuto farsi un'idea della situazione. «Nei Reyen- si legge in Conrad Mill­ler - la pressione della contorta natura di Lohenstein sul suo ge­nio linguistico si riduce, perché i ghirigori delle sue parole, che stranamente si svuotano nel tempio elegante della tragedia, coin­cidono qui con l'orpello bizzarro dell'allegoria» 4• E come nella pa­rola, l'elemento allegorico si manifesta anche nelle figure e nelle

'LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 331 (Sophonisbe, IV, 563 sgg.). [Bene! Cosf vedremo tra pocp la bellezza dell'angelo! l Bisogna che le tolga la veste presa apre­stito. l Può avvicinarsi un mendicante vestito peggio di cosi? l Chi non fuggirebbe davan­ti a questa schiava? l Ma butta via anche il mantello da mendicante. l Guarda: un maiale, a guardarlo, è forse piu lercio? l Questa è la chiazza di un tumore e questa della lebbra. l E non ti senti tu stessa inorridita di quel gonfiore e del pus? l Il volto della voluttà è quel­lo di un cigno, il corpo di un maiale. l E togliamo dal volto i belletti. l Qua la carne marci­sce, lf la zecca penetra divorando; l Cosf si mutano in escrementi i gigli della voluttà. l E non basta! Spogliati anche degli stracci, l Che cosa viene in luce? Una carogna, uno sche­letro morto. l Ora guarda anche l'interno della voluttà: l Sf che la si trascini nel fosso del­le carogne!]

• MULLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein cit., p. 94·

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Allegoria e dramma barocco (n)

Ihr kraft beraubte Wort', ihr seid zerstiickte Stiick', Und seichte schattenstreif, allein, entweicht zu riik; Vermehlet mit Gemiihl ihr werdet zu gelassen, Wenn ein tief Sinnebild hilft das verborgne fassen.

FRANZ JULWS VON DEM KNESEBECK,

Dreystiindige Sinnbilder'.

Soltanto la conoscenza filosofica dell'allegoria, e in particola­re la conoscenza dialettica della sua forma limite, è lo sfondo dal quale l'immagine del dramma barocco si stacca con colori ;rivaci e, se cosf è lecito esprimersi, belli: esso è l'unico sfondo a c.m non re­sti attaccato il grigio dei ritocchi. Nel coro e nell'interludio la strut­tura barocca del dramma emerge con tale evidenza che non pote­va sfuggire del tutto agli osservatori. Ma appunto per ques~o. e.s­si rimasero i punti critici attraverso i quali _Penetrare nell'e~hf1c10 - che ambiva a presentarsi come u,n temp~o greco -:- P,er distrug­gerlo. Cosf Wackernagel: «<l coro e eredita e prol?net~ della sce­na greca: e solo su questa è la conseguenza: orgamca di premesse storiche. Da noi è mancata l'occasione su cui un tale coro P.otesse prender forma, e cosi i tentativi compiuti dai drammaturghi tede­schi del xvi e del xVII secolo ... per portar lo sulla scena tedesca non potevano avere che un esito infelice»2

• Se è indu?bia l'i~p~onta nazionale del dramma corale greco, altrettanto mdubb10 e che un'analoga impronta nazionale si manifesta nell'apparente imita­zione del teatro greco propria del XVII ~ecol~. _Il cor? nel dramma barocco non è nulla di esteriore. Esso e anzi Il suo mterno, nello

1 FRANZ JULIUS VON DEM KNESEBECK, Dreystiindige Sinnbilder, Bra~nsch~eig 1643, ta­

vola. [Parole private della forza, siete frammenti staccati l E povere stm~e d omb:a, ~a so­le ritiratevi; l Associate a un dipinto sarete ammesse, l Se un profondo s1mbolo amt1 a co­gliere l'occulto].

'WACKERNAGEL, UberdiedramatischePoesiecit., p. II.

Allegoria e dramma barocco (rr) I 65

stesso senso in cui il gruppo ad intaglio di un altare gotico si mo­stra come suo interno, dietro gli sportelli spalancati e adorni di sto­rie dipinte. Nel coro, ovvero nell'interludio, l'allegoria non è piu variopinta, legata alla storia, ma pura e severa. Alla fine del quar­to atto della Sophonisbe di Lohenstein si affrontano la Voluttà e la Virtu. Alla fine la Voluttà viene smascherata e si lascia dire dalla Virtu:

W ol! wk wolln bald des Engels Schonheit sehn! I eh muB dir den geborgten Rock ausziehen. Kan sich ein Bettler in was lirgers nehn? Wer wollte nicht fiir dieser Sclavin fliehen? Wirff aber auch den Bettler-Mantel weg. Schaut ist ein Schwein besudelter zu schauen? Dill ist ein Krebs- und dill ein Aussatz-Fleck. MuB dir nicht selbst fiir Schwer- und Eyter grauen? Der Wollust Kopff ist Schwan der Leib ein Schwein. LaBt uns die Schminck' im Antlitz auch vertilgen. Hier fault das Fleisch dort frillt die LauB sich ein So wandeln sich in Koth der W ollust Liljen. Noch nicht genug! zeuch auch die Lumpen aus; W as zeigt sich nun? Ein AaB ein todt Gerippe. Besieh' itzt auch der Wollust innres Haus: DaB man sie indie Schinder-Grube schippe!3

È l'antico motivo allegorico della Donna Mondo. Da questi passi caratteristici anche gli autori del secolo scorso hanno potuto farsi un'idea della situazione. «Nei Reyen- si legge in Conrad Mill­ler - la pressione della contorta natura di Lohenstein sul suo ge­nio linguistico si riduce, perché i ghirigori delle sue parole, che stranamente si svuotano nel tempio elegante della tragedia, coin­cidono qui con l'orpello bizzarro dell'allegoria» 4• E come nella pa­rola, l'elemento allegorico si manifesta anche nelle figure e nelle

'LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit., p. 331 (Sophonisbe, IV, 563 sgg.). [Bene! Cosf vedremo tra pocp la bellezza dell'angelo! l Bisogna che le tolga la veste presa apre­stito. l Può avvicinarsi un mendicante vestito peggio di cosi? l Chi non fuggirebbe davan­ti a questa schiava? l Ma butta via anche il mantello da mendicante. l Guarda: un maiale, a guardarlo, è forse piu lercio? l Questa è la chiazza di un tumore e questa della lebbra. l E non ti senti tu stessa inorridita di quel gonfiore e del pus? l Il volto della voluttà è quel­lo di un cigno, il corpo di un maiale. l E togliamo dal volto i belletti. l Qua la carne marci­sce, lf la zecca penetra divorando; l Cosf si mutano in escrementi i gigli della voluttà. l E non basta! Spogliati anche degli stracci, l Che cosa viene in luce? Una carogna, uno sche­letro morto. l Ora guarda anche l'interno della voluttà: l Sf che la si trascini nel fosso del­le carogne!]

• MULLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein cit., p. 94·

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166 Il dramma barocco tedesco

scene. Ciò raggiunge il suo culmine negli interludi, con le loro qua­lità personificate, le Virtu ed i Vizi in carne ed ossa~ se~z~ ~fat­to limitarsi ad essi. Poiché è chiaro che tutta una sene di tipi, co­me il Re, il Cortigiano, il Matto, hanno un significato allegor~co: Tornano qui a farsi valere le intuizioni di Novalis: «Le situaziOni sceniche vere e proprie, solo queste dovrebbero far parte del.tea­tro. I personaggi allegorici, i piu non vedo~o altro ~he 9ue~t1 ~t­torno a sè. I fanciulli sono speranze, le fanciulle desiden e nchie­ste »'. Con grande perspicacia, que~te parole rimandano ai ver~ rap­porti tra messinscena e allegor~a. E vero pe:altro che l~ ~ue fi~: erano nel Barocco diverse e - m senso cnstlano e cortigiano - pm definite di come Novalis le dipinge. Le figure denunciano la loro portata allegorica nel rapporto labile e oscillante .fra la tram~ e il loro specifico significato morale. Nel Leo A"'!entus non v~ruamo a sapere se Balbo colpisce un colpevole o un mnoce~te. C~ basta sapere che è il Re. Né si potrebbe comprendere altrimenti c.ome personaggi di rilievo quasi n~o ?ossano entr~e.nel takle~u ~want dell'apoteosi allegorica. La Vrrtu tesse le lodi di MaSSirussa, che: è un misero omiciattolo. Il dramma barocco tedesco non ha mai saputo distribuire i tratti del personaggio allegorico nelle mille pie­ghe segrete di una veste alleg.orica, com~ ha fatto Calder~m. Né ha saputo accogliere la grande Interpretazione shakc:speari~na della figura allegorica in nuovi ruoli inediti. «Certe hgure di Shake­speare hanno il tratto fisiognomico dell'allegoria morale, del mo~ ral-play, ma soltanto l'occhio piu e.sercit~to potre~be. riconoscer: lo; riguardo a questo tratto allegonco essi vanno m grro, per cosi dire mascherati. Personaggi di questo genere sono Rosenkranz e Gulldenstern»7 • L'inapparenza dell'allegorico rimase preclusa al dramma barocco tedesco per la sua ossessiva serietà. L'arruola­mento nel dramma profano conferisce all'allegorico la comicità, ma ove questa indossi i panni della serietà, si tratta allora senza accorgersene di una serietà mortale.

L'importanza crescente dell'interludio, che già ~el periodo in­termedio di Gryphius prende il posto del coro prima della cata­strofe drammatica8, coincide con la crescente invadenza della sua

'NOVAUS, Schriften cit., vol. III, p. 71. 'LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit . .' p. 331 (Sopfonis!'e,.IV, 585 sgg.). 'JUUUS LEOPOLD KLEIN, Geschichte des englischen Drama s, Le1pz1g 1876, v:oL II! p. 57· • Cfr. HANS sTEINBERG, Die Reyen in den Trauerspielen des Andreas Gryph1us, disserta-

zione, Gottingen 1914, p. 107.

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pompa allegorica. Essa raggiunge il suo culmine con Hallmann. «Come l'elemento ornamentale del discorso sovrasta quello co­struttivo, il senso logico ... e si deforma in catacresi, cosi ... l' ele­mento ornamentale ripreso dallo stile retorico nella forma dell' exemplum, dell'antitesi o della metafora portati sulla scena fi­nisce per mascherare la struttura dell'intero dramma»9

• Evidente­mente questi interludi traggono dalle premesse della concezione allegorica il risultato a cui tendeva la parte precedente del dram­ma. Sia che, secondo il modello del dramma didattico dei gesuiti, venga svolto un exemplum allegorico, spiritualiter pertinente, trat­to dalla storia antica - Hallmann: il Reyen di Didone in Adonis und Rosibella, il Reyen di Callisto nella Catharina - 10 sia che i co­ri, come preferisce Lohenstein, sviluppino una psicologia edifi­cante delle passioni, sia invece, come in Gryphius, che prevalga in essi la riflessione religiosa: in tutti questi tipi l'evento drammati­co non è concepito come qualcosa di unico, ma piuttosto come una catastrofe naturalmente necessaria, inscritta nel corso del mondo. Anche l'applicazione puntuale dell'allegoria non è però un acme del processo drammatico bensf un ampio interludio esegetico. Gli atti non scaturiscono l'uno dall'altro, ma si dispongono piuttosto «a terrazza» l'uno sull'altro. Il complesso drammatico è scandito in vasti piani dominabili con lo sguardo, dove il gradino dell'in­terludio diventa la base di una statuaria aggettante. «Alla citazio­ne dell' exemplum nel discorso si affianca in parallelo la sua rap­presentazione scenica come tableau vivant (Adone); tali exempla si affollano sulla scena l'uno accanto all'altro fino al numero di tre, di quattro e di sette (Adone). La stessa trasposizione scenica av­viene anche per l'apostrofe retorica "guarda come ... " nelle appa­rizioni di spiriti»11

• Nella «rappresentazione silenziosa» la volontà di allegoria riporta nello spazio con tutto il suo vigore la parola che si perde per renderla accessibile a un'intuizione priva di fantasia. La compensazione per cosi dire atmosferica tra lo spazio visiona­rio del personaggio drammatico e quello profano dello spettatore - un'audacia teatrale che perfino Shakespeare preferisce evitare -fa risaltare la tendenza di questi maestri minori, e tanto piu quan­to piu il risultato è modesto. La descrizione visionaria del quadro vivente è un trionfo della drasticità barocca e della sua passione

'KOUTZ, ]ohann Christian Hallmanns Dramen cit., p. 182. 10 Ibid., pp. 102 e r68. 11 lbid., p. 168.

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scene. Ciò raggiunge il suo culmine negli interludi, con le loro qua­lità personificate, le Virtu ed i Vizi in carne ed ossa~ se~z~ ~fat­to limitarsi ad essi. Poiché è chiaro che tutta una sene di tipi, co­me il Re, il Cortigiano, il Matto, hanno un significato allegor~co: Tornano qui a farsi valere le intuizioni di Novalis: «Le situaziOni sceniche vere e proprie, solo queste dovrebbero far parte del.tea­tro. I personaggi allegorici, i piu non vedo~o altro ~he 9ue~t1 ~t­torno a sè. I fanciulli sono speranze, le fanciulle desiden e nchie­ste »'. Con grande perspicacia, que~te parole rimandano ai ver~ rap­porti tra messinscena e allegor~a. E vero pe:altro che l~ ~ue fi~: erano nel Barocco diverse e - m senso cnstlano e cortigiano - pm definite di come Novalis le dipinge. Le figure denunciano la loro portata allegorica nel rapporto labile e oscillante .fra la tram~ e il loro specifico significato morale. Nel Leo A"'!entus non v~ruamo a sapere se Balbo colpisce un colpevole o un mnoce~te. C~ basta sapere che è il Re. Né si potrebbe comprendere altrimenti c.ome personaggi di rilievo quasi n~o ?ossano entr~e.nel takle~u ~want dell'apoteosi allegorica. La Vrrtu tesse le lodi di MaSSirussa, che: è un misero omiciattolo. Il dramma barocco tedesco non ha mai saputo distribuire i tratti del personaggio allegorico nelle mille pie­ghe segrete di una veste alleg.orica, com~ ha fatto Calder~m. Né ha saputo accogliere la grande Interpretazione shakc:speari~na della figura allegorica in nuovi ruoli inediti. «Certe hgure di Shake­speare hanno il tratto fisiognomico dell'allegoria morale, del mo~ ral-play, ma soltanto l'occhio piu e.sercit~to potre~be. riconoscer: lo; riguardo a questo tratto allegonco essi vanno m grro, per cosi dire mascherati. Personaggi di questo genere sono Rosenkranz e Gulldenstern»7 • L'inapparenza dell'allegorico rimase preclusa al dramma barocco tedesco per la sua ossessiva serietà. L'arruola­mento nel dramma profano conferisce all'allegorico la comicità, ma ove questa indossi i panni della serietà, si tratta allora senza accorgersene di una serietà mortale.

L'importanza crescente dell'interludio, che già ~el periodo in­termedio di Gryphius prende il posto del coro prima della cata­strofe drammatica8, coincide con la crescente invadenza della sua

'NOVAUS, Schriften cit., vol. III, p. 71. 'LOHENSTEIN, Afrikanische Trauerspiele cit . .' p. 331 (Sopfonis!'e,.IV, 585 sgg.). 'JUUUS LEOPOLD KLEIN, Geschichte des englischen Drama s, Le1pz1g 1876, v:oL II! p. 57· • Cfr. HANS sTEINBERG, Die Reyen in den Trauerspielen des Andreas Gryph1us, disserta-

zione, Gottingen 1914, p. 107.

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pompa allegorica. Essa raggiunge il suo culmine con Hallmann. «Come l'elemento ornamentale del discorso sovrasta quello co­struttivo, il senso logico ... e si deforma in catacresi, cosi ... l' ele­mento ornamentale ripreso dallo stile retorico nella forma dell' exemplum, dell'antitesi o della metafora portati sulla scena fi­nisce per mascherare la struttura dell'intero dramma»9

• Evidente­mente questi interludi traggono dalle premesse della concezione allegorica il risultato a cui tendeva la parte precedente del dram­ma. Sia che, secondo il modello del dramma didattico dei gesuiti, venga svolto un exemplum allegorico, spiritualiter pertinente, trat­to dalla storia antica - Hallmann: il Reyen di Didone in Adonis und Rosibella, il Reyen di Callisto nella Catharina - 10 sia che i co­ri, come preferisce Lohenstein, sviluppino una psicologia edifi­cante delle passioni, sia invece, come in Gryphius, che prevalga in essi la riflessione religiosa: in tutti questi tipi l'evento drammati­co non è concepito come qualcosa di unico, ma piuttosto come una catastrofe naturalmente necessaria, inscritta nel corso del mondo. Anche l'applicazione puntuale dell'allegoria non è però un acme del processo drammatico bensf un ampio interludio esegetico. Gli atti non scaturiscono l'uno dall'altro, ma si dispongono piuttosto «a terrazza» l'uno sull'altro. Il complesso drammatico è scandito in vasti piani dominabili con lo sguardo, dove il gradino dell'in­terludio diventa la base di una statuaria aggettante. «Alla citazio­ne dell' exemplum nel discorso si affianca in parallelo la sua rap­presentazione scenica come tableau vivant (Adone); tali exempla si affollano sulla scena l'uno accanto all'altro fino al numero di tre, di quattro e di sette (Adone). La stessa trasposizione scenica av­viene anche per l'apostrofe retorica "guarda come ... " nelle appa­rizioni di spiriti»11

• Nella «rappresentazione silenziosa» la volontà di allegoria riporta nello spazio con tutto il suo vigore la parola che si perde per renderla accessibile a un'intuizione priva di fantasia. La compensazione per cosi dire atmosferica tra lo spazio visiona­rio del personaggio drammatico e quello profano dello spettatore - un'audacia teatrale che perfino Shakespeare preferisce evitare -fa risaltare la tendenza di questi maestri minori, e tanto piu quan­to piu il risultato è modesto. La descrizione visionaria del quadro vivente è un trionfo della drasticità barocca e della sua passione

'KOUTZ, ]ohann Christian Hallmanns Dramen cit., p. 182. 10 Ibid., pp. 102 e r68. 11 lbid., p. 168.

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per le antitesi: «L'azione e i Reyen sono due mondi separati, es~i si distinguono come sogno e realtà»12

• ~C?sf la tec~ca dra:nmatl­ca di Andreas Gryphius è tale, che nell aztone e nel Reyen il mon­do reale delle cose e degli eventi è nettam~nte :eparat? ~al.mon­do ideale dei significati e delle cause»n. Se e ~ec~to. s~rvtrsl di que­sti due enunciati come di due premesse, non e dtfftcile conc~uder~ che il mondo che si rende percepibile nei Reyen è quello det sogru e dei significati. L'esperienza dell'~nità dei due mondi è la prero­gativa del melanconico. ~a davan~1 allo sgu~do d~ suo sp~tta:o­re ideale anche la separazwne radicale fra aztone e mterludio vte­ne mend. Qua e là il legame affiora nel co: so. stes~o dell'evento drammatico. Come quando, nel Reyen, Agrtppma s1 trova salvata dalle sirene. Mai però in modo piu be~o ed efficace che .nelle ve­sti di un dormiente rappresentato. nell mtermez~o dopo il. IV atto del Papinian, dall'imperatore Basstan?.. Durante il ~onno,. il Reyen interviene a svolgere la sua parte. «L rmpe:atore s1 s:v-eB!i~ ~se ne va tristemente» 14 • «Come poi il poeta, per il quale gli ~pmtt erano realtà, abbia pensato il legame tra queste e le ~egorte, r.esta un.a domanda oziosa»15 osserva ingiustamente Stemberg. Gli spettri, come le allegorie piu profonde, sono apparizioni dal regno ?el lut­to: colui che è in lutto, e medita sui segni e sul fut~o, ha il ~ot~­re di attrarli. Meno chiaro è il caso in cui ad apparue son? gli spi­riti di personaggi viventi. Nel primo Reyen del dramma di L.oh~n­stein «l'anima di Sofonisba» viene incontro alle sue passtOnl

16,

mentre nel canovaccio di Hallmann per la Liberata17 e nell' Ado~is und Rosibel!tP si tratta solo di un travestimento. Quando Gryphius evoca uno spirito con le fattezz~,di OliJ:?pi~1~, abbiamo una nuo­va variante del motivo. Tutto c10 non stgniftca naturalmente un puro «non senso», seco~do l'oss~rvaz~one di ~erckhoffi~, ma for­nisce piuttosto una curtosa testtmoruanza ~ quel f~n~ttsmo che moltiplica sul piano allegorico anche la cosa smgola, il smgolo per-

" STEINBERG Die Reyen in den Trauerspielen des Andreas Gryphiu_s cit., P· 76. "HUBSCHER: Barock als Gestaltung antithetischen Lebens~efuhls ~1t.,. P· ~57: " GRYPHWS, Trauerspiele eit., p. 599 (Amilius Paulus Paptmanus, mdicaztom per la mes-

sinscena). d G h' · 6 "S'.l'EINBERG, Die Reyen in den Trauerspie(en ~sAn reas ryp tus ctt.! P· 7 · 16 Cfr. LOHENSTEIN,Afrikanische Trauersptelectt., pp. ~75 sgg. (Sophomsbe, I, 513 sgg.). 17 Cfr. KOLITZ, Johann Christian Hallmanns Dramen ctt., p. I33·

18 Ibid., p. III. . d c ,. de IV ) 1' Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele cit., pp. 310 sgg. (Ca~t~ un emz. , .' I sgg. · 20 AUGUST KERCKHOFFS, Daniel Casper von Lohenstem s Traueo/zele mtt besonderer

Berncksichtigung der Cleopatra. Ein Beitrag zur Geschichte des Dramas zm XVII. Jahrhundert, Paderborn 1877, p. 52.

Allegoria e dramma barocco (n) 169

sonaggio. Un' allegorizzazione ancora piu bizzarra si trova forse in un'indicazione contenuta nella Sophia di Hallmann: se è vero che non sono due morti ma due apparizioni della morte quelle figure che «come due morti muniti di frecce ... eseguono un triste bal­letto inframmezzato a gesti crudeli all'indirizzo di Sofia»21

• Scene come questa sono affini a certe rappresentazioni emblematiche. Gli Emblemata selectiora hanno ad esempio una tavola22 in cui si vede una rosa al tempo stesso mezzo fiorita e mezzo appassita, mentre, nello stesso paesaggio, il sole sorge e tramonta insieme. «L'essenza del Barocco è la simultaneità delle sue azioni»23

, scri­ve Hausenstein, un po' brutalmente ma non senza una certa in­tuizione della verità. Infatti, per rendere presente il tempo nello spazio - e che cos'è la sua secolarizzazione se non la sua meta­morfosi nel presente? - la simultaneizzazione dell'accadere è il procedimento piu radicale. La duplicità di significato e realtà siri­specchia nell' àllestimento della scena. n sipario intermedio per­metteva di alternare scene ambientate sul proscenio con altre che si estendevano all'intero palco. E la «pompa, che non si esitava ad ostentare ... poteva essere dispiegata solo sulla parte posteriore del palcoscenico»24

• Ora, poiché la situazione non poteva risolversi senza l'apoteosi conclusiva, i dettagli dell'intreccio potevano rifu­giarsi nello spazio angusto del proscenio, ma la soluzione avveni­va nella pienezza allegorica. La ~tessa suddivisione attraversa la struttura tettonica dell'insieme. E stato accennato che l'armatura classicistica di questi drammi è in contrasto col loro stile espressi­vo. Hausenstein si imbatte in un fatto analogo, e afferma che la matematica determina la forma esterna dell'edificio nel castello e nella casa, fino a un certo grado anche nella chiesa, mentre lo sti­le dell'interno lascia il campo libero all'immaginazione25

• D'altra parte, se c'è qualcosa in questi drammi che provoca sorpresa era­pimento, e che va sottolineato contro la trasparenza della trama classicistica, a ciò non è estraneo l'esotismo che governa la scelta dei temi. Il dramma barocco stimola piu della tragedia la libera in­venzione della trama poetica. Se qui abbiamo fatto riferimento al

21 HALLMANN, Trauer- Freuden- und Schiiferspiele eit., Die himmlische Liebe oder die be­stiindige Miirterin Sophia [L'amore celeste ovvero l'eroica martire Sofia], p. 69 (indicazioni per la messinscena). [ ... zwey Todte mit Pfeilen ... ein hochst trauriges Ballet nebst unter­gemischten grausamen Geberden gegen die Sophie tantzen].

"Cfr. Emblemata selectiora, Amstelaedarni 1704, tav. 15. "HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock eit., p. 9· ,. FLEMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. IJI. "Cfr. HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 71.

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per le antitesi: «L'azione e i Reyen sono due mondi separati, es~i si distinguono come sogno e realtà»12

• ~C?sf la tec~ca dra:nmatl­ca di Andreas Gryphius è tale, che nell aztone e nel Reyen il mon­do reale delle cose e degli eventi è nettam~nte :eparat? ~al.mon­do ideale dei significati e delle cause»n. Se e ~ec~to. s~rvtrsl di que­sti due enunciati come di due premesse, non e dtfftcile conc~uder~ che il mondo che si rende percepibile nei Reyen è quello det sogru e dei significati. L'esperienza dell'~nità dei due mondi è la prero­gativa del melanconico. ~a davan~1 allo sgu~do d~ suo sp~tta:o­re ideale anche la separazwne radicale fra aztone e mterludio vte­ne mend. Qua e là il legame affiora nel co: so. stes~o dell'evento drammatico. Come quando, nel Reyen, Agrtppma s1 trova salvata dalle sirene. Mai però in modo piu be~o ed efficace che .nelle ve­sti di un dormiente rappresentato. nell mtermez~o dopo il. IV atto del Papinian, dall'imperatore Basstan?.. Durante il ~onno,. il Reyen interviene a svolgere la sua parte. «L rmpe:atore s1 s:v-eB!i~ ~se ne va tristemente» 14 • «Come poi il poeta, per il quale gli ~pmtt erano realtà, abbia pensato il legame tra queste e le ~egorte, r.esta un.a domanda oziosa»15 osserva ingiustamente Stemberg. Gli spettri, come le allegorie piu profonde, sono apparizioni dal regno ?el lut­to: colui che è in lutto, e medita sui segni e sul fut~o, ha il ~ot~­re di attrarli. Meno chiaro è il caso in cui ad apparue son? gli spi­riti di personaggi viventi. Nel primo Reyen del dramma di L.oh~n­stein «l'anima di Sofonisba» viene incontro alle sue passtOnl

16,

mentre nel canovaccio di Hallmann per la Liberata17 e nell' Ado~is und Rosibel!tP si tratta solo di un travestimento. Quando Gryphius evoca uno spirito con le fattezz~,di OliJ:?pi~1~, abbiamo una nuo­va variante del motivo. Tutto c10 non stgniftca naturalmente un puro «non senso», seco~do l'oss~rvaz~one di ~erckhoffi~, ma for­nisce piuttosto una curtosa testtmoruanza ~ quel f~n~ttsmo che moltiplica sul piano allegorico anche la cosa smgola, il smgolo per-

" STEINBERG Die Reyen in den Trauerspielen des Andreas Gryphiu_s cit., P· 76. "HUBSCHER: Barock als Gestaltung antithetischen Lebens~efuhls ~1t.,. P· ~57: " GRYPHWS, Trauerspiele eit., p. 599 (Amilius Paulus Paptmanus, mdicaztom per la mes-

sinscena). d G h' · 6 "S'.l'EINBERG, Die Reyen in den Trauerspie(en ~sAn reas ryp tus ctt.! P· 7 · 16 Cfr. LOHENSTEIN,Afrikanische Trauersptelectt., pp. ~75 sgg. (Sophomsbe, I, 513 sgg.). 17 Cfr. KOLITZ, Johann Christian Hallmanns Dramen ctt., p. I33·

18 Ibid., p. III. . d c ,. de IV ) 1' Cfr. GRYPHIUS, Trauerspiele cit., pp. 310 sgg. (Ca~t~ un emz. , .' I sgg. · 20 AUGUST KERCKHOFFS, Daniel Casper von Lohenstem s Traueo/zele mtt besonderer

Berncksichtigung der Cleopatra. Ein Beitrag zur Geschichte des Dramas zm XVII. Jahrhundert, Paderborn 1877, p. 52.

Allegoria e dramma barocco (n) 169

sonaggio. Un' allegorizzazione ancora piu bizzarra si trova forse in un'indicazione contenuta nella Sophia di Hallmann: se è vero che non sono due morti ma due apparizioni della morte quelle figure che «come due morti muniti di frecce ... eseguono un triste bal­letto inframmezzato a gesti crudeli all'indirizzo di Sofia»21

• Scene come questa sono affini a certe rappresentazioni emblematiche. Gli Emblemata selectiora hanno ad esempio una tavola22 in cui si vede una rosa al tempo stesso mezzo fiorita e mezzo appassita, mentre, nello stesso paesaggio, il sole sorge e tramonta insieme. «L'essenza del Barocco è la simultaneità delle sue azioni»23

, scri­ve Hausenstein, un po' brutalmente ma non senza una certa in­tuizione della verità. Infatti, per rendere presente il tempo nello spazio - e che cos'è la sua secolarizzazione se non la sua meta­morfosi nel presente? - la simultaneizzazione dell'accadere è il procedimento piu radicale. La duplicità di significato e realtà siri­specchia nell' àllestimento della scena. n sipario intermedio per­metteva di alternare scene ambientate sul proscenio con altre che si estendevano all'intero palco. E la «pompa, che non si esitava ad ostentare ... poteva essere dispiegata solo sulla parte posteriore del palcoscenico»24

• Ora, poiché la situazione non poteva risolversi senza l'apoteosi conclusiva, i dettagli dell'intreccio potevano rifu­giarsi nello spazio angusto del proscenio, ma la soluzione avveni­va nella pienezza allegorica. La ~tessa suddivisione attraversa la struttura tettonica dell'insieme. E stato accennato che l'armatura classicistica di questi drammi è in contrasto col loro stile espressi­vo. Hausenstein si imbatte in un fatto analogo, e afferma che la matematica determina la forma esterna dell'edificio nel castello e nella casa, fino a un certo grado anche nella chiesa, mentre lo sti­le dell'interno lascia il campo libero all'immaginazione25

• D'altra parte, se c'è qualcosa in questi drammi che provoca sorpresa era­pimento, e che va sottolineato contro la trasparenza della trama classicistica, a ciò non è estraneo l'esotismo che governa la scelta dei temi. Il dramma barocco stimola piu della tragedia la libera in­venzione della trama poetica. Se qui abbiamo fatto riferimento al

21 HALLMANN, Trauer- Freuden- und Schiiferspiele eit., Die himmlische Liebe oder die be­stiindige Miirterin Sophia [L'amore celeste ovvero l'eroica martire Sofia], p. 69 (indicazioni per la messinscena). [ ... zwey Todte mit Pfeilen ... ein hochst trauriges Ballet nebst unter­gemischten grausamen Geberden gegen die Sophie tantzen].

"Cfr. Emblemata selectiora, Amstelaedarni 1704, tav. 15. "HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock eit., p. 9· ,. FLEMMING, Andreas Gryphius und die Buhne cit., p. IJI. "Cfr. HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 71.

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170 n dramma barocco tedesco

dramma barocco borghese, si potrebbe andare oltre in questo sen­so e ricordare il primo titolo di Sturm und Drang di Klinger. Lo scrittore aveva chiamato questo dramma Der Wirrwarr [La confu­sione]. Già il dramma barocco, con i suoi equivoci e i suoi intri­ghi, andava in questa direzione. Qui si può toccar; con mano co­me ciò abbia a che fare precisamente con l'allegona. In una com­plicata configurazione, il senso dell'azione drammatica viene fuori come fossero le lettere di un monogramma. Birken chiama « bal­letto» un certo tipo di Singspiel, «con ciò alludendo al fatto che la disposizione delle figure sulla scena e la pompa del décor esteriore rappresenta in esso la cosa piu essenziale. Un tale balletto non è altro che un quadro allegorico eseguito con figure viventi e nell'al­ternarsi delle scene. Quel che si dice non vuoi essere affatto· un dialogo; è solo una spiegazione dei vari quadri, proveniente dai quadri stessi»26

Queste osservazioni, se rinunciamo ai casi estremi, valgono an­che per il dramma barocco. Che si tratti, in essi, della messa in sce­na di una tipologia allegorica, risulta chiaro anche solo dalla ~on­suetudine del doppio titolo. E varrebbe la pena di ~omand~s1 p~ quale ragione sia solo Lohenstein a non saperne mente. Dt questi titoli il primo si riferisce all'argomento, l'altro all'alle.goria. Ri­prendendo l'uso linguistic? mediev~e, la forma allego~tca ~ppare trionfante. «Come Catertna ha pnma mostrato la v1ttona del­l' amor sacro sulla morte, cosi questi mostrano il trionfo o l' apo­teosi della morte sull'amore terreno»27

, si legge nell'indice di Car­denio und Celinde. «Lo scopo primario di questo dramma pastora­le - osserva Hallmann a proposito di Adonis und Rosibella - è l'amore sensato e trionfante sulla morte»28

• «La virtU che trionfa» è il sopratitolo del Soliman di Haugwitz. La moda recente di que­sta forma espressiva yeniva dall'Italia, dove i «trionfi» ?omina: vano le processioni. E probabile che la ~otevole. tr~duztone de1 Trion/f9, apparsa a Kothen nel 1643, abbta contrtbruto al succes­so di questo schema. L'Italia, terra d'origine dell'emblematica,

26 TITTMANN, Die Niìmberger Dichterschule cit., p. 184. . . · "GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 269 (~io und C~linde) .. [W1e nun. Cathaxme den

sieg der heiligen liebe uber den tod vorhin gewtesen, so zetgen cliese den trmmph oder das sieges-gepriinge des todes iiber clie irdische li~be].. . . . . .

"HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schii/ersptele ctt., p. 3· [ ... 1st dte Smnretche und iiber den Todt triumphierende Liebe].

"Cfr. FRANCESCO ?ETRARCA, Sechs Triumphi oder Siegesprachten, Cothen x643·

Allegoria e dramma barocco (n)

dettava legge da sempre in queste cose. O, per dirla con le parole di Hallmann: «Gli italiani, come eccellono in tutte le invenzioni cosf hanno dimostrato la loro arte ... nella raffigurazione emble~ matica della infelicità umana>Y0

• Non di rado i discorsi dei dialo­ghi sono pure didascalie, chiamate ad illustrare la costellazione al­legorica in cui si incontrano le varie figure. In breve: la sentenza dichiara il carattere allegorico della .scena, come sua didascalia. In questo senso è appropriato definirle dei« bei motti aggiunti»}!, co­me le chiama Klai nella prefazione al dramma su Erode. Certe in­dicazioni relative alloro impiego sono ancora dello Scaligero. «Le sentenze didascaliche e riflessive sono per cosf dire le colonne por­tanti del dramma barocco; esse però non devono essere pronun­ciate da servitori e da gente di basso, rango ma dai personaggi piu nobili e piu anziani»32

• Non solo le divise propriamente emblema­tiche", ma interi discorsi suonano qua e là come si trovassero fin dall'inizio sotto un'incisione allegorica. Cosf i versi d'ingresso dell'eroe nel Papinian:

W er iiber alle steigt und von den stoltzen h oh Der reichen ehre schaut, wie schlecht der povel geh, Wie unter ihm ein reich in lichten flammen krache, Wie dort der wellen schaum sich in die felder mache Und hier der himmel zorn, mit blitz und knall vermischt, In thiirm und tempel fahr, und was die nacht erfrischt, Der heisse tag verbrenn, und seine sieges-zeichen Sieht hier und dar verschriinckt mit vielmahl tausend leichen, Hat wol (ich geb es nach) viel iiber die gemein. Ach! aber ach! wie leicht nimmt ihn der schwindel ein'4•

,. HALLMANN, Leichreden cit., p. 124. [Die Italianer gleich wie sie in allen Erfindun­gen excelliren: also haben sie nichts weniger in Emblematischer Entschattung (der) Men­schlichen Ungliickseligket ... ihre Kunst erwiesen].

"Herodes der Kindermorder, Nach Art eines Trauerspiels ausgebi!det und in Numberg Ei­ner Teutschliebenden Gemeine vorgestellet durr:h ]ohann Kla;, Niirnberg 1645; cit. in TITT­MANN, Die Niìmberger Dichterschule cit., p. 156.

"HARSDORFFER, Poetischer Trichtercit., 2, p. 8x. [Die Lehr- und Denkspriiche sind g:eichsam cles Trauerspiels Grundseulen; Solche aber miissen nicht von Dienern und ge­rmgen Leuten sondern von den fiirnemsten und iiltsten Personen angefiihret ... werden].

"Cfr. HAllMANN, Leichreden cit., p. 1: . "GRYPHlUS, Trauerspielecit., p. 512 (Amilius Paulus Papinianus, I, x sgg.). [Chi su tut­

tl ascende e dalla superba altezza l Dei ricchi onori guarda quanto misera sia la plebe, l Co­me sotto di lui un regno esploda in vivide fiaxnme, l Come là la schiuma delle onde allaghi i caxnpi l E qui la collera celeste, mischiata a fulmini e tuoni, l Penetri in torri e templi e come il caldo giorno l Bruci ciò che la notte rinfresca, e le proprie vittoriose insegne l Ve­de qua e là frammiste a migliaia cli cadaveri, l Costui ha (lo concedo) gran vantaggio sul vol­go. l Ma, ahimè! Come è facile che lo colgano le vertigini!]

Page 206: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

170 n dramma barocco tedesco

dramma barocco borghese, si potrebbe andare oltre in questo sen­so e ricordare il primo titolo di Sturm und Drang di Klinger. Lo scrittore aveva chiamato questo dramma Der Wirrwarr [La confu­sione]. Già il dramma barocco, con i suoi equivoci e i suoi intri­ghi, andava in questa direzione. Qui si può toccar; con mano co­me ciò abbia a che fare precisamente con l'allegona. In una com­plicata configurazione, il senso dell'azione drammatica viene fuori come fossero le lettere di un monogramma. Birken chiama « bal­letto» un certo tipo di Singspiel, «con ciò alludendo al fatto che la disposizione delle figure sulla scena e la pompa del décor esteriore rappresenta in esso la cosa piu essenziale. Un tale balletto non è altro che un quadro allegorico eseguito con figure viventi e nell'al­ternarsi delle scene. Quel che si dice non vuoi essere affatto· un dialogo; è solo una spiegazione dei vari quadri, proveniente dai quadri stessi»26

Queste osservazioni, se rinunciamo ai casi estremi, valgono an­che per il dramma barocco. Che si tratti, in essi, della messa in sce­na di una tipologia allegorica, risulta chiaro anche solo dalla ~on­suetudine del doppio titolo. E varrebbe la pena di ~omand~s1 p~ quale ragione sia solo Lohenstein a non saperne mente. Dt questi titoli il primo si riferisce all'argomento, l'altro all'alle.goria. Ri­prendendo l'uso linguistic? mediev~e, la forma allego~tca ~ppare trionfante. «Come Catertna ha pnma mostrato la v1ttona del­l' amor sacro sulla morte, cosi questi mostrano il trionfo o l' apo­teosi della morte sull'amore terreno»27

, si legge nell'indice di Car­denio und Celinde. «Lo scopo primario di questo dramma pastora­le - osserva Hallmann a proposito di Adonis und Rosibella - è l'amore sensato e trionfante sulla morte»28

• «La virtU che trionfa» è il sopratitolo del Soliman di Haugwitz. La moda recente di que­sta forma espressiva yeniva dall'Italia, dove i «trionfi» ?omina: vano le processioni. E probabile che la ~otevole. tr~duztone de1 Trion/f9, apparsa a Kothen nel 1643, abbta contrtbruto al succes­so di questo schema. L'Italia, terra d'origine dell'emblematica,

26 TITTMANN, Die Niìmberger Dichterschule cit., p. 184. . . · "GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 269 (~io und C~linde) .. [W1e nun. Cathaxme den

sieg der heiligen liebe uber den tod vorhin gewtesen, so zetgen cliese den trmmph oder das sieges-gepriinge des todes iiber clie irdische li~be].. . . . . .

"HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schii/ersptele ctt., p. 3· [ ... 1st dte Smnretche und iiber den Todt triumphierende Liebe].

"Cfr. FRANCESCO ?ETRARCA, Sechs Triumphi oder Siegesprachten, Cothen x643·

Allegoria e dramma barocco (n)

dettava legge da sempre in queste cose. O, per dirla con le parole di Hallmann: «Gli italiani, come eccellono in tutte le invenzioni cosf hanno dimostrato la loro arte ... nella raffigurazione emble~ matica della infelicità umana>Y0

• Non di rado i discorsi dei dialo­ghi sono pure didascalie, chiamate ad illustrare la costellazione al­legorica in cui si incontrano le varie figure. In breve: la sentenza dichiara il carattere allegorico della .scena, come sua didascalia. In questo senso è appropriato definirle dei« bei motti aggiunti»}!, co­me le chiama Klai nella prefazione al dramma su Erode. Certe in­dicazioni relative alloro impiego sono ancora dello Scaligero. «Le sentenze didascaliche e riflessive sono per cosf dire le colonne por­tanti del dramma barocco; esse però non devono essere pronun­ciate da servitori e da gente di basso, rango ma dai personaggi piu nobili e piu anziani»32

• Non solo le divise propriamente emblema­tiche", ma interi discorsi suonano qua e là come si trovassero fin dall'inizio sotto un'incisione allegorica. Cosf i versi d'ingresso dell'eroe nel Papinian:

W er iiber alle steigt und von den stoltzen h oh Der reichen ehre schaut, wie schlecht der povel geh, Wie unter ihm ein reich in lichten flammen krache, Wie dort der wellen schaum sich in die felder mache Und hier der himmel zorn, mit blitz und knall vermischt, In thiirm und tempel fahr, und was die nacht erfrischt, Der heisse tag verbrenn, und seine sieges-zeichen Sieht hier und dar verschriinckt mit vielmahl tausend leichen, Hat wol (ich geb es nach) viel iiber die gemein. Ach! aber ach! wie leicht nimmt ihn der schwindel ein'4•

,. HALLMANN, Leichreden cit., p. 124. [Die Italianer gleich wie sie in allen Erfindun­gen excelliren: also haben sie nichts weniger in Emblematischer Entschattung (der) Men­schlichen Ungliickseligket ... ihre Kunst erwiesen].

"Herodes der Kindermorder, Nach Art eines Trauerspiels ausgebi!det und in Numberg Ei­ner Teutschliebenden Gemeine vorgestellet durr:h ]ohann Kla;, Niirnberg 1645; cit. in TITT­MANN, Die Niìmberger Dichterschule cit., p. 156.

"HARSDORFFER, Poetischer Trichtercit., 2, p. 8x. [Die Lehr- und Denkspriiche sind g:eichsam cles Trauerspiels Grundseulen; Solche aber miissen nicht von Dienern und ge­rmgen Leuten sondern von den fiirnemsten und iiltsten Personen angefiihret ... werden].

"Cfr. HAllMANN, Leichreden cit., p. 1: . "GRYPHlUS, Trauerspielecit., p. 512 (Amilius Paulus Papinianus, I, x sgg.). [Chi su tut­

tl ascende e dalla superba altezza l Dei ricchi onori guarda quanto misera sia la plebe, l Co­me sotto di lui un regno esploda in vivide fiaxnme, l Come là la schiuma delle onde allaghi i caxnpi l E qui la collera celeste, mischiata a fulmini e tuoni, l Penetri in torri e templi e come il caldo giorno l Bruci ciò che la notte rinfresca, e le proprie vittoriose insegne l Ve­de qua e là frammiste a migliaia cli cadaveri, l Costui ha (lo concedo) gran vantaggio sul vol­go. l Ma, ahimè! Come è facile che lo colgano le vertigini!]

Page 207: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

172 Il dramma barocco tedesco

Quello che nella pittura barocca è l'effetto di luce, è qui la sen­tenza: essa brilla con la sua luce cruda nel buio dell'intreccio alle­gorico. E anche qui c'è un ponte che collega l'~~goria con anti­che forme espressive. Se Wilken, nel suo scritto Uber die kritische Behandlung der geistlichen Spie/e [Sopra la considerazione critica dei drammi ecclesiastici] paragona le didascalie di questi drammi a quei cartigli che «negli antichi dipinti venivanç> associati alle im­magini dei personaggi, uscendo dalle loro bocche »35

, la stessa co­sa si può dire di molti passi dei drammi barocchi. Venticinque an­ni fa R. M. Meyer poteva ancora scrivere: «Ci disturba vedere, nei dipinti degli antichi maestri, quei cartigli che pendono dalla bocca dei personaggi ... e ci fa quasi rabbrividire l'idea che un tem­po tutte le figure prodotte dalle mani di un artista portavano in bocca un cartiglio del genere, una scritta che l'osservatore doveva leggere come una lettera, per poi dimenticarsi del suo messaggero. E tuttavia non possiamo ... perdere di vista una cosa: che questa concezione quasi infantile del singolo particolare poggiava su una grandiosa concezione d'insieme»36

• Ora, questa rivalutazione estemporanea non solo è fatta a malincuore, ma è anche ben lon­tana da una comprensione effettiva della cosa, come dimostra l' au­tore stesso spiegando che questa concezione proverrebbe dai «tempi arcaici», quando «tutto era animato». Al contrario- e si tratterà di mostrar lo - rispetto al simbolo l'allegoria occidentale è una forma tarda, basata su contrasti culturali molto pregnanti. La sentenza allegorica può essere paragonata al cartiglio. Ma si po­trebbe anche definirla come una cornice, come uno schema obbli­gato, a cui l'azione, sempre rinnovandosi, si adatta di volta in vol­ta per apparirvi come soggetto emblematico. Ciò che contraddi­stingue il dramma barocco non è dunque affatto l'immobilità o anche solo la lentezza dell'azione - « au lieu du mouvement on ren­contre l'immobilité»37, osserva Wysocki- ma il ritmo intermit­tente di un costante indugiare, di un repentino rovesciamento e di un rinnovato irrigidirsi.

Quanto piu un verso vuole qualificarsi come sentenza, tanto piu il poeta farà ricorso a nomi di cose, che corrispondano a una descrizione emblematica del concetto. L'oggetto, il cui significa-

"ERNST WILKEN, Oberdie kritische Behandlung der geistlichen Spie/e, Halle 1873, p. ro. •• MEYER, Oberdas Verstiindnis von Kunstwerken cit., p. 367. "WYSOCKI, Andreas Gryphius et la tragédie allemande au xvzr' siècle ci t., p. 61.

Allegoria e dramma barocco (n) l7 3

to è già implicito nel dramma barocco, prima che il dramma del . destino lo porti ufficialmente alla luce, esce dallo stato di latenza già nel xvm secolo nella forma della metafora emblematica. In una storia dello stile di quest'epoca - come quella progettata ma non rea!!zzata da Erich Schmidt'8

- si potrebbe riempire un sontuoso cap1tolo con le testimonianze di questa maniera figurativa. In tut­ti questi esempi, la metaforica proliferante e il «carattere esclusi­vamente sensibile» dei personaggi39 tradiscono l'inclinazione al­l'espressione allegorica, ma non vanno attribuiti invece a una pre­sun~a «sensualità poetica», perché proprio il linguaggio di questi test!, anche quello poetico, evita una continua accentuazione dell'elemento metaforico su cui pure esso poggia. E viceversa, vo­ler vedere in quella maniera «alla moda» di parlare un principio teso a «spogliare ... la lingua di una parte del suo contenuto sen­sibile, e a renderla piu astratta», un principio «che si manifesta in tutti i tentativi di mettere la lingua al servizio di un uso sociale piu raffinato»40

, è altrettanto sbagliato: l'errore è quello di estendere un principio valido per il linguaggio dei bellimbusti à la mode alla «moda» della grande poesia dell'epoca. Poiché la preziosità di que­sta forma espressiva, come del Barocco in generale, consiste in gran parte nella predilezione per i termini dal significato concreto. E la mania da un lato di farne costantemente uso, dall'altro di mostra­re l'antitesi elegante è cosf spiccata, che se proprio il termine astrat­to appare inevitabile, gli verrà abbinato quasi sempre un termine concreto, nella fort;na di un neologismo. Per esempio: il «fulmine della calunnia» [Verleumbdungs-Blitz]4

\· il «veleno della superbia» [Hof/ahrst-Gifft]42

, i «cedri dell'innocenza» [Unschulds-Zedern]43 il «sangue dell'amicizia» [Freundschaffts-Blut]44

• Oppure: ' So weil auch Mariamn' als eine Natter beiBt Und mehr die Zwietrachts-Gall' als Friedens-Zucker liebet45

Il pendant trionfante di questa concezione si ha in quei passi dove un organismo vivente viene analizzato nei disiecta membra

"Cfr. SCHMIDT, recensione a BOBERTAG cit., p. 414. "KERCKHOFFS, Daniel Casper Lohenstein cit., p. 89. .., FRITZ SCHRAMM, Schlagworte der Alamodezeit, StraBburg 1914, p. 2; cfr. anche

pp. 31 sgg. :~NN, Trauer-, Freuden- und Schii/erspiele ci t. (Mariamne, p. 41 [III, roJ]).

Ibid., p. 42 (III, I 55). . 43 Ibid., p. 44 (III, 207). "'Ibid., p. 45 (III, 226). . "Ibid., p. 5 (I, 126 sg.). [Cosf, poiché anche Marianna morde come una vipera l E pre­

ferisce la bile della discordia allo zucchero della pace].

Page 208: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

172 Il dramma barocco tedesco

Quello che nella pittura barocca è l'effetto di luce, è qui la sen­tenza: essa brilla con la sua luce cruda nel buio dell'intreccio alle­gorico. E anche qui c'è un ponte che collega l'~~goria con anti­che forme espressive. Se Wilken, nel suo scritto Uber die kritische Behandlung der geistlichen Spie/e [Sopra la considerazione critica dei drammi ecclesiastici] paragona le didascalie di questi drammi a quei cartigli che «negli antichi dipinti venivanç> associati alle im­magini dei personaggi, uscendo dalle loro bocche »35

, la stessa co­sa si può dire di molti passi dei drammi barocchi. Venticinque an­ni fa R. M. Meyer poteva ancora scrivere: «Ci disturba vedere, nei dipinti degli antichi maestri, quei cartigli che pendono dalla bocca dei personaggi ... e ci fa quasi rabbrividire l'idea che un tem­po tutte le figure prodotte dalle mani di un artista portavano in bocca un cartiglio del genere, una scritta che l'osservatore doveva leggere come una lettera, per poi dimenticarsi del suo messaggero. E tuttavia non possiamo ... perdere di vista una cosa: che questa concezione quasi infantile del singolo particolare poggiava su una grandiosa concezione d'insieme»36

• Ora, questa rivalutazione estemporanea non solo è fatta a malincuore, ma è anche ben lon­tana da una comprensione effettiva della cosa, come dimostra l' au­tore stesso spiegando che questa concezione proverrebbe dai «tempi arcaici», quando «tutto era animato». Al contrario- e si tratterà di mostrar lo - rispetto al simbolo l'allegoria occidentale è una forma tarda, basata su contrasti culturali molto pregnanti. La sentenza allegorica può essere paragonata al cartiglio. Ma si po­trebbe anche definirla come una cornice, come uno schema obbli­gato, a cui l'azione, sempre rinnovandosi, si adatta di volta in vol­ta per apparirvi come soggetto emblematico. Ciò che contraddi­stingue il dramma barocco non è dunque affatto l'immobilità o anche solo la lentezza dell'azione - « au lieu du mouvement on ren­contre l'immobilité»37, osserva Wysocki- ma il ritmo intermit­tente di un costante indugiare, di un repentino rovesciamento e di un rinnovato irrigidirsi.

Quanto piu un verso vuole qualificarsi come sentenza, tanto piu il poeta farà ricorso a nomi di cose, che corrispondano a una descrizione emblematica del concetto. L'oggetto, il cui significa-

"ERNST WILKEN, Oberdie kritische Behandlung der geistlichen Spie/e, Halle 1873, p. ro. •• MEYER, Oberdas Verstiindnis von Kunstwerken cit., p. 367. "WYSOCKI, Andreas Gryphius et la tragédie allemande au xvzr' siècle ci t., p. 61.

Allegoria e dramma barocco (n) l7 3

to è già implicito nel dramma barocco, prima che il dramma del . destino lo porti ufficialmente alla luce, esce dallo stato di latenza già nel xvm secolo nella forma della metafora emblematica. In una storia dello stile di quest'epoca - come quella progettata ma non rea!!zzata da Erich Schmidt'8

- si potrebbe riempire un sontuoso cap1tolo con le testimonianze di questa maniera figurativa. In tut­ti questi esempi, la metaforica proliferante e il «carattere esclusi­vamente sensibile» dei personaggi39 tradiscono l'inclinazione al­l'espressione allegorica, ma non vanno attribuiti invece a una pre­sun~a «sensualità poetica», perché proprio il linguaggio di questi test!, anche quello poetico, evita una continua accentuazione dell'elemento metaforico su cui pure esso poggia. E viceversa, vo­ler vedere in quella maniera «alla moda» di parlare un principio teso a «spogliare ... la lingua di una parte del suo contenuto sen­sibile, e a renderla piu astratta», un principio «che si manifesta in tutti i tentativi di mettere la lingua al servizio di un uso sociale piu raffinato»40

, è altrettanto sbagliato: l'errore è quello di estendere un principio valido per il linguaggio dei bellimbusti à la mode alla «moda» della grande poesia dell'epoca. Poiché la preziosità di que­sta forma espressiva, come del Barocco in generale, consiste in gran parte nella predilezione per i termini dal significato concreto. E la mania da un lato di farne costantemente uso, dall'altro di mostra­re l'antitesi elegante è cosf spiccata, che se proprio il termine astrat­to appare inevitabile, gli verrà abbinato quasi sempre un termine concreto, nella fort;na di un neologismo. Per esempio: il «fulmine della calunnia» [Verleumbdungs-Blitz]4

\· il «veleno della superbia» [Hof/ahrst-Gifft]42

, i «cedri dell'innocenza» [Unschulds-Zedern]43 il «sangue dell'amicizia» [Freundschaffts-Blut]44

• Oppure: ' So weil auch Mariamn' als eine Natter beiBt Und mehr die Zwietrachts-Gall' als Friedens-Zucker liebet45

Il pendant trionfante di questa concezione si ha in quei passi dove un organismo vivente viene analizzato nei disiecta membra

"Cfr. SCHMIDT, recensione a BOBERTAG cit., p. 414. "KERCKHOFFS, Daniel Casper Lohenstein cit., p. 89. .., FRITZ SCHRAMM, Schlagworte der Alamodezeit, StraBburg 1914, p. 2; cfr. anche

pp. 31 sgg. :~NN, Trauer-, Freuden- und Schii/erspiele ci t. (Mariamne, p. 41 [III, roJ]).

Ibid., p. 42 (III, I 55). . 43 Ibid., p. 44 (III, 207). "'Ibid., p. 45 (III, 226). . "Ibid., p. 5 (I, 126 sg.). [Cosf, poiché anche Marianna morde come una vipera l E pre­

ferisce la bile della discordia allo zucchero della pace].

Page 209: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

174 Il dramma barocco tedesco

dell'allegoria, come ad esempio in un quadro della vita di corte che troviamo in Hallmann.

Es hat Theodoric auch auff dem Meer geschlfft W o statt der Wellen Eill; cles Saltzes heimlich Gifft Der Ruder Schwerd und Beil; der Seegel Spinnewebeni Der Ancker falsches Bley cles Nachens GlaB umgeben4

«Ogni idea- osserva molto giustamente Cysarz- per quanto astratta viene stampata in un'immagine, e quest'immagine a sua volta, per quanto concreta, viene ritagliata in parole»47 . Nessuno, fra i drammaturghi dell'epoca, soggiace a questa maniera come Hallmann. Essa finisce per guastargli la trama concettuale dei dia­loghi. Non appena infatti si accenna una disputa, subito l'uno o l'altro dei dialoganti la trasforma in una similitudine, la quale pro­lifera con piu o meno varianti. Osservando che «il palazzo della Virtu non può ospitare la Voluttà», Sohemo offende gravemente Erode, ma quest'ultimo, ben lontano dal cogliere l'offesa, sprofon­da di già nell'allegoria: «Si vede anche la verbena fiorire accanto alle nobili rose»48

• Cosi, varie volte, i concetti si dissolvono in im­magini49. Vari storici della letteratura hanno segnalato gli accosta­menti linguistici abnormi a cui soprattutto Hallmann indulge nel­la sua caccia ai «concetti»50

Mund und Gemùthe stehn in einem Meineids-Kasten Dem hitz'ger Eifer nun die Riegello.B gemachr1

Seht wie dem Pheroras das traur'ge Sterbe-Kleid Im Gifft-Glas wird gereicht'2•

Imfall die Warheit kan der Greuel-That erhell'n DaB Mariamnens Mund unreine Milch gesogen

46 Ibid., (Theodoricus Veronensis, p. 102 [V, 285 sgg.]). [Anche Teodorico ha navigato sul mare, l Dove invece delle onde, ghiaccio; invece del sole, un veleno segreto; l Invece dei remi, la spada e la scUie; delle vele, ragnatele; l Dell'ancora, perfido piombo, circon­dano il vetro della navicella].

47 [Citazione non reperibile]. "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 65 [IV, 397 sg.]).

[Man siehet Eisen-Kraut bey edlen Rosen bli.ihn]. "Ibid., p. 57 [IV, 132 sgg.]. "Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., pp. 336 sgg. "HAll.MANN, Trauer-, Freuden, und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 42 [III, x6o sg.]).

[Bocca ed animo stanno in uno scrigno di spergiUii l A cui l'ardente zelo ha ora aperto i chiavistelli].

"Ibid., p. 101 rv, 826 sg.). [Guardate, come a Perora la triste veste mortuaria l Vie­ne porta in un bicchiere di veleno].

Allegoria e dramma barocco (n) I75

Aus Tyridat~ns Brust so werde stracks vollzogen Was Gott und Recht befihlt und Rath und Konig schleu.Br3

Certe parol'e, in Hallmann ad esempio la parola <<cometa», tro­vano un'applicazione allegorica grottesca. Per descrivere le scia­gure che stanno avvenendo nel palazzo di Gerusalemme, Aniipa­tro osserva che «le comete si accoppiano nel castello di Salem»54

In certi punti questo magina di immagini sembra addirittura sfug­gire al controllo, e il discorso poetico sembra perdersi in una fuga senza freni. Un caso esemplare lo troviamo ancora in Hallmann:

Die Frauen-List

W enn meine Schlang' in edlen Rosen lieget Und Ziingelnd saugt den Wei.Bheits-vollen Safft Wird Simson auch von Delilen besieget Und schnell beraubt der ùberird'schen Krafft: Hat}oseph gleich der }uno Fahn getragen Herodes ihn gekù.Bt auff seinem Wagen So schaut doch wie ein Molch55 di.B Karten-Blat zerritzt Weil ihm sein Eh-Schatz selbst durch List die Bahre schnitzr6

Nella Maria Stuarda di Haugwitz, una cameriera - che sta par-lando di Dio - osserva alla regina:

Er treibt die See von unsern Hertzen DaB derer W ellen stoltzer Gu.B Uns offt erziehlet heisse Schmertzen Doch ist es nur der Wunder-Flu.B Durch dessen unbegreifflichs regen Sich unsers UngliiCks Kranckheit legen57

Tutto ciò è non meno oscuro e non meno allusivo dei «salmi» di un Quirinus Kuhlmann. La critica razionalistica, che rifiuta que-

"Ibid., p. 76 (V, 78). [Nel caso che possa venire in luce la verità del misfatto l Che la bocca~ Marianna ha succhiato impuro latte l Dal petto di Tiridate, si compia tosto l Quati­to Iddio e la legge comandano, e il coilsiglio ed il re decidono].

1<1 Ibid., Mariamne, p. 62 (IV, 296); cfr. ancheMariamne, p. 12 (!, 351); pp. 38 sg. (III, 3.2 e 59); p. 76 rv, 83) e p. 91 rv, 516); Sophia, p. 9 (!, z6o); cfr. HALLMANN, Leichreden Clt., p. 497.

"[Probabilmente per Dolch («pugnale»)]. ,. Mariamne, p. r6 (I, 449 sgg.). [L'astuzia delle donne:Quatido la mia serpe sta tra le

nobili rose, l E guizzat~do sugge il succo pieno di saggezza, l Anche Sat1sone è vinto da Da­lila, l E presto orbato della forza sovrumatia: l Se Giuseppe ha portato la bat~diera di Giu­none l Ed Erode l'ha baciato sul suo cocchio, l Guardate, come un pugnale incide questa carta l Perché la sua dolce metà gli intaglia con astuzia la bara].

,., HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuar®, p. 35 [Il, 125 sgg.]). [Egli agita il mare _dei nostri cuori, l Cosicché il superbo fiotto di quelle onde l Spesso ci procUia aspri dolor1, l Ma è soltanto il fiume prodigioso, l Per il cui incomprensibile moto, l Si placano i mali della nostra sventUia]. .

Page 210: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

174 Il dramma barocco tedesco

dell'allegoria, come ad esempio in un quadro della vita di corte che troviamo in Hallmann.

Es hat Theodoric auch auff dem Meer geschlfft W o statt der Wellen Eill; cles Saltzes heimlich Gifft Der Ruder Schwerd und Beil; der Seegel Spinnewebeni Der Ancker falsches Bley cles Nachens GlaB umgeben4

«Ogni idea- osserva molto giustamente Cysarz- per quanto astratta viene stampata in un'immagine, e quest'immagine a sua volta, per quanto concreta, viene ritagliata in parole»47 . Nessuno, fra i drammaturghi dell'epoca, soggiace a questa maniera come Hallmann. Essa finisce per guastargli la trama concettuale dei dia­loghi. Non appena infatti si accenna una disputa, subito l'uno o l'altro dei dialoganti la trasforma in una similitudine, la quale pro­lifera con piu o meno varianti. Osservando che «il palazzo della Virtu non può ospitare la Voluttà», Sohemo offende gravemente Erode, ma quest'ultimo, ben lontano dal cogliere l'offesa, sprofon­da di già nell'allegoria: «Si vede anche la verbena fiorire accanto alle nobili rose»48

• Cosi, varie volte, i concetti si dissolvono in im­magini49. Vari storici della letteratura hanno segnalato gli accosta­menti linguistici abnormi a cui soprattutto Hallmann indulge nel­la sua caccia ai «concetti»50

Mund und Gemùthe stehn in einem Meineids-Kasten Dem hitz'ger Eifer nun die Riegello.B gemachr1

Seht wie dem Pheroras das traur'ge Sterbe-Kleid Im Gifft-Glas wird gereicht'2•

Imfall die Warheit kan der Greuel-That erhell'n DaB Mariamnens Mund unreine Milch gesogen

46 Ibid., (Theodoricus Veronensis, p. 102 [V, 285 sgg.]). [Anche Teodorico ha navigato sul mare, l Dove invece delle onde, ghiaccio; invece del sole, un veleno segreto; l Invece dei remi, la spada e la scUie; delle vele, ragnatele; l Dell'ancora, perfido piombo, circon­dano il vetro della navicella].

47 [Citazione non reperibile]. "HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 65 [IV, 397 sg.]).

[Man siehet Eisen-Kraut bey edlen Rosen bli.ihn]. "Ibid., p. 57 [IV, 132 sgg.]. "Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., pp. 336 sgg. "HAll.MANN, Trauer-, Freuden, und Schiiferspiele cit. (Mariamne, p. 42 [III, x6o sg.]).

[Bocca ed animo stanno in uno scrigno di spergiUii l A cui l'ardente zelo ha ora aperto i chiavistelli].

"Ibid., p. 101 rv, 826 sg.). [Guardate, come a Perora la triste veste mortuaria l Vie­ne porta in un bicchiere di veleno].

Allegoria e dramma barocco (n) I75

Aus Tyridat~ns Brust so werde stracks vollzogen Was Gott und Recht befihlt und Rath und Konig schleu.Br3

Certe parol'e, in Hallmann ad esempio la parola <<cometa», tro­vano un'applicazione allegorica grottesca. Per descrivere le scia­gure che stanno avvenendo nel palazzo di Gerusalemme, Aniipa­tro osserva che «le comete si accoppiano nel castello di Salem»54

In certi punti questo magina di immagini sembra addirittura sfug­gire al controllo, e il discorso poetico sembra perdersi in una fuga senza freni. Un caso esemplare lo troviamo ancora in Hallmann:

Die Frauen-List

W enn meine Schlang' in edlen Rosen lieget Und Ziingelnd saugt den Wei.Bheits-vollen Safft Wird Simson auch von Delilen besieget Und schnell beraubt der ùberird'schen Krafft: Hat}oseph gleich der }uno Fahn getragen Herodes ihn gekù.Bt auff seinem Wagen So schaut doch wie ein Molch55 di.B Karten-Blat zerritzt Weil ihm sein Eh-Schatz selbst durch List die Bahre schnitzr6

Nella Maria Stuarda di Haugwitz, una cameriera - che sta par-lando di Dio - osserva alla regina:

Er treibt die See von unsern Hertzen DaB derer W ellen stoltzer Gu.B Uns offt erziehlet heisse Schmertzen Doch ist es nur der Wunder-Flu.B Durch dessen unbegreifflichs regen Sich unsers UngliiCks Kranckheit legen57

Tutto ciò è non meno oscuro e non meno allusivo dei «salmi» di un Quirinus Kuhlmann. La critica razionalistica, che rifiuta que-

"Ibid., p. 76 (V, 78). [Nel caso che possa venire in luce la verità del misfatto l Che la bocca~ Marianna ha succhiato impuro latte l Dal petto di Tiridate, si compia tosto l Quati­to Iddio e la legge comandano, e il coilsiglio ed il re decidono].

1<1 Ibid., Mariamne, p. 62 (IV, 296); cfr. ancheMariamne, p. 12 (!, 351); pp. 38 sg. (III, 3.2 e 59); p. 76 rv, 83) e p. 91 rv, 516); Sophia, p. 9 (!, z6o); cfr. HALLMANN, Leichreden Clt., p. 497.

"[Probabilmente per Dolch («pugnale»)]. ,. Mariamne, p. r6 (I, 449 sgg.). [L'astuzia delle donne:Quatido la mia serpe sta tra le

nobili rose, l E guizzat~do sugge il succo pieno di saggezza, l Anche Sat1sone è vinto da Da­lila, l E presto orbato della forza sovrumatia: l Se Giuseppe ha portato la bat~diera di Giu­none l Ed Erode l'ha baciato sul suo cocchio, l Guardate, come un pugnale incide questa carta l Perché la sua dolce metà gli intaglia con astuzia la bara].

,., HAUGWITZ, Prodromus Poeticus cit. (Maria Stuar®, p. 35 [Il, 125 sgg.]). [Egli agita il mare _dei nostri cuori, l Cosicché il superbo fiotto di quelle onde l Spesso ci procUia aspri dolor1, l Ma è soltanto il fiume prodigioso, l Per il cui incomprensibile moto, l Si placano i mali della nostra sventUia]. .

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I 76 Il dramma barocco tedesco

sto tipo di composizio~, pole~z.za contr~ la lo~o allegoresi lin­guistica. «Quale oscuntà geroglifica ed erugmatlca ~esa su tut~a l'espressione»'8, si dice di un passo della Cleopatra. di Lohenstem nella Critische Abhandlung von der Natur, den Abstchten und dem Gebrauche der Gleichnisse di Breitinger.

Er hiillet elle Begriff' in Gleichni.B und Figur als einen Kerker ein59

osserva nello stesso senso Bodmer a proposito di Hofmannswal­dau.

In effetti questa poesia era inca~ace di li?erar.e _nel suono ~iv? della lingua il senso profondo confmato nel suoi tdeogrammt si­gnificativi. Il suo linguaggio è pieno di sfarzo materiale. Mai è sta­ta composta una poesia meno alata. Né si può dire che la reinter­pretazione della tragedia classica sia piu ostica della nuova forma dell'inno che intendeva eguagliare il volo- per quanto oscuro e barocco ~ di Pindaro. Al dramma barocco tedesco non è dato -per dirla con Baader - di dar voce ai suoi geroglifici. Perché la sua scrittura non si trasfigura in suono: il suo mondo rimane concen­trato su se stesso, tutto teso a sviluppare la propria cupa vitalità. Scrittura e suono si contrappongono in una polarità piena di ten­sione. Il loro rapporto fonda una dialettica, alla luce della quale la «ridondanza» si legittima come gesto linguistico calcolato e ~o­strlittivo. A dire il vero, questa visione della cosa- nella sua ric­chezza e felicità - appare del tutto ovvia a chi risalga direttamen­te alle fonti. Solo piu tardi, quando la vertigine di fronte alla profondità dell'abisso travolse le forze ~el pensie~o. i~dagat?-te, l'ampollosità poté diventare lo spauracchio della stilisttca eptgo­nale. La frattura tra ideografia significante ed ebbrezza del suo­no come una fenditura che attraversi il solido massiccio del si­grrlficato, costringe lo sguardo ad immerg~rsi nella profondi t~ del linguaggio. E sebbene il Barocco non abbta conoscmto una nfles­sione filosofica su questo tema, gli scritti di Bohme forniscono cen­ni rilevanti in proposito. Jakob Bohme, uno dei piu grandi allego-

"BREITINGER Critische Abhandlimgvon der Naturcit., p. 224; cfr. p. 462; cfr. inoltre JOHANN JACOB BO~MER, Critische Betrachtungen uber die .Poetischen. Gemit~lde D_er D_!c?ter [Osservazioni critiche di}. J.Bodmer a proposito delle pttture poetiche det poett], Zurtch· Leipzig 1741, pp. 107 e 425 sgg. . . .. . . .

"JOHANN JACOB BODMER, Gedichte m gere:mten Versen, Zurtch 1754, p. 32. [Chmde t concetti in simi!itudini e figure l come in un carcere].

Allegoria e dramma barocco (n) I 77

risti, quando viene a parlare del linguaggio tiene in alta conside­razione il valore del suono rispetto alla muta profondità. È lui a sviluppare la dottrina della lingua «sensuale» o «naturale». E ta­le lingua - ciò è decisivo - non è il farsi suono del mondo allego­rico, che resta al contrario relegato nel silenzio. «Barocco lingui­stico» e «Barocco figurativo»- per usare le formule coniate da Cy­sarz - sono fondati polarmente l'uno nell'altro. La tensione tra parola e scrittura è nel Barocco smisurata. La parola è, per cosf di­re, l'estasi della creatura, è denudamento, dismisura, impotenza davanti a Dio; mentre la scrittura è il suo raccogliersi, è dignità superiorità, onnipotenza sulle cose del mondo. Cosi almeno nd dramma barocco, mentre· la visione piu cordiale di Bohme offre una visione piu positiva del linguaggio fonetico. «La Parola eter­na ossia il suono o la voce di Dio, che è uno spirito, si è introdot­ta nelle forme ovvero in una parola espressa o in un suono con la generazione del grande Mysterium; e quale è in se stesso il gioco gioioso dello spirito nella generazione eterna, tale è lo strumento, ossia la forma espressa in se stessa, che il suono vivente guida, e percuote con la sua eterna volontà spirituale, cosf da farla risuo­nare ed echeggiare, come un organo a molte voci è mosso da un'uni­ca aria, in modo che ogni voce, anzi ogni canna emette la propria nota»60

• «Tutto ciò che si dice, si scrive o si insegna di Dio, senza la conoscenza della segnatura è muto e privo di senso, perché vie­ne dalla vanità della storia, da un'altra bocca, dove lo spirito sen­za conoscenza è muto: ma se lo spirito dischiude la segnatura, al­lora esso comprende l'altra bocca, e comprende inoltre come lo spi­rito ... si sia rivelato nel suono con la voce ... E cosi dalla forma esterna di tutte le creature, dai loro impulsi e desideri, dal suono che emettono, dalla loro voce o lingua, si conosce lo spirito na­scosto ... Ogni cosa ha la sua bocca per manifestarsi. E questa è la lingua naturale, da cui ogni cosa parla secondo la sua proprietà, e sempre si manifesta»61

• Il linguaggio fonetico è dunque l'ambito

60 JACOB BOHME, De signatura rerum, Amsterdam 1682, p. 208. (Das ewige Wort oder Gottliche Hall oder Stimme welche ein Geist ist das hat sich in Formungen als in ein auB­gesprochen Wort oder Hall rnit der Gebiìhrung cles grossen Mysterii eingefiihret und wie das Freuden-spiel im Geiste der ewigen Gebahrung in sich selber ist also ist auch der W erck­zeug als die auBgesprochene Form in sich selber welches der lebendige Hall fi.ihret und rnit seinem eigenen ewigen Willen-geist schlliget da.B.es lautet und hallet gleich wie eine Orgel von vielen Stimmèn rnit einer einigen Lufft getrieben wird da.B eine jede Stimme ja eine jede Pfeiffe ihren Thon gibt].

"Ibid., pp. 5, 8 sgg. [Alles was von Gott geredet geschrieben oder gelehret wird oh­ne die Erkiintniill der Signatur, das ist stumm und ohne Verstand darm es kommt nur aus

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I 76 Il dramma barocco tedesco

sto tipo di composizio~, pole~z.za contr~ la lo~o allegoresi lin­guistica. «Quale oscuntà geroglifica ed erugmatlca ~esa su tut~a l'espressione»'8, si dice di un passo della Cleopatra. di Lohenstem nella Critische Abhandlung von der Natur, den Abstchten und dem Gebrauche der Gleichnisse di Breitinger.

Er hiillet elle Begriff' in Gleichni.B und Figur als einen Kerker ein59

osserva nello stesso senso Bodmer a proposito di Hofmannswal­dau.

In effetti questa poesia era inca~ace di li?erar.e _nel suono ~iv? della lingua il senso profondo confmato nel suoi tdeogrammt si­gnificativi. Il suo linguaggio è pieno di sfarzo materiale. Mai è sta­ta composta una poesia meno alata. Né si può dire che la reinter­pretazione della tragedia classica sia piu ostica della nuova forma dell'inno che intendeva eguagliare il volo- per quanto oscuro e barocco ~ di Pindaro. Al dramma barocco tedesco non è dato -per dirla con Baader - di dar voce ai suoi geroglifici. Perché la sua scrittura non si trasfigura in suono: il suo mondo rimane concen­trato su se stesso, tutto teso a sviluppare la propria cupa vitalità. Scrittura e suono si contrappongono in una polarità piena di ten­sione. Il loro rapporto fonda una dialettica, alla luce della quale la «ridondanza» si legittima come gesto linguistico calcolato e ~o­strlittivo. A dire il vero, questa visione della cosa- nella sua ric­chezza e felicità - appare del tutto ovvia a chi risalga direttamen­te alle fonti. Solo piu tardi, quando la vertigine di fronte alla profondità dell'abisso travolse le forze ~el pensie~o. i~dagat?-te, l'ampollosità poté diventare lo spauracchio della stilisttca eptgo­nale. La frattura tra ideografia significante ed ebbrezza del suo­no come una fenditura che attraversi il solido massiccio del si­grrlficato, costringe lo sguardo ad immerg~rsi nella profondi t~ del linguaggio. E sebbene il Barocco non abbta conoscmto una nfles­sione filosofica su questo tema, gli scritti di Bohme forniscono cen­ni rilevanti in proposito. Jakob Bohme, uno dei piu grandi allego-

"BREITINGER Critische Abhandlimgvon der Naturcit., p. 224; cfr. p. 462; cfr. inoltre JOHANN JACOB BO~MER, Critische Betrachtungen uber die .Poetischen. Gemit~lde D_er D_!c?ter [Osservazioni critiche di}. J.Bodmer a proposito delle pttture poetiche det poett], Zurtch· Leipzig 1741, pp. 107 e 425 sgg. . . .. . . .

"JOHANN JACOB BODMER, Gedichte m gere:mten Versen, Zurtch 1754, p. 32. [Chmde t concetti in simi!itudini e figure l come in un carcere].

Allegoria e dramma barocco (n) I 77

risti, quando viene a parlare del linguaggio tiene in alta conside­razione il valore del suono rispetto alla muta profondità. È lui a sviluppare la dottrina della lingua «sensuale» o «naturale». E ta­le lingua - ciò è decisivo - non è il farsi suono del mondo allego­rico, che resta al contrario relegato nel silenzio. «Barocco lingui­stico» e «Barocco figurativo»- per usare le formule coniate da Cy­sarz - sono fondati polarmente l'uno nell'altro. La tensione tra parola e scrittura è nel Barocco smisurata. La parola è, per cosf di­re, l'estasi della creatura, è denudamento, dismisura, impotenza davanti a Dio; mentre la scrittura è il suo raccogliersi, è dignità superiorità, onnipotenza sulle cose del mondo. Cosi almeno nd dramma barocco, mentre· la visione piu cordiale di Bohme offre una visione piu positiva del linguaggio fonetico. «La Parola eter­na ossia il suono o la voce di Dio, che è uno spirito, si è introdot­ta nelle forme ovvero in una parola espressa o in un suono con la generazione del grande Mysterium; e quale è in se stesso il gioco gioioso dello spirito nella generazione eterna, tale è lo strumento, ossia la forma espressa in se stessa, che il suono vivente guida, e percuote con la sua eterna volontà spirituale, cosf da farla risuo­nare ed echeggiare, come un organo a molte voci è mosso da un'uni­ca aria, in modo che ogni voce, anzi ogni canna emette la propria nota»60

• «Tutto ciò che si dice, si scrive o si insegna di Dio, senza la conoscenza della segnatura è muto e privo di senso, perché vie­ne dalla vanità della storia, da un'altra bocca, dove lo spirito sen­za conoscenza è muto: ma se lo spirito dischiude la segnatura, al­lora esso comprende l'altra bocca, e comprende inoltre come lo spi­rito ... si sia rivelato nel suono con la voce ... E cosi dalla forma esterna di tutte le creature, dai loro impulsi e desideri, dal suono che emettono, dalla loro voce o lingua, si conosce lo spirito na­scosto ... Ogni cosa ha la sua bocca per manifestarsi. E questa è la lingua naturale, da cui ogni cosa parla secondo la sua proprietà, e sempre si manifesta»61

• Il linguaggio fonetico è dunque l'ambito

60 JACOB BOHME, De signatura rerum, Amsterdam 1682, p. 208. (Das ewige Wort oder Gottliche Hall oder Stimme welche ein Geist ist das hat sich in Formungen als in ein auB­gesprochen Wort oder Hall rnit der Gebiìhrung cles grossen Mysterii eingefiihret und wie das Freuden-spiel im Geiste der ewigen Gebahrung in sich selber ist also ist auch der W erck­zeug als die auBgesprochene Form in sich selber welches der lebendige Hall fi.ihret und rnit seinem eigenen ewigen Willen-geist schlliget da.B.es lautet und hallet gleich wie eine Orgel von vielen Stimmèn rnit einer einigen Lufft getrieben wird da.B eine jede Stimme ja eine jede Pfeiffe ihren Thon gibt].

"Ibid., pp. 5, 8 sgg. [Alles was von Gott geredet geschrieben oder gelehret wird oh­ne die Erkiintniill der Signatur, das ist stumm und ohne Verstand darm es kommt nur aus

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178 Il dramma barocco tedesco

della manifestazione libera, originaria della creatura, mentre la scrit­tura allegorica cattura le cose negli intrecci eccentrici del significa- · to. Questa lingua, che in Bohme è quella dei beati, nei versi del dramma barocco quella delle creature cadute, è considerata, in quan­to naturale, non dal punto di vista della sua espressione ma della sua genesi. «Intorno alle parole c'è questa antica controversia, se esse, in quanto segni esterni del nostro interno concetto siano per natu­ra o per elezione, naturali o arbitrarie, cp{loet o Woet: e per quanto . riguarda le parole nelle lingue principali, ciò viene attribuito dai dot­ti a un singolare effetto di natura»62

• Naturalmente tra le «lingue principali» primeggiava il «tedesco, lingua dei capi e degli eroi», co­me è definito per la prima volta nella Geschichtklitterung di Fi­schart del 1575. La sua derivazione diretta dall'ebraico era teoria diffusa, e nemmeno la piu radicale. Altri facevano addirittura ri­salire l'ebraico, il greco e il latino al tedesco. In Germania, dice Borinski, si «dimostrava storicamente, a partire dalla Bibbia, che in origine il mondo intero, e quindi anche l'antichità classica, era tedesco»6

'. Cosf da un lato si cercava di appro-priarsi delle cultu­re piu remote, dall'altro ci si preoccupava di mascherare l'artifi­ciosità di questo atteggiamento e di raggiungere una drastica ri­duzione della prospettiva storica. Tutto si trova esposto nello stes­so spazio senza atmosfera. Ma per quanto riguarda la riduzione dei fenomeni fonetici a uno stato linguistico originario, ne abbiamo due versioni, una spiritualistica e una naturalistica. La teoria di Bohme e la prassi della scuola di Norimberga rappresentano i due estremi. Ed entrambi trovano uno spunto ovviamente solo ogget­tivo nello Scaligero. Si tratta di un passo della Poetica decisamen­te curioso: «In A, latitudo. In I, longitudo. In E, profunditas. In O, coarctatio ... Multum potest ad animi suspensionem, quae in

einem historischen W ahn von einem andern Mund daran der Geist ohne Erkantniill stumm ist: So ihm aber der Geist die Signatur eroffnet so verstehet er des andern Mund und ver­steht ferner wie sich der Geist ... im Hall mi t der Stimme ha t offenbahret ... Dann an der iiusserlichen Gestaltniill aller Creaturen an ihrem Trieb und Begierde item, an ihrem auB­gehenden Hall Stimm oder Sprache kennet man den verborgegen Geist ... Ein jedes Ding hat seinen Mund zur Offenbahrung. Und das ist die Natur-sprache daraus jedes Ding aus seiner Eigenschafft redet und sich immer selber offenbahret].

62 KNESEBECK, Dreystiindige Sinnbilder cit., Kumer Vorbericht an den Teutschliebenden und geneigten Leser [Breve nota preliminare per il lettore amante del tedesco e ben dispo­sto], f. aa/bb. [Von der Wortern ist diese alte Streitfrage oh dieselbige (!) als iiusserliche Anzeigungen unsers inwendigen Sinnbegriffs weren von Natur oder Chur natiirlich oder willkUhrlich qruoeL oder itéoeL: Und wird von den Gelahrten was die Worter in den Haupt· spracheri betrifft dieses einer sonderbaren natiirlichen Wirckung zugeschrieben].

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. II, p. x8.

Allegoria e dramma barocco (n) 179

Vot~, .in Re~?ione: praesertim cum producitur, vt dij. etiam cum corripi~: PI~. Et ad tractum omnem denique designandum, Lit­tora, .~It~~· l:Ituus, I t! Ira, Mitis, Diues, Ciere, Dicere, Diripiunt ... DIJ, PIJ.' Itt: D;on sme manifestissima spiritus profectione. Li­tuus non s~e ~on~, quem significa t, s~tudine ... P, tamen quan­dam quaent fumttatem. Agnosco erum in Piget, pudet, poenitet, pax, pugna, pes, paruus, pono, pauor, piger, aliquam fictionem. Parce metu, c~nstantiam. quandam insinuat. Et Pastor plenius, quam Castor. sic Plenum Ipsum, et Purum Pasco et alia eiusmo­di. '!· v~o plurimum sese ostentat: Est enÌm lite;a sonitus expli­c~trtx, fit namque. SOt;J-US aut per S, aut per R, aut per T. Tuba, to­mn-_u, tundo. Sed m fme. t~etsi maximam verborum claudit apud Latinos par_tem, ta~en In 11~, qu~e sonum afferunt, affert ipsum quoque so~ no_n mm~s. Ru~It -~rum plus rumpit, quam Rumpo»64 •

Le speculaz10ru fonetiche di Bohme sono analoghe, anche se indi­pendenti dallo Scaligero. Egli sente la lingua delle creature «non come un regno delle parole ... ma risolta nelle voci e nei suoni»~. «La A era per lui la prima lettera, quella che esce dal cuore la I era il centro dell'amore supremo, la R, poiché "raspa crepita; stri­de", ha il carattere della sorgente del fuoco, la S er; per lui il fuo­co ~~ro~>66 • Si può avanzare un'ipotesi: l'evidenza che queste de­scnziOru possedevano allora era dovuta in parte alla vitalità dei dialetti, ancora in piena fioritura ovunque. I tentativi di norma­lizzazione intrapresi dalle Sprachgesellscha/ten si limitavano infat­ti al tedesco scritto. Sull'altro versante la lingua creaturale veniva descritta, naturalisticamente, come un prodotto onomatopeico. La poetic~ di Buchner ~ in questo senso esemplar~, ma non fa altro che sviluppare le tes1 del suo maestro Opitz67 • E vero che, secon­do Buchner, una vera e propria onomatopea non si addice alla di­gnità del dramma68

• Ma si può dire che proprio il pathos è il suo­no naru:ale. del dr.~mma barocco .. La scuola di Norimberga è quel­la che si spinge pm lontano. Klat afferma che «non vi è nessuna parola in tedesco la quale non esprima ciò che significa mediante una "particolare similitudine" »69

• Harsdorffer formula la stessa te-

: SCALIGERO, Poetices libri septem cit., pp. 478 e 481 (IV, 47). HANKAMER, Die Sprache ci t., p. I 59·

66 JOSEF NADLER, ~iteratu~schichte der Deutschen Stiimme und Landscha/ten, Regens­

burg61I9IJ, vol. II: DzeNeustiìmmevon.;;oo,dieAitstiimmevon z6oo-z78o, p. 78. . Cfr .. anche GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Schumchriftfur Die Teutsche Spracharbeit m Frauenzzmmer Gespriichspiele I, Niirnberg 1644, p. 12. '

68 Cfr. BORCHERDT, Augustus Buchner cit., pp. 84 sg. e 77, nota 2.

'"TITTMANN, Die Numberger Dichterschulecit., p. 228.

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della manifestazione libera, originaria della creatura, mentre la scrit­tura allegorica cattura le cose negli intrecci eccentrici del significa- · to. Questa lingua, che in Bohme è quella dei beati, nei versi del dramma barocco quella delle creature cadute, è considerata, in quan­to naturale, non dal punto di vista della sua espressione ma della sua genesi. «Intorno alle parole c'è questa antica controversia, se esse, in quanto segni esterni del nostro interno concetto siano per natu­ra o per elezione, naturali o arbitrarie, cp{loet o Woet: e per quanto . riguarda le parole nelle lingue principali, ciò viene attribuito dai dot­ti a un singolare effetto di natura»62

• Naturalmente tra le «lingue principali» primeggiava il «tedesco, lingua dei capi e degli eroi», co­me è definito per la prima volta nella Geschichtklitterung di Fi­schart del 1575. La sua derivazione diretta dall'ebraico era teoria diffusa, e nemmeno la piu radicale. Altri facevano addirittura ri­salire l'ebraico, il greco e il latino al tedesco. In Germania, dice Borinski, si «dimostrava storicamente, a partire dalla Bibbia, che in origine il mondo intero, e quindi anche l'antichità classica, era tedesco»6

'. Cosf da un lato si cercava di appro-priarsi delle cultu­re piu remote, dall'altro ci si preoccupava di mascherare l'artifi­ciosità di questo atteggiamento e di raggiungere una drastica ri­duzione della prospettiva storica. Tutto si trova esposto nello stes­so spazio senza atmosfera. Ma per quanto riguarda la riduzione dei fenomeni fonetici a uno stato linguistico originario, ne abbiamo due versioni, una spiritualistica e una naturalistica. La teoria di Bohme e la prassi della scuola di Norimberga rappresentano i due estremi. Ed entrambi trovano uno spunto ovviamente solo ogget­tivo nello Scaligero. Si tratta di un passo della Poetica decisamen­te curioso: «In A, latitudo. In I, longitudo. In E, profunditas. In O, coarctatio ... Multum potest ad animi suspensionem, quae in

einem historischen W ahn von einem andern Mund daran der Geist ohne Erkantniill stumm ist: So ihm aber der Geist die Signatur eroffnet so verstehet er des andern Mund und ver­steht ferner wie sich der Geist ... im Hall mi t der Stimme ha t offenbahret ... Dann an der iiusserlichen Gestaltniill aller Creaturen an ihrem Trieb und Begierde item, an ihrem auB­gehenden Hall Stimm oder Sprache kennet man den verborgegen Geist ... Ein jedes Ding hat seinen Mund zur Offenbahrung. Und das ist die Natur-sprache daraus jedes Ding aus seiner Eigenschafft redet und sich immer selber offenbahret].

62 KNESEBECK, Dreystiindige Sinnbilder cit., Kumer Vorbericht an den Teutschliebenden und geneigten Leser [Breve nota preliminare per il lettore amante del tedesco e ben dispo­sto], f. aa/bb. [Von der Wortern ist diese alte Streitfrage oh dieselbige (!) als iiusserliche Anzeigungen unsers inwendigen Sinnbegriffs weren von Natur oder Chur natiirlich oder willkUhrlich qruoeL oder itéoeL: Und wird von den Gelahrten was die Worter in den Haupt· spracheri betrifft dieses einer sonderbaren natiirlichen Wirckung zugeschrieben].

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. II, p. x8.

Allegoria e dramma barocco (n) 179

Vot~, .in Re~?ione: praesertim cum producitur, vt dij. etiam cum corripi~: PI~. Et ad tractum omnem denique designandum, Lit­tora, .~It~~· l:Ituus, I t! Ira, Mitis, Diues, Ciere, Dicere, Diripiunt ... DIJ, PIJ.' Itt: D;on sme manifestissima spiritus profectione. Li­tuus non s~e ~on~, quem significa t, s~tudine ... P, tamen quan­dam quaent fumttatem. Agnosco erum in Piget, pudet, poenitet, pax, pugna, pes, paruus, pono, pauor, piger, aliquam fictionem. Parce metu, c~nstantiam. quandam insinuat. Et Pastor plenius, quam Castor. sic Plenum Ipsum, et Purum Pasco et alia eiusmo­di. '!· v~o plurimum sese ostentat: Est enÌm lite;a sonitus expli­c~trtx, fit namque. SOt;J-US aut per S, aut per R, aut per T. Tuba, to­mn-_u, tundo. Sed m fme. t~etsi maximam verborum claudit apud Latinos par_tem, ta~en In 11~, qu~e sonum afferunt, affert ipsum quoque so~ no_n mm~s. Ru~It -~rum plus rumpit, quam Rumpo»64 •

Le speculaz10ru fonetiche di Bohme sono analoghe, anche se indi­pendenti dallo Scaligero. Egli sente la lingua delle creature «non come un regno delle parole ... ma risolta nelle voci e nei suoni»~. «La A era per lui la prima lettera, quella che esce dal cuore la I era il centro dell'amore supremo, la R, poiché "raspa crepita; stri­de", ha il carattere della sorgente del fuoco, la S er; per lui il fuo­co ~~ro~>66 • Si può avanzare un'ipotesi: l'evidenza che queste de­scnziOru possedevano allora era dovuta in parte alla vitalità dei dialetti, ancora in piena fioritura ovunque. I tentativi di norma­lizzazione intrapresi dalle Sprachgesellscha/ten si limitavano infat­ti al tedesco scritto. Sull'altro versante la lingua creaturale veniva descritta, naturalisticamente, come un prodotto onomatopeico. La poetic~ di Buchner ~ in questo senso esemplar~, ma non fa altro che sviluppare le tes1 del suo maestro Opitz67 • E vero che, secon­do Buchner, una vera e propria onomatopea non si addice alla di­gnità del dramma68

• Ma si può dire che proprio il pathos è il suo­no naru:ale. del dr.~mma barocco .. La scuola di Norimberga è quel­la che si spinge pm lontano. Klat afferma che «non vi è nessuna parola in tedesco la quale non esprima ciò che significa mediante una "particolare similitudine" »69

• Harsdorffer formula la stessa te-

: SCALIGERO, Poetices libri septem cit., pp. 478 e 481 (IV, 47). HANKAMER, Die Sprache ci t., p. I 59·

66 JOSEF NADLER, ~iteratu~schichte der Deutschen Stiimme und Landscha/ten, Regens­

burg61I9IJ, vol. II: DzeNeustiìmmevon.;;oo,dieAitstiimmevon z6oo-z78o, p. 78. . Cfr .. anche GEORG PHILIPP HARSDORFPER, Schumchriftfur Die Teutsche Spracharbeit m Frauenzzmmer Gespriichspiele I, Niirnberg 1644, p. 12. '

68 Cfr. BORCHERDT, Augustus Buchner cit., pp. 84 sg. e 77, nota 2.

'"TITTMANN, Die Numberger Dichterschulecit., p. 228.

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180 Il dramma barocco tedesco

si alla rovescia. «La natura parla in tutte le cose, che danno un suo­no di sé, la nostra lingua tedesca e perciò molti hanno voluto so­stenere che Adamo, il primo uomo, non poté chiamare gli uccelli e gli altri animali della terra se non con le nostre parole, poiché egli esprimeva in modo conforme alla natura ogni proprietà inna­ta e di per sé sonora; e non vi è perciò da meravigliarsi che le ra­dici della nostra lingua coincidano in massima parte con quelle del­la lingua sacra»70 • Di qui egli deduceva il compito della lirica te­desca, ossia «catturare questa lingua della natura in parole e in ritmi. Per lui come anche per Birken tale lirica era addirittura un compito religioso, perché è Dio che si manifesta ... nello stormire delle foreste e nel rombo dell'uragano»71

• Idee analoghe ritornano nello Sturm und Drang. «La lingua universale dei popoli è fatta di lacrime e sospiri; io comprendo anche l'inerme ottentotto, e, com'è vero che sono nato a Taranto, non sarò mai sordo con Dio ... La polvere ha una volontà, ecco il mio pensiero piu sublime verso il Creatore, e l'impulso onnipotente alla libertà mi appare anche nel contorcersi di una mosca»72

• Questa è la filosofia della creatura e del suo linguaggio, sciolta dal contesto dell'allegoria.

Far derivare il verso alessandrino del dramma barocco da quel­la rigorosa distinzione fra le due parti che spesso conduce a una vera antitesi, non è del tutto sufficiente. Non meno caratteristico è il contrasto fra la struttura logica - se si vuole: classicistica - del­la facciata e la sfrenatezza fonetica che regna al suo interno. Se è vero, per usare le parole di Omeis, che lo «stilus tragico ... è riem­pito di parole sontuose, altisonanti»7~. Se di fronte alle proporzio­ni colossali dell'architettura e della pittura barocca si è potuto par­lare, in entrambi i casi, di una «spazialità illusionistica»74

, la pit­toricità del verso alessandrino nel dramma barocco assolve la stessa funzione. La sentenza - per quanto l'azione a cui si riferisce pos-

70 HARSOORFFER, Schutzschrift for die deutsche Spracharbeit ci t., p. I 4· [Die Natur redet in allen Dingen welche ein Geton von sich geben unsere Teutsche Sprache und daher ha­ben etliche wiihnen wollen der erste Mensch Adam habe das Gefliigel und alle Thier auf Erden nicht anderst als mit unseren Worten nennen konnen weil er jedes eingeborene selb­stlautende Eigenschafft Naturmiillig ausgedruket; und ist sich deswegen nicht zu verwun­dern daE unsere Stammworter meisten Theils mit der heiligen Sprache gleichstimmig sindJ.

71 STRICH,.Der lyrische Stil des siebzehnten Jahrhunderts cit., pp. 45 sgg. 72 LEISEWITZ, Siimmtliche Schriften cit., pp. 45 sgg. (Julius von Tarent, II, 5). " MAGNUS DANIEL OMEIS, Griindliche Anleitung zur Teutschen accuraten Reim- und Di­

chtkunst, Niirnberg 1704; cit. in POPP, Uber den Begriff des Dramas in den deutschen Poe­tiken des I7.]ahrhunderts ci t., p. 45·

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 190.

Allegoria e dramma barocco (rr)

sa irrigidirsi nell'immobilità- deve dare almeno l'illusione del mo­vimento, e in ciò consiste una necessità tecnica del pathos. La for­za peculiare che inerisce alle sentenze, come ai versi in genere è messa in evidenza da Harsdorffer. «Perché questi drammi ven~o­no scritti perlopiu in metri obbligati? Risposta: perché gli animi siano violentemente commossi,. è d'uso per i drammi e per lè fa­vole pastorali l'edificio delle rime, il quale costringe come una tromba la parola e la voce, cosf da accrescerne l' efficacia»7

'. E poi­ché la sentenza, che si attacca spesso non liberamente al reperto­rio di immagini, porta spesso il pensiero su binari remoti tanto piu notevole diventa l'elemento fonetico. Era inevitabile ~he an­che l'analisi stilistica dell'alessandrino soggiacesse all'errore co­mune della vecchia filologia, quello cioè di scambiare spunti e sug­gestioni classiche per indizi decisivi della sua essenza. Tipica - e senz' altro condivisibile nella sua prima parte - è la seguente os­servazione del lavoro di Werner Richter, Liebeskamp/z63o und Schaubiihne z67o [Tenzone d'amore I63o e scena teatrale .I67o]: «Il valore artistico peculiare dei grandi drammaturghi del xvrr se­colo è strettamente connesso all'originalità creativa del loro stile verbale. Assai piu della caratterizzazione dei personaggi o della forma compositiva ... ciò che contraddistingue la tragedia del xvrr secolo è quanto essa riesce ad ottenere con i suoi artifici retorici, che in ultima istanza risalgono sempre all'antichità. Ma la conci­sione immaginosa e la complessità dei periodi e delle figure stili­stiche non solo ripugnava alla memoria degli attori, ma erano co­sf radic~te nel mondo formale, del tutto eterogeneo, dell' ~ntichità, che la dtstanza dalla lingua popolare risultava infinita ... E un pec­cato non ... possedere documenti che ci illustrino le reazioni del­lo spettatore comune»76

• Se anche il linguaggio di questi drammi fosse stato accessibile solo a un pubblico erudito, gli illetterati po­tevano sempre divertirsi con le pantomime. Ma la ridondanza cor­rispondeva agli impulsi espressivi dell'epoca, e questi impulsi so­no in genere senza paragone piu forti della partecipazione intel­lettuale a una trama comprensibile fin nei dettagli. I gesuiti, che

'' H.AR~DORFFER, Poetischer Trichter cit., 2, pp. 78 sg. [Warum solche Spiele mei­stentheils m gebundner Rede geschrieben werden? Antwort: weil die Gemiither eiffe­rigst sollen bewegt werden ist zu den Trauer- und Hirtenspielen das Reimgebiiud briiuch­lich welches gleich einer Trompeten die Wort und Stimme einzwenget daE sie so viel gros· sern Nachdruk haben].

76 WERNER RICHTER, Liebeskamp/ r6 30 und Schaubiihne r67o. Ein Beitrag zur deutschen Theatergeschichte des .siebzehnten Jahrhunderts, Berlin 19Io, pp. 170 sgg.

Page 216: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

180 Il dramma barocco tedesco

si alla rovescia. «La natura parla in tutte le cose, che danno un suo­no di sé, la nostra lingua tedesca e perciò molti hanno voluto so­stenere che Adamo, il primo uomo, non poté chiamare gli uccelli e gli altri animali della terra se non con le nostre parole, poiché egli esprimeva in modo conforme alla natura ogni proprietà inna­ta e di per sé sonora; e non vi è perciò da meravigliarsi che le ra­dici della nostra lingua coincidano in massima parte con quelle del­la lingua sacra»70 • Di qui egli deduceva il compito della lirica te­desca, ossia «catturare questa lingua della natura in parole e in ritmi. Per lui come anche per Birken tale lirica era addirittura un compito religioso, perché è Dio che si manifesta ... nello stormire delle foreste e nel rombo dell'uragano»71

• Idee analoghe ritornano nello Sturm und Drang. «La lingua universale dei popoli è fatta di lacrime e sospiri; io comprendo anche l'inerme ottentotto, e, com'è vero che sono nato a Taranto, non sarò mai sordo con Dio ... La polvere ha una volontà, ecco il mio pensiero piu sublime verso il Creatore, e l'impulso onnipotente alla libertà mi appare anche nel contorcersi di una mosca»72

• Questa è la filosofia della creatura e del suo linguaggio, sciolta dal contesto dell'allegoria.

Far derivare il verso alessandrino del dramma barocco da quel­la rigorosa distinzione fra le due parti che spesso conduce a una vera antitesi, non è del tutto sufficiente. Non meno caratteristico è il contrasto fra la struttura logica - se si vuole: classicistica - del­la facciata e la sfrenatezza fonetica che regna al suo interno. Se è vero, per usare le parole di Omeis, che lo «stilus tragico ... è riem­pito di parole sontuose, altisonanti»7~. Se di fronte alle proporzio­ni colossali dell'architettura e della pittura barocca si è potuto par­lare, in entrambi i casi, di una «spazialità illusionistica»74

, la pit­toricità del verso alessandrino nel dramma barocco assolve la stessa funzione. La sentenza - per quanto l'azione a cui si riferisce pos-

70 HARSOORFFER, Schutzschrift for die deutsche Spracharbeit ci t., p. I 4· [Die Natur redet in allen Dingen welche ein Geton von sich geben unsere Teutsche Sprache und daher ha­ben etliche wiihnen wollen der erste Mensch Adam habe das Gefliigel und alle Thier auf Erden nicht anderst als mit unseren Worten nennen konnen weil er jedes eingeborene selb­stlautende Eigenschafft Naturmiillig ausgedruket; und ist sich deswegen nicht zu verwun­dern daE unsere Stammworter meisten Theils mit der heiligen Sprache gleichstimmig sindJ.

71 STRICH,.Der lyrische Stil des siebzehnten Jahrhunderts cit., pp. 45 sgg. 72 LEISEWITZ, Siimmtliche Schriften cit., pp. 45 sgg. (Julius von Tarent, II, 5). " MAGNUS DANIEL OMEIS, Griindliche Anleitung zur Teutschen accuraten Reim- und Di­

chtkunst, Niirnberg 1704; cit. in POPP, Uber den Begriff des Dramas in den deutschen Poe­tiken des I7.]ahrhunderts ci t., p. 45·

"BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 190.

Allegoria e dramma barocco (rr)

sa irrigidirsi nell'immobilità- deve dare almeno l'illusione del mo­vimento, e in ciò consiste una necessità tecnica del pathos. La for­za peculiare che inerisce alle sentenze, come ai versi in genere è messa in evidenza da Harsdorffer. «Perché questi drammi ven~o­no scritti perlopiu in metri obbligati? Risposta: perché gli animi siano violentemente commossi,. è d'uso per i drammi e per lè fa­vole pastorali l'edificio delle rime, il quale costringe come una tromba la parola e la voce, cosf da accrescerne l' efficacia»7

'. E poi­ché la sentenza, che si attacca spesso non liberamente al reperto­rio di immagini, porta spesso il pensiero su binari remoti tanto piu notevole diventa l'elemento fonetico. Era inevitabile ~he an­che l'analisi stilistica dell'alessandrino soggiacesse all'errore co­mune della vecchia filologia, quello cioè di scambiare spunti e sug­gestioni classiche per indizi decisivi della sua essenza. Tipica - e senz' altro condivisibile nella sua prima parte - è la seguente os­servazione del lavoro di Werner Richter, Liebeskamp/z63o und Schaubiihne z67o [Tenzone d'amore I63o e scena teatrale .I67o]: «Il valore artistico peculiare dei grandi drammaturghi del xvrr se­colo è strettamente connesso all'originalità creativa del loro stile verbale. Assai piu della caratterizzazione dei personaggi o della forma compositiva ... ciò che contraddistingue la tragedia del xvrr secolo è quanto essa riesce ad ottenere con i suoi artifici retorici, che in ultima istanza risalgono sempre all'antichità. Ma la conci­sione immaginosa e la complessità dei periodi e delle figure stili­stiche non solo ripugnava alla memoria degli attori, ma erano co­sf radic~te nel mondo formale, del tutto eterogeneo, dell' ~ntichità, che la dtstanza dalla lingua popolare risultava infinita ... E un pec­cato non ... possedere documenti che ci illustrino le reazioni del­lo spettatore comune»76

• Se anche il linguaggio di questi drammi fosse stato accessibile solo a un pubblico erudito, gli illetterati po­tevano sempre divertirsi con le pantomime. Ma la ridondanza cor­rispondeva agli impulsi espressivi dell'epoca, e questi impulsi so­no in genere senza paragone piu forti della partecipazione intel­lettuale a una trama comprensibile fin nei dettagli. I gesuiti, che

'' H.AR~DORFFER, Poetischer Trichter cit., 2, pp. 78 sg. [Warum solche Spiele mei­stentheils m gebundner Rede geschrieben werden? Antwort: weil die Gemiither eiffe­rigst sollen bewegt werden ist zu den Trauer- und Hirtenspielen das Reimgebiiud briiuch­lich welches gleich einer Trompeten die Wort und Stimme einzwenget daE sie so viel gros· sern Nachdruk haben].

76 WERNER RICHTER, Liebeskamp/ r6 30 und Schaubiihne r67o. Ein Beitrag zur deutschen Theatergeschichte des .siebzehnten Jahrhunderts, Berlin 19Io, pp. 170 sgg.

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n dramma barocco tedesco

di pubblico s'intendevano pi~ di chiuJ?-qu7 alt~o, ~on ~i :i~~7lgeva: no certo con i loro spettacoli a un uditono dt soli laumsu . Essi potevano attenersi all'antica verità: l'efficacia di una tesi dipende cosf poco dalla sua trasparenza, che può anzi risultare accresciuta dalla sua oscurità.

I principi linguistici e le consuetudini di questi poeti :ne~tono in luce un motivo fondamentale della conceztone allegorica m un punto senz' altro sorprendente. Negli anagrammi, nelle espressio­ni onomatopeiche e in molti altri artifici retorici di altro genere l~ parola, la sillaba e il suono insuperbiscono,_si emancipano da ogm contesto di senso, come pura cosa sfruttabile allegoncamente. La lingua barocca è continuamente scossa dalle ribellioni dei su~i ele­menti. E il passo seguente, tratto dal dramma su Erode di Cal­der6n, è solo in apparenza - in virru della sua ~te - superio:e ~ molti passi affini, soprattutto di G~yp~us. Maria~a, la_ ~oglie_ di Erode, scorge per caso i frammenti dt una lettera m cm ~ marito ordina di ucciderla, ove lui dovesse morire, allo scopo di proteg­gere il suo onore minacciato. Mari~na raccoglie_ i framt?enti _ca: duti per terra e cerca di spiegarsene il contenuto m alcum verst di grande pregnanza espressiva.

Dice a parte de esta suerte: «muerte» es la primera palabra que he topado; «honor» contiene esta; «Mari'ene» aqui se escribe; Cielos, valedme! Que dicen mucho en tres veces, Mari'ene, honor y muerte ... Mas que dudo? Ya me advertien los dobleces del papel, adonde estan los dobleces, llamandose unos a otros78

Le parole per quanto isolate, risultano fatali. Si è anzi tentati di dire: prop~io il fatto che quelle parole, cosf isolate, continuino a significare qualcosa, conferisce alloro significato residuo un che

n Cfr. FLEMMING, Geschichte des Jesuitentheaters cit., pp. 270 sgg. . 78 CALDERON Obras Completas, cit. (El mayor monstruo, II), p. 478. [(La lettera) dice

qualcosa del gen~e: l «morte» è la prima pasola l in cui mi sono imbattuta; e qui l c'è scrit­to «onore»; qui invece c'è scritto l «Marianna». Cielo, ai_utami!. l G~~c~é molto è ~etto in tre pasole: l Marianna, onore e morte .. ; l E ancora dubito? G1à. tru md1cano Ile p1eghe della lettera, l chiamandosi l'una con l'altra, l dove stanno le doppiezze).

Allegoria e dramma barocco (n)

di minaccioso. La lingua viene spezzata in modo tale da ~ssumere nei suoi frammenti un'espressione diversa e piu intensa. E stato il Barocco a introdurre l'uso della maiuscola nell'ortografiatedesca. Ora, ciò non deriva solo da una ricerca di solennità, ma anche dal principio frammentante, dissociante, proprio della visione allego­rica. Non c'è dubbio che molte parole scritte con l'iniziale maiu­scola avessero all'inizio, per il lettore, un'impronta allegorica. La lingua cosf frammentata abdica alla pura funzione comunicativa per innalzare quei frammenti, come oggetti nati a una nuova vita, alla dignità di figure allegoriche, accanto agli Dèi, ai Fiumi, alle Virru e via dicendo. Tutto ciò è particolarmente drastico, come si diceva, nel giovane Gryphius. E se il passo incomparabile di Cal­der6n non trova equivalenti nell'opera del tedesco, l'energia di An­dreas Gryphius non sfigura accanto all'eleganza dello spagnolo. È infatti sorprendente la sua arte di mettere a confronto i personaggi come fossero frammenti di un unico discorso. Cosi nella seconda parte del Leo Armenius:

LEO Di.B hauB wird stehn, dafern des hauses feinde fallen. THEODOSIA W o nicht ihr fall verletzt, die dieses hauB umwallen. LEO Umwallen mit dem schwerdt. THEODOSIA Mit dem'sie uns beschiitzt. LEO Das sie auf uns gezuckt. THEonosiA Die unsern stuhl gestiitze9.

Là dove il dialogo si fa duro e serrato, questi frammenti di­scorsivi tendono ad accumularsi con particolare insistenza. Essi so­no in Gryphius piu frequenti che negli autori piu tardi80

, e insie­me ai bruschi laconismi si adattano bene al quadro stilistico com­plessivo dei suoi drammi: poiché gli uni come gli altri suscitano l'impressione dello spezzato e del caotico. Se questa tecnica si pre­sta con felicità all'espressione delle emozioni teatrali, essa non è affatto limitata al dramma. Nella seguente affermazione di Schie­bella troviamo ad esempio come principio dell'oratoria pastorale: «Ancora oggi talvolta un cristiano devoto riceve una gocciolina di consolazi<1ne (anche solo una parolina da un cantico spirituale o da una predica edificante), e la trangugia (per cosf dire) con tale a p-

19 GRYPmus, Trauerspiele cit., p. 62 (Leo Armenius, II, 455 sgg.). [Leone: Questa casa stasà in piedi, purché cadano i nemici della casa. l Teodosia: Purché la loro caduta non col­pisca coloro che questa casa circondano. l Leone: La circondano con la spada. l Teodosia: Con cui ci hanno protetto. l Leone: Che hanno vibrato contro di noi. l Teodosia: Loro che proteggevano il nostro seggio].

"'Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 261.

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n dramma barocco tedesco

di pubblico s'intendevano pi~ di chiuJ?-qu7 alt~o, ~on ~i :i~~7lgeva: no certo con i loro spettacoli a un uditono dt soli laumsu . Essi potevano attenersi all'antica verità: l'efficacia di una tesi dipende cosf poco dalla sua trasparenza, che può anzi risultare accresciuta dalla sua oscurità.

I principi linguistici e le consuetudini di questi poeti :ne~tono in luce un motivo fondamentale della conceztone allegorica m un punto senz' altro sorprendente. Negli anagrammi, nelle espressio­ni onomatopeiche e in molti altri artifici retorici di altro genere l~ parola, la sillaba e il suono insuperbiscono,_si emancipano da ogm contesto di senso, come pura cosa sfruttabile allegoncamente. La lingua barocca è continuamente scossa dalle ribellioni dei su~i ele­menti. E il passo seguente, tratto dal dramma su Erode di Cal­der6n, è solo in apparenza - in virru della sua ~te - superio:e ~ molti passi affini, soprattutto di G~yp~us. Maria~a, la_ ~oglie_ di Erode, scorge per caso i frammenti dt una lettera m cm ~ marito ordina di ucciderla, ove lui dovesse morire, allo scopo di proteg­gere il suo onore minacciato. Mari~na raccoglie_ i framt?enti _ca: duti per terra e cerca di spiegarsene il contenuto m alcum verst di grande pregnanza espressiva.

Dice a parte de esta suerte: «muerte» es la primera palabra que he topado; «honor» contiene esta; «Mari'ene» aqui se escribe; Cielos, valedme! Que dicen mucho en tres veces, Mari'ene, honor y muerte ... Mas que dudo? Ya me advertien los dobleces del papel, adonde estan los dobleces, llamandose unos a otros78

Le parole per quanto isolate, risultano fatali. Si è anzi tentati di dire: prop~io il fatto che quelle parole, cosf isolate, continuino a significare qualcosa, conferisce alloro significato residuo un che

n Cfr. FLEMMING, Geschichte des Jesuitentheaters cit., pp. 270 sgg. . 78 CALDERON Obras Completas, cit. (El mayor monstruo, II), p. 478. [(La lettera) dice

qualcosa del gen~e: l «morte» è la prima pasola l in cui mi sono imbattuta; e qui l c'è scrit­to «onore»; qui invece c'è scritto l «Marianna». Cielo, ai_utami!. l G~~c~é molto è ~etto in tre pasole: l Marianna, onore e morte .. ; l E ancora dubito? G1à. tru md1cano Ile p1eghe della lettera, l chiamandosi l'una con l'altra, l dove stanno le doppiezze).

Allegoria e dramma barocco (n)

di minaccioso. La lingua viene spezzata in modo tale da ~ssumere nei suoi frammenti un'espressione diversa e piu intensa. E stato il Barocco a introdurre l'uso della maiuscola nell'ortografiatedesca. Ora, ciò non deriva solo da una ricerca di solennità, ma anche dal principio frammentante, dissociante, proprio della visione allego­rica. Non c'è dubbio che molte parole scritte con l'iniziale maiu­scola avessero all'inizio, per il lettore, un'impronta allegorica. La lingua cosf frammentata abdica alla pura funzione comunicativa per innalzare quei frammenti, come oggetti nati a una nuova vita, alla dignità di figure allegoriche, accanto agli Dèi, ai Fiumi, alle Virru e via dicendo. Tutto ciò è particolarmente drastico, come si diceva, nel giovane Gryphius. E se il passo incomparabile di Cal­der6n non trova equivalenti nell'opera del tedesco, l'energia di An­dreas Gryphius non sfigura accanto all'eleganza dello spagnolo. È infatti sorprendente la sua arte di mettere a confronto i personaggi come fossero frammenti di un unico discorso. Cosi nella seconda parte del Leo Armenius:

LEO Di.B hauB wird stehn, dafern des hauses feinde fallen. THEODOSIA W o nicht ihr fall verletzt, die dieses hauB umwallen. LEO Umwallen mit dem schwerdt. THEODOSIA Mit dem'sie uns beschiitzt. LEO Das sie auf uns gezuckt. THEonosiA Die unsern stuhl gestiitze9.

Là dove il dialogo si fa duro e serrato, questi frammenti di­scorsivi tendono ad accumularsi con particolare insistenza. Essi so­no in Gryphius piu frequenti che negli autori piu tardi80

, e insie­me ai bruschi laconismi si adattano bene al quadro stilistico com­plessivo dei suoi drammi: poiché gli uni come gli altri suscitano l'impressione dello spezzato e del caotico. Se questa tecnica si pre­sta con felicità all'espressione delle emozioni teatrali, essa non è affatto limitata al dramma. Nella seguente affermazione di Schie­bella troviamo ad esempio come principio dell'oratoria pastorale: «Ancora oggi talvolta un cristiano devoto riceve una gocciolina di consolazi<1ne (anche solo una parolina da un cantico spirituale o da una predica edificante), e la trangugia (per cosf dire) con tale a p-

19 GRYPmus, Trauerspiele cit., p. 62 (Leo Armenius, II, 455 sgg.). [Leone: Questa casa stasà in piedi, purché cadano i nemici della casa. l Teodosia: Purché la loro caduta non col­pisca coloro che questa casa circondano. l Leone: La circondano con la spada. l Teodosia: Con cui ci hanno protetto. l Leone: Che hanno vibrato contro di noi. l Teodosia: Loro che proteggevano il nostro seggio].

"'Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 261.

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1 84 Il dramma baxocco tedesco

petito che essa lo tocca intimament.e ~ dà frutto, e lo ri~to.r~ in t~­le misura che egli deve ammettere v1 sia sotto qualcosa di divmo» . Non a caso questa figura retorica affida la ricezione delle parole, per cosi dire, al senso del gusto. L'elemento vocale è e resta ~er il Barocco puramente sensibile; il significato è di casa nella s~ri~tu­ra. E la parola sonora è visitata da esso come da una malattia me­vitabile: eccola allora interrompersi nel suo fluire, il sentimento pronto a sgorgare si blocca ed evoca il lutto. Il significato si pre­senta qui, e si presenterà ancora in seguito, come il fondamento della tristezza. Ma l'antitesi fra suono e significato raggiungereb­be il suo estremo ave riuscisse a produrli entrambi con un solo ge­sto senza fonderli peraltro in un tutto organico. Questo problema teo~ico è risolto da una scena che spicca come il pezzo forte di una Haupt- und Staatsaktion viennese, per il resto priva di interesse. Nella Glorreiche Marter ]oannes von Nepomuck, la scena quattor­dicesima del primo atto mostra uno degli intriganti (Zytho) nell'at­to di fare eco ai discorsi mitologici della sua vittima (Quido), ma rispondendo a quei discorsi con presagi di morte82

• Il rovesciarsi della pura sonorità del linguaggio creaturale nell'ironia gravida di significato che risuona dalla bocca dell'intrig~nte la dice lunga sul rapporto fra questo ruolo e il linguaggio. L'int:igante è~ sign~re dei significati: questi inter~ompono il fluss? mnocu~ d1. u,f! liz:­guaggio nàturale onomatope1co per generare il lutto, di cu1l mtr.I­gante è colpevole insieme ad essi. Ora, se è pro~ri~ l'eco, os~Ia l'ambito del puro gioco sonoro, ad essere per cosi dire aggredita dal significato, ciò dovrà valere come una dimostrazione della sen­sibilità linguistica propria dell'epoca. A tale scopo era anche pre­vista una forma retorica precisa. «Un procedimento molto "am­modo" e molto gradito è l'eco, che ripete le ultime due o tre silla­be di una strofa, spesso !asciandone cadere una lettera; in modo tale da suonare come risposta, monito o profezia»83

• Questo gioco, e gli altri affini, che venivano presi cosi facilm~t;te per e.soti~~· parla dunque il linguaggio della cosa stessa. Qm il gesto lingmstl-

"sCHIEBEL Neuerbauter Schausaal cit., p. 358. [Noch heutiges Tages bekommt manchmal ein ~dachtiger Christ ein Tropfflein Trostes (auch wohl ein Wortgen nur aus einem geistreichen Liede oder erbaulichen Predigt) das schlingt er (gleichsam) so appeti­tlich hinunter daB es ihm wohl gedeyet inniglich afficiret und dermassen erquicket daB er bekennen muB es stecke was Gottliches darunter].

82 Cfr. Die Glorreiche Marter Joannes von Nepomuck; cit. in WEISS, Die Wiener Haupt­uiul Staatsactionen cit., pp. 148 sgg.

" [Passo non reperibile in TITTMANN, Die Niimberger Dichterschule cit.].

Allegoria e dramma baxocco (n) 185

co della ridondanza è cosi poco smentito che essi anzi potrebbero illustrarne la formula. Il linguaggio, che da una parte cerca di far valere i suoi diritti nella pienezza della sonorità creaturale, dall'al­tro, nella fuga degli alessandrini, si vede legato a una logicità for­zata. Questa è la legge stilistica della ridondanza, la formula delle «parole asiatiche»84 dei drammi barocchi. Il gesto che cerca cosf di incorporarsi il significato fa tutt'uno con la violenta deformazio­ne della storia. Assumere, nel linguaggio come nella vita, la sola ti­pologia del movimento creaturale, e nondimeno esprimere l'inte­ra tradizione culturale che va dal mondo classico all'Europa cri­stiana: ecco l'idea straordinaria che anche nel dramma barocco non si è mai rinnegata. Il suo modo di esprimersi, estremamente arti­ficioso, poggia dunque sulla stessa nostalgia estrema per la natura che è propria del dramma pastorale. D'altra parte, questo stesso modo di esprimersi che si limita a rappresentare - a rappresenta­re la natura del linguaggio-, e che evita per quanto possibile la co­municazione profana, è cortese, elevato. Di un vero superamento del Barocco, di una conciliazione fra suono e significato, non si può parlare forse prima di Klopstock, grazie a quella che A. W. Schlegel ha chiamato la tendenza «grammaticale» delle sue odi. La sua ridondanza si basa assai meno sul suono e sull'immagine che sulla composizione, sulla posizione delle parole.

La tensione fonetica che si riscontra nella lingua del xvn secolo por­ta direttamente alla musica come controparte del discorso significati­vo. Se è vero che tutte le radici del dramma barocco si intrecciano con quelle del dramma pastorale, ciò avviene anche in questo caso. Quell'elemento che nel dramma barocco si insedia fin dall'inizio nel­la forma danzante del Reyen, e poi sempre piu in quella del coro par­lato in stile oratorio, nel dramma pastorale appare senz' altro come ope­ristico. La «passione per l'organico»8

', di cui si è parlato da tempo a proposito del Barocco figurativo, non è cosi facile da circoscrivere in ambito poetico. E va comunque sottolineato che, con quella formula­zione, non si deve pensare tanto alla fortna esterna, quanto all'intima e segreta strutturazione dell'organico. E da questo interno che pro­viene la voce, e, a ben guardare, sta proprio in suo potere, se si vuole, il momento organico della poesia, come si può studiarlo soprattutto in Hallmann, negli episodi in stile oratoriale. Egli scrive:

84 HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspie/e cit., p. I. "HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 14.

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1 84 Il dramma baxocco tedesco

petito che essa lo tocca intimament.e ~ dà frutto, e lo ri~to.r~ in t~­le misura che egli deve ammettere v1 sia sotto qualcosa di divmo» . Non a caso questa figura retorica affida la ricezione delle parole, per cosi dire, al senso del gusto. L'elemento vocale è e resta ~er il Barocco puramente sensibile; il significato è di casa nella s~ri~tu­ra. E la parola sonora è visitata da esso come da una malattia me­vitabile: eccola allora interrompersi nel suo fluire, il sentimento pronto a sgorgare si blocca ed evoca il lutto. Il significato si pre­senta qui, e si presenterà ancora in seguito, come il fondamento della tristezza. Ma l'antitesi fra suono e significato raggiungereb­be il suo estremo ave riuscisse a produrli entrambi con un solo ge­sto senza fonderli peraltro in un tutto organico. Questo problema teo~ico è risolto da una scena che spicca come il pezzo forte di una Haupt- und Staatsaktion viennese, per il resto priva di interesse. Nella Glorreiche Marter ]oannes von Nepomuck, la scena quattor­dicesima del primo atto mostra uno degli intriganti (Zytho) nell'at­to di fare eco ai discorsi mitologici della sua vittima (Quido), ma rispondendo a quei discorsi con presagi di morte82

• Il rovesciarsi della pura sonorità del linguaggio creaturale nell'ironia gravida di significato che risuona dalla bocca dell'intrig~nte la dice lunga sul rapporto fra questo ruolo e il linguaggio. L'int:igante è~ sign~re dei significati: questi inter~ompono il fluss? mnocu~ d1. u,f! liz:­guaggio nàturale onomatope1co per generare il lutto, di cu1l mtr.I­gante è colpevole insieme ad essi. Ora, se è pro~ri~ l'eco, os~Ia l'ambito del puro gioco sonoro, ad essere per cosi dire aggredita dal significato, ciò dovrà valere come una dimostrazione della sen­sibilità linguistica propria dell'epoca. A tale scopo era anche pre­vista una forma retorica precisa. «Un procedimento molto "am­modo" e molto gradito è l'eco, che ripete le ultime due o tre silla­be di una strofa, spesso !asciandone cadere una lettera; in modo tale da suonare come risposta, monito o profezia»83

• Questo gioco, e gli altri affini, che venivano presi cosi facilm~t;te per e.soti~~· parla dunque il linguaggio della cosa stessa. Qm il gesto lingmstl-

"sCHIEBEL Neuerbauter Schausaal cit., p. 358. [Noch heutiges Tages bekommt manchmal ein ~dachtiger Christ ein Tropfflein Trostes (auch wohl ein Wortgen nur aus einem geistreichen Liede oder erbaulichen Predigt) das schlingt er (gleichsam) so appeti­tlich hinunter daB es ihm wohl gedeyet inniglich afficiret und dermassen erquicket daB er bekennen muB es stecke was Gottliches darunter].

82 Cfr. Die Glorreiche Marter Joannes von Nepomuck; cit. in WEISS, Die Wiener Haupt­uiul Staatsactionen cit., pp. 148 sgg.

" [Passo non reperibile in TITTMANN, Die Niimberger Dichterschule cit.].

Allegoria e dramma baxocco (n) 185

co della ridondanza è cosi poco smentito che essi anzi potrebbero illustrarne la formula. Il linguaggio, che da una parte cerca di far valere i suoi diritti nella pienezza della sonorità creaturale, dall'al­tro, nella fuga degli alessandrini, si vede legato a una logicità for­zata. Questa è la legge stilistica della ridondanza, la formula delle «parole asiatiche»84 dei drammi barocchi. Il gesto che cerca cosf di incorporarsi il significato fa tutt'uno con la violenta deformazio­ne della storia. Assumere, nel linguaggio come nella vita, la sola ti­pologia del movimento creaturale, e nondimeno esprimere l'inte­ra tradizione culturale che va dal mondo classico all'Europa cri­stiana: ecco l'idea straordinaria che anche nel dramma barocco non si è mai rinnegata. Il suo modo di esprimersi, estremamente arti­ficioso, poggia dunque sulla stessa nostalgia estrema per la natura che è propria del dramma pastorale. D'altra parte, questo stesso modo di esprimersi che si limita a rappresentare - a rappresenta­re la natura del linguaggio-, e che evita per quanto possibile la co­municazione profana, è cortese, elevato. Di un vero superamento del Barocco, di una conciliazione fra suono e significato, non si può parlare forse prima di Klopstock, grazie a quella che A. W. Schlegel ha chiamato la tendenza «grammaticale» delle sue odi. La sua ridondanza si basa assai meno sul suono e sull'immagine che sulla composizione, sulla posizione delle parole.

La tensione fonetica che si riscontra nella lingua del xvn secolo por­ta direttamente alla musica come controparte del discorso significati­vo. Se è vero che tutte le radici del dramma barocco si intrecciano con quelle del dramma pastorale, ciò avviene anche in questo caso. Quell'elemento che nel dramma barocco si insedia fin dall'inizio nel­la forma danzante del Reyen, e poi sempre piu in quella del coro par­lato in stile oratorio, nel dramma pastorale appare senz' altro come ope­ristico. La «passione per l'organico»8

', di cui si è parlato da tempo a proposito del Barocco figurativo, non è cosi facile da circoscrivere in ambito poetico. E va comunque sottolineato che, con quella formula­zione, non si deve pensare tanto alla fortna esterna, quanto all'intima e segreta strutturazione dell'organico. E da questo interno che pro­viene la voce, e, a ben guardare, sta proprio in suo potere, se si vuole, il momento organico della poesia, come si può studiarlo soprattutto in Hallmann, negli episodi in stile oratoriale. Egli scrive:

84 HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schiiferspie/e cit., p. I. "HAUSENSTEIN, Vom Geist des Barock cit., p. 14.

Page 221: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

x86 Il dramma barocco tedesco

PALLADIUS Der zuckersiisse Tantz ist Gottern selbst geweiht! ANTONIUS Der zuckersiisse Tantz verzuckert alles Leid! SVETONIUS Der zuckersiisse Tantz beweget Stein' und Eisen! JULIANUS Der zuckersiisse Tantz muB Plato selber preisen! SEPTITIUS Der zuckersiisse Tantz besieget alle Lust! HONORIUS Der zuckersiisse Tantz erquicket Seel' und Brust

86!

Per ragioni stilistiche si dovrà supporre che questi passi venis­sero recitati in coro"'. Cosi Flemming può dire di Gryphius: «Non ci si poteva aspettare troppo dalle parti secondarie. yer~iò egli le f~ parlare poco, preferisce raccoglierle nel coro, e c~s1 otttene effett~ artistici importanti che non avrebbe potuto raggtungere con partl singole di tipo naturalistico. Cosi l' arti~ta p~ga .a v.an~~gi? d~~· ef: fetto artistico i vincoli posti dal matenale» . St penst al gmdict, al

congiurati e alle comparse del Leo Armeniu~, ai co~igi~ni ~ella Catharina, alle vergini della Julia. Andava tnoltre m direz~one dell'opera l'ouverture musicale, che !?recedeva l? ~pettacolo fra 1 g~­suiti e i protestanti. Anche gli insertl coreograftct, come pure lo stt­le «coreografico» (in senso piu profondo) degli intrighi, non sono estranei a questo sviluppo, che ali~ fine. del secolo porter~ il.dr~­ma a risolversi nell'opera. I nesst a cw queste osservaz10ru st rt­chiamano sono stati sviluppati da Nietzsche nella Nascita della tr~­gedia. La sua preoccupazione era di contrapporre adeguatamente il Gesamtkunstwerk wagneriano all'opera giocosa quale si era andata preparando nel Barocco. Egli le dichiara guerra col. rifiuto del re: citativo. E cosi egli appoggia quella forma che cornspondeva cos1 profondamente a una tendenza alla moda, q~ella di ridar vit~ al suono originario della creatura. «Era consentito abbandonarsi al sogno di un ritorno agli esordi paradisiaci dell:umanit~, nei qu~ anche la musica fosse necessariamente dotata di quella msuperabt­le purezza e potenza e innocenza, di cui i poeti sapevano parlare in modo cosi commovente nei loro poemi pastorali ... Il recitativo si­gnificava appunto il rinvenimento del linguaggio di quell'uomo pri-

.. HAU.MANN Trauer- Freuden· und Schliferspiele cit. (Sophìa, p. 70 [IV, 18.5 sgg.]; cfr. p. 4 [l, xo8 sgg.]J. [Pallacllo: La danza dolce co~e zuc0exo è consacrata.agli stessi Dèi! l Antonio: La danza dolce come zucchero addolcisce ogru dolore! l Svetomo: La danza dol· ce come zucchero muove la pietra e il fexro! l Giuliano: La danza dolce ~ome zuc.ch7ro de; ve lodarla lo stesso Platone! l Septizio: La danza dolce come zucchero vmce ogru piacere. l Onorio: La danza dolce come zucchero placa l'anima e il petto!]

87 Cfr. RICHARD MARIA WERNER, ]ohann Christian Hallmann a_ls Dramatiker, ~ «Zeit· schrift fiir die osterreichischen Gymnasien», L (1899), p. 691. D1 p~ere co~trano è !io~­ST STEGER, ]ohann Christian Hallmann. Seìn Leben und seìne Werke, dissertazione, Letpzig I909,P·89. .

88 FLEMMING, Andreas Gryphius und die Biihne cit., p. 401.

Allegoria e dramma barocco (rr)

mordiale, il melodramma il ritrovamento del paese di quell'essere idillicamente o eroicamente buono, il quale in tutte le sue azioni segue, insieme, un istinto artistico naturale, canta sempre almeno un poco qualunque cosa abbia da dire, per poi subito cantare a pie­na voce al piu leggero moto del sentimento ... L'uomo artistica­mente impotente si costruisce un genere d'arte posticcia, precisa­mente perché è un uomo congenitamente non-artista. Appunto per­ché non ha alcun sentore della profondità dionisiaca della musica, egli trasforma a sua volta il godimento musicale ìn una retorica in­tellettuale della passione verseggiata e suonata nello stile rappresen­tativo, e in un voluttuoso diletto delle arti del canto; poiché non può contemplare alcuna visione intima, chiama a suo servigio i mac­chinisti e gli artisti decorativi; poiché non sa concepire la vera na­tura dell'artista, rievoca secondo il proprio gusto "l'uomo artistico originario", vale a dire l'uomo che nella sua passione canta e ver­seggia»89. Benché il confronto con la tragedia- e tanto piu con quel­la musicale- sia inadeguato alla comprensione dell'opera, è inne­gabile che, dal punto di vista della poesia e in particolare del dram­ma barocco, l'opera appaia come il prodotto di una decadenza. Il significato e l'intreccio perdono il loro peso e la loro funzione bloc­cante, e la trama operistica - come pure il suo linguaggio - scivo­lano via senza resistenze fino a sfociare nella banalità. Insieme al blocco svanisce anche il lutto, l'anima dell'opera, e se si svuota la compagine drammatica si svuota anche quella scenica: e poiché l'al­legoria, se non scompare del tutto, si riduce a un sordo ornamen­to, la scena dovrà cercarsi una nuova giustificazione.

Il gusto voluttuoso del puro suono ha la sua parte nella deca­denza del dramma barocco. Cionondimeno- e non per volontà de­gli autori, ma per la sua stessa essenza - la musica è intimamente connessa al dramma allegorico. Perlomeno ciò verrebbe insegnato dalla filosofia della musica dei romantici, che converrà qui chia­mare in causa, legati al Barocco da un'affinità elettiva. In essa, e solo in essa, troveremmo la sintesi di quella contrapposizione che il Barocco teneva accuratamente irrisolta, e comprenderemmo in­sieme le buone ragioni di quella antitesi. Se non altro, è proprio questa visione romantica del dramma barocco a sollevare la que­stione perché mai in Shakespeare e in Calder6n la musica non svol­ga un ruolo puramente teatrale. Perché è appunto questo che ac­cade. Cosi, le osservazioni seguenti del geniale Johann Wilhelm

"NIETZSCHE, Die Geburtder Trag&Jie cit., pp. 132 sgg.; trad. it. cit., pp. 158 sgg.

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x86 Il dramma barocco tedesco

PALLADIUS Der zuckersiisse Tantz ist Gottern selbst geweiht! ANTONIUS Der zuckersiisse Tantz verzuckert alles Leid! SVETONIUS Der zuckersiisse Tantz beweget Stein' und Eisen! JULIANUS Der zuckersiisse Tantz muB Plato selber preisen! SEPTITIUS Der zuckersiisse Tantz besieget alle Lust! HONORIUS Der zuckersiisse Tantz erquicket Seel' und Brust

86!

Per ragioni stilistiche si dovrà supporre che questi passi venis­sero recitati in coro"'. Cosi Flemming può dire di Gryphius: «Non ci si poteva aspettare troppo dalle parti secondarie. yer~iò egli le f~ parlare poco, preferisce raccoglierle nel coro, e c~s1 otttene effett~ artistici importanti che non avrebbe potuto raggtungere con partl singole di tipo naturalistico. Cosi l' arti~ta p~ga .a v.an~~gi? d~~· ef: fetto artistico i vincoli posti dal matenale» . St penst al gmdict, al

congiurati e alle comparse del Leo Armeniu~, ai co~igi~ni ~ella Catharina, alle vergini della Julia. Andava tnoltre m direz~one dell'opera l'ouverture musicale, che !?recedeva l? ~pettacolo fra 1 g~­suiti e i protestanti. Anche gli insertl coreograftct, come pure lo stt­le «coreografico» (in senso piu profondo) degli intrighi, non sono estranei a questo sviluppo, che ali~ fine. del secolo porter~ il.dr~­ma a risolversi nell'opera. I nesst a cw queste osservaz10ru st rt­chiamano sono stati sviluppati da Nietzsche nella Nascita della tr~­gedia. La sua preoccupazione era di contrapporre adeguatamente il Gesamtkunstwerk wagneriano all'opera giocosa quale si era andata preparando nel Barocco. Egli le dichiara guerra col. rifiuto del re: citativo. E cosi egli appoggia quella forma che cornspondeva cos1 profondamente a una tendenza alla moda, q~ella di ridar vit~ al suono originario della creatura. «Era consentito abbandonarsi al sogno di un ritorno agli esordi paradisiaci dell:umanit~, nei qu~ anche la musica fosse necessariamente dotata di quella msuperabt­le purezza e potenza e innocenza, di cui i poeti sapevano parlare in modo cosi commovente nei loro poemi pastorali ... Il recitativo si­gnificava appunto il rinvenimento del linguaggio di quell'uomo pri-

.. HAU.MANN Trauer- Freuden· und Schliferspiele cit. (Sophìa, p. 70 [IV, 18.5 sgg.]; cfr. p. 4 [l, xo8 sgg.]J. [Pallacllo: La danza dolce co~e zuc0exo è consacrata.agli stessi Dèi! l Antonio: La danza dolce come zucchero addolcisce ogru dolore! l Svetomo: La danza dol· ce come zucchero muove la pietra e il fexro! l Giuliano: La danza dolce ~ome zuc.ch7ro de; ve lodarla lo stesso Platone! l Septizio: La danza dolce come zucchero vmce ogru piacere. l Onorio: La danza dolce come zucchero placa l'anima e il petto!]

87 Cfr. RICHARD MARIA WERNER, ]ohann Christian Hallmann a_ls Dramatiker, ~ «Zeit· schrift fiir die osterreichischen Gymnasien», L (1899), p. 691. D1 p~ere co~trano è !io~­ST STEGER, ]ohann Christian Hallmann. Seìn Leben und seìne Werke, dissertazione, Letpzig I909,P·89. .

88 FLEMMING, Andreas Gryphius und die Biihne cit., p. 401.

Allegoria e dramma barocco (rr)

mordiale, il melodramma il ritrovamento del paese di quell'essere idillicamente o eroicamente buono, il quale in tutte le sue azioni segue, insieme, un istinto artistico naturale, canta sempre almeno un poco qualunque cosa abbia da dire, per poi subito cantare a pie­na voce al piu leggero moto del sentimento ... L'uomo artistica­mente impotente si costruisce un genere d'arte posticcia, precisa­mente perché è un uomo congenitamente non-artista. Appunto per­ché non ha alcun sentore della profondità dionisiaca della musica, egli trasforma a sua volta il godimento musicale ìn una retorica in­tellettuale della passione verseggiata e suonata nello stile rappresen­tativo, e in un voluttuoso diletto delle arti del canto; poiché non può contemplare alcuna visione intima, chiama a suo servigio i mac­chinisti e gli artisti decorativi; poiché non sa concepire la vera na­tura dell'artista, rievoca secondo il proprio gusto "l'uomo artistico originario", vale a dire l'uomo che nella sua passione canta e ver­seggia»89. Benché il confronto con la tragedia- e tanto piu con quel­la musicale- sia inadeguato alla comprensione dell'opera, è inne­gabile che, dal punto di vista della poesia e in particolare del dram­ma barocco, l'opera appaia come il prodotto di una decadenza. Il significato e l'intreccio perdono il loro peso e la loro funzione bloc­cante, e la trama operistica - come pure il suo linguaggio - scivo­lano via senza resistenze fino a sfociare nella banalità. Insieme al blocco svanisce anche il lutto, l'anima dell'opera, e se si svuota la compagine drammatica si svuota anche quella scenica: e poiché l'al­legoria, se non scompare del tutto, si riduce a un sordo ornamen­to, la scena dovrà cercarsi una nuova giustificazione.

Il gusto voluttuoso del puro suono ha la sua parte nella deca­denza del dramma barocco. Cionondimeno- e non per volontà de­gli autori, ma per la sua stessa essenza - la musica è intimamente connessa al dramma allegorico. Perlomeno ciò verrebbe insegnato dalla filosofia della musica dei romantici, che converrà qui chia­mare in causa, legati al Barocco da un'affinità elettiva. In essa, e solo in essa, troveremmo la sintesi di quella contrapposizione che il Barocco teneva accuratamente irrisolta, e comprenderemmo in­sieme le buone ragioni di quella antitesi. Se non altro, è proprio questa visione romantica del dramma barocco a sollevare la que­stione perché mai in Shakespeare e in Calder6n la musica non svol­ga un ruolo puramente teatrale. Perché è appunto questo che ac­cade. Cosi, le osservazioni seguenti del geniale Johann Wilhelm

"NIETZSCHE, Die Geburtder Trag&Jie cit., pp. 132 sgg.; trad. it. cit., pp. 158 sgg.

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I 88 fl dramma barOCCO tedesCO

Ritter potrebbero aprire una prospettiva, che sarebbe peraltro ir­responsabile voler percorrere improvvisando. Bisognerebbe intra­prendere un'indagine storico-filosofica di ampio respiro sui rap­porti fra linguaggio, musica e scrittura. Quelli che citiamo sono al­cuni passi di un lungo saggio, per cosf dire monologante, che ha la forma di una lettera sulle «figure sonore» di Chladni, e dalla qua­le affiorano, sotto la penna e quasi senza volerlo, una quantità di pensieri vigorosi o di intuizioni suggestive: «Sarebbe bello», os­serva Richter a proposito di quelle linee che si disegnano su un di­sco di vetro coperto di sabbia, percuotendolo in modo da attenerne le varie note, «se quel che ci appare qui esternamente fosse anche l'esatto significato della figura sonora: figura di luce, scrittura di fuoco ... Ogni nota ha cosf immediatamente la sua lettera accan-to a sé ... Il rapporto cosf intimo tra parola e scrittura - il fatto che, parlando, scriviamo ... mi ha occupato a lungo. Mi. dico: co­me si trasforma per noi il pensiero, l'idea in parola? E abbiamo mai un pensiero, un'idea, senza il suo geroglifico, la sua lettera, la sua scrittura? Certamente è cosi; ma per il solito non ci pensiamo. Che però una volta, ai tempi di una natura umana piu vigorosa, ci si pensasse di piu, lo dimostra l'esistenza stessa di parola e scrit­tura. La loro simultaneità originaria, e ·assoluta, risiede nel fatto che lo stesso organo del linguaggio scrive, per poter parlare. Solo la lettera parla, o meglio, parola e scrittura sono in origine una co­sa sola, e nessuna delle due è possibile senza l'altra ... Ogni figu­ra sonora è una figura elettrica, e ogni figura elettrica è una figu­ra sonora »90 • «Volevo ... dunque ritrovare o comunque cercare per via elettrica la scrittura originaria o naturale»91

• «L'intera crea­zione è realmente linguaggio, ed è creata letteralmente attraverso la parola, la parola creata e creatrice ... A questa parola è per? in­separabilmente congiunta la lettera, sia nel grande che nel plcco­lo»92. «In questa scrittura, o riscrittura, o trascrizione, rientrano in particolare tutte le arti figurative: architettura, scultura, pittu­ra ecc. »9'. Con questa esposizione la virtuale teoria romantica dell'allegoria si chiude su una nota quasi interrogativa. E rispon­dere a quella domanda significherebbe riportare la divinazione di Ritter sotto concetti adeguati: avvicinare sf il linguaggio verbale a

"'JOHANN WILHELM RITI'ER, Fragmente aus dem Nachlasse eines ;ungen Physikers. Ein T a· schenbuch fur Freunde der Natur, Heidelberg 1810, pp. 227 sgg.; trad. it. Frammenti dall'ape· ra postuma di un giovane fisico, Roma 1988.

91 Ibid., p. 2JO. ., Ibid., p. 242. ., Ibid., p. 246.

Allegoria e dramma barocco (n) 189

quello scritto, ma non identificarli se non dialetticamente come tesi e antitesi; garantire al. termine medio della musica - l'ultima lingua universale dopo la costruzione della Torre - il posto cen­trale che le spetta, quello di antitesi; e studiare come la scrittura cresca a partire da essa, ma non immediatamente dal suono lin­guistico. Compiti che vanno ben oltre l'ambito delle intuizioni ro­mantiche, come pure di un filosofare non teologico. Benché rima­sta allo stato virtuale, questa teoria romantica dell'allegorico atte­sta in modo innegabile la parentela tra Barocco e Romanticismo. Inutile aggiungere che le trattazioni esplicite dell'allegoria, come quella di Friedrich Schlegel nel Gesprà'ch uber die Poesi~, non rag­giungono la profondità dei passi di Ritter: conformemente al lin­guaggio vago di Schlegel, l'affermazione che ogni bellezza è alle­goria non fa anzi altro che proporre il luogo comune classicistico secondo cui essa è simbolo. Diverso il caso di Ritter. Con la sua tesi che ogni immagine è ideogramma egli va direttamente al cuo­re della visione allegorica. Nel contesto dell'allegoria l'immagine è soltanto segnatura, monogramma dell'essere, e non l'essere stes­so nel suo involucro. E tuttavia la scrittura non ha in sé nulla di ancillare, non cade durante la lettura come una scoria. Essa pene­tra nella cosa letta come la sua «figura». Gli stampatori, anzi i poe­ti del Barocco, hanno dedicato alla scrittura figurale la massima attenzione. Si sa che Lohenstein usava «riportare sulla carta, e nei suoi caratteri migliori, la didascalia dell'incisione "Castus amor Cygnis vehitur, Venus improba corvis"»95

• Herder ritiene- e ciò vale ancora oggi - che la letteratura barocca sia «quasi insupera­ta ... nella stampa e nelle ornamentazioni»%. L'idea dei rapporti fra linguaggio e scrittura, che fondano filosoficamente l' allegori­co e che racchiudono in sé la soluzione della loro autentica ten­sione, non era dunque del tutto estranea al pensiero dell'epoca. In caso contrario infatti coglierebbe nel segno l'ipotesi, intelligente e illuminante, di Strich sui poemi calligrammatici, i quali «po­trebbero fondarsi sulla concezione per cui la lunghezza variabile dei versi, se riproduce una forma organica, deve anche produrre un ritmo organicamente ascendente e discendente»97

• Va senz'al-

"'Cfr. FRIEDRICH SCHLEGEL, Seine prosaische Jugendschriften, a cura di J. Minor, Wien 1906, vol. II: Zur deutschen Literatur und Philosophie, p. 364; cfr. trad. it. in Dialogo sulla poesia, a cura di A. Lavagetto, Torino 1991, p. 46.

"MiiLLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein cit., p. 71. 96 HERDER, Siimtliche Werke cit., vol. XVI, p. 230 . "' STRICH, Der lyrische Sti/ des siebzehnten Jahrhunderts ci t., p. 42 .

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I 88 fl dramma barOCCO tedesCO

Ritter potrebbero aprire una prospettiva, che sarebbe peraltro ir­responsabile voler percorrere improvvisando. Bisognerebbe intra­prendere un'indagine storico-filosofica di ampio respiro sui rap­porti fra linguaggio, musica e scrittura. Quelli che citiamo sono al­cuni passi di un lungo saggio, per cosf dire monologante, che ha la forma di una lettera sulle «figure sonore» di Chladni, e dalla qua­le affiorano, sotto la penna e quasi senza volerlo, una quantità di pensieri vigorosi o di intuizioni suggestive: «Sarebbe bello», os­serva Richter a proposito di quelle linee che si disegnano su un di­sco di vetro coperto di sabbia, percuotendolo in modo da attenerne le varie note, «se quel che ci appare qui esternamente fosse anche l'esatto significato della figura sonora: figura di luce, scrittura di fuoco ... Ogni nota ha cosf immediatamente la sua lettera accan-to a sé ... Il rapporto cosf intimo tra parola e scrittura - il fatto che, parlando, scriviamo ... mi ha occupato a lungo. Mi. dico: co­me si trasforma per noi il pensiero, l'idea in parola? E abbiamo mai un pensiero, un'idea, senza il suo geroglifico, la sua lettera, la sua scrittura? Certamente è cosi; ma per il solito non ci pensiamo. Che però una volta, ai tempi di una natura umana piu vigorosa, ci si pensasse di piu, lo dimostra l'esistenza stessa di parola e scrit­tura. La loro simultaneità originaria, e ·assoluta, risiede nel fatto che lo stesso organo del linguaggio scrive, per poter parlare. Solo la lettera parla, o meglio, parola e scrittura sono in origine una co­sa sola, e nessuna delle due è possibile senza l'altra ... Ogni figu­ra sonora è una figura elettrica, e ogni figura elettrica è una figu­ra sonora »90 • «Volevo ... dunque ritrovare o comunque cercare per via elettrica la scrittura originaria o naturale»91

• «L'intera crea­zione è realmente linguaggio, ed è creata letteralmente attraverso la parola, la parola creata e creatrice ... A questa parola è per? in­separabilmente congiunta la lettera, sia nel grande che nel plcco­lo»92. «In questa scrittura, o riscrittura, o trascrizione, rientrano in particolare tutte le arti figurative: architettura, scultura, pittu­ra ecc. »9'. Con questa esposizione la virtuale teoria romantica dell'allegoria si chiude su una nota quasi interrogativa. E rispon­dere a quella domanda significherebbe riportare la divinazione di Ritter sotto concetti adeguati: avvicinare sf il linguaggio verbale a

"'JOHANN WILHELM RITI'ER, Fragmente aus dem Nachlasse eines ;ungen Physikers. Ein T a· schenbuch fur Freunde der Natur, Heidelberg 1810, pp. 227 sgg.; trad. it. Frammenti dall'ape· ra postuma di un giovane fisico, Roma 1988.

91 Ibid., p. 2JO. ., Ibid., p. 242. ., Ibid., p. 246.

Allegoria e dramma barocco (n) 189

quello scritto, ma non identificarli se non dialetticamente come tesi e antitesi; garantire al. termine medio della musica - l'ultima lingua universale dopo la costruzione della Torre - il posto cen­trale che le spetta, quello di antitesi; e studiare come la scrittura cresca a partire da essa, ma non immediatamente dal suono lin­guistico. Compiti che vanno ben oltre l'ambito delle intuizioni ro­mantiche, come pure di un filosofare non teologico. Benché rima­sta allo stato virtuale, questa teoria romantica dell'allegorico atte­sta in modo innegabile la parentela tra Barocco e Romanticismo. Inutile aggiungere che le trattazioni esplicite dell'allegoria, come quella di Friedrich Schlegel nel Gesprà'ch uber die Poesi~, non rag­giungono la profondità dei passi di Ritter: conformemente al lin­guaggio vago di Schlegel, l'affermazione che ogni bellezza è alle­goria non fa anzi altro che proporre il luogo comune classicistico secondo cui essa è simbolo. Diverso il caso di Ritter. Con la sua tesi che ogni immagine è ideogramma egli va direttamente al cuo­re della visione allegorica. Nel contesto dell'allegoria l'immagine è soltanto segnatura, monogramma dell'essere, e non l'essere stes­so nel suo involucro. E tuttavia la scrittura non ha in sé nulla di ancillare, non cade durante la lettura come una scoria. Essa pene­tra nella cosa letta come la sua «figura». Gli stampatori, anzi i poe­ti del Barocco, hanno dedicato alla scrittura figurale la massima attenzione. Si sa che Lohenstein usava «riportare sulla carta, e nei suoi caratteri migliori, la didascalia dell'incisione "Castus amor Cygnis vehitur, Venus improba corvis"»95

• Herder ritiene- e ciò vale ancora oggi - che la letteratura barocca sia «quasi insupera­ta ... nella stampa e nelle ornamentazioni»%. L'idea dei rapporti fra linguaggio e scrittura, che fondano filosoficamente l' allegori­co e che racchiudono in sé la soluzione della loro autentica ten­sione, non era dunque del tutto estranea al pensiero dell'epoca. In caso contrario infatti coglierebbe nel segno l'ipotesi, intelligente e illuminante, di Strich sui poemi calligrammatici, i quali «po­trebbero fondarsi sulla concezione per cui la lunghezza variabile dei versi, se riproduce una forma organica, deve anche produrre un ritmo organicamente ascendente e discendente»97

• Va senz'al-

"'Cfr. FRIEDRICH SCHLEGEL, Seine prosaische Jugendschriften, a cura di J. Minor, Wien 1906, vol. II: Zur deutschen Literatur und Philosophie, p. 364; cfr. trad. it. in Dialogo sulla poesia, a cura di A. Lavagetto, Torino 1991, p. 46.

"MiiLLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers von Lohenstein cit., p. 71. 96 HERDER, Siimtliche Werke cit., vol. XVI, p. 230 . "' STRICH, Der lyrische Sti/ des siebzehnten Jahrhunderts ci t., p. 42 .

Page 225: Benjamin Il Dramma Barocco Tedesco

I 90 Il dramma barocco tedesco

tro in questa direzione l'opinione di Birken, messa in bocca al Fio­ridano della Dannebergische Helden-Beut, secondo cui «ogni even­to naturale in questo mondo potrebbe essere l'effetto o la mate­rializzazione di m~' eco o di un suono cosmico, anche il movimen­to degli astri»98

• E qui che si realizza, sul piano della teoria del linguaggio, l'unità tra il Barocco linguistico e il Barocco figura­tivo.

"CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. I 14.

Allegoria e dramma barocco (m)

Ja wenn der Hochste wird vom Kirch-Hof emdten ein, So werd ich Todten-Kopff ein Englisch Antlitz seyn.

DANIEL CASPEll VON LOHENSTEIN,

Redender Todten-Kopff Herrn Matthiius Machneri.

Tutte le argomentazioni, anche le piu audaci, che abbiamo fin qui svolto- con un metodo qua e là ancora vago, ancora impre­gnato di motivi storico-culturali - si raccolgono in realtà sotto la categoria dell'allegorico, e si condensano nel dramma barocco co­me nella propria idea. La rappresentazione può, anzi deve, insi­stere cosi a lungo sulla struttura allegorica di questa forma, perché è grazie ad essa che il dramma barocco può assimilare come pro­prio contenuto i materiali che gli provengono dal suo tempo. E in ultima analisi questo contenuto non può essere sviluppato se non in termini teologici, quei termini .a cui già la sola esposizione non ha potuto sottrarsi. Se la conclusione di questo studio parlerà senz' altro tale linguaggio, non si tratterà dunque di una f.!Ztaj3a­mç etç allo yévoç. Poiché l'allegoria come forma costitutiva del dramma barocco può essere risolta criticamente solo a partire da un dominio superiore, quello appunto teologico: all'interno di una considerazione puramente estetica l'ultima parola spetterebbe al paradosso. Che tale risoluzione, come sempre quella del profano in un ambito sacrale, debba compiersi sul terreno della storia, an­zi di una teologia della storia, e solo dinamicamente, non statica­mente nel senso di un'economia della salvezza già garantita, tutto ciò sarebbe acquisito, anche se il dramma tedesco dell'età baroc­ca non rimandasse cosi chiaramente allo Sturm und Drang e al Ro­manticismo, e anche se la produzione drammaturgica piu recente

1 LOHENSTEIN, Blumen cit. (Hyacinthen cit.), p. 50. [E quando l'Altissimo ven:à a rac· cogliere la messe dal cimitero, l Io, teschio, sarò un volto d'angelo].

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I 90 Il dramma barocco tedesco

tro in questa direzione l'opinione di Birken, messa in bocca al Fio­ridano della Dannebergische Helden-Beut, secondo cui «ogni even­to naturale in questo mondo potrebbe essere l'effetto o la mate­rializzazione di m~' eco o di un suono cosmico, anche il movimen­to degli astri»98

• E qui che si realizza, sul piano della teoria del linguaggio, l'unità tra il Barocco linguistico e il Barocco figura­tivo.

"CYSARZ, Deutsche Barockdichtung cit., p. I 14.

Allegoria e dramma barocco (m)

Ja wenn der Hochste wird vom Kirch-Hof emdten ein, So werd ich Todten-Kopff ein Englisch Antlitz seyn.

DANIEL CASPEll VON LOHENSTEIN,

Redender Todten-Kopff Herrn Matthiius Machneri.

Tutte le argomentazioni, anche le piu audaci, che abbiamo fin qui svolto- con un metodo qua e là ancora vago, ancora impre­gnato di motivi storico-culturali - si raccolgono in realtà sotto la categoria dell'allegorico, e si condensano nel dramma barocco co­me nella propria idea. La rappresentazione può, anzi deve, insi­stere cosi a lungo sulla struttura allegorica di questa forma, perché è grazie ad essa che il dramma barocco può assimilare come pro­prio contenuto i materiali che gli provengono dal suo tempo. E in ultima analisi questo contenuto non può essere sviluppato se non in termini teologici, quei termini .a cui già la sola esposizione non ha potuto sottrarsi. Se la conclusione di questo studio parlerà senz' altro tale linguaggio, non si tratterà dunque di una f.!Ztaj3a­mç etç allo yévoç. Poiché l'allegoria come forma costitutiva del dramma barocco può essere risolta criticamente solo a partire da un dominio superiore, quello appunto teologico: all'interno di una considerazione puramente estetica l'ultima parola spetterebbe al paradosso. Che tale risoluzione, come sempre quella del profano in un ambito sacrale, debba compiersi sul terreno della storia, an­zi di una teologia della storia, e solo dinamicamente, non statica­mente nel senso di un'economia della salvezza già garantita, tutto ciò sarebbe acquisito, anche se il dramma tedesco dell'età baroc­ca non rimandasse cosi chiaramente allo Sturm und Drang e al Ro­manticismo, e anche se la produzione drammaturgica piu recente

1 LOHENSTEIN, Blumen cit. (Hyacinthen cit.), p. 50. [E quando l'Altissimo ven:à a rac· cogliere la messe dal cimitero, l Io, teschio, sarò un volto d'angelo].

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192 Il dramma baiocco tedesco

non tentasse con tanta insistenza - e sia pure invano - di salvar­ne la parte migliore. La costruzione logica del suo contenuto do­vrà prendere sul serio- e ciò s'intende- soprattutto i motivi piu ostici, quelli da cui sembra impossibile ricavare se non mere as­serzioni di fatto. In particolare: come la mettiamo con le scene di orrore e di martirio che i drammi barocchi offrono a profusione? Com'è logico attendersi dal tenore asciutto e irriflesso della criti­ca d'arte barocca, le fonti per una risposta diretta sono magre. Ec­cone comunque una nascosta ma preziosa: «lntegrum humanum corpus symbolicam iconem ingredi non posse, partem tamen cor­poris ei constituendae non esse ineptam»2

• Cosf leggiamo nel qua­dro di una controversia sulle norme dell'emblematica. E l'emble­matista ortodosso non poteva pensarla diversamente: il corpo uma­no non può fare eccezione al decreto che ordina di smembrare l'organico, per ritrovare nelle sue schegge il vero significato, quel­lo definitivo e scritturale. Anzi, dove potrebbe questa legge tro­vare un'applicazione piu trionfante che nell'uomo, il quale pianta in asso la sua physis convenzionale, provvista di coscienza, per ri­partirla nelle molteplici regioni del significato? Non sempre l'em­blematica e l'araldica hanno seguito incondizionatamente questa legge. Nella già citata Ars heraldica, dell'uomo si dice soltanto che «i capelli significano la molteplicità dei pensieri»3

, mentre gli «aral­di» fanno regolarmente a pezzi il leone: «La testa, il petto, e tut­ta la parte anteriore significa magnanimità e coraggio, mentre la parte posteriore significa la forza, la collera e l'ira, che seguono il ruggito»4 • Tale vivisezione emblematica- trasportata sul piano di una qualità che riguarda pur sempre il corpo - detta a Opitz l'espressione preziosa del «maneggio della castità»', che egli attri­buisce a Giuq}tta. E cosf Hallmann illustra tale virtU sull'esempio della pudica Agytha, il cui «organo riproduttivo» viene ritrovato incorrotto nella tomba molti anni dopo la sepoltura6

• Seil marti­rio applica al vivente una griglia emblematica, non è privo di im­portanza il fatto che il dolore fisico fosse sempre presente al dram­maturgo come motivo dell'azione tout court. Non solo il dualismo cartesiano è barocco, ma lo è in sommo grado la teoria delle pas-

'Recensione anonima di MENESTRIER, La philosaphie des images cit., pp. 17 sgg. 'BOCKLER, An heraldica cit., p. ro2. [Die Haar bedeuten die vielfaltigen Gedancken]. 'Ibid., p. 104. [Das Haupt die Brust und das gantze vordere Theil bedeutet GroBmii-

tigkeit und Dapfferkeit das hintere aber die Stiircke Grimm und Zorn so dem Briillen fol­get].

'MARTIN OPITZ, Judith, BreB!aw x635, f. Aijv. [Handhabung der Keuschheit]. 6 Cfr. HALLMANN, Leichreden cit., p. 377· [Geburts-Glied].

Allegoria e dramma baiocco (m) I 9 3

sioni, come conseguenza della dottrina del rapporto psicofisico. Poiché infatti lo spirito in sé è pura ragione fedele a se stessa e so­no gli influssi corporei a metterlo in contatto col mondo es;erno le sofferenze fisiche che esso patisce saranno una base emotiva piJ i~edi~t~ dei cosiddett~ conflitti tragici. Se poi, nella morte, lo sp~Ito si libera alla maruera appunto degli spiriti, anche il corpo si nappropria allora dei suoi diritti. Perché la cosa va da sé: l'alle­gorizzazione della physis può compiersi in modo energico soltanto sul cadavere. E i personaggi del dramma barocco muoiono perché soltanto cosf, come cadaveri, possono entrare nella loro patria al­legorica. Non è per ottenere l'immortalità, ma in vista del cada­vere, ~e essi vanno in rovina. «Ci lascia il suo cadavere come pe­g~w di un estrem~ favore»7

, dice la figlia di Carlo Stuart a propo­sito del padre, il quale a sua volta a\reva chiesto di farlo imbalsamare. Considerata dal punto di vista della morte la vita è produzione del cadavere. Non solo nella perdita di parti del cor­po, non solo nei mutamenti del corpo che invecchia, ma in tutti i processi di secrezione e di purificazione vi è qualcosa di cadaveri­co che si stacca, pezzo per pezzo, dal corpo. E non è un caso che proprio le unghie ed i capelli, che vengono tagliati dal corpo come qualcosa di morto, continuino a crescere nel cadavere. C'è un me­mento mori che veglia nella physis, nella memoria stessa. L'uomo medievale e l'uomo barocco non sarebbero cosf compenetrati dal­la morte se le loro preoccupazioni andassero unicamente alla fine della vita. Le poesie mortuarie .di un Lohenstein non sono, nella loro :ssenza,. una forma di manierismo, anche se non. è sbagliato considerarle m questa prospettiva. Alcuni singolari esempi di que­sto tema lirico si trovano già fra le primissime opere di Lohenstein. Già a scuola aveva dovuto celebrare, secondo un vecchio schema compositivo, «la passione di Cristo con poesie latine e tedesche, s?ddivise secondo le varie parti del corpo»8

• Lo stesso schema si ritrova nel Denck- und Danck-Altar [Altare commemorativo e di ringraziamento] che egli eresse alla madre morta. Nove strofe im­pietose descrivono le varie parti del corpo in via di decomposizio­ne. Tali temi furono presenti anche a Gryphius, e certo il suo stu­dio dell'anatomia, al quale rimase sempre fedele, fu influenzato non solo dai suoi interessi scientifici, ma anche da questi peculia-

· 7 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 390 (Caralus Stuardus, II, 389 sg.). [Er liisst uns seine

leiche Zum pfande letzter gunst]. 8 MiiLLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers van Lahenstein eit., p. 15. ·

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non tentasse con tanta insistenza - e sia pure invano - di salvar­ne la parte migliore. La costruzione logica del suo contenuto do­vrà prendere sul serio- e ciò s'intende- soprattutto i motivi piu ostici, quelli da cui sembra impossibile ricavare se non mere as­serzioni di fatto. In particolare: come la mettiamo con le scene di orrore e di martirio che i drammi barocchi offrono a profusione? Com'è logico attendersi dal tenore asciutto e irriflesso della criti­ca d'arte barocca, le fonti per una risposta diretta sono magre. Ec­cone comunque una nascosta ma preziosa: «lntegrum humanum corpus symbolicam iconem ingredi non posse, partem tamen cor­poris ei constituendae non esse ineptam»2

• Cosf leggiamo nel qua­dro di una controversia sulle norme dell'emblematica. E l'emble­matista ortodosso non poteva pensarla diversamente: il corpo uma­no non può fare eccezione al decreto che ordina di smembrare l'organico, per ritrovare nelle sue schegge il vero significato, quel­lo definitivo e scritturale. Anzi, dove potrebbe questa legge tro­vare un'applicazione piu trionfante che nell'uomo, il quale pianta in asso la sua physis convenzionale, provvista di coscienza, per ri­partirla nelle molteplici regioni del significato? Non sempre l'em­blematica e l'araldica hanno seguito incondizionatamente questa legge. Nella già citata Ars heraldica, dell'uomo si dice soltanto che «i capelli significano la molteplicità dei pensieri»3

, mentre gli «aral­di» fanno regolarmente a pezzi il leone: «La testa, il petto, e tut­ta la parte anteriore significa magnanimità e coraggio, mentre la parte posteriore significa la forza, la collera e l'ira, che seguono il ruggito»4 • Tale vivisezione emblematica- trasportata sul piano di una qualità che riguarda pur sempre il corpo - detta a Opitz l'espressione preziosa del «maneggio della castità»', che egli attri­buisce a Giuq}tta. E cosf Hallmann illustra tale virtU sull'esempio della pudica Agytha, il cui «organo riproduttivo» viene ritrovato incorrotto nella tomba molti anni dopo la sepoltura6

• Seil marti­rio applica al vivente una griglia emblematica, non è privo di im­portanza il fatto che il dolore fisico fosse sempre presente al dram­maturgo come motivo dell'azione tout court. Non solo il dualismo cartesiano è barocco, ma lo è in sommo grado la teoria delle pas-

'Recensione anonima di MENESTRIER, La philosaphie des images cit., pp. 17 sgg. 'BOCKLER, An heraldica cit., p. ro2. [Die Haar bedeuten die vielfaltigen Gedancken]. 'Ibid., p. 104. [Das Haupt die Brust und das gantze vordere Theil bedeutet GroBmii-

tigkeit und Dapfferkeit das hintere aber die Stiircke Grimm und Zorn so dem Briillen fol­get].

'MARTIN OPITZ, Judith, BreB!aw x635, f. Aijv. [Handhabung der Keuschheit]. 6 Cfr. HALLMANN, Leichreden cit., p. 377· [Geburts-Glied].

Allegoria e dramma baiocco (m) I 9 3

sioni, come conseguenza della dottrina del rapporto psicofisico. Poiché infatti lo spirito in sé è pura ragione fedele a se stessa e so­no gli influssi corporei a metterlo in contatto col mondo es;erno le sofferenze fisiche che esso patisce saranno una base emotiva piJ i~edi~t~ dei cosiddett~ conflitti tragici. Se poi, nella morte, lo sp~Ito si libera alla maruera appunto degli spiriti, anche il corpo si nappropria allora dei suoi diritti. Perché la cosa va da sé: l'alle­gorizzazione della physis può compiersi in modo energico soltanto sul cadavere. E i personaggi del dramma barocco muoiono perché soltanto cosf, come cadaveri, possono entrare nella loro patria al­legorica. Non è per ottenere l'immortalità, ma in vista del cada­vere, ~e essi vanno in rovina. «Ci lascia il suo cadavere come pe­g~w di un estrem~ favore»7

, dice la figlia di Carlo Stuart a propo­sito del padre, il quale a sua volta a\reva chiesto di farlo imbalsamare. Considerata dal punto di vista della morte la vita è produzione del cadavere. Non solo nella perdita di parti del cor­po, non solo nei mutamenti del corpo che invecchia, ma in tutti i processi di secrezione e di purificazione vi è qualcosa di cadaveri­co che si stacca, pezzo per pezzo, dal corpo. E non è un caso che proprio le unghie ed i capelli, che vengono tagliati dal corpo come qualcosa di morto, continuino a crescere nel cadavere. C'è un me­mento mori che veglia nella physis, nella memoria stessa. L'uomo medievale e l'uomo barocco non sarebbero cosf compenetrati dal­la morte se le loro preoccupazioni andassero unicamente alla fine della vita. Le poesie mortuarie .di un Lohenstein non sono, nella loro :ssenza,. una forma di manierismo, anche se non. è sbagliato considerarle m questa prospettiva. Alcuni singolari esempi di que­sto tema lirico si trovano già fra le primissime opere di Lohenstein. Già a scuola aveva dovuto celebrare, secondo un vecchio schema compositivo, «la passione di Cristo con poesie latine e tedesche, s?ddivise secondo le varie parti del corpo»8

• Lo stesso schema si ritrova nel Denck- und Danck-Altar [Altare commemorativo e di ringraziamento] che egli eresse alla madre morta. Nove strofe im­pietose descrivono le varie parti del corpo in via di decomposizio­ne. Tali temi furono presenti anche a Gryphius, e certo il suo stu­dio dell'anatomia, al quale rimase sempre fedele, fu influenzato non solo dai suoi interessi scientifici, ma anche da questi peculia-

· 7 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 390 (Caralus Stuardus, II, 389 sg.). [Er liisst uns seine

leiche Zum pfande letzter gunst]. 8 MiiLLER, Beitriige zum Leben und Dichten Daniel Caspers van Lahenstein eit., p. 15. ·

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ri interessi emblematici. I modelli di queste descrizioni per il dram­ma sitrovavano nell'Ercole Eteo di Seneca, ma anche nella Fedra, nelle Troiane e cosf via. «<n un esercizio di dissezione anatomica, le singole parti del corpo vengono enumerate con un chiaro gusto della crudeltà»9 • Com'è noto, Seneca fu sempre un'autorità mol­to stimata per la drammaturgia dell'orrore, e varrebbe la pena di domandarsi se anche nei suoi drammi questi motivi poggino su pre­supposti analoghi. Per il dramma barocco del xvn secolo il cada­vere diventa comunque l'oggetto emblematico per eccellenza. Sen­za di esso le apoteosi risultano pressoché impensabili. Esse «fan­no pompa di pallidi cadaveri»10

, ed è compito del tiranno rifornirne la scena. Cosfla chiusa del Papinian, in cui si riconoscono tracce dell'influsso del dramma dei masnadieri sul tardo Gryphius, pre­senta il massacro della famiglia di Papiniano compiuto da Bassia­no Caracalla. Il padre e due figli sono stati uccisi. «Le due salme vengono portate in scena su due catafalchi dai servi di Papiniano e messe l'una di fronte all'altra·. Plauzia non parla piu, ma passa, in preda al lutto, da una salma all'altra, ne bacia il capo e le mani, e infine crolla esanime sul cadavere di Papiniano e viene portata via dalle sue ancelle, dietro le salme»11

• Nel finale della Sophia di Hallmann, una volta consumato il martirio della fedele Cristina e delle sue figlie, si spalanca il retroscena «in cui viene mostrato il banchetto funebre ossia le tre teste delle figlie e tre calici colmi di sangue»12 • Il «banchetto funebre» era tenuto in grande consi~e­razione. In Gryphius esso non viene ancora rappresentato, ma pmt­tosto raccontato.

Fiirst Meurab, blind von hass, getrotzt durch so vielleiden, Lie.B der entleibteh schaar die bleichen kopff abschneiden, Und als der hliupter reyh, diè ihn so hoch verletzt, Zu einem schaugericht auf seinen tisch gesetzt, Nam er, schier au.Ber sich, den dargereichten becher

• STACHEL Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 25. 10 HALLM~, Trauer-,Freuden- undSchaferspiele cit. (Sophia, p. 73 [V, 28o]). [Mit blas­

sen Leichen prangen]. 11 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 6x4 (Amilius Paulus Papinianus, V,_i~dic;az!oni per la

messinscena). [Beyde leichen werden auf zweyen trauerbetten von Papmtaru dienern auf den schauplatz getragen und eÌD;ander ~egeniiber gestellet. ~lauria red~t ni~ts f:rner, son­dern gehet hiichst-traurig von etner letche zu der andern, kiisset zuweilen die haupter und hiinde, bis sie zuletzt auf Papiniani leichnam ohnmiichtig sincket und durch ihre stats­jungfern den leichen nachgetragen wird].

12 HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schii/erspiele ci t. (Sophia, p. 68, indicazioni per la messinscena). [ ... in welchem die T odtenmahlzeit gezeiget wird nehmlich die drey Kopfe der Kinder mit drey Gliisern Blut].

J (

\

\

Allegoria e dramma barocco (m) 195

Und schrie: di.B ist der kdch, den ich, der meinen racher Nu nicht mehr sclav, erwisch13 ! '

Piu tardi tali banchetti comparvero anche sulla scena, e siri­correva a tale scopo a un trucco italiano raccomandato da Har­sdorffer e da Birken: attraverso un buco praticato nel piano di un tavolo, la cui tovaglia ricadeva fino a terra, compariva la testa di un attore. In certi casi queste esibizioni del corpo inanimato si tro­vano già all'inizio .del dramma. Le note di scena introduttive del­la Catharina von Georgien sono un esempio in questo senso1\ co­me pure la curiosa scenografia prevista da Hallmann per il primo atto dello Heraclius: «Un campo pieno dei cadaveri dell'esercito sconfitto dell'imperatore Maurizio, accanto ad alcuni rivoletti d'ac­qua sgorganti dalla vicina montagna»1'.

Non è un puro interesse antiquario quello che raccomanda di seguire le tr~cce che riportano, e con estrema chiarezza, di qui al Medioevo. E difficile infatti sopravvalutare l'importanza che ri­veste, per il Barocco, la conoscenza delle origini cristiane della vi­sione allegorica. E pur avendo subito gli influssi piu svariati, que­ste tracce segnano il cammino percorso dal genio dell'allegoria an­che nel mutare delle sue intenzioni. Spesso i poeti del xvn secolo si sono voltati indietro per assicurarsi di questo cammino. Per il Leidenden Christus, Harsdorffer rimandava l'allievo Klai alla Pas­sione di Gregorio di Nazianzo16

• Anche Gryphius ha «tradotto quasi venti inni altomedievali ... nella sua lingua particolarmente adatta a questo stile solenne e tonante; e nutre un amore partico­lare per il piu grande fra gli innografi, Prudenzio»I7• Tra la cri­stianità barocca e quella medievale esiste una triplice parentela di f?t.to. La lotta con t:~ gli dèi pagani, il trionfo dell'allegoria, il mar­tirlo della corpore1ta, sono ugualmente necessari per entrambe. Questi motivi sono strettamente legati fra loro. A quanto risulta,

".GRYP~s! Trauerspiele_ cit. (Catharina von Georgien, I, 649 sgg.). [ll.principe Meu­rab, Cieco di odto, furente di tanto dolore, l Alla schiera inanimata fece tagliare le pallide teste, I.E 9uando la f!Ja dell.e test~, ~he tanto l'avevano offeso, l Fu posata sul tavolo, per esser g.tudicata, l Egli, quasi fuori di sé, prese il calice offerto l E gridò: questo è il calice che io, vendicatore dei miei, l Or non piu schiavo, afferro!]

"Ibid., p. 149 (Catharina von Georgien, I, indicazioni per la messinscena). u ~NN! T~uer:, ~reuden- und.Schiiferspiele cìt. (Die listige Rache oder der tapfere

He;aklius, p. Io, mdicazxoru per la messmscena). [Ein grosses Feld erfiillet mìt sehr vielen Letchen des geschlagenen Krieges-Heeres des Kaìsers Mauritii nebst etlìchen aus dem be­nachbarten Gebirge entspringenden Wiisserbiichlein].

16 Cfr. TITTMANN, Die Numberger Dichterschule cìt., p. 175. 17

MANHEIMER, Die Lyrik des Andreas Gryphius cìt., p. 139.

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ri interessi emblematici. I modelli di queste descrizioni per il dram­ma sitrovavano nell'Ercole Eteo di Seneca, ma anche nella Fedra, nelle Troiane e cosf via. «<n un esercizio di dissezione anatomica, le singole parti del corpo vengono enumerate con un chiaro gusto della crudeltà»9 • Com'è noto, Seneca fu sempre un'autorità mol­to stimata per la drammaturgia dell'orrore, e varrebbe la pena di domandarsi se anche nei suoi drammi questi motivi poggino su pre­supposti analoghi. Per il dramma barocco del xvn secolo il cada­vere diventa comunque l'oggetto emblematico per eccellenza. Sen­za di esso le apoteosi risultano pressoché impensabili. Esse «fan­no pompa di pallidi cadaveri»10

, ed è compito del tiranno rifornirne la scena. Cosfla chiusa del Papinian, in cui si riconoscono tracce dell'influsso del dramma dei masnadieri sul tardo Gryphius, pre­senta il massacro della famiglia di Papiniano compiuto da Bassia­no Caracalla. Il padre e due figli sono stati uccisi. «Le due salme vengono portate in scena su due catafalchi dai servi di Papiniano e messe l'una di fronte all'altra·. Plauzia non parla piu, ma passa, in preda al lutto, da una salma all'altra, ne bacia il capo e le mani, e infine crolla esanime sul cadavere di Papiniano e viene portata via dalle sue ancelle, dietro le salme»11

• Nel finale della Sophia di Hallmann, una volta consumato il martirio della fedele Cristina e delle sue figlie, si spalanca il retroscena «in cui viene mostrato il banchetto funebre ossia le tre teste delle figlie e tre calici colmi di sangue»12 • Il «banchetto funebre» era tenuto in grande consi~e­razione. In Gryphius esso non viene ancora rappresentato, ma pmt­tosto raccontato.

Fiirst Meurab, blind von hass, getrotzt durch so vielleiden, Lie.B der entleibteh schaar die bleichen kopff abschneiden, Und als der hliupter reyh, diè ihn so hoch verletzt, Zu einem schaugericht auf seinen tisch gesetzt, Nam er, schier au.Ber sich, den dargereichten becher

• STACHEL Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., p. 25. 10 HALLM~, Trauer-,Freuden- undSchaferspiele cit. (Sophia, p. 73 [V, 28o]). [Mit blas­

sen Leichen prangen]. 11 GRYPHIUS, Trauerspiele cit., p. 6x4 (Amilius Paulus Papinianus, V,_i~dic;az!oni per la

messinscena). [Beyde leichen werden auf zweyen trauerbetten von Papmtaru dienern auf den schauplatz getragen und eÌD;ander ~egeniiber gestellet. ~lauria red~t ni~ts f:rner, son­dern gehet hiichst-traurig von etner letche zu der andern, kiisset zuweilen die haupter und hiinde, bis sie zuletzt auf Papiniani leichnam ohnmiichtig sincket und durch ihre stats­jungfern den leichen nachgetragen wird].

12 HALLMANN, Trauer-, Freuden- und Schii/erspiele ci t. (Sophia, p. 68, indicazioni per la messinscena). [ ... in welchem die T odtenmahlzeit gezeiget wird nehmlich die drey Kopfe der Kinder mit drey Gliisern Blut].

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Allegoria e dramma barocco (m) 195

Und schrie: di.B ist der kdch, den ich, der meinen racher Nu nicht mehr sclav, erwisch13 ! '

Piu tardi tali banchetti comparvero anche sulla scena, e siri­correva a tale scopo a un trucco italiano raccomandato da Har­sdorffer e da Birken: attraverso un buco praticato nel piano di un tavolo, la cui tovaglia ricadeva fino a terra, compariva la testa di un attore. In certi casi queste esibizioni del corpo inanimato si tro­vano già all'inizio .del dramma. Le note di scena introduttive del­la Catharina von Georgien sono un esempio in questo senso1\ co­me pure la curiosa scenografia prevista da Hallmann per il primo atto dello Heraclius: «Un campo pieno dei cadaveri dell'esercito sconfitto dell'imperatore Maurizio, accanto ad alcuni rivoletti d'ac­qua sgorganti dalla vicina montagna»1'.

Non è un puro interesse antiquario quello che raccomanda di seguire le tr~cce che riportano, e con estrema chiarezza, di qui al Medioevo. E difficile infatti sopravvalutare l'importanza che ri­veste, per il Barocco, la conoscenza delle origini cristiane della vi­sione allegorica. E pur avendo subito gli influssi piu svariati, que­ste tracce segnano il cammino percorso dal genio dell'allegoria an­che nel mutare delle sue intenzioni. Spesso i poeti del xvn secolo si sono voltati indietro per assicurarsi di questo cammino. Per il Leidenden Christus, Harsdorffer rimandava l'allievo Klai alla Pas­sione di Gregorio di Nazianzo16

• Anche Gryphius ha «tradotto quasi venti inni altomedievali ... nella sua lingua particolarmente adatta a questo stile solenne e tonante; e nutre un amore partico­lare per il piu grande fra gli innografi, Prudenzio»I7• Tra la cri­stianità barocca e quella medievale esiste una triplice parentela di f?t.to. La lotta con t:~ gli dèi pagani, il trionfo dell'allegoria, il mar­tirlo della corpore1ta, sono ugualmente necessari per entrambe. Questi motivi sono strettamente legati fra loro. A quanto risulta,

".GRYP~s! Trauerspiele_ cit. (Catharina von Georgien, I, 649 sgg.). [ll.principe Meu­rab, Cieco di odto, furente di tanto dolore, l Alla schiera inanimata fece tagliare le pallide teste, I.E 9uando la f!Ja dell.e test~, ~he tanto l'avevano offeso, l Fu posata sul tavolo, per esser g.tudicata, l Egli, quasi fuori di sé, prese il calice offerto l E gridò: questo è il calice che io, vendicatore dei miei, l Or non piu schiavo, afferro!]

"Ibid., p. 149 (Catharina von Georgien, I, indicazioni per la messinscena). u ~NN! T~uer:, ~reuden- und.Schiiferspiele cìt. (Die listige Rache oder der tapfere

He;aklius, p. Io, mdicazxoru per la messmscena). [Ein grosses Feld erfiillet mìt sehr vielen Letchen des geschlagenen Krieges-Heeres des Kaìsers Mauritii nebst etlìchen aus dem be­nachbarten Gebirge entspringenden Wiisserbiichlein].

16 Cfr. TITTMANN, Die Numberger Dichterschule cìt., p. 175. 17

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sotto l'aspetto storico-religioso essi sono anzi una sola cosa. Ed è sotto questo aspetto che l'origine dell'allegoria va chiarita. Se la dissoluzione del pantheon classico svolge un ruolo decisivo in que­sta origine, è altamente istruttivo il fatto che il suo ripristino da parte dell'umanesimo susciti nel xvn secolo la piu viva protesta. Rist Moscherosch, Zesen, Harsdorffer, Birken si scagliano con­tro l~ letteratura mitologizzante con lo zelo dei Padri latini, e Pru­denzio, Giovenco, Venanzio Fortunato vengono citati come lo­devoli esempi di una M usa castigata. Per Birken gli dèi pagani ~o­no «veri demoni»18

, ed è senz'altro sorprendente come uno stile di pensiero millenario torni a risuonare in un passo di Hallmann, che certo non mirava a un colorito storico particolare. Nella di­sputa religiosa fra Sophia e l'imperatore Onorio si dice: «Giove non difende forse il trono imperiale?»; e Sophia replica: «Assai piu di Giove lo difende il vero Figlio di Dio! »19

• Questa prontez­za combattiva, di sapore arcaico, è in realtà tipicamente barocca. Il mondo classico tornava infatti a minacciare il cristianesimo nel­la stessa forma in cui, sul suo finire, aveva cercato di imporsi e non senza successo alla nuova dottrina: ossia come gnosi. Col Rinasci­mento e favorite dagli studi neoplatonici, ripresero forza le cor­renti ~ccultistiche. Il movimento rosacrociano e l'alchimia si af. fiancano all'astrologia, l'antica eredità occidentale del paganesimo orientale. L'antichità europea era come scissa, e nella sua splendi­da ripresa umanistica tornava a vivere anche la sua oscura eredità medievale. Muovendo da uno stato d'animo affine, Warburg ha mostrato in modo affascinante come nel Rinascimento «i fenomeni celesti siano stati compresi in forma umana allo scopo di costrin­gerne la forza demonica nello spazio di una figura»20

• Il Rinasci­mento rinnova la memoria figurale - e fino a che punto lo mo­strano le scene di evocazione contenute nei drammi barocchi- ma nello stesso tempo risveglia una speculazione sulle immagini che per la genesi dello stile risulta forse ancor~ piu decisiva. E. la sua emblematistica si ricollega al mondo medievale. La fantasia alle­gorica barocca non produce nulla che non trovi in esso il proprio pendant. Tornano cosi in vita i mitografi allegoristi, a cui si era già rivolto l'interesse dei primi apologisti cristiani. All'età di sedici

•• Cfr. TI'ITMANN, Die Nurnberger Dichterschule cit., p. 46. [Wahre Teufel]. "HALLMANN, Trauer·, Freuden· und Schaferspiele cit. (Sophia, 229 sg.). [Beschiitzt

nicht]upiter den Kaiserlichen Thron? Vielmehr als]upiter ist.Go~es wahrer Sohn!] ·20 WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 70; trad. 1t. c1t., p. 364.

Allegoria e dramma barocco (m) 197

a~ni. Grozio pubblica Marziano Capella. In un senso tutto paleo­cnstiano, nel coro del dramma barocco gli dèi antichi si trovano sullo stesso piano delle allegorie. E poiché il timore angoscioso per le potenze demoniche rende pàrticolarmente opprimente la sfera, sospe~ta, della corporeità, già il Medioevo si era preoccupato di esorcizzarla per via emblematica. «La nudità come emblema»: co­si si potrebbe intitolare la seguente esposizione di Bezold. «Solo nell'Aldilà i beati avrebbero partecipàto di una corporeità incor­ruttibile e del reciproco godimento della propria bellezza, esente da ogni impurità (Agostino, De civitate Dei, XXII, 24). Fino a quel momento la nudità restava un.segno impuro, come si conveniva d'altronde per gli dèi greci, che erano potenze infernali. Di con­seguenza, quando il sapere medievale si imbatteva in figure sve­stite, esso cercava di interpretare questo fatto sconveniente con un simbolismo astruso e perlopiu ostile. Si leggano ad esempio le spiegazioni fornite da Fulgenzio e dai suoi successori riguardo al fatto che Venere, Cupido, Bacco ecc. vengono dipinti nudi: Ve­nere, ad esempio, perché rispedisce a casa i suoi adoratori nudi e crudi, o perché la colpa della voluttà non si lascia dissimulare; Bac­co invec~ perché i bevitori si denudano delle loro sostanze, o per­ché l'ubnaco non riesce a tenere per sé neànche i suoi pensieri piu s~greti ... Un poeta carolingio, W alahfrid Strabo, nella sua descri­Zione estremamente confusa di una scultura nuda si sforza di in­dividuare i nessi piu lambiccati. Si tratta di una figura laterale del monumento equestre dorato di Teodorico ... «<l fatto ... che quel­la figura di "accompagnatore", nera e non dorata, appaia vestita della sola pelle, induce il poeta a formulare la stravagante ipotesi che la nudità valga come oltraggio alla "nudità" del tiranno aria­no e perciò nudo di qualsiasi virtU»21

• Come risulta da questo pas­so, l'esegesi allegorica andava soprattutto in due direzioni: era de­stinata a fissare in termini cristiani la vera natura, demonica de­gli antichi dèi, e doveva servire alla mortificazione devota della carne. Per questo il Medioevo e il Barocco si compiacquero di im­maginare gli idoli pagani come fossero composti delle ossa dei mor­ti. Nella Vita Constantini Eusebio arriva a dire che le statue degli dèi erano fatte di crani e di tibie, e Miinnling sostiene che gli «egi­ziani» avrebbero «seppellito i morti dentro i loro idoli di legno».

21 FRIEDRICH VON BEZOLD, Das Fortleben der antiken Gotter im mitte!alterlichen Huma­

nismus, Bonn-Leipzig 1922, pp. 31 sgg. Cfr. VINCENZO DI BEAUVA!S, Bibliotheca mundi cit., coli. 295 sg.

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I 96 Il dramma barocco tedesco

sotto l'aspetto storico-religioso essi sono anzi una sola cosa. Ed è sotto questo aspetto che l'origine dell'allegoria va chiarita. Se la dissoluzione del pantheon classico svolge un ruolo decisivo in que­sta origine, è altamente istruttivo il fatto che il suo ripristino da parte dell'umanesimo susciti nel xvn secolo la piu viva protesta. Rist Moscherosch, Zesen, Harsdorffer, Birken si scagliano con­tro l~ letteratura mitologizzante con lo zelo dei Padri latini, e Pru­denzio, Giovenco, Venanzio Fortunato vengono citati come lo­devoli esempi di una M usa castigata. Per Birken gli dèi pagani ~o­no «veri demoni»18

, ed è senz'altro sorprendente come uno stile di pensiero millenario torni a risuonare in un passo di Hallmann, che certo non mirava a un colorito storico particolare. Nella di­sputa religiosa fra Sophia e l'imperatore Onorio si dice: «Giove non difende forse il trono imperiale?»; e Sophia replica: «Assai piu di Giove lo difende il vero Figlio di Dio! »19

• Questa prontez­za combattiva, di sapore arcaico, è in realtà tipicamente barocca. Il mondo classico tornava infatti a minacciare il cristianesimo nel­la stessa forma in cui, sul suo finire, aveva cercato di imporsi e non senza successo alla nuova dottrina: ossia come gnosi. Col Rinasci­mento e favorite dagli studi neoplatonici, ripresero forza le cor­renti ~ccultistiche. Il movimento rosacrociano e l'alchimia si af. fiancano all'astrologia, l'antica eredità occidentale del paganesimo orientale. L'antichità europea era come scissa, e nella sua splendi­da ripresa umanistica tornava a vivere anche la sua oscura eredità medievale. Muovendo da uno stato d'animo affine, Warburg ha mostrato in modo affascinante come nel Rinascimento «i fenomeni celesti siano stati compresi in forma umana allo scopo di costrin­gerne la forza demonica nello spazio di una figura»20

• Il Rinasci­mento rinnova la memoria figurale - e fino a che punto lo mo­strano le scene di evocazione contenute nei drammi barocchi- ma nello stesso tempo risveglia una speculazione sulle immagini che per la genesi dello stile risulta forse ancor~ piu decisiva. E. la sua emblematistica si ricollega al mondo medievale. La fantasia alle­gorica barocca non produce nulla che non trovi in esso il proprio pendant. Tornano cosi in vita i mitografi allegoristi, a cui si era già rivolto l'interesse dei primi apologisti cristiani. All'età di sedici

•• Cfr. TI'ITMANN, Die Nurnberger Dichterschule cit., p. 46. [Wahre Teufel]. "HALLMANN, Trauer·, Freuden· und Schaferspiele cit. (Sophia, 229 sg.). [Beschiitzt

nicht]upiter den Kaiserlichen Thron? Vielmehr als]upiter ist.Go~es wahrer Sohn!] ·20 WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 70; trad. 1t. c1t., p. 364.

Allegoria e dramma barocco (m) 197

a~ni. Grozio pubblica Marziano Capella. In un senso tutto paleo­cnstiano, nel coro del dramma barocco gli dèi antichi si trovano sullo stesso piano delle allegorie. E poiché il timore angoscioso per le potenze demoniche rende pàrticolarmente opprimente la sfera, sospe~ta, della corporeità, già il Medioevo si era preoccupato di esorcizzarla per via emblematica. «La nudità come emblema»: co­si si potrebbe intitolare la seguente esposizione di Bezold. «Solo nell'Aldilà i beati avrebbero partecipàto di una corporeità incor­ruttibile e del reciproco godimento della propria bellezza, esente da ogni impurità (Agostino, De civitate Dei, XXII, 24). Fino a quel momento la nudità restava un.segno impuro, come si conveniva d'altronde per gli dèi greci, che erano potenze infernali. Di con­seguenza, quando il sapere medievale si imbatteva in figure sve­stite, esso cercava di interpretare questo fatto sconveniente con un simbolismo astruso e perlopiu ostile. Si leggano ad esempio le spiegazioni fornite da Fulgenzio e dai suoi successori riguardo al fatto che Venere, Cupido, Bacco ecc. vengono dipinti nudi: Ve­nere, ad esempio, perché rispedisce a casa i suoi adoratori nudi e crudi, o perché la colpa della voluttà non si lascia dissimulare; Bac­co invec~ perché i bevitori si denudano delle loro sostanze, o per­ché l'ubnaco non riesce a tenere per sé neànche i suoi pensieri piu s~greti ... Un poeta carolingio, W alahfrid Strabo, nella sua descri­Zione estremamente confusa di una scultura nuda si sforza di in­dividuare i nessi piu lambiccati. Si tratta di una figura laterale del monumento equestre dorato di Teodorico ... «<l fatto ... che quel­la figura di "accompagnatore", nera e non dorata, appaia vestita della sola pelle, induce il poeta a formulare la stravagante ipotesi che la nudità valga come oltraggio alla "nudità" del tiranno aria­no e perciò nudo di qualsiasi virtU»21

• Come risulta da questo pas­so, l'esegesi allegorica andava soprattutto in due direzioni: era de­stinata a fissare in termini cristiani la vera natura, demonica de­gli antichi dèi, e doveva servire alla mortificazione devota della carne. Per questo il Medioevo e il Barocco si compiacquero di im­maginare gli idoli pagani come fossero composti delle ossa dei mor­ti. Nella Vita Constantini Eusebio arriva a dire che le statue degli dèi erano fatte di crani e di tibie, e Miinnling sostiene che gli «egi­ziani» avrebbero «seppellito i morti dentro i loro idoli di legno».

21 FRIEDRICH VON BEZOLD, Das Fortleben der antiken Gotter im mitte!alterlichen Huma­

nismus, Bonn-Leipzig 1922, pp. 31 sgg. Cfr. VINCENZO DI BEAUVA!S, Bibliotheca mundi cit., coli. 295 sg.

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I 98 Il dramma barocco tedesco

Ma il concetto di allegorico può rendere ?iustizia al dram.ma barocco solo a patto di precisare che e~so non s1 stacca solo dal Slfl­bolo teologico, ma anche dalla semplice P?I'ol~ ornamentale. L al­legoria non nasce come arabesco scolastico ~ntor~o. alla rappre~ sentazione degli dèi antichi. Dell' element? ludic?, ~s1~volto egra­tuito che si suole attribuire alle sue manifes~azwru pm ~arde non era presente in origine se non il su? contr~Io. Se la Chies.a aves­se potuto rimuovere con un colpo d1 ~ano il pantheon ~lass1co dal­la memoria dei credenti l' allegoresi non sarebbe mal nata. Essa infatti non è un monum~nto epigonale a!la vittoria,,befl;SI la parq­la destinata a bandire un residuo ancora m tatto dell anuca VIta. E vero che nei primi secoli dell'era cristiana ~ dè~ stessi most:ar:~ una tendenza all'astrattezza. «Nella misura m erula fede negli de1 dell'epoca classica si ~ffievoli~a, le ~agini d~~ dèi che ~i ~ra­na formate nella poes1a e nell arte ~vent~o pm libe:e, e s! ndu: cono a docili strumenti della fantasia poeuca. A partue dal poetl dell'età neroniana, anzi a partire da O;azio ~ da O~ridio, ~oi J?OS­siamo seguire questO processo che raggtunse il culmine n~ll ulumo periodo della scuola alessandrina: il suo rappresentante m assolu­to piu significativo e piu decisivo per l'epoca s.egue~te è Non~o, nella letteratura latina è Claudio Claudiano, nauvo di Aless~dna. Tutto, ogni azione, ogni evento, si trad':"c~ ne~a lor.o opera .m un gioco di forze divine. Non c'è da mera~1gliars1 ~he m q';le~tl poe­ti venga concesso ampio spazi? an~e ~.conce~? astratti; 1 ~erso: naggi divini non ham;o per ~ssi 17n s~rufl~ato J?lU prof<?n.do di q':"e,l concetti essi sono diventati gli um e gli altri, semplici modalita dell'im~aginazione poetica>;22

, Cosf Usener. Tutto ciò è ';ln~ pre­parazione intensiva all'allegoria. Se però essa è qualcosa di pm del semplice volatilizzarsi di en~ità t~ologiche '?a vi~ piu astratte, ed . è anzi il loro stesso sopravvivere m un ambiente mc?ngruo o me­glio ostile, bisognerà concludere ~e questa concezione tardoro­mana non è l'allegoria vera e propria. Proseguend~ per qu~sta.stra­da il mondo degli antichi dèi avrebbe dovuto estmguers1,. e mve­ce proprio l'allegoria li ha salvati: l'intuizione della caducità delle cose e la preoccupazione di salvarle trasportand<?le nell'eterfl;o è infatti uno dei moventi piu forti della conc~z10ne allegane~. Nell'arte come nella scienza e nello stato non VI era nulla, nel pri­mo Medioevo, che si potesse affiancare alle rov~~ lascia t~ dall'an­tichità nei vari campi. La coscienza della caduc1ta scaturiva allora

"uSENER, Gotternamen cit., p. 366.

Allegoria e dramma barocco (m) 199

da una percezione immediata, allo stesso modo in cui alcuni seco­li piu tardi la Guerra dei Trent'anni avrebbe proposto quella co­scienza agli occhi dell'intera Europa. È però da notare che le de­vastazioni materiali piu terribili non costituiscono in questo sen­so un'esperienza piu amara di quanto lo sia il mutare delle norme giuridiche, con la loro pretesa eternità: un fenomeno, questo, che appare evidentissimo proprio in quelle epoche di transizione. L'al­legoria si radica in modo piu duraturo proprio là dove il caduco e l'eterno entrano in collisione. Lo stesso Usener, nei Gotternamen [I nomi degli dèi], ha fornito lo spunto per tracciare con esattez­za la linea di demarcazione fra la natura solo «apparentemente astratta» di certe antiche divinità e l'astrazione allegorica. «Dob­biamo dunque renderei conto del fatto che l'acuta sensibilità reli­giosa degli antichi poteva innalzare anche dei concetti astratti al rango di divinità. Se poi esse rimanevano spettrali e per cosi dire esangui, ciò dipende dal fatto che queste divinità particolari do­vevano impallidire di fronte alle divinità personali: la trasparenza della parola»23

• Attraverso queste improvvisazioni religiose il ter­reno classico era in qualche modo già pronto ad accogliere l'alle­goria: questa però è semente cristiana. L'elemento decisivo per l'elaborazione di questa forma di pensiero fu il fatto che gli idoli e i loro corpi non sembravano incarnare soltanto la caducità, ma anche la colpa. A causa della colpa, ciò che è allegoricamente si­gnificante non può piu trovare in sé la propria pienezza. La colpa non abita solo in colui che allegoricamente contempla, e che tra­disce il mondo per la sua volontà di sapere, ma abita anche l'og­getto della sua contemplazione. Questa concezione, fondata sulla dottrina della caduta creaturale che trascina con sé la natura stes-

. sa, costituisce il fermento della profonda allegoresi occidentale, e la distingue cosi dalla retorica orientale di questa espressione. La natura caduta è in lutto perché è muta. Ma si andrebbe ancora piu a fondo rovesciando la frase: è la sua tristezza a renderla muta. C'è in ogni lutto una tendenza al mutismo, che è infinitamente di piu della semplice incapacità o del semplice rifiuto di parlare. Il sog­getto della tristezza si sente conosciuto per intero dall'inconosci­bile. Essere nominati - anche quando colui che nomina è un se­midio oppure un santo - è sempre forse un presentimento di lut­to. Ma ben piu di un presentimento è l'essere letti dalla lettura incerta dell'allegorista, e accedere al significato soltanto per mez-

"Ibid., pp. 368 sg.; cfr. anche pp. 316 sgg.

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I 98 Il dramma barocco tedesco

Ma il concetto di allegorico può rendere ?iustizia al dram.ma barocco solo a patto di precisare che e~so non s1 stacca solo dal Slfl­bolo teologico, ma anche dalla semplice P?I'ol~ ornamentale. L al­legoria non nasce come arabesco scolastico ~ntor~o. alla rappre~ sentazione degli dèi antichi. Dell' element? ludic?, ~s1~volto egra­tuito che si suole attribuire alle sue manifes~azwru pm ~arde non era presente in origine se non il su? contr~Io. Se la Chies.a aves­se potuto rimuovere con un colpo d1 ~ano il pantheon ~lass1co dal­la memoria dei credenti l' allegoresi non sarebbe mal nata. Essa infatti non è un monum~nto epigonale a!la vittoria,,befl;SI la parq­la destinata a bandire un residuo ancora m tatto dell anuca VIta. E vero che nei primi secoli dell'era cristiana ~ dè~ stessi most:ar:~ una tendenza all'astrattezza. «Nella misura m erula fede negli de1 dell'epoca classica si ~ffievoli~a, le ~agini d~~ dèi che ~i ~ra­na formate nella poes1a e nell arte ~vent~o pm libe:e, e s! ndu: cono a docili strumenti della fantasia poeuca. A partue dal poetl dell'età neroniana, anzi a partire da O;azio ~ da O~ridio, ~oi J?OS­siamo seguire questO processo che raggtunse il culmine n~ll ulumo periodo della scuola alessandrina: il suo rappresentante m assolu­to piu significativo e piu decisivo per l'epoca s.egue~te è Non~o, nella letteratura latina è Claudio Claudiano, nauvo di Aless~dna. Tutto, ogni azione, ogni evento, si trad':"c~ ne~a lor.o opera .m un gioco di forze divine. Non c'è da mera~1gliars1 ~he m q';le~tl poe­ti venga concesso ampio spazi? an~e ~.conce~? astratti; 1 ~erso: naggi divini non ham;o per ~ssi 17n s~rufl~ato J?lU prof<?n.do di q':"e,l concetti essi sono diventati gli um e gli altri, semplici modalita dell'im~aginazione poetica>;22

, Cosf Usener. Tutto ciò è ';ln~ pre­parazione intensiva all'allegoria. Se però essa è qualcosa di pm del semplice volatilizzarsi di en~ità t~ologiche '?a vi~ piu astratte, ed . è anzi il loro stesso sopravvivere m un ambiente mc?ngruo o me­glio ostile, bisognerà concludere ~e questa concezione tardoro­mana non è l'allegoria vera e propria. Proseguend~ per qu~sta.stra­da il mondo degli antichi dèi avrebbe dovuto estmguers1,. e mve­ce proprio l'allegoria li ha salvati: l'intuizione della caducità delle cose e la preoccupazione di salvarle trasportand<?le nell'eterfl;o è infatti uno dei moventi piu forti della conc~z10ne allegane~. Nell'arte come nella scienza e nello stato non VI era nulla, nel pri­mo Medioevo, che si potesse affiancare alle rov~~ lascia t~ dall'an­tichità nei vari campi. La coscienza della caduc1ta scaturiva allora

"uSENER, Gotternamen cit., p. 366.

Allegoria e dramma barocco (m) 199

da una percezione immediata, allo stesso modo in cui alcuni seco­li piu tardi la Guerra dei Trent'anni avrebbe proposto quella co­scienza agli occhi dell'intera Europa. È però da notare che le de­vastazioni materiali piu terribili non costituiscono in questo sen­so un'esperienza piu amara di quanto lo sia il mutare delle norme giuridiche, con la loro pretesa eternità: un fenomeno, questo, che appare evidentissimo proprio in quelle epoche di transizione. L'al­legoria si radica in modo piu duraturo proprio là dove il caduco e l'eterno entrano in collisione. Lo stesso Usener, nei Gotternamen [I nomi degli dèi], ha fornito lo spunto per tracciare con esattez­za la linea di demarcazione fra la natura solo «apparentemente astratta» di certe antiche divinità e l'astrazione allegorica. «Dob­biamo dunque renderei conto del fatto che l'acuta sensibilità reli­giosa degli antichi poteva innalzare anche dei concetti astratti al rango di divinità. Se poi esse rimanevano spettrali e per cosi dire esangui, ciò dipende dal fatto che queste divinità particolari do­vevano impallidire di fronte alle divinità personali: la trasparenza della parola»23

• Attraverso queste improvvisazioni religiose il ter­reno classico era in qualche modo già pronto ad accogliere l'alle­goria: questa però è semente cristiana. L'elemento decisivo per l'elaborazione di questa forma di pensiero fu il fatto che gli idoli e i loro corpi non sembravano incarnare soltanto la caducità, ma anche la colpa. A causa della colpa, ciò che è allegoricamente si­gnificante non può piu trovare in sé la propria pienezza. La colpa non abita solo in colui che allegoricamente contempla, e che tra­disce il mondo per la sua volontà di sapere, ma abita anche l'og­getto della sua contemplazione. Questa concezione, fondata sulla dottrina della caduta creaturale che trascina con sé la natura stes-

. sa, costituisce il fermento della profonda allegoresi occidentale, e la distingue cosi dalla retorica orientale di questa espressione. La natura caduta è in lutto perché è muta. Ma si andrebbe ancora piu a fondo rovesciando la frase: è la sua tristezza a renderla muta. C'è in ogni lutto una tendenza al mutismo, che è infinitamente di piu della semplice incapacità o del semplice rifiuto di parlare. Il sog­getto della tristezza si sente conosciuto per intero dall'inconosci­bile. Essere nominati - anche quando colui che nomina è un se­midio oppure un santo - è sempre forse un presentimento di lut­to. Ma ben piu di un presentimento è l'essere letti dalla lettura incerta dell'allegorista, e accedere al significato soltanto per mez-

"Ibid., pp. 368 sg.; cfr. anche pp. 316 sgg.

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200 Il dramma barocco tedesco

zo di essa. D'altra parte, quanto piu la natura e l'antichità erano sentite come colpevoli, tanto piu obbligata era la loro interpreta­zione allegorica, intesa come l'unica salvezza possibile. Infatti, pro­prio nella sua cosciente degradazione dell'oggetto, l'intenzione me­lanconica conserva una sua incomparabile fedeltà alla cosa. Ma la profezia di Prudenzio - «11 marmo risplenderà, puro da ogni san­gue; i bronzi, che ora sono presi per idoli, si ergeranno senza col­pa» - 24 milleduecento anni piu tardi non si è ancora avverata. Per il Barocco, e prima ancora per il Rinascimento, il marmo e i bron­zi antichi continuavano a emanare quel brivido con cui Agostino aveva riconosciuto in essi, «per cosi dire, i corpi degli dèi». «Es­si erano abitati da spiriti che potevano essere evocati, e che erano in grado di nuocere ai loro fedeli e adoratori, o viceversa di soci­disfarne i desideri»25

• Oppure, come dice Warburg a proposito del Rinascimento: «La bellezza formale delle immagini divine e l' ar­monioso equilibrio tra la fede cristiana e quella pagana non devo­no farci dimenticare che anche nell'Italia del 1520, ossia all'epo­ca della piu libera creatività artistica, l'antichità era venerata qua­si come un'erma bifronte, con un volto oscuro-demonico, che esigeva un culto superstizioso, e un volto olimpico-sereno che sol­lecitava una contemplazione di tipo estetico» 26

• I tre momenti de­cisivi nell'origine dell' allegoresi occidentale sono dunque non clas­sici, anzi anticlassici: gli dèi si protendono in un mondo estraneo, diventano malvagi e diventano creature. Quella che rimane è la veste del dio, intorno alla quale, col passare del tempo, si raccol­gono gli emblemi. E questa veste è creaturale come un corpo de­moniaco. Curiosamente, la teologia ellenistica e illuministica di Evemero rappresenta in questo senso un aspetto della fede popo­lare in divenire. Giacché «in questo modo la riduzione degli dèi a semplici esseri umani si collegava sempre piu strettament:e all'idea che nei residui del loro culto, e soprattutto nelle loro immagini, continuassero ad operare forze magiche di natura maligna. La di­mostrazione della loro completa impotenza era contraddetta dal fatto che satanici vicari si impadronivano delle loro discusse pre-

"' AURELIO P. CLEMENTE PRUDENZIO, Contra Symmacbum, I, 501 sg. (cit. in BEZOLD, Das Fortleben der antiken Gotter cit., p. 30).

25 AGOSTINO, De civitate Dei, VIII, 23: «Visibilia et contrectibilia simulacra velut cor­pora deorum esse asserit; inesse autem his quosdam spirirus invitatos, qui valeant aliquid sive ad nocendum sive ad desideria complenda eorum, a quibus eis divini honores et cul­tus obsequia deferuntur».

26 WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 34; trad. it. cit., p. 338. . .

Allegoria e dramma barocco (m) 20I

• TI D'al rogattve» · tra parte, accanto agli emblemi e alle vesti riman-gono a~che le parole ed i ~orni, e nella misura in cui i contesti di· proverulnza vanno perduti essi danno origine a concetti in cui que­ste paro ~ assumono un nuovo contenuto, predisposto alla ra _ presentaziOne allegor!ca, come la Fortuna, Venere (in quanto Do~­na-~ondo) e alt:e. L estinguersi delle figure e il loro ridursi a con­cetti è dunqu~ il presupposto per la metamorfosi allegorica del Paitheon classico m u_n mondo di creatm;e magico-concettuali. Su t .e presuppo.sto pog~Ia la concezione di Amore «come demone la­scivo d~e alt e ?agh ~rtigli di pipistrello, come in Giotto», 0 la sopravvtven~a d1 esseri favolosi come i Fauni e i Centauri, le Si­re?e e le ArJ?Ie, co~e !igure allegoriche nel quadro dell'inferno cri­stiano. «Dru tempi dt Winckelmann il mondo cl · b 'l d li dè' · . . . • assicamente no-I e eg I anttcht SI Identifica per noi a tal punto con l'antichità

tout court da farci ~mer:t~care che e~so. è una nuova invenzione def,a ct;Itura e dell erudtzi?ne umarusttca; in realtà questo lato «o Imptco» de~ mondo a~~Ico andava prima strappato a forza a qt;tell,~ «dem~ruaco» tradiziOnale. Sin dalla fine del mondo antico gli det P~~am app~tennero senza soluzione di continuità all'uni­velso r_eligtos~ dell Europa cristiana, e ne condizionarono a tal pun­to a vita pratica da configurare senza dubbio una sorta di regime parallelo ~ollerato .dalla Chiesa: quello dèlla cosmologia e so rat­tut~. ~eli ast:ologta pa~ana»28 • Agli antichi dèi nella loro es~nta cos Ita co:risponde l allegoria. Risulta allora calzante e iu P!ofonda di q.ua,~t? ~o n si pensi, l'affermazione che segue:'« Lapvi­cmanza d~gh det ~Insomma un'esigenza vitale importantissima per uno sviluppo vigoroso d eli' allegoresi»29.

La co?cezi~ne ~~gorica trae la sua origine dal confronto tra una physzs eh~ ,il cristi~nesimo vuole segnata dalla colpa e una na­:a de~rum pm pura, Incorporata dal pantheon classico. Ora, se il . nasctmento ripo_rta in vita l'elemento pagano, e la Contro-

riforma quello cristiano era inevitabile che anche l'ali · · · . f • egoria si nn-no~~sse m quan~o orma d~lloro incontro. Per il dramma baroc-c? e Imp?rtante il fatto che il Medioevo avesse rivestito delle sem-bianze dt Satana lo stretto legame tra la materialità e il d · M ttu 'l emoruaco.

a sopra tto, 1 concentrarsi delle molteplici istanze pagane in

: BEZOLD, Das ~ortf:ben de;antike:z Gottercit., p. 5. WARBURG, Heidntsch-anttke Wezssagung cit. p. 5' trad it cit p

29 HORST, Barockprob/eme cit., p. 42 • ' ' . • ., • 314·

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zo di essa. D'altra parte, quanto piu la natura e l'antichità erano sentite come colpevoli, tanto piu obbligata era la loro interpreta­zione allegorica, intesa come l'unica salvezza possibile. Infatti, pro­prio nella sua cosciente degradazione dell'oggetto, l'intenzione me­lanconica conserva una sua incomparabile fedeltà alla cosa. Ma la profezia di Prudenzio - «11 marmo risplenderà, puro da ogni san­gue; i bronzi, che ora sono presi per idoli, si ergeranno senza col­pa» - 24 milleduecento anni piu tardi non si è ancora avverata. Per il Barocco, e prima ancora per il Rinascimento, il marmo e i bron­zi antichi continuavano a emanare quel brivido con cui Agostino aveva riconosciuto in essi, «per cosi dire, i corpi degli dèi». «Es­si erano abitati da spiriti che potevano essere evocati, e che erano in grado di nuocere ai loro fedeli e adoratori, o viceversa di soci­disfarne i desideri»25

• Oppure, come dice Warburg a proposito del Rinascimento: «La bellezza formale delle immagini divine e l' ar­monioso equilibrio tra la fede cristiana e quella pagana non devo­no farci dimenticare che anche nell'Italia del 1520, ossia all'epo­ca della piu libera creatività artistica, l'antichità era venerata qua­si come un'erma bifronte, con un volto oscuro-demonico, che esigeva un culto superstizioso, e un volto olimpico-sereno che sol­lecitava una contemplazione di tipo estetico» 26

• I tre momenti de­cisivi nell'origine dell' allegoresi occidentale sono dunque non clas­sici, anzi anticlassici: gli dèi si protendono in un mondo estraneo, diventano malvagi e diventano creature. Quella che rimane è la veste del dio, intorno alla quale, col passare del tempo, si raccol­gono gli emblemi. E questa veste è creaturale come un corpo de­moniaco. Curiosamente, la teologia ellenistica e illuministica di Evemero rappresenta in questo senso un aspetto della fede popo­lare in divenire. Giacché «in questo modo la riduzione degli dèi a semplici esseri umani si collegava sempre piu strettament:e all'idea che nei residui del loro culto, e soprattutto nelle loro immagini, continuassero ad operare forze magiche di natura maligna. La di­mostrazione della loro completa impotenza era contraddetta dal fatto che satanici vicari si impadronivano delle loro discusse pre-

"' AURELIO P. CLEMENTE PRUDENZIO, Contra Symmacbum, I, 501 sg. (cit. in BEZOLD, Das Fortleben der antiken Gotter cit., p. 30).

25 AGOSTINO, De civitate Dei, VIII, 23: «Visibilia et contrectibilia simulacra velut cor­pora deorum esse asserit; inesse autem his quosdam spirirus invitatos, qui valeant aliquid sive ad nocendum sive ad desideria complenda eorum, a quibus eis divini honores et cul­tus obsequia deferuntur».

26 WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 34; trad. it. cit., p. 338. . .

Allegoria e dramma barocco (m) 20I

• TI D'al rogattve» · tra parte, accanto agli emblemi e alle vesti riman-gono a~che le parole ed i ~orni, e nella misura in cui i contesti di· proverulnza vanno perduti essi danno origine a concetti in cui que­ste paro ~ assumono un nuovo contenuto, predisposto alla ra _ presentaziOne allegor!ca, come la Fortuna, Venere (in quanto Do~­na-~ondo) e alt:e. L estinguersi delle figure e il loro ridursi a con­cetti è dunqu~ il presupposto per la metamorfosi allegorica del Paitheon classico m u_n mondo di creatm;e magico-concettuali. Su t .e presuppo.sto pog~Ia la concezione di Amore «come demone la­scivo d~e alt e ?agh ~rtigli di pipistrello, come in Giotto», 0 la sopravvtven~a d1 esseri favolosi come i Fauni e i Centauri, le Si­re?e e le ArJ?Ie, co~e !igure allegoriche nel quadro dell'inferno cri­stiano. «Dru tempi dt Winckelmann il mondo cl · b 'l d li dè' · . . . • assicamente no-I e eg I anttcht SI Identifica per noi a tal punto con l'antichità

tout court da farci ~mer:t~care che e~so. è una nuova invenzione def,a ct;Itura e dell erudtzi?ne umarusttca; in realtà questo lato «o Imptco» de~ mondo a~~Ico andava prima strappato a forza a qt;tell,~ «dem~ruaco» tradiziOnale. Sin dalla fine del mondo antico gli det P~~am app~tennero senza soluzione di continuità all'uni­velso r_eligtos~ dell Europa cristiana, e ne condizionarono a tal pun­to a vita pratica da configurare senza dubbio una sorta di regime parallelo ~ollerato .dalla Chiesa: quello dèlla cosmologia e so rat­tut~. ~eli ast:ologta pa~ana»28 • Agli antichi dèi nella loro es~nta cos Ita co:risponde l allegoria. Risulta allora calzante e iu P!ofonda di q.ua,~t? ~o n si pensi, l'affermazione che segue:'« Lapvi­cmanza d~gh det ~Insomma un'esigenza vitale importantissima per uno sviluppo vigoroso d eli' allegoresi»29.

La co?cezi~ne ~~gorica trae la sua origine dal confronto tra una physzs eh~ ,il cristi~nesimo vuole segnata dalla colpa e una na­:a de~rum pm pura, Incorporata dal pantheon classico. Ora, se il . nasctmento ripo_rta in vita l'elemento pagano, e la Contro-

riforma quello cristiano era inevitabile che anche l'ali · · · . f • egoria si nn-no~~sse m quan~o orma d~lloro incontro. Per il dramma baroc-c? e Imp?rtante il fatto che il Medioevo avesse rivestito delle sem-bianze dt Satana lo stretto legame tra la materialità e il d · M ttu 'l emoruaco.

a sopra tto, 1 concentrarsi delle molteplici istanze pagane in

: BEZOLD, Das ~ortf:ben de;antike:z Gottercit., p. 5. WARBURG, Heidntsch-anttke Wezssagung cit. p. 5' trad it cit p

29 HORST, Barockprob/eme cit., p. 42 • ' ' . • ., • 314·

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una figura di Anticristo dai tratti teolo_gicamente rigorosi fa,si che proprio alla materia, piu che ai demoru, venga ~ssegna~a un apt:a­renza oscura e soverchiante. E non solo il Medi?e~~ g~unse ~osi a confinare la ricerca intorno alla natura entro limiti r1st~ett1, ~a l'essenza diabolica della materia arriva a rendere sospetti perf~no i matematici. «Qualunque cosa essi pensino- spiega lo sc?lastico Enrico di Gand- è qualcosa di spazi~e (quantum), .o po~s1ede co­munque un luogo nello ~pazio coi?e ~ ~u~to. Perciò. t:W pe:sone sono melanconiche, e diventano 1 miglior~ ma~eJ?aticl ma l peg­giori metafisici»'0 • Se l'intenzione allegonc~ si 7~volg~ ~ mo?do delle cose creaturali, un mondo morto o tutt :Ù p1~ seiDiv~vo, l uo­mo non cade sotto il suo sguardo. Se essa s1 attiene urucamente agli emblemi, la metamorfosi repentina, la salve~za, no? sono p:n­sabili. Irridendo ogni travestimento emblema~Ic<?, puo essere m­vece che l'inconfondibile ghigno demoniaco af.hon d~ grembo ~el: la terra nella sua vitalità e nella sua nudità tr10nf~t~, p~r offrir~! cosi allo sguardo dell'allegorista. Il Medioevo ha mc1~o m ~n p~­mo tempo i tratti spigolosi ed aguzzi di Satana sulla hgura m on­gine piu distesa del demone pagano. La m~teria, c~eata secon?o la dottrina gnostico-manichea per «detartari~zare» il J?On~~· e de­stinata dunque ad accogliere in sé il demoruaco - a~fmche il. mon­do, separandosi da essa, si mostri purificato.- ~cq~sta.co~c~enza, in Satana, della propria natura tartarica, ~e rrnd: il « sig~ihcato» allegorico e schernisce chiunque creda di pote7s1 calare Impune­mente nelle sue profondità. Come dunque la tnstezz~ terrena ap­partiene all' allegoresi, cosi la voluttà inf~rnal~ a~p~t1ene alla sua brama vanificata dal trionfo della matena. DI qrulmfern~e spas­sosità dell'intrigante, il suo intellettualismo,. il suo sapere mtorno ai significati. La creatura muta è i~ grado ~.sperar~ nella salvez­za attraverso il significato. La sottile ve~satilita ?ell uomo non~~ problemi con la parola, e mentre cerca di ~onfem: r:e~ calcolo pm abietto una sembianza umana alla propri~ matenalita, ess~ con­trappone all' alleg<?ri~ta il sarcastico g~gno I~ern~e. In ess~ ~ mu­tismo della materia e superato. Proprio la nsata u~.fer~al<: : mf~t­ti la forma eccentrica e deformata che ha la matena di spmtualiz­zarsi. Essa diventa cosi spirituale che supera d'u~ balzo la parola, vuole spingersi oltre e sfoci~ nel fr~gore .~e~a nsata: Per quant? dall'esterno ciò possa apparire bestiale, lmtima follia la percep1-

•• ENRICO m GAND, Quodlibeta, Paris 1518, f. xxxxyr ('!uodl. II, quaest. 9}; cit. in PA·

NOFSKY,. sAXL, Durers «Melencolia 1» cit., p. 72; trad. 1t. Clt., p. 317 e nota.

Allegoria e dramma barocco (m) 203

sce come spiritualità. «Lucifero, principe delle tenebre, reggitore della profonda tristezza, signore della ruota celeste, duca dello zolfo, re dell'abisso» 31 non si lascia schernire. Julius Leopold Klein l<? chiama a ragione la «figura protoallegorica». E come questo sto­neo della letteratura ha mostrato con argomenti eccellenti pro­prio uno dei piu poderosi personaggi di Shakespeare risulta' com­prensibile solo a partire dall'allegoria, anzi a partire da Satana. «Al ruol? iniquo del vice si rifà ... il Riccardo III di Shakespeare, il Vi­ce diventato buffoon-devil, che denuncia in modo sorprendente la sua evoluzione-derivazione dal diavolo dei Misteri medievali e dal Vice "moralizzante" e biforcuto del moral-play, legittimo erede di entrambi, il devii e il Vice, diventati ormai carne della sua carne e sangue def suo sangue». Lo attesta un'osservazione di passaggio: « "Gloucester (a parte): Come nei Misteri la figura dell'iniquo, co­si anch'io intendo due significati da una sola parola". Nel Riccar­do III, il devii e il Vice si fondono in un eroe tragico di stampo guer­resco e dal lignaggio storico preciso, com'egli stesso ammette tra le righe»32

• Ma un eroe tragico non è. Questo rapido excursus si gi~stifica piuttosto ricordando ancora una volta il fatto che per Ri~cardo III, come per A~eto e per le «tragedie» di Shakespea­re m generale, solo la teona del dramma barocco può fornire i pro­legomeni di una interpretazione adeguata. Perché l'elemento alle­gorico in Shakespeare va molto al di là delle forme della metafo­ra, con cui Goethe volle identificarla. « Shakespeare è ricco di tropi meravigliosi che nascono da concetti personificati e che a noi non si adatterebbero affatto, ma che in lui sono perfettamente alloro P.os;? perch~ al s';lo te~po t?tta l'arte eFa dominata dall'allego­ria» . Noval1s scnve pm decisamente: «E possibile trovare in un lavoro di Shakespeare un'idea arbitraria, un'allegoria ecc.»34 • Ma lo Sturm und Drang, che scopri Shakespeare per il pubblico tede­sco, vede in lui soltanto l'elementare, non l'allegorico. Eppure Shakespeare è caratterizzato proprio dal fatto che i due aspetti in lui sono in sostanza una sola cosa. Ogni espressione elementare della creatura acquista significato attraverso la sua esistenza alle-

" [Lettera anonima su Lucifero contro Giovanni XXIII]' cit. in PAUL LEHMANN Die Parodie im. Mittelalter, Miinchen 1922, p. 97· [Lucifer Fiirst d~r finsternis regierer de~ tie· fen trawrigkeit keiser des Hellischen Spuls Hertzog des Schwebelwassers Konig des ab­grunds].

"KLEIN, Geschichte des englischen Dram.a's cit., pp. 3 sgg. " GOETHE, Siim.tliche W erke ci t., vol. XXXVIII: Schri/ten zur Literatur, 3, p. 2 58 (Maxi­

,.,t!'Jill -•-" .R..ç/;!,:x;~'"'h r:rad. lt. clt., p. 4\J. 1~ Nt'lVALnl, Sabri}ten dt., v-ol.lll, p. 13.

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una figura di Anticristo dai tratti teolo_gicamente rigorosi fa,si che proprio alla materia, piu che ai demoru, venga ~ssegna~a un apt:a­renza oscura e soverchiante. E non solo il Medi?e~~ g~unse ~osi a confinare la ricerca intorno alla natura entro limiti r1st~ett1, ~a l'essenza diabolica della materia arriva a rendere sospetti perf~no i matematici. «Qualunque cosa essi pensino- spiega lo sc?lastico Enrico di Gand- è qualcosa di spazi~e (quantum), .o po~s1ede co­munque un luogo nello ~pazio coi?e ~ ~u~to. Perciò. t:W pe:sone sono melanconiche, e diventano 1 miglior~ ma~eJ?aticl ma l peg­giori metafisici»'0 • Se l'intenzione allegonc~ si 7~volg~ ~ mo?do delle cose creaturali, un mondo morto o tutt :Ù p1~ seiDiv~vo, l uo­mo non cade sotto il suo sguardo. Se essa s1 attiene urucamente agli emblemi, la metamorfosi repentina, la salve~za, no? sono p:n­sabili. Irridendo ogni travestimento emblema~Ic<?, puo essere m­vece che l'inconfondibile ghigno demoniaco af.hon d~ grembo ~el: la terra nella sua vitalità e nella sua nudità tr10nf~t~, p~r offrir~! cosi allo sguardo dell'allegorista. Il Medioevo ha mc1~o m ~n p~­mo tempo i tratti spigolosi ed aguzzi di Satana sulla hgura m on­gine piu distesa del demone pagano. La m~teria, c~eata secon?o la dottrina gnostico-manichea per «detartari~zare» il J?On~~· e de­stinata dunque ad accogliere in sé il demoruaco - a~fmche il. mon­do, separandosi da essa, si mostri purificato.- ~cq~sta.co~c~enza, in Satana, della propria natura tartarica, ~e rrnd: il « sig~ihcato» allegorico e schernisce chiunque creda di pote7s1 calare Impune­mente nelle sue profondità. Come dunque la tnstezz~ terrena ap­partiene all' allegoresi, cosi la voluttà inf~rnal~ a~p~t1ene alla sua brama vanificata dal trionfo della matena. DI qrulmfern~e spas­sosità dell'intrigante, il suo intellettualismo,. il suo sapere mtorno ai significati. La creatura muta è i~ grado ~.sperar~ nella salvez­za attraverso il significato. La sottile ve~satilita ?ell uomo non~~ problemi con la parola, e mentre cerca di ~onfem: r:e~ calcolo pm abietto una sembianza umana alla propri~ matenalita, ess~ con­trappone all' alleg<?ri~ta il sarcastico g~gno I~ern~e. In ess~ ~ mu­tismo della materia e superato. Proprio la nsata u~.fer~al<: : mf~t­ti la forma eccentrica e deformata che ha la matena di spmtualiz­zarsi. Essa diventa cosi spirituale che supera d'u~ balzo la parola, vuole spingersi oltre e sfoci~ nel fr~gore .~e~a nsata: Per quant? dall'esterno ciò possa apparire bestiale, lmtima follia la percep1-

•• ENRICO m GAND, Quodlibeta, Paris 1518, f. xxxxyr ('!uodl. II, quaest. 9}; cit. in PA·

NOFSKY,. sAXL, Durers «Melencolia 1» cit., p. 72; trad. 1t. Clt., p. 317 e nota.

Allegoria e dramma barocco (m) 203

sce come spiritualità. «Lucifero, principe delle tenebre, reggitore della profonda tristezza, signore della ruota celeste, duca dello zolfo, re dell'abisso» 31 non si lascia schernire. Julius Leopold Klein l<? chiama a ragione la «figura protoallegorica». E come questo sto­neo della letteratura ha mostrato con argomenti eccellenti pro­prio uno dei piu poderosi personaggi di Shakespeare risulta' com­prensibile solo a partire dall'allegoria, anzi a partire da Satana. «Al ruol? iniquo del vice si rifà ... il Riccardo III di Shakespeare, il Vi­ce diventato buffoon-devil, che denuncia in modo sorprendente la sua evoluzione-derivazione dal diavolo dei Misteri medievali e dal Vice "moralizzante" e biforcuto del moral-play, legittimo erede di entrambi, il devii e il Vice, diventati ormai carne della sua carne e sangue def suo sangue». Lo attesta un'osservazione di passaggio: « "Gloucester (a parte): Come nei Misteri la figura dell'iniquo, co­si anch'io intendo due significati da una sola parola". Nel Riccar­do III, il devii e il Vice si fondono in un eroe tragico di stampo guer­resco e dal lignaggio storico preciso, com'egli stesso ammette tra le righe»32

• Ma un eroe tragico non è. Questo rapido excursus si gi~stifica piuttosto ricordando ancora una volta il fatto che per Ri~cardo III, come per A~eto e per le «tragedie» di Shakespea­re m generale, solo la teona del dramma barocco può fornire i pro­legomeni di una interpretazione adeguata. Perché l'elemento alle­gorico in Shakespeare va molto al di là delle forme della metafo­ra, con cui Goethe volle identificarla. « Shakespeare è ricco di tropi meravigliosi che nascono da concetti personificati e che a noi non si adatterebbero affatto, ma che in lui sono perfettamente alloro P.os;? perch~ al s';lo te~po t?tta l'arte eFa dominata dall'allego­ria» . Noval1s scnve pm decisamente: «E possibile trovare in un lavoro di Shakespeare un'idea arbitraria, un'allegoria ecc.»34 • Ma lo Sturm und Drang, che scopri Shakespeare per il pubblico tede­sco, vede in lui soltanto l'elementare, non l'allegorico. Eppure Shakespeare è caratterizzato proprio dal fatto che i due aspetti in lui sono in sostanza una sola cosa. Ogni espressione elementare della creatura acquista significato attraverso la sua esistenza alle-

" [Lettera anonima su Lucifero contro Giovanni XXIII]' cit. in PAUL LEHMANN Die Parodie im. Mittelalter, Miinchen 1922, p. 97· [Lucifer Fiirst d~r finsternis regierer de~ tie· fen trawrigkeit keiser des Hellischen Spuls Hertzog des Schwebelwassers Konig des ab­grunds].

"KLEIN, Geschichte des englischen Dram.a's cit., pp. 3 sgg. " GOETHE, Siim.tliche W erke ci t., vol. XXXVIII: Schri/ten zur Literatur, 3, p. 2 58 (Maxi­

,.,t!'Jill -•-" .R..ç/;!,:x;~'"'h r:rad. lt. clt., p. 4\J. 1~ Nt'lVALnl, Sabri}ten dt., v-ol.lll, p. 13.

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gorica, e tutto ciò che è allegorico acquista forza attraverso i dati elementari del mondo sensibile. Con l'estinguersi del momento al­legorico svanisce anche la forza elementare del dramma, fino ari­nascere nello Sturm und Drang, e appunto nella forma del dramma barocco. Il Romanticismo torna a «sentire» l'allegorico. Ma poi­ché la sua attenzione si ferma a Shakespeare, non poteva essere piu di un presentimento. Infatti in Shakespeare il primato spetta all'elementare, in Calder6n all'allegorico. Prima di rifugiarsi nei terrori del lutto, Satana assolve il suo ufficio di tentatore. Egli ini­zia a un sapere che è il principio stesso del comportamento pecca­minoso. E se la tesi socratica secondo cui la conoscenza del bene induce a fare il bene può essere forse discutibile, è invece tanto piu vero il contrario, riguardo alla conoscenza del male. Questa conoscenza non è un lumen naturale, una luce interiore che si ac­cenda nella notte della tristezza, ma un bagliore sotterraneo che filtra dalle viscere della terra. Lo sguardo ribelle e penetrante di Satana si accende in colui che rimugina contemplandolo. Si con­ferma allora l'importanza dell'erudizione barocca per la letteratu­ra drammatica. Solo per l'erudito, infatti, qualcosa può darsi co­me allegoria. D'altra parte, se la meditazione non si rivolge con pazienza alla verità ma tende senz'altro e ossessivamente, con tut­to l'acume del suo sguardo, al sapere assoluto, è proprio ad essa che le cose si sottraggono nella loro semplicità di cose per ridursi davanti ad essa a rimandi allegorici e in seguito in polvere. L'in­tenzione allegorica è cosf contraria alla ricerca della verità che pro­prio in essa appare in piena luce la coincidenza tra la curiosità, ri­volta al puro sapere, e la superba separatezza dell'uomo. «La spa: ventosa morte, orribile alchimista»3

': questa profonda metafora di Hallmann non poggia solo sul fenomeno della decomposizione. Il sapere magico, in cui l'alchimia rientra, minaccia l'adepto con l'iso­lamento e la morte spirituale. Come dimostrano l'alchimia e i ro­sacroce, o le evocazioni di spiriti nelle scene del teatro barocco, l'epoca barocca non era meno dedita alla magia del Rinascimento. Qualunque cosa essa tocchi, la sua mano la trasforma, come quel­la di Mida, in qualcosa di significativo. La metamorfosi è il suo elemento, e il suo schema è l'allegoria. E quanto meno la passione magica si limita al periodo barocco, tanto piu-essa ris\}lta adatta a segnalare un elemento barocco nelle forme piu tarde. E proprio es­sa a legittimare una consuetudine recente, che vuoi vedere unge-

"HALLMANN, Leichreden CÌt., p. 45·

Allegoria e dramma barocco (m) 205

sto bar?cc.o ne,I tardo Goethe co~e nel tardo Holderlin~ II sapere, e non l agire, e la forma ontologica peculiare del male. Ne conse­g~e .che la tentazione. f~s~ca, intesa come voluttà, ingordigia, pi­grizia puramente sensibili, non costituisce affatto la sua natura ul­tima e piu specifica. Questa si dischiude piuttosto con la fata Mor­gana di ~n regno d~lla sp~itualità assoluta, cioè senza Dio, quale solt~to il male puo esperrrla concretamente nel suo legame sim­metrico con la materia. Lo stato d'animo che vi regna è il lutto che è insieme la matrice dell'allegoria e il suo contenuto. E ad es: s? corrispondono tre promesse sataniche originarie di natura spi­rituale. Il dramma barocco ne mostra la continua presenza ora nel­la figura del tiranno ora in quella dell'intrigante. Ciò che seduce è l'apparenza ~ella libertà: nell'indagare il proibito; l'apparenza dell'auto~~~a:. nell'escludersi ~alla comunità,dei devoti; l'appa­renza dell infrmto: nel vuoto abisso del male. E proprio infatti di ogni virtu avere un fine di fronte a sé, e cioè il suo modello in Dio· mentre la. dannazione inaugura seinpre un progresso all'infinito: La teologia del male va quindi dedotta dalla caduta di Satana in cui questi motivi trovano conferma, assai piu che dai moniti 'coi quali la dottrina ecclesiastica è solita rappresentare il cacciatore di anime. La spiritualità assoluta, che è il significato di Satana si sui­dd~ eman~ipandosi dal sacro. La materia - qui svuotata di' anima - diventa il suo luogo naturale. La pura materialità e la spiritua­lità assoluta sono i due poli dell'ambito satanico: e la coscienza è la loro sintesi buffonesca, che scimmiotta quella autentica la sin­tesi della vita. E il suo speculare ostile alla vita, legato al 'mondo casale ~egli emblemi, si imbatte alla fine nel sapere propriamente demoruaco. Nel De civitate Dei di Agostino si dice che essi vengo­no «chiamati &af+toveç, perché questa parola greca indica il loro possesso delle scienze»36

• Ed estremamente spirituale suona il ver­detto di spiritualità fanatica sulla bocca di Francesco d'Assisi il quale mostra la retta via a uno dei sùoi discepoli sprofondato' in studi troppo astrusi:« Unus solus daimon plus scit quam tu».

In quanto sapere l'istinto trascina giu nel vuoto abisso del ma­le per assicurarsi l'infinito. Ma è anche l'abisso della meditazione senza fondo. I suoi dati non possono entrare nelle costellazioni fi­losofiche. E si squadernano perciò come un puro repertorio di eu-

"AGOSTINo, De civitate Dei, IX, 20: «Daemones enim dicuntur (quoniam vocabulum Graecum est) ad scientiam nominati».

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204 Il dramma barocco tedesco

gorica, e tutto ciò che è allegorico acquista forza attraverso i dati elementari del mondo sensibile. Con l'estinguersi del momento al­legorico svanisce anche la forza elementare del dramma, fino ari­nascere nello Sturm und Drang, e appunto nella forma del dramma barocco. Il Romanticismo torna a «sentire» l'allegorico. Ma poi­ché la sua attenzione si ferma a Shakespeare, non poteva essere piu di un presentimento. Infatti in Shakespeare il primato spetta all'elementare, in Calder6n all'allegorico. Prima di rifugiarsi nei terrori del lutto, Satana assolve il suo ufficio di tentatore. Egli ini­zia a un sapere che è il principio stesso del comportamento pecca­minoso. E se la tesi socratica secondo cui la conoscenza del bene induce a fare il bene può essere forse discutibile, è invece tanto piu vero il contrario, riguardo alla conoscenza del male. Questa conoscenza non è un lumen naturale, una luce interiore che si ac­cenda nella notte della tristezza, ma un bagliore sotterraneo che filtra dalle viscere della terra. Lo sguardo ribelle e penetrante di Satana si accende in colui che rimugina contemplandolo. Si con­ferma allora l'importanza dell'erudizione barocca per la letteratu­ra drammatica. Solo per l'erudito, infatti, qualcosa può darsi co­me allegoria. D'altra parte, se la meditazione non si rivolge con pazienza alla verità ma tende senz'altro e ossessivamente, con tut­to l'acume del suo sguardo, al sapere assoluto, è proprio ad essa che le cose si sottraggono nella loro semplicità di cose per ridursi davanti ad essa a rimandi allegorici e in seguito in polvere. L'in­tenzione allegorica è cosf contraria alla ricerca della verità che pro­prio in essa appare in piena luce la coincidenza tra la curiosità, ri­volta al puro sapere, e la superba separatezza dell'uomo. «La spa: ventosa morte, orribile alchimista»3

': questa profonda metafora di Hallmann non poggia solo sul fenomeno della decomposizione. Il sapere magico, in cui l'alchimia rientra, minaccia l'adepto con l'iso­lamento e la morte spirituale. Come dimostrano l'alchimia e i ro­sacroce, o le evocazioni di spiriti nelle scene del teatro barocco, l'epoca barocca non era meno dedita alla magia del Rinascimento. Qualunque cosa essa tocchi, la sua mano la trasforma, come quel­la di Mida, in qualcosa di significativo. La metamorfosi è il suo elemento, e il suo schema è l'allegoria. E quanto meno la passione magica si limita al periodo barocco, tanto piu-essa ris\}lta adatta a segnalare un elemento barocco nelle forme piu tarde. E proprio es­sa a legittimare una consuetudine recente, che vuoi vedere unge-

"HALLMANN, Leichreden CÌt., p. 45·

Allegoria e dramma barocco (m) 205

sto bar?cc.o ne,I tardo Goethe co~e nel tardo Holderlin~ II sapere, e non l agire, e la forma ontologica peculiare del male. Ne conse­g~e .che la tentazione. f~s~ca, intesa come voluttà, ingordigia, pi­grizia puramente sensibili, non costituisce affatto la sua natura ul­tima e piu specifica. Questa si dischiude piuttosto con la fata Mor­gana di ~n regno d~lla sp~itualità assoluta, cioè senza Dio, quale solt~to il male puo esperrrla concretamente nel suo legame sim­metrico con la materia. Lo stato d'animo che vi regna è il lutto che è insieme la matrice dell'allegoria e il suo contenuto. E ad es: s? corrispondono tre promesse sataniche originarie di natura spi­rituale. Il dramma barocco ne mostra la continua presenza ora nel­la figura del tiranno ora in quella dell'intrigante. Ciò che seduce è l'apparenza ~ella libertà: nell'indagare il proibito; l'apparenza dell'auto~~~a:. nell'escludersi ~alla comunità,dei devoti; l'appa­renza dell infrmto: nel vuoto abisso del male. E proprio infatti di ogni virtu avere un fine di fronte a sé, e cioè il suo modello in Dio· mentre la. dannazione inaugura seinpre un progresso all'infinito: La teologia del male va quindi dedotta dalla caduta di Satana in cui questi motivi trovano conferma, assai piu che dai moniti 'coi quali la dottrina ecclesiastica è solita rappresentare il cacciatore di anime. La spiritualità assoluta, che è il significato di Satana si sui­dd~ eman~ipandosi dal sacro. La materia - qui svuotata di' anima - diventa il suo luogo naturale. La pura materialità e la spiritua­lità assoluta sono i due poli dell'ambito satanico: e la coscienza è la loro sintesi buffonesca, che scimmiotta quella autentica la sin­tesi della vita. E il suo speculare ostile alla vita, legato al 'mondo casale ~egli emblemi, si imbatte alla fine nel sapere propriamente demoruaco. Nel De civitate Dei di Agostino si dice che essi vengo­no «chiamati &af+toveç, perché questa parola greca indica il loro possesso delle scienze»36

• Ed estremamente spirituale suona il ver­detto di spiritualità fanatica sulla bocca di Francesco d'Assisi il quale mostra la retta via a uno dei sùoi discepoli sprofondato' in studi troppo astrusi:« Unus solus daimon plus scit quam tu».

In quanto sapere l'istinto trascina giu nel vuoto abisso del ma­le per assicurarsi l'infinito. Ma è anche l'abisso della meditazione senza fondo. I suoi dati non possono entrare nelle costellazioni fi­losofiche. E si squadernano perciò come un puro repertorio di eu-

"AGOSTINo, De civitate Dei, IX, 20: «Daemones enim dicuntur (quoniam vocabulum Graecum est) ad scientiam nominati».

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206 Il dramma barocco tedesco

pa solennità nei libri di emblemi del Barocco. Il dramma barocco attinge a questo repertorio piu di ogni altra forma. Esso scambia le sue immagini fra loro trasformandole, interpretandole e ap­profondendole senza posa. Il principio dominante è quello del con­trasto. Sarebbe però sbagliato, o perlomeno superficiale, riferire al puro piacere delle antitesi gli innumerevoli effetti per cui la sa­la del trono si trasforma in carcere, il letto del piacere in una tom­ba, la corona regale in una ghirlanda di cipressi sanguinanti, si trat­ti di effetti scenici o puramente verbali. Neppure il contrasto di essere e apparenza coglie esattamente la tecnica di queste metafo­re ed apoteosi. Lo schema di base è invece quello dell'emblema, dal quale scaturisce- per via di un sempre rinnovato artificio- il significato sensibile. Cosf la corona regale «significa» la ghirlanda di cipressi. Tra gli innumerevoli esempi di questo furore emble­matico - e il loro inventario è stato fatto da tempo37 è forse insu­perabile per il suo ostentato estremismo quel passo di Hallmann, là dove, «quando il cielo politico lampeggia», fa trasformare un' ar­pa nell'« ascia di un boia»38

• E nello stesso genere rientra questo passo delle sue Leichreden: «Perché se si considerano gli innume­revoli cadaveri di cui in parte la peste imperversante e in parte le armi della guerra hanno riempito non solo la nostra Germania ma quasi l'intera Europa, dobbiamo riconoscere che le nostre rose si sono trasformate in spine, i nostri gigli in ortiche, i nostri paradi­si in cimiteri, e insomma l'intera nostra esistenza in un'immagine della morte. Spero pertanto che non mi si vorrà male se mi sono accinto a dischiudere anche il mio cimitero cartaceo su questo uni­versale palcoscenico di morte»39

• Anche nei Reyen queste meta­morfosi sono di casa40

• Come chi precipita corre il rischio di rove­sciarsi, allo stesso modo l'intenzione allegorica si perderebbe di immagine in immagine nella vertigine del suo abisso senza fondo se proprio nelle sue immagini estreme non dovesse apparire che, in realtà, tutta la sua tenebra, la sua superbia, la sua lontananza

37 Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., pp .. 3.36 sgg. '8 HALLMANN, Leichreden cit., p. 9· "Ibid., p. 3· [Denn betrachtet man die unziihlbahren Leichen womit theils die raa­

sende Pest theils die Kriegerischen Waffen nicht nur unser Teutschland sondern fast gantz Europam erfiillet so miissen wir bekennen daiS unsere Rosen in Dornen unsre Lilgen in NeBeln unsre Paradise in Kirchhofe ja unser gantzes Wesen in ein Bildniill deB Todes verwandelt worden. Dannenhero wird mir hoffentlich nicht ungiitig gedeutet werden daB ich auf dieser allgemeinen Schaubi.ihne deE Todes auch meinen papirenen Kirchhoff zu eroffnen mich unterwunden].

40 Cfr. LOHENSTEIN, Romische Trauerspiele cit., p. 82 (Agrippina, IV). Cfr. anche m., Afrikanische Trauerspiele cit., p. 327 (Sophonisbe, IV).

Allegoria e dramma barocco (m) 207

da Dio sono mero autoinganno. Separare infatti quel tesoro di im­magini in cui si compie questo salto nel luogo della salvezza da quell'altro, cupo, che significa morte e inferno, vorrebbe dire in­fatti fraintendere completamente l'allegorico. Proprio nell'eb­brezza dell'annientamento, là dove tutto quel che è terreno pre­cipita in un ammasso di rovine, ciò che si svela non è tanto l'idea­le dell'allegoria come abbassamento, quanto il suo limite. La perduta desolazione degli ossari, che troviamo come schema alle­gorico in infinite stampe e descrizioni dell'epoca, non è solo un'im­magine dello squallore esistenziale. La caducità è in essa non tan­to significata, rappresentata allegoricamente, quanto piuttosto of­ferta come allegoria, a sua volta significante. Come l'allegoria della resurrezione. Nei monumenti mortuari del Barocco- per una sor­ta di salto mortale all'indietro -la visione allegorica si capovolge in redenzione. I sette anni del suo sprofondamento sono solo un giorno. Perché anche il tempo infernale si secolarizza nello spazio, e quel mondo che si concedeva e si tradiva allo spirito di Satana è il mondo di Dio. L'allegorista si risveglia nel mondo di Dio.

Ja wenn der H&hste wird vom Kirch-Hof erndten ein So werd ich Todten-Kopff ein Englisch Antlitz seyn41

Si scioglie cosi la cifra del frammentario, dell'annientato, del disperso. E cosf, certo, l'allegoria finisce per perdere ciò che le era piu proprio: il sapere segreto, privilegiato, l'arbitrio sulle cose mor­te, la presunta infinità della disperazione. Tutto ciò si polverizza con quel balzo per cui lo sprofondamento allegorico deve sgom­brare l'ultima fantasmagoria dell'oggettivo, e, abbandonata a se stessa, ritrovarsi non piu giocosamente in un mondo di cose ter­rene, ma, seriosamente, sotto il cielo. E appunto questa è l'essen­za dello sprofondamento malinconico: che i suoi oggetti ultimi, nei quali esso credeva di toccare il fO\ldo, si capovolgono in allegorie, che il nulla in cui questi oggetti si rappresentano viene colmato e poi negato, e cosi l'intenzione allegorica alla vista delle nude ossa non si paralizza, ma trapassa repentinamente in resurrezione.

«Con le lacrime spargemmo il seme nei maggesi, e ce ne an­dammo tristi»42

• L'allegoria rimane a mani vuote. Il male assolu­to, che essa custodiva come profondità duratura, esiste solo in es-

"LOHENSTEIN, Blumen cit., (Hyacinthen), p. 5o; cfr. p. 191, nota x. ol2 SIGMUND VON BIRKEN, Vie Fried-er/reute Teutonie, Niirnberg 1652, p. II4. [Mit Wei­

nen streuten wir den Samen in die Brachen und giengen traurig aus].

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206 Il dramma barocco tedesco

pa solennità nei libri di emblemi del Barocco. Il dramma barocco attinge a questo repertorio piu di ogni altra forma. Esso scambia le sue immagini fra loro trasformandole, interpretandole e ap­profondendole senza posa. Il principio dominante è quello del con­trasto. Sarebbe però sbagliato, o perlomeno superficiale, riferire al puro piacere delle antitesi gli innumerevoli effetti per cui la sa­la del trono si trasforma in carcere, il letto del piacere in una tom­ba, la corona regale in una ghirlanda di cipressi sanguinanti, si trat­ti di effetti scenici o puramente verbali. Neppure il contrasto di essere e apparenza coglie esattamente la tecnica di queste metafo­re ed apoteosi. Lo schema di base è invece quello dell'emblema, dal quale scaturisce- per via di un sempre rinnovato artificio- il significato sensibile. Cosf la corona regale «significa» la ghirlanda di cipressi. Tra gli innumerevoli esempi di questo furore emble­matico - e il loro inventario è stato fatto da tempo37 è forse insu­perabile per il suo ostentato estremismo quel passo di Hallmann, là dove, «quando il cielo politico lampeggia», fa trasformare un' ar­pa nell'« ascia di un boia»38

• E nello stesso genere rientra questo passo delle sue Leichreden: «Perché se si considerano gli innume­revoli cadaveri di cui in parte la peste imperversante e in parte le armi della guerra hanno riempito non solo la nostra Germania ma quasi l'intera Europa, dobbiamo riconoscere che le nostre rose si sono trasformate in spine, i nostri gigli in ortiche, i nostri paradi­si in cimiteri, e insomma l'intera nostra esistenza in un'immagine della morte. Spero pertanto che non mi si vorrà male se mi sono accinto a dischiudere anche il mio cimitero cartaceo su questo uni­versale palcoscenico di morte»39

• Anche nei Reyen queste meta­morfosi sono di casa40

• Come chi precipita corre il rischio di rove­sciarsi, allo stesso modo l'intenzione allegorica si perderebbe di immagine in immagine nella vertigine del suo abisso senza fondo se proprio nelle sue immagini estreme non dovesse apparire che, in realtà, tutta la sua tenebra, la sua superbia, la sua lontananza

37 Cfr. STACHEL, Seneca und das deutsche Renaissancedrama cit., pp .. 3.36 sgg. '8 HALLMANN, Leichreden cit., p. 9· "Ibid., p. 3· [Denn betrachtet man die unziihlbahren Leichen womit theils die raa­

sende Pest theils die Kriegerischen Waffen nicht nur unser Teutschland sondern fast gantz Europam erfiillet so miissen wir bekennen daiS unsere Rosen in Dornen unsre Lilgen in NeBeln unsre Paradise in Kirchhofe ja unser gantzes Wesen in ein Bildniill deB Todes verwandelt worden. Dannenhero wird mir hoffentlich nicht ungiitig gedeutet werden daB ich auf dieser allgemeinen Schaubi.ihne deE Todes auch meinen papirenen Kirchhoff zu eroffnen mich unterwunden].

40 Cfr. LOHENSTEIN, Romische Trauerspiele cit., p. 82 (Agrippina, IV). Cfr. anche m., Afrikanische Trauerspiele cit., p. 327 (Sophonisbe, IV).

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da Dio sono mero autoinganno. Separare infatti quel tesoro di im­magini in cui si compie questo salto nel luogo della salvezza da quell'altro, cupo, che significa morte e inferno, vorrebbe dire in­fatti fraintendere completamente l'allegorico. Proprio nell'eb­brezza dell'annientamento, là dove tutto quel che è terreno pre­cipita in un ammasso di rovine, ciò che si svela non è tanto l'idea­le dell'allegoria come abbassamento, quanto il suo limite. La perduta desolazione degli ossari, che troviamo come schema alle­gorico in infinite stampe e descrizioni dell'epoca, non è solo un'im­magine dello squallore esistenziale. La caducità è in essa non tan­to significata, rappresentata allegoricamente, quanto piuttosto of­ferta come allegoria, a sua volta significante. Come l'allegoria della resurrezione. Nei monumenti mortuari del Barocco- per una sor­ta di salto mortale all'indietro -la visione allegorica si capovolge in redenzione. I sette anni del suo sprofondamento sono solo un giorno. Perché anche il tempo infernale si secolarizza nello spazio, e quel mondo che si concedeva e si tradiva allo spirito di Satana è il mondo di Dio. L'allegorista si risveglia nel mondo di Dio.

Ja wenn der H&hste wird vom Kirch-Hof erndten ein So werd ich Todten-Kopff ein Englisch Antlitz seyn41

Si scioglie cosi la cifra del frammentario, dell'annientato, del disperso. E cosf, certo, l'allegoria finisce per perdere ciò che le era piu proprio: il sapere segreto, privilegiato, l'arbitrio sulle cose mor­te, la presunta infinità della disperazione. Tutto ciò si polverizza con quel balzo per cui lo sprofondamento allegorico deve sgom­brare l'ultima fantasmagoria dell'oggettivo, e, abbandonata a se stessa, ritrovarsi non piu giocosamente in un mondo di cose ter­rene, ma, seriosamente, sotto il cielo. E appunto questa è l'essen­za dello sprofondamento malinconico: che i suoi oggetti ultimi, nei quali esso credeva di toccare il fO\ldo, si capovolgono in allegorie, che il nulla in cui questi oggetti si rappresentano viene colmato e poi negato, e cosi l'intenzione allegorica alla vista delle nude ossa non si paralizza, ma trapassa repentinamente in resurrezione.

«Con le lacrime spargemmo il seme nei maggesi, e ce ne an­dammo tristi»42

• L'allegoria rimane a mani vuote. Il male assolu­to, che essa custodiva come profondità duratura, esiste solo in es-

"LOHENSTEIN, Blumen cit., (Hyacinthen), p. 5o; cfr. p. 191, nota x. ol2 SIGMUND VON BIRKEN, Vie Fried-er/reute Teutonie, Niirnberg 1652, p. II4. [Mit Wei­

nen streuten wir den Samen in die Brachen und giengen traurig aus].

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sa, è solo e unicamente allegoria, significa qualcos'altro da ciò che è. E precisamente, esso significa il non-essere di ciò che rappre­senta. I vizi assoluti, rappresentati dai tiranni e dagli intriganti, sono allegorie. Essi non sono reali, e ricevono il proprio significa­to solo dallo sguardo soggettivo della melanconia: essi sono que­sto sguardo, annientato dai suoi prodotti, perché essi significano soltanto la sua cecità. Essi rimandano alla profondità abissale dell'intelligenza soggettiva, alla quale devono unicamente la pro­pria esistenza. Attraverso la sua figura allegorica il male assoluto si rivela come un fenomeno soggettivo. L'enorme e antiartistica soggettività del Barocco fa qui tutt'uno con l'essenza teologica del soggettivo. La Bibbia introduce il male sotto la categoria del sa­pere. Ciò che il serpente promette al primo uomo è la «conoscen­za del bene e del male»43

• Ma di Dio viene detto, subito dopo la creazione: «E Dio vide tutto quello che aveva fatto; ed ecco, era molto buono»44 • Dunque la conoscenza del male non ha oggetto. Questo oggetto non è nel mondo. Esso viene posto nell'uomo stes­so col desiderio di sapere, o meglio col giudizio. La conoscenza del bene, in quanto conoscenza, è secondaria: essa risulta dalla pras­si. La conoscenza del male è invece primaria proprio in quanto co­noscenza: essa risulta dalla contemplazione. La conoscenza del be­ne e del male è dunque in contrasto con ogni sapere oggettivo. Ri­ferita alla profondità del soggettivo, essa non è altro in sostanza che conoscenza del male. Essa è «chiacchiera» nel senso profon­do in cui Kierkegaard intende la parola. In quanto tiionfo della soggettività e inizio del dominio arbitrario sulle cose, quella co­noscenza è l'origine di ogni concezione allegorica. Nello stesso pec­cato originale l'unità di colpa e significato sorge davanti all'albe­ro della conoscenza nella forma dell'astrazione. L'allegorico vive di astrazioni, in quanto astrazione - intesa come facoltà linguisti­ca - esso è di casa nel peccato originale. Il Bene e il Male se ne stanno infatti, innominabili, senza nome, al di fuori di quella Lin­gua dei nomi in cui l'uomo paradisiaco ha dato un nome alle cose, per poi abbandonarle nell'abisso di quella interrogazione. Il nome è per la lingua solo il terreno in cui si radicano gli elementi con­creti. Ma gli elementi astratti del linguaggio sono radicati nella pa­rola giudicante, nel giudizio. E mentre nei tribunali terreni la sog­gettività oscillante si ancora con le pene alla realtà, ciò di cui si fa

4' Gn,m, 5·

44 Gn, I, 31.

Allegoria e dramma barocco (m) 209

gius~i~i~ nel tribunale c~leste è l'apparenza del male. Qui la sog­g~t~lVlta r~a confessa tnonfa su ogni ingannevole oggettività del d1.ntto, e rientra, come opera dell' «altissima sapienza e 'l primo m G • f Il' . di' E a ore» , come m erno, ne onrupotenza vma. ssa non è ap-

parenza; e tantomeno è l'essere pieno, bensf il vero rispecchiarsi dell~ vuota so~gettività nel bene. Nel male ·assoluto la soggettività coglie la propna realtà e la vede come mero rispecchiamento di se stes~a in Dio. Nella visione allegorica è dunque la prospettiva sog­gettiva ad essere riassorbita senza residui nell'economia del tutto. Cosf le colonne di un altare barocco di Bamberga sono disposte esattamente come apparirebbero dal basso nel caso di una costru­zione regolare. E cosf anche l'estasi piu ardente senza che una so­la sc~n!illa vada perduta,, si s~va, si secolarizz~ com'è giusto nel quotidiano scarno. In un allucmazione, santa Teresa vede la Ma­donna spargere delle rose sul suo letto; lo riferisce al suo confes­sore, il quale replica: «Non le vedo». «La Madonna le ha portate a me», risponde la santa. In questo senso la soggettività confessa­ta e messa in mostra diventa: la garante formale· del miracolo, in quru;to annuncia la st:ssa azione divina. E «non ,c'è un passaggio che il Barocco non chiuda con un miracolo»46

• «E l'idea aristote­li~a ?:J -6-au~-ta~oov! l'espressione artistica del miracolo (dei O"'l!J.E~a b1blic1), che a partire dalla Controriforma e soprattutto dal Con­cilio di Trento» domina anche l'architettura e la scultura: «quella eh~ si tratt.a di evocare, di tradurre e accentuare attraverso gli an­geli sospesi delle decorazioni plastiche, è un'impressione di forze soprannaturali, di una carica poderosa che si libra in alto poggiando su se stessa ... Solo per rafforzare questa impressione vengono sot­tolineate dall'altra parte e fino all'esagerazione le leggi proprie del­le regioni inferiori. Che cos'altro significherebbero altrimenti quei c~ntinui ~ichiami alla forza di gravità e al peso dei sostegni, que­gh zoccoli enormi, i doppi e tripli ordini di colonne e di pilastri, quei. ~ontrafforti di sicurezza per reggere appena un balcone, che s1gruf1cato avrebbero se non quello di sottolineare dal basso il mi­racolo sospeso in alto mettendo in luce la fatica degli elementi di sostegno? Laponderaci6n mysteriosa, l'intervento di Dio nell'ope­ra d'arte viene presupposto come possibile»47

• La soggettività, co­me un angelo caduto nell'abisso, viene raccolta dalle allegorie e

"'DANTE, Inferno, III, 6. 46 HAUSENSTEIN, Vom Geistdes Barock cit., p. 17· "'BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 193.

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sa, è solo e unicamente allegoria, significa qualcos'altro da ciò che è. E precisamente, esso significa il non-essere di ciò che rappre­senta. I vizi assoluti, rappresentati dai tiranni e dagli intriganti, sono allegorie. Essi non sono reali, e ricevono il proprio significa­to solo dallo sguardo soggettivo della melanconia: essi sono que­sto sguardo, annientato dai suoi prodotti, perché essi significano soltanto la sua cecità. Essi rimandano alla profondità abissale dell'intelligenza soggettiva, alla quale devono unicamente la pro­pria esistenza. Attraverso la sua figura allegorica il male assoluto si rivela come un fenomeno soggettivo. L'enorme e antiartistica soggettività del Barocco fa qui tutt'uno con l'essenza teologica del soggettivo. La Bibbia introduce il male sotto la categoria del sa­pere. Ciò che il serpente promette al primo uomo è la «conoscen­za del bene e del male»43

• Ma di Dio viene detto, subito dopo la creazione: «E Dio vide tutto quello che aveva fatto; ed ecco, era molto buono»44 • Dunque la conoscenza del male non ha oggetto. Questo oggetto non è nel mondo. Esso viene posto nell'uomo stes­so col desiderio di sapere, o meglio col giudizio. La conoscenza del bene, in quanto conoscenza, è secondaria: essa risulta dalla pras­si. La conoscenza del male è invece primaria proprio in quanto co­noscenza: essa risulta dalla contemplazione. La conoscenza del be­ne e del male è dunque in contrasto con ogni sapere oggettivo. Ri­ferita alla profondità del soggettivo, essa non è altro in sostanza che conoscenza del male. Essa è «chiacchiera» nel senso profon­do in cui Kierkegaard intende la parola. In quanto tiionfo della soggettività e inizio del dominio arbitrario sulle cose, quella co­noscenza è l'origine di ogni concezione allegorica. Nello stesso pec­cato originale l'unità di colpa e significato sorge davanti all'albe­ro della conoscenza nella forma dell'astrazione. L'allegorico vive di astrazioni, in quanto astrazione - intesa come facoltà linguisti­ca - esso è di casa nel peccato originale. Il Bene e il Male se ne stanno infatti, innominabili, senza nome, al di fuori di quella Lin­gua dei nomi in cui l'uomo paradisiaco ha dato un nome alle cose, per poi abbandonarle nell'abisso di quella interrogazione. Il nome è per la lingua solo il terreno in cui si radicano gli elementi con­creti. Ma gli elementi astratti del linguaggio sono radicati nella pa­rola giudicante, nel giudizio. E mentre nei tribunali terreni la sog­gettività oscillante si ancora con le pene alla realtà, ciò di cui si fa

4' Gn,m, 5·

44 Gn, I, 31.

Allegoria e dramma barocco (m) 209

gius~i~i~ nel tribunale c~leste è l'apparenza del male. Qui la sog­g~t~lVlta r~a confessa tnonfa su ogni ingannevole oggettività del d1.ntto, e rientra, come opera dell' «altissima sapienza e 'l primo m G • f Il' . di' E a ore» , come m erno, ne onrupotenza vma. ssa non è ap-

parenza; e tantomeno è l'essere pieno, bensf il vero rispecchiarsi dell~ vuota so~gettività nel bene. Nel male ·assoluto la soggettività coglie la propna realtà e la vede come mero rispecchiamento di se stes~a in Dio. Nella visione allegorica è dunque la prospettiva sog­gettiva ad essere riassorbita senza residui nell'economia del tutto. Cosf le colonne di un altare barocco di Bamberga sono disposte esattamente come apparirebbero dal basso nel caso di una costru­zione regolare. E cosf anche l'estasi piu ardente senza che una so­la sc~n!illa vada perduta,, si s~va, si secolarizz~ com'è giusto nel quotidiano scarno. In un allucmazione, santa Teresa vede la Ma­donna spargere delle rose sul suo letto; lo riferisce al suo confes­sore, il quale replica: «Non le vedo». «La Madonna le ha portate a me», risponde la santa. In questo senso la soggettività confessa­ta e messa in mostra diventa: la garante formale· del miracolo, in quru;to annuncia la st:ssa azione divina. E «non ,c'è un passaggio che il Barocco non chiuda con un miracolo»46

• «E l'idea aristote­li~a ?:J -6-au~-ta~oov! l'espressione artistica del miracolo (dei O"'l!J.E~a b1blic1), che a partire dalla Controriforma e soprattutto dal Con­cilio di Trento» domina anche l'architettura e la scultura: «quella eh~ si tratt.a di evocare, di tradurre e accentuare attraverso gli an­geli sospesi delle decorazioni plastiche, è un'impressione di forze soprannaturali, di una carica poderosa che si libra in alto poggiando su se stessa ... Solo per rafforzare questa impressione vengono sot­tolineate dall'altra parte e fino all'esagerazione le leggi proprie del­le regioni inferiori. Che cos'altro significherebbero altrimenti quei c~ntinui ~ichiami alla forza di gravità e al peso dei sostegni, que­gh zoccoli enormi, i doppi e tripli ordini di colonne e di pilastri, quei. ~ontrafforti di sicurezza per reggere appena un balcone, che s1gruf1cato avrebbero se non quello di sottolineare dal basso il mi­racolo sospeso in alto mettendo in luce la fatica degli elementi di sostegno? Laponderaci6n mysteriosa, l'intervento di Dio nell'ope­ra d'arte viene presupposto come possibile»47

• La soggettività, co­me un angelo caduto nell'abisso, viene raccolta dalle allegorie e

"'DANTE, Inferno, III, 6. 46 HAUSENSTEIN, Vom Geistdes Barock cit., p. 17· "'BORINSKI, Die Antike in Poetik und Kunsttheorie cit., vol. I, p. 193.

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2 I O fl dramma batOCCO tedeSCO

trattenuta in cielo, in Dio, dalla ponderaci6n mysteriosa. Certo è che l'apoteosi trasfigurante, come la conosciamo in Calder6n, non può essere allestita con le risorse banali del teatro ordinario, a ba­se di Reyen, interludi e pantomime. Essa però risulta necessaria­mente dalla costellazione globale del significato, che verrà sotto­lineata con maggiore o minore insistenza. Lo scarso sviluppo dell'intreccio, che non si avvicina neppure da lontano a quelli del­lo Spagnolo, è il limite di fondo del dramma barocco tedesco. So­lo l'intreccio sarebbe stato in grado di portare l'organizzazione del­la scena a quella totalità allegorica che, con l'immagine dell' apo­teosi, introduce un elemento del tutto eterogeneo alle immagini della caducità, segnando insieme l'inizio e la fine del lutto. Losche­ma poderoso di questa forma va pensato fino alla fine: solo a que­sta condizione si può parlare dell'idea del dramma barocco tede­sco. E poiché dalle rovine dei grandi edifici l'idea del loro disegno complesso parla in modo piu eloquente che da quei pochi ben con­servati, il dramma tedesco dell'epoca barocca può aspirare a un'in­terpretazione. Nello spirito dell'allegoria esso è concepito fin dall'inizio come rovina, come frammento. Se altre forme risplen­dono magnifiche come il primo giorno, questa fissa nell'ultimo l'!mmagine del bello.

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2 I O fl dramma batOCCO tedeSCO

trattenuta in cielo, in Dio, dalla ponderaci6n mysteriosa. Certo è che l'apoteosi trasfigurante, come la conosciamo in Calder6n, non può essere allestita con le risorse banali del teatro ordinario, a ba­se di Reyen, interludi e pantomime. Essa però risulta necessaria­mente dalla costellazione globale del significato, che verrà sotto­lineata con maggiore o minore insistenza. Lo scarso sviluppo dell'intreccio, che non si avvicina neppure da lontano a quelli del­lo Spagnolo, è il limite di fondo del dramma barocco tedesco. So­lo l'intreccio sarebbe stato in grado di portare l'organizzazione del­la scena a quella totalità allegorica che, con l'immagine dell' apo­teosi, introduce un elemento del tutto eterogeneo alle immagini della caducità, segnando insieme l'inizio e la fine del lutto. Losche­ma poderoso di questa forma va pensato fino alla fine: solo a que­sta condizione si può parlare dell'idea del dramma barocco tede­sco. E poiché dalle rovine dei grandi edifici l'idea del loro disegno complesso parla in modo piu eloquente che da quei pochi ben con­servati, il dramma tedesco dell'epoca barocca può aspirare a un'in­terpretazione. Nello spirito dell'allegoria esso è concepito fin dall'inizio come rovina, come frammento. Se altre forme risplen­dono magnifiche come il primo giorno, questa fissa nell'ultimo l'!mmagine del bello.