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e-mail: [email protected] www.kunstmeranoarte.org

Öffnungszeiten Orari Dienstag bis Sonntag Da martedì a domenica 11.00 – 19.00

VOTE FOR WOMEN

Kunst Merano Arte

12 aprile – 29 giugno 2008

Donne in arte.

Testo critico di Valerio Dehò

Certamente è stato il '900 il secolo in cui è cambiato il ruolo della donna, il tempo in cui ha

conquistato il proprio posto nel mondo, nella cultura e nella società. Il secolo scorso ha

visto grandi personalità femminili affacciarsi al mondo della storia, della politica, della

scienza, dell'arte. Fino al XX secolo la presenza delle donne fra gli artisti era rara e del tutto

episodica, anche se spesso si è trattato di figure molto particolari e importanti; se è giusto

ricordare il ruolo importante svolto da qualche grandissima donna nel campo del

mecenatismo (e si è trattato in genere di sovrane, come ad esempio la marchesa Isabella

d’Este, la regina Cristina di Svezia o la zarina Caterina II), del tutto assenti risultano libri

scritti da donne nell'ambito delle ricerche storico-artistiche e della saggistica. Da pochi

decenni a questa parte, il rapporto si è radicalmente modificato e si può affermare che è

venuta meno la distinzione uomo/donna: la sua attuale irrilevanza è il miglior risultato di un

cammino lungo e lentissimo, che però ha avuto una forte accelerazione negli ultimi anni.

E’ un dato di fatto che la presenza femminile sia maggioritaria in molti settori della cultura e

dell’educazione. Le arti figurative, sia pure con ritardo rispetto alla letteratura, hanno in

quest'ambito professionale e scientifico superato la musica, dove alcuni ruoli, come la

direzione d’orchestra, sono esclusivi degli uomini. Negli anni novanta le donne in campo

artistico hanno pareggiato le presenze con gli uomini e molte rassegne internazionali o

musei d’arte contemporanea sono diretti da donne. In generale sono apprezzate le doti

come la sensibilità e una visione complessiva del mondo e della realtà. Anche la creatività

della donna si manifesta sempre in modo che la razionalità e l’intuizione vanno

direttamente ad affrontare in modo diretto gli archetipi della nostra società e della nostra

cultura.

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Oggi, e in generale negli ultimi 15 anni, vi è una profusione di mostre al femminile, di un’arte

dedicata interamente all’universo della donna, tanto che in molte artiste soprattutto delle

ultime generazioni è sorto quasi un rifiuto di essere accomunate soltanto in base alla

propria sessualità. Già nel 1991, organizzai una mostra di sole donne a Bologna, dal titolo

“Energie alternative” e non tutte le artiste che avevo

scelto, aderirono, in quanto temevano di tornare ad una forma di ghettizzazione. Ormai si

dava già per scontato che non vi fossero differenze. Ma questa situazione favorevole si è

resa possibile perché un’operazione di recupero storico è già stata fatta e in particolare

molti cambiamenti sono stati realizzati proprio con l’impegno di una critica d’arte militante

che poneva il problema dell’arte in stretta relazione con l’evoluzione della società e con i

valori etici ad essa connessi.

Certamente un’esposizione fondamentale circa il rapporto tra le donne e l’arte è stata

quella curata da Lea Vergine nel 1980 a Milano, dal titolo “L’altra metà dell’avanguardia

1910-1940”, mostra che proseguì anche a Stoccolma e Roma. La grande rassegna

raccoglieva quattrocento lavori di oltre cento artiste europee, russe e americane,

appartenenti alle avanguardie storiche dal futurismo al surrealismo, dal dadaismo fino

all’espressionismo. Il momento storico era opportuno perché tra la fine degli anni settanta

e l'inizio degli anni ottanta, il femminismo in Italia viveva la sua stagione migliore e dopo il

movimento si stava organizzando nei centri di studio. Tra il 1978 e il 1981 furono fondati

quelli di Bologna, Venezia e Roma.

Il periodo era importante perché il lavoro degli anni sessanta e settanta stava producendo i

primi risultati rilevanti. Anche le istituzioni in quel momento erano pronte ad accogliere e

sostenere una mostra di sole donne, soprattutto se aveva un taglio storico. La stessa

scena internazionale presentava la novità di un’arte fortemente politica a sostegno della

questione femminile e molte erano le donne che si esprimevano negli anni settanta con la

body art come VALIE EXPORT, Charlotte Moorman, Marina Abramovic, Carole

Schneemann, Gina Pane, Rebeccca Horn, Laurie Anderson, Hannah Wilke, e Ana Mendieta.

Le loro performances hanno segnato la storia dell’arte contemporanea, il corpo femminile

era esibito polemicamente nudo, spogliato, ferito proprio come simbolo di sofferenza e

d’esclusione. Ma in generale le avanguardie degli anni sessanta come il Fluxus o la Poesia

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visiva internazionale, avevano presenze femminili determinanti, anche se la componente

maschile di questi gruppi cercava di mantenere sempre delle posizioni

di privilegio e supremazia basate su antichi preconcetti che tardavano ad essere superati

anche in ambiti progressisti.

Dopo le battaglie femministe con esiti positivi negli anni ottanta, appare nel 1988 un

volume di scritti di Linda Nochlin. Women, Art, Power and other Essays (1988), che include

un saggio fondamentale, esplicitamente aperto dalla domanda più problematica: Why have

there been no great women artists? La Nochlin risponde che certamente per secoli

l’attività artistica è stata ritenuta sconveniente e poco adatta al fisico femminile. La donna

non aveva la resistenza, anche psichica, per sottoporsi allo stress della scultura o della

pittura, anche se, in effetti, si trattava poi sempre di un’emarginazione vera e propria, in

quanto mancanza d’accesso agli strumenti della formazione artistica. D’altra parte è anche

giusto non creare una sorta di storia dell’arte al femminile, esaltando solo in base alla

sessualità, artiste che erano e restano minori da punto di vista della qualità in generale. In

altri termini, la Nochlin comprendeva, o sperava, che l'epoca del femminismo storico si

fosse chiusa e proponeva una moratoria sul problema. Al contrario non tutto era superato

e il rapporto uomo-donna in campo artistico è stato riproposto, anche attraverso il cinema,

in tutta la sua brutalità per superare ogni pregiudizio "sessuale" riguardo all'arte. La figura

di Camille Claudel, artista innamorata del suo maestro, il grande Auguste Rodin, é

romanzata in un film che esce proprio nel 1988, interpretato da Isabelle Adjani e Gerard

Depardieu. Camille ama e viene sfruttata per questo dal suo idolo-padrone, che la tradisce

e le nega anche una dignità artistica autonoma da lui. Non siamo allo stupro carnale subito

dalla pittrice caravaggesca Artemisia Gentileschi da parte del collega pittore fiorentino

Agostino Tassi nel 1611, ma certamente la violenza psicologica non era da meno.

Altre figure d’artiste vengono negli stessi anni rievocate da importanti mostre. E’ il caso di

Sofonisba Anguissola, celebre ritrattista cremonese, assieme alle sue sorelle, del secondo

Cinquecento, famosa per il suo virtuosismo e tra le poche con Artemisia Gentileschi ad

aver prodotto una pittura che poteva stare alla pari con gli artisti coevi di sesso opposto.

Nel corso degli anni novanta, mentre appaiono sempre più lontane le battaglie e le

conquiste del femminismo della generazione precedente, può essere interessante

osservare un crescente numero di storiche dell’arte o di curatrici che si sono interessate

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di donne: citiamo Vera Fortunati, curatrice della mostra dedicata a Lavinia Fontana, brava

pittrice del Seicento bolognese (1994), e Gioia Mori, autrice di una monografia sulla

futurista dalla bella presenza Tamara de Lempicka (Giunti, 1994) o ancora Martina

Corgnati, con uno studio su Meret Oppenheim (Skira, 1998) che recentemente ha

dedicato un intero libro alle donne nell’arte moderna e contemporanea, “Artiste

dall’impressionismo al nuovo millennio (Bruno Mondadori, 2004). Mentre a livello

internazionale si può ricordare, tra i tanti nomi di curatrici e storiche dell’arte, Bettina

Baumgärtel, curatrice di una mostra itinerante su Angelika Kauffmann, figura veramente

interessante di pittrice internazionale proto-neoclassica che dopo Düsseldorf, Monaco,

Coira, tra 1998-99, terminò a Roma con un ampliamento particolare.

In ogni caso dalla mostra di Lea Vergine a oggi, “L’altra metà dell’avanguardia” resta un

evento culturale che non è mai stato replicato, anche se la saggistica si è arricchita in

modo considerevole e le mostre dedicate alle donne, come le “Amazzoni dell’avanguardia:

sei artiste russe”, Peggy Guggenheim Collection, 2000, sono diventate quasi un trend che

molti musei hanno seguito e seguono tuttora. La mostra non era peraltro la prima

completamente dedicata alle donne: nel 1977, a Los Angeles, le storiche dell'arte Ann

Sutherland Harris e Linda Nochlin avevano, infatti, presentato una rassegna focalizzata

sulle pittrici attive dal sedicesimo al ventesimo secolo, comprendente un'ottantina d’opere.

Il ruolo principe giocato da entrambi gli eventi era teso alla riabilitazione di figure artistiche

femminili attraverso la diffusione della conoscenza "degli esiti raggiunti da alcune splendide

artiste la cui scarsa fama (e conoscenza anche presso il pubblico degli specialisti, N.d.A.), si

può in parte ricondurre al loro sesso", approfondendo "le ragioni, e le circostanze del primo

apparire (...) di quel raro fenomeno che fu la donna artista" (Sutherland Harris, Nochlin), e la

scoperta della "metà suicidata della creatività" (Vergine), ricordando con quest’espressione

altre emarginazioni e altre categorie di esclusi dalla storia come i poeti pazzi e i voyants alla

Rimbaud.

Resta forse il problema classico che è irrisolto: le donne sono uguali o più brave degli

uomini? Vi sono delle caratteristiche dell’arte al femminile?

Forse queste domande sono inutili e bisognerebbe cercare non certo una forma di

supremazia, ma se ci sono delle differenze. La stessa Lea Vergine ha dapprima posto le

due figure sullo stesso piano, in seguito ha invece accentuato nello spirito femminile le

capacità del coraggio, l’autoironia, il sarcasmo: qualità però davvero generiche che non si

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farebbe fatica a dimostrare ampiamente presenti nell’universo artistico maschile. Molte

artiste sono state riconosciute attraverso grandi mostre come Frida Kahlo o Carol Rama o

Marianne von Werefkin. La Kahlo in particolare è diventata, grazie ancora una volta al

cinema, un personaggio mediatico che interessa il grande pubblico. La sua vicenda umana

dolorosa, il suo difficile matrimonio con il famoso pittore messicano Diego Rivera, il suo

straziante desiderio di maternità e la sua straordinaria personalità, l’hanno fatta diventare

un simbolo per molte donne. Qualcosa di simile alla fotografa italiana, emigrata in Messico

durante il fascismo, Tina Modotti. Bella, affascinante, compagna di Edward Weston, il

celebre fotografo americano e amica di Lev Trotsky, il leader comunista assassinato da

Stalin. La morte della Modotti è ancora un mistero.

Ma anche un’artista come Carol Rama è stata ampiamente recuperata alla storia dell’arte

contemporanea e celebrata ormai novantenne con un’ampia antologica al Mart di Trento e

alla GAM di Torino nel 2006. Il suo lavoro ha forti richiami con quello di Kiki Smith, artista

americana che si è affermata negli anni ottanta. In generale vi è un processo di riscoperta

di artiste importanti che sono state dimenticate, solo per una predominanza maschile.

Recentemente le mostre dedicate alla von Werefkin (il suo nome russo era Marianna

Wladimirowna Werefkina), alla Gabriele Muenter, alla Berthe Morisot e altre importanti

personalità del Novecento, stanno riportando un certo equilibrio nella storia dell’arte. Certo

è che in questo momento di globalizzazione anche in campo artistico, l’apparire di nuovi

continenti nel contemporaneo come la Cina o l’India ripropone il problema. Come mai non ci

sono donne che praticano l’arte in questi immensi paesi? Allora la risposta resta sempre la

stessa: l’ostacolo culturale in queste nazioni che impedisce alle donne di esprimersi e di

sviluppare una professionalità. Molte religioni negano alla donna un ruolo al di fuori della

famiglia e se conosciamo artiste nate in paesi come l’Iran (Shirin Neshat) o il Libano (Mona

Hatoum) è perché queste sono andate in Occidente a formarsi e scegliere la propria vita.

Valerio Dehò