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La rivista on-line SIGASCOT a cura del Gruppo Comunicazione SIGASCOT Resp: Dr. M. Berrutoi SIGASCOT HIGHLIGHTS Nuove rubriche in questo numero! OrthoWine a Lione (Fra) Italians , intervista a Roman Seil DarkSide : la CPRS del polso SIGASCOT Stories: Marco Dolfin, oltre l’ortopedia! ... e non potete perdervi: Winter is coming: l’artrosi vista da A.G Marmotti - Inibizione muscolare artrogenica - La scelta del graft nelle ricostruzione del MPFL - Salto triplo ed ortopedia: storia di vita - Bologna: cibo ed arte nella città degli Asinelli - ... 3/2018

Marco DolÞn, oltre lÕortopedia!

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La rivista on-line SIGASCOT

a cura del Gruppo Comunicazione SIGASCOT

Resp:Dr. M. Berrutoi

SIGASCOT HIGHLIGHTS

Nuove rubriche in questo numero!

OrthoWine a Lione (Fra) Italians, intervista a Roman Seil DarkSide: la CPRS del polso

SIGASCOT Stories:Marco Dolfin, oltre l’ortopedia!

... e non potete perdervi: Winter is coming: l’artrosi vista da A.G Marmotti - Inibizione muscolare artrogenica - La scelta del graft nelle ricostruzione del MPFL - Salto triplo ed ortopedia: storia di vita - Bologna: cibo ed arte nella città degli Asinelli - ...

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IL PROSSIMO GRANDE EVENTO SIGASCOT

3° CORSO SIGASC-OSTLe osteotomie di ginocchio

Napoli, 15 dicembre 2018Centro congressi Federico II

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David Dejour (Fra)Stefan Hinterwimmer (D)

Philip Lobenhoffer (D)

TECNICHE BASEINDICAZIONI

PLANNING

TECNICHE AVANZATEIL GINOCCHIO VALGOLA FEMORO-ROTULEA

4RE-LIVE

SURGERIES

STORIESOvvero “l’altra vita” al di fuori dal contesto lavorativoLa storia di Marco Dolfin

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Vista la professione scelta ogni tanto ci si chiede se ci sia effettivamente tempo e spazio per altro oltre al lavoro, ma quando si ha una passione un modo o l’altro lo si trova per continuare a coltivarla. Come tanti colleghi una buona parte del mio tempo al di fuori dell’ospedale lo prende (a volte lo “divora” quasi) lo sport che, più di altri interessi, per me rappresenta il contesto perfetto per combinare lo scarico dalle tensioni lavorative, il mantenersi in forma e l’appagare quella sana voglia di competizione che è sempre lì che freme…Quale sport? Il nuoto, per esattezza il nuoto paralimpico. Ma forse è meglio andare con ordine, cominciando con le presentazioni…Mi chiamo Marco Dolfin, ho 37 anni e sono ortopedico e traumatologo all’Ospedale S. Giovanni Bosco di Torino dal 2011. Proprio in quell’anno ho deciso di fare tante cose: specializzarmi, sposarmi con mia moglie Samanta (strano, ma vero, il matrimonio non sarà il trauma più grande di quel periodo…), iniziare a lavorare da specialista ed avere un incidente in moto, proprio a pochi metri dall’ospedale. Oltre ad una serie di traumi di vario genere, ecco la frattura mielica di T12, la paraplegia e tutto quello che ne consegue lo sapete meglio di me. Dopo un lungo anno di riabilitazione, il rientro in ospedale e per fortuna anche in sala operatoria (ma questa è un’altra storia…). In qualche modo però, quell’evento tutt’altro che piacevole, aveva riaperto un cassetto dove, per scelte di lavoro e di famiglia, avevo chiuso un mio sogno da bambino: poter competere in ambito sportivo con i migliori al

mondo. Ovviamente il pensiero da ragazzo era indirizzato alle Olimpiadi, ma le Paralimpiadi nel mio caso potevano essere un ottimo “diversivo”.Dopo le Paralimpiadi di Londra 2012 guardate alla tv il mio entusiasmo si infranse contro il muro della realtà: avevo da poco iniziato ad allenarmi con il tennistavolo, ma il livello era veramente alto, molto più di quello che mi aspettassi. Così dopo una serie di “scoppole” sportive, prese anche da atleti con disabilità peggiori della mia decisi di cambiare strada. Combinando le necessità riabilitative con la voglia di trovare uno sport che mi desse le soddisfazioni che cercavo iniziai a darci dentro con il nuoto. Così, non senza qualche difficoltà, arrivarono i primi Campionati Italiani a Napoli nel 2013, dove conobbi la mia futura squadra (Briantea84) con il mio attuale allenatore, Alessandro Pezzani. Allora cercavo il salto di qualità e forse anche qualche folle che mi aiutasse a portare avanti quello che era il mio obiettivo, partecipare ai Giochi Olimpici del 2016. Le modalità di allenamento che abbiamo perfezionato in questi anni sono tutt’altro che normali, ma non c’erano altre scelte: infatti, mi alleno da solo, senza compagni né allenatore in vasca (ogni tanto manca qualcuno che con la frusta ti motivi anche nei giorni dove manca la voglia, ma tutto sommato me la sono cercata io…) perché la mia squadra è a 170 km da casa mia e perché dando la priorità al lavoro gli allenamenti vanno incastrati nei momenti liberi. Ad inizio settimana, mando al mio coach i turni

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lavorativi e gli spazi a disposizione per il nuoto e la palestra, approfittando di qualche levataccia (sveglia fissa alle 5). Lui mi invia il programma e può controllare il mio allenamento a distanza grazie a un GPS da polso che indosso in acqua, poi ci si confronta a voce al termine delle fatiche. Da quando ci siamo conosciuti, quindi, è cambiata l’intensità degli allenamenti ma sono arrivati anche i primi risultati interessanti e anche qualche delusione (obiettivi importanti significano grandi soddisfazioni, ma anche qualche porta in faccia).Poi il 2016… Finalmente la prima convocazione in Nazionale per un evento importante, gli Europei di Funchal, sull’isola di Madeira, in Portogallo, dove arrivò la prima medaglia, un sudatissimo bronzo nei 100 rana. Proprio in quell’occasione mi comunicarono la decisione presa dallo staff della Nazionale: avrei rappresentato l’Italia di fronte agli occhi del

mondo a Rio de Janeiro. Una gioia immensa che, passando attraverso allenamenti ancora più intensi e momenti unici come l’ingresso da protagonisti nello stadio Maracanã durante la cerimonia di inaugurazione, culminò con quel quarto posto da outsider nella finale dei 100 metri rana, la mia gara, davanti a più di diecimila persone. Sono sempre stato un ritardatario, ma quei 43 centesimi dal podio quella volta li ho pagati cari… è sempre entusiasmante essere tra i migliori otto al mondo, ma la medaglia di legno brucia sempre un po’, anche se forse è proprio quella sensazione di mancato appagamento che mi offre una spinta in più nel preparare nuovi appuntamenti.La medaglia d’argento di tre mesi fa a Dublino ha due facce: da un lato può sembrare quasi una t ap p a o bb l i g a ta , d a l l ’ a l t ro ve r s o h a rappresentato una specie di ricompensa per gli ultimi due anni di fatiche e intoppi: perché non sono più un ragazzino (età media della squadra nazionale 23 anni…), perché per fortuna il lavoro è sempre più impegnativo, perché a casa Mattia e Lorenzo, i miei due gemelli di 4 anni, richiedono giustamente sempre più spazio e tempo (in questo la mamma è una splendida organizzatrice), ma anche perché come ben sapete gli infortuni sono sempre in agguato.

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S Tralasciando l e d u e t r o m b o s i venose che mi hanno tenuto f e r m o p e r q u a l c h e t e m p o , u n episodio quasi divertente è q u e l l o c a p i t a t o m i proprio nel 2 0 1 6 , a l rientro dalla t r a s f e r t a b r a s i l i a n a , quando siamo

andati dal Presidente della Repubblica per la riconsegna della bandiera. Non mi vado a lussare la spalla sinistra durante un trasferimento dal pullman alla carrozzina? La scena dove io tirando

da una parte spiego a mio fratello, giornalista sportivo, che tira dall’altra come ridurre una spalla lussata ha del tragicomico… Gambe fuori u s o , b r a c c i o s i n i s t r o immobilizzato, la parte difficile è stata riorganizzarsi nei giorni successivi per poter affrontare la vita di tutti i giorni. Proprio per mettere meglio in luce questi aspetti poco noti ed allargare le conoscenze di un mondo, quello dello sport praticato da persone con disabilità, sempre più ampio e vario è nata l’idea di organizzare un incontro nel 2019 che abbia come tema centrale l’atleta paralimpico. Ringrazio la Società che ha voluto fortemente lo sviluppo di un settore paralimpico all’interno del comitato Sport e che mi ha accolto a braccia aperte all’interno di questa grande famiglia, l’ambiente è molto stimolante e vedremo di fare un bel lavoro. Siamo pronti per il biennio olimpico…

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Scadenza  invio  abstract:  15  gennaio  2019www.footballmedicinestrategies.com

Fotografie dell’articolo (ove non segnalato altrimenti) di Francesco Alessandro Armillotta

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LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDONews, eventi ed aggiornamenti per i colleghi più giovaniA cura di Eugenio Jannelli

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LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDO

AGENDA by

eugenio

ORTHOSPRITZ TOSCANA“L’artroscopia nelle fratture articolari di ginocchio”Firenze, 29 Novembre

SIGASCOT STRATEGIC MEETINGEvento che raggruppa tutti i membri dei comitati SIGASCOT per delineare l’attività scientifica 2019-2020Firenze, 30 Novembre- 1 Dicembre 2018

ICRS Focus Meeting"I'm NOT ready for metal. Cells, Scaffolds & co."Milano, 13-14 Dicembre 2018

Elbow Arhtroplasties options: indications, pathoanatomy and surgical strategies. Pearls and PitfallsVerona, ICLO Teaching and Research Center - S. Francesco di Sales 13 Dicembre 2018

III Corso teorico-pratico SIGASCOT sulle Osteotomie di ginocchioNapoli, Centro Congressi Università Federico II 15 Dicembre 2018

SIGASCOT Watch & Try 2019Verona, fine 29-30 marzo 2019

WHERE TO GO

Daniele TradatiE-Poster Award winner

Bologna 2018

Mauro Ciuffreda e Filippo Familiari

hanno vinto MasterArthroscopist

Basic Shoulder e Knee Advance 2018! GRANDI!

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IMPACT SIGASCOT FACTORI più recenti articoli dei soci su riviste impattateA cura di Daniele Tradati

AJSM

1. Outcomes and Perioperative Complications of the Arthroscopic Latarjet Procedure: Systematic Review and Meta-analysis Cerciello S, Corona K, Morris BJ, Santagada DA, Maccauro G

2. Is Platelet-Rich Plasma Suitable for Patellar Tendinopathy? Response Filardo G, Andriolo L, Reale D, Altamura SA, Candrian C, Zaffagnini S

KSSTA

1.New design total knee arthroplasty shows medial pivoting movement under weight-bearing conditions Bragonzoni L, Marcheggiani Muccioli GM, Bontempi M, Roberti di Sarsina T, Cardinale U, Alesi D

2. Allograft tendons are a safe and effective option for revision ACL reconstruction: a clinical review Condello V, Zdanowicz U, Di Matteo B, Spalding T, Gelber PE, Adravanti P, et al.

3.A combination of an anteromedial, anterolateral and midlateral portals is sufficient for 360 degrees exposure of the radial head for arthroscopic fracture fixation Cucchi D, Guerra E, Luceri F, Lenich A, Nicoletti S, Randelli P, et al.

4. Cells, soluble factors and matrix harmonically play the concert of allograft integration de Girolamo L, Ragni E, Cucchiarini M, van Bergen CJA, Hunziker EB, Chubinskaya S.

5. Locating the ulnar nerve during elbow arthroscopy using palpation is only accurate proximal to the medial epicondyle Hilgersom NFJ, Cucchi D, Luceri F, van den Bekerom MPJ, Oh LS, Arrigoni P, et al.

6. Injective mesenchymal stem cell-based treatments for knee osteoarthritis: from mechanisms of action to current clinical evidences Lopa S, Colombini A, Moretti M, de Girolamo L.

7. Anterior cruciate ligament reconstruction with an all-epiphyseal "over-the-top" technique is safe and shows low rate of failure in skeletally immature athletes Roberti di Sarsina T, Macchiarola L, Signorelli C, Grassi A, Raggi F, Marcheggiani Muccioli GM, et al.

8.Increased risk of ACL revision with non-surgical treatment of a concomitant medial collateral ligament injury: a study on 19,457 patients from the Swedish National Knee Ligament Registry Svantesson E, Hamrin Senorski E, Alentorn-Geli E, Westin O, Sundemo D, Grassi A, et al.

9.Arthroscopic all-inside anterior talo-fibular ligament repair with suture augmentation gives excellent results in case of poor ligament tissue remnant quality Vega J, Montesinos E, Malagelada F, Baduell A, Guelfi M, Dalmau-Pastor M.

Meniscal allograft transplantation combined with anterior cruciate ligament reconstruction provides good mid-term clinical outcome Zaffagnini S, Grassi A, Romandini I, Marcacci M, Filardo G.

Low rate of return to pre-injury sport level in athletes after cartilage surgery: a 10-year follow-up study Zaffagnini S, Vannini F, Di Martino A, Andriolo L, Sessa A, Perdisa F, et al.

J. Arthroplasty

2.

Early Failure in Medial Unicondylar Arthroplasty: Radiographic Analysis on the Importance of Joint Line Restoration Lo Presti M, Raspugli GF, Reale D, Iacono F, Zaffagnini S, Filardo G, et al.

Clin J Sport Med 1.

Marathon of Rome: Anthropometry and Sport Profile in 350 Runners and Association With Achilles and Patellar Tendinopathy Longo UG, Berton A, Stelitano G, Madaudo C, Perna M, Ciuffreda M, et al. 2017

2.Return to Competition After Surgery for Herniated Lumbar Disc in Professional Football Players Tencone F, Minetto MA, Tomaello L, Giannini A, Roi GS.

INIBIZIONE MUSCOLARE ARTROGENICA

All’interno del 7° Congresso Nazionale SIGASCOT tenutosi a Bologna nei primi giorni di ottobre, ho avuto il piacere di partecipare alla sessione riabilitativa organizzata in associazione con la S.I.F. dove uno dei temi trattati è stato questo dell’inibizione muscolare artrogenica (Arthrogenic Muscle Inhibition - AMI).

A esporre in sala un’interessantissima presentazione sul tema, uno dei massimi studiosi dell’argomento, il ricercatore neozelandese David Andrew Rice, che ha pubblicato negli anni recenti diversi studi che cercano di investigare e chiarire il problema. Ma cosa si intende con inibizione muscolare artrogenica? Si intende quella marcata debolezza ed atrofia del quadricipite osservabile dopo un trauma, un intervento chirurgico od in presenza di osteoartrosi. Questa è parzialmente dovuta ad un deficit di attivazione neurale del muscolo1.L’effetto dell’AMI sull’espressione di forza del quadricipite è devastante, con riduzione del picco massimo di forza dell’80/90% in tre giorni dall’intervento chirurgico2. Malgrado diminuisca poi gradualmente nel tempo3, livelli residui di AMI possono essere ritrovati anche 4 anni più tardi4.Inoltre, una forma di AMI, sembra essere sempre presente nelle malattie osteoartritiche, provocando una grande parte del deficit muscolare del quadricipite osservabile in questi individui5.

Oltre ad essere una diretta causa della debolezza muscolare, l’AMI può impedire un effettivo rinforzo muscolare che porta di conseguenza ad una atrofia e debolezza muscolare nel lungo termine difficile da ribaltare6. Sappiamo che una debolezza del quadricipite è clinicamente importante, ed è associabile ad un’alterata stabilità dinamica del ginocchio7 e ad una diminuzione della funzione fisica8. Inoltre è chiaro che una debolezza del quadricipite è associabile ad un incremento del carico sul ginocchio9 con una conseguente perdita di tessuto cartilagineo10 ed una riduzione dello spazio articolare11.

Malgrado la sua importanza clinica, i meccanismi sottostanti l’AMI sono solo parzialmente compresi. L’inibizione artrogenica è stata collegata al gonfiore, al dolore ed al danno strutturale1; il contributo relativo però di questi fattori non è chiaro. È acclarato che da

solo il gonfiore può provocare una potente AMI del quadricipite, come dimostrato da diversi studi dove l’infusione sperimentale intra-articolare provoca riduzione della forza12,13 e del l ’att ività elettromiografica12,14 anche senza reali danni strutturali.

Infatti, poiché il gonfiore aumenta la pressione intra-articolare stimolando i meccanocettori sensibili allo stretching e alla pressione, aumentano grandemente l’afferenza delle fibre del gruppo II15,16. Queste notoriamente, eccitano gli interneuroni inibitori non-reciproci di gruppo I nel midollo spinale17, che inibiscono i motoneuroni alfa del quadricipite impedendo la piena attivazione del muscolo18. L’AMI appare così almeno parzialmente mediata dall’inibizione spinale riflessa dei motoneuroni alfa.Meno chiaro è il contributo dei percorsi sopraspinali all’instaurarsi di inibizione artrogenica ed anche di questo ha parlato Rice a Bologna. Studi ormai datati hanno utilizzato la Stimolazione Magnetica Transcraniale per dimostrare che la eccitabilità corticomotoria del quadricipite è alterata in individui con patologie del ginocchio19,20. Tuttavia questi studi sono stati condotti su individui con patologie croniche, e noi sappiamo che l’ammontare dell’inibizione, e così la sua importanza clinica, è maggiore nelle fasi acute successive ad un trauma o ad un intervento chirurgico2,3.

I l gruppo neozelandese del l ’ Health and Rehabilitation Research Institute dell’Università di Auckland si sta così concentrando sul dimostrare anche la presenza della componente sopraspinale c o r t i c o m o t o r i a e d i n t r a c o r t i c a l e 2 1 , 2 2 , 2 3 . Presentandoci i risultati delle loro ricerche, peraltro ancora contraddittori, in quella sede abbiamo concordato che l’inibizione artrogenica del quadricipite, rimane una importante barriera alla riabilitazione effettiva di diversi pazienti con differenti patologie del ginocchio; solo una miglior comprensione dei meccanismi che la sostengono permetterà di sviluppare strategie terapeutiche migliori.

Bibliografia

1- Rice DA, McNair PJ. Quadriceps arthrogenic muscle inhibition: neural mechanisms and treatment perspectives. Semin Arthritis Rheum. 2010;40:250–266.

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PEARLS OF REHABGioielli dal mondo della riabilitazione A cura di Milco Zanazzo - Comitato Rianilitazione

2- Holm B, Kristensen MT, Bencke J, et al. Loss of knee-extension strength is related to knee swelling after total knee arthroplasty. Arch Phys Med Rehabil. 2010;91:1770–1776.

3- Petterson SC, Barrance P, Marmon AR, et al. Time course of quad strength, area, and activation after knee arthroplasty and strength training. Med Sci Sports Exerc. 2011;43:225–231.

4- Becker R, Berth A, Nehring M, Awiszus F. Neuromuscular quadriceps dysfunction prior to osteoarthritis of the knee. J Orthop Res. 2004;22:768–773.

5- Pietrosimone BG, Hertel J, Ingersoll CD, et al. Voluntary quad activation deficits in patients with tibiofemoral osteoarthritis: a meta-analysis. PM R. 2011;3:153–162.

6- Pietrosimone BG, Saliba SA, Hart JM, et al. Effects of transcutaneous electrical nerve stimulation and therapeutic exercise on quadriceps activation in people with tibiofemoral osteoarthritis. J Orthop Sports Phys Ther. 2011;41:4–12.

7- Felson DT, Niu J, McClennan C, et al. Knee buckling: prevalence, risk factors, and associated limitations in function. Ann Intern Med. 2007;147:534–540.

8- Liikavainio T, Lyytinen T, Tyrvainen E, et al. Physical function and properties of quadriceps femoris muscle in men with knee osteoarthritis. Arch Phys Med Rehabil. 2008;89:2185–2194.

9- Mikesky AE, Meyer A, Thompson KL. Relationship between quadriceps strength and rate of loading during gait in women. J Orthop Res. 2000;18:171–175.

10- Amin S, Baker K, Niu J, et al. Quadriceps strength and the risk of cartilage loss and symptom progression in knee osteoarthritis. Arthritis Rheum. 2009;60:189–198.

11- Segal NA, Glass NA, Torner J, et al. Quadriceps weakness predicts risk for knee joint space narrowing in women in the MOST cohort. Osteoarthritis Cartilage. 2010;18:769–775.

12- Rice D, McNair PJ, Dalbeth N. Effects of cryotherapy on arthrogenic muscle inhibition using an experimental model of knee swelling. Arthritis Rheum. 2009;61:78–83.

13- Wood L, Ferrell WR, Baxendale RH. Pressures in normal and acutely distended human knee joints and

effects on quadriceps maximal voluntary contractions. Q J Exp Physiol. 1988;73:305–314.

14- Geborek P, Moritz U, Wollheim FA. Joint capsular stif fness in knee arthritis. Relationship to intraarticular volume, hydrostatic pressures, and extensor muscle function. J Rheumatol. 1989;16:1351–1358.

15- Grigg P, Hoffman AH. Properties of Ruffini afferents revealed by stress analysis of isolated sections of cat knee capsule. J Neurophysiol. 1982;47:41–54.

16- Wood L, Ferrell WR. Response of slowly adapting articular mechanoreceptors in the cat knee joint to alterations in intra-articular volume. Ann Rheum Dis. 1984;43:327–332.

17- Lundberg A, Malmgren K, Schomburg ED. Role of joint afferents in motor control exemplified by effects on reflex pathways from Ib afferents. J Physiol. 1978;284:327–343.

18- Iles JF, Stokes M, Young A. Reflex actions of knee joint afferents during contraction of the human quadriceps. Clin Physiol. 1990;10:489–500.

19- Heroux ME, Tremblay F. Corticomotor excitability associated with unilateral knee dysfunction secondary to anterior cruciate ligament injury. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc. 2006;14:823–833.

20- On AY, Uludag B, Taskiran E, Ertekin C. Differential corticomotor control of a muscle adjacent to a painful joint. Neurorehabil Neural Repair. 2004;18:127–133.

21- Rice DA, McNair PJ, Lewis GN, et al. Quadriceps arthrogenic muscle inhibition: the effects of experimental knee joint effusion on motor cortex excitability. Arthritis Res Ther. 2014; 16(6): 502.

22- Rice DA, Nielsen TG, Lewis GN, et al. The effects of experimental knee pain on lower limb corticospinal and motor cortex excitability. Arthritis Res Ther.2015; 17(1): 204.

23- Rice DA, McNair PJ. Quadriceps arthrogenic muscle inhibition: neural mechanisms and treatment perspectives. Semin Arthritis Rheum. 2010 Dec;40(3):250-66.

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PATELLO-FEMORAL-JOINT CORNERA cura di Paolo Ferrua e Stefano Pasqualotto WorkGroup Femoro-rotulea SIGASCOT

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La scelta del graft nella ricostruzione del MPFL

S. Pasqualotto, P. Ferrua

La ricostruzione del legamento patello-femorale mediale (MPFL), in seguito alle prime descrizioni ad opera di Sugamuna et al.1 nel 1990 e di Ellera Gomes et al.2 nel 1992, ha guadagnato popolarità nel corso del tempo tanto da essere attualmente considerato la pietra angolare del trattamento chirurgico dell’instabilità oggettiva di rotula 3,4. La ricostruzione del MPFL, infatti, viene routinariamente eseguita come procedura isolata o associata ad altri gesti chirurgici ed è riconosciuta come una procedura sicura, riproducibile ed efficace. Nonostante tale importanza, lo scenario clinico di quando una ricostruzione isolata del MPFL è “sufficiente” nella stabilizzazione di una rotula non è ancora stata categorizzata con chiarezza 5 e numerose tecniche chirurgiche sono state descritte in letteratura, rendendo i confronti spesso difficili ed inconcludenti 6. La scelta del graft rappresenta certamente uno dei temi più dibattuti ed è una variabile da tenere in considerazione prima di procedere alla ricostruzione del MPFL. Dal momento che il legamento patello-femorale mediale nativo è caratterizzato da un carico di rottura approssimativamente di 200 N (Mountney

et al.7 208 N, LaPrade et al.8 178 N), il graft ottimale dovrebbe avere proprietà biomeccaniche simili. I g r a f t s a u t o l o g h i rappresentano attualmente la prima scelta e, tra questi, il gracile, il semitendinoso, il tendine quadricipitale, il tendine del grande adduttore, la fascia lata ed il tendine r o t u l e o c o s t i t u i s c o n o certamente le opzioni più utilizzate 9-14. Noyes et al.15 hanno evidenziato un carico massimo di rottura per il gracile, il semitendinoso, il tendine quadricipitale e la fascia lata di 838 N, 1216 N,

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266 N e 628 N rispettivamente. Tutti questi graft presentano un carico di rottura massimo superiore al legamento patello-femorale mediale nativo e, pertanto, possono rappresentare una scelta appropriata per la ricostruzione. I grafts autologhi garantiscono buoni risultati e versatilità ma sono interessati dalla morbidità del sito donatore e dalla disponibilità (es. pregressa ricostruzione del LCA con utilizzo di hamstrings autologhi). Inoltre, in determinate condizioni cliniche, quali le patologie del tessuto connettivo come ad esempio la sindrome di Ehlers-Danlos e la sindrome di Marfan, gli autografts possono non garantire una resistenza alla trazione sufficiente per una ricostruzione efficace. Per tali motivi, vi sono sempre più evidenze circa l’utilizzo di graft allogenici 16-18 e sintetici 19-21 che hanno dimostrato grande affidabilità e r isu ltat i c l in ic i de l tutto s o v r a p p o n i b i l i a i g r a f t s autologhi.In conclusione, la scelta del grafts non sembra influenzare significativamente i risultati c l i n i c i e f unz i ona l i de l l e ricostruzioni, a patto che venga rispettata l’anatomia del MPFL.

Bibliografia disponibile scrivendo a [email protected]

Synthetic ligament

Esperienze, racconti, interviste da parte dei soci SIGASCOT che lavorano, viaggiano, incontrano e fanno esperienze lavorative all’estero.

In questo primo numero, Daniele Tradati, membro del Comitato Comunicazione, che è stato come specializzando in formazione presso la Clinque d’Eich in Lussemburgo diretta dal Prof Roman Seil, ex Presidente ESSKA, lo ha intervistato per noi.

Buongiorno Prof. Seil. È un piacere aver l’opportunità di avere un confronto diretto con Lei al fine di portare la Sua esperienza personale ai lettori del giornale SIGASCOT.

“È un piacere anche per me, la comunicazione è una cosa di primaria importanza nell’ambiente scientifico”.

Per iniziare, potrebbe descriverci in breve la sua storia? Da giovane specializzando a presidente dell’ESSKA, incarico che ha ricoperto sino a pochi mesi fa.

“Ho studiato in Belgio e dopo essermi laureato in Medicina e Chirurgia nel 1992 ho praticato come chirurgo generale per quasi tre anni. Al fine di proseguire i miei studi mi trasferii in Germania dove iniziai a frequentare il Dipartimento di Chirurgie Ortopediche dell’ospedale di Homburg come “internal resident”. Il mio primo mentore fu il Prof. Ruth, il quale mi fornì i primi stimoli per sviluppare le mie competenze scientifiche. Successivamente alla guida del

dipartimento subentrò il Prof. Dieter Kohn, che a quel tempo rappresentava una figura di riferimento per l’ortopedia dello sport, uno dei miei argomenti preferiti.Il Prof. Kohn, al tempo presidente dell’AGA (German speaking Association for Arthroskopy), aveva intessuto ottimi rapporti con la SFA (Société Francophone d'Arthroscopie). Questo mi permise di accedere alla fellowship AGA-SFA, permettendomi di conoscere molti colleghi, ma soprattutto persone, con le quali ho tutt’ora rapporti d’amicizia e stima. Penso che la “componente umana” abbia rivestito un ruolo primario nella mia formazione. Sin dai primi anni della mia carriera mi dedicai a numerosi studi e lavori scientifici. Fu proprio uno di questi ad essere pubblicato sull’AMJS. Quella pubblicazione rappresentò un incredibile stimolo per

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Il dipartimento diretto dal Prof. R. Seil ospita di frequente numerosi fellow provenienti da tutta Europa. Nuove amicizie per crescere assieme.

La Clinique d'Eich rappresenta l’eccellenza della chirurgia ortopedica in Lussemburgo

Il Prof. Romain Seil durante un intervento di

revisione di LCA. All’insegna del lavoro di

squadra, chirurghi e personale di sala

collaborano al fine di garantire al paziente il massimo della qualità.

ITALIANS, ESPERIENZE OLTRE CONFINEEsperienze, racconti, interviste...A cura del Comitato Comunicazione

me, gettando le fondamenta per la prosecuzione della mia collaborazione con il Prof. Kohn. In breve tempo mi trovai di fronte ad un bivio, continuare ad operare oppure proseguire la mia carriera nell’ambito universitario. Spronato dal Prof. Kohn, scelsi dunque di continuare a pubblicare, proseguendo la carriera accademica, grazie anche alle sovvenzioni statali ottenute dal nostro progetto di ricerca. Nel frattempo, in virtu’ dell’apprezzamento delle mie pubblicazioni, fui premiato con la AGA-Pittsburgh Fellowship. Spesi dunque 3 mesi a Pittsburgh dove ebbi il piacere di lavorare con il Prof. Freddie Fu, traendo ulteriori motivazioni per proseguire i miei studi.Un altro punto di svolta della mia vita fu il congresso ESSKA tenutosi a Nizza nel 1998, la prima volta in cui parlai ad un evento ESSKA, l’esatto momento in cui mi innamorai di questa società. A seguire ebbi il piacere di ottenere un’ ulteriore fellowship, la quale mi aprì le porte al board dell’ESSKA. Nel 2002, all’età di 36 anni, conseguii la carica di segretario della società.Tre anni dopo tornai in Lussemburgo, con l’obiettivo di creare nel mio paese un nuovo “ambiente accademico”. Iniziammo dal nulla e a poco a poco altri colleghi decisero di prendere parte al nostro progetto. Fondammo quindi ad Eich il “Dipartimento del sistema locomotore e traumatologia dello sport”. ”

Ci sono ancora dei maestri che possano introdurti al mondo accademico? Che possano essere figure di riferimento per proseguire la formazione in un mondo incentrato sulla produttività?

“È sicuramente un importante spunto di riflessione. Ciò che è cambiato negli ultimi 20 anni è stato l’incremento della pressione produttiva verso i chirurghi, soprattutto nel sistema privato, dove non c’è spazio per ricerca o formazione. Dobbiamo quindi reinventare il nostro sistema educativo. Vent’anni fa in

molte città le protesi erano impiantate solo in centri universitari, ma adesso in Germania così come in Italia, questi tipi di interventi stanno diventando una prerogativa degli istituti privati, riducendo il nostro spazio per la formazione. Al contrario in paesi come la Corea, o il Giappone, la medicina sportiva è ancora una pratica prettamente universitaria.Ci sono ancora mentori o maestri, certamente. Tuttavia bisogna anche rendersi conto che è cambiato il modo dei giovani chirurghi di approcciarsi alla professione, le priorità sono mutate. Il lavoro non è più al primo posto nella scala dei valori. Vent’anni fa, ed in modo ancora più marcato nella precedente generazione, il lavoro del medico era visto come un sacrificio, oggigiorno porre in secondo piano la propria vita privata non è più un’opzione accettabile. Ciò rappresenta una concreta differenza rispetto ai decenni precedenti. Ci viene imposto quindi di prendere atto di questi cambiamenti, al fine di migliorare e promuovere l’educazione dei giovani chirurghi. I Principi dell’attuale formazione specialistica sono fermi agli anni 90, è tempo di cambiare. Dobbiamo creare qualcosa di diverso. Assieme all’ESSKA vogliamo andare in questa direzione, creare nuovi modi di insegnamento, incentrati non solo sulle conoscenze teoriche ma anche sulle abilità chirurgiche pratiche. Stiamo sviluppando un sistema di formazione meno nozionistico basato su “competency modules” che continueranno ad evolversi progressivamente. In futuro spero che i giovani chirurghi abbiano bisogno di studiare meno, focalizzandosi sugli argomenti realmente importanti per la formazione. Il che non significa intraprendere precocemente un percorso di super-specializzazione. I primi anni dovrebbero garantire una panoramica su tutti gli aspetti dell’ortopedia, mentre negli ultimi

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La cultura del rispetto e dello spirito di squadra non finisce al termine dell’orario di lavoro. Il team si costruisce anche fuori dal campo di gioco.

Il Gran Ducato di Lussemburgo. Paesaggi medievali nascosti all’interno di una città che vibra di vita e multiculturalità

anni ci si potrebbe poi focalizzare sulla super-specialistica che si preferisce.”

Pensa che le fellowship debbano diventare routine nel programma di crescita dei giovani chirurghi?

“Penso che sia una cosa fondamentale, e consiglierei a tutti questa esperienza, se possibile. È un modo per aprirsi le porte verso il mondo scientifico, parte integrante del nostro lavoro. In base alla mia esperienza personale suggerirei di proporsi per una trave l l ing fe l lowship 2 o 3 anni dopo la specializzazione. Solo dopo aver affinato le proprie a b i l i t à ch i r u rg i ch e e t e o r i ch e, o p e r a n d o autonomamente un numero crescente di pazienti, è possibile raccogliere il massimo dei risultati da queste fantastiche esperienze.”

Lei è un affermato chirurgo, ex-presidente ESSKA, con un ruolo di leadership nel panorama ortopedico internazionale. Qual è la chiave del suo successo?

“Non lo so’ a dire il vero. Ho sempre provato ad essere

me stesso, restando con i piedi a t e r r a e p r o v a n d o a comportarmi come essere umano ancora prima che come chirurgo. Un essere umano in grado di guardarsi allo specchio prima di andare a letto. E devo aggiungere di essere stato fortunato ad avere una moglie fantastica, che mi ha supportato oltre il 100% in quello che stavo facendo. E questa non è una cosa che si ottiene subito, bisogna lavorarci insieme. La mia famiglia e un ambiente di lavoro fatto di amici prima che di colleghi…sono stati questi i pilastri che mi hanno sostenuto sino ad oggi.”

Grazie per la sua collaborazione. Le porgo i migliori saluti da parte di tutti i lettori SIGASCOT

“È stato un piacere e colgo l’occasione per invitarvi tutti alla quarta edizione del congresso sulle osteotomie che si terrà a Lussemburgo dal 30 Novembre al 1 Dicembre 2018 dal titolo “4th Luxembourg Osteotomy Congress: degenerative and posttraumatic deformities? Preserve the knee joint!”.Un saluto a tutti i lettori del giornale SIGASCOT.”

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Roman Seil

ORTHO&WINE

LIONE, Terra di grandi vini!A cura di Paolo Ferrua - ASST G.Pini - CTO (MI)

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Ortopedico-Sommelier sono mondi che frequentemente si incontrano, che si capiscono e che vivono in   una naturale armonia. Questa rubrica raccoglierà le esperienze e i consigli dei (tanti) ortopedici-sommelier che amano il vino quasi quanto la chirurgia ortopedica…

“Lione è una città bagnata da tre fiumi: il maestoso Rodano, l' indolente Saona e il Beaujolais”

Questo adagio popolare rende perfettamente l' idea di quanto l'enogastronomia sia considerata importante dai Lionesi che sono giustamente orgogliosi della loro scena culinaria/enologica di tradizione centenaria.Lione gode di una posizione geografica particolarmente strategica essendo storicamente un crocevia del commercio del vino sin dall'epoca romana. Nell'antichità la collina della Croix-Rousse, attualmente in pieno centro, era ricoperta da vigneti e a tutt'oggi le vigne del Coteaux Lyonnais e del Beaujolais si spingono fino all'immediata periferia della città. Lione si trova immediatamente a sud della Borgogna e in particolare della regione del Maconnais, famosa per i suoi Chardonnay tra cui spiccano i deliziosi Pouilly-Fuissé. Per gli amanti delle complessità sono assolutamente da provare i vini ottenuti in questa regione da vigne antiche, riconoscibili per l' appellativo Vielles Vignes. Il Rodano, dopo aver attraversato la città, prosegue la sua corsa verso il Mediterraneo nella regione delle Cotes du Rhone che produce vini bianchi (da segnalare i Viognier) e rossi conosciuti in tutto il mondo per il loro valore. Tra le tante appellazioni a Lione è molto comune consumare Saint-Joseph e Crozes Hermitage (base Syrah), vini caratteristici della regione settentrionale che abbinano carattere e gradevolezza.Alla prima impressione si può facilmente rimanere spiazzati dall’abitudine lionese di consumare vini anche importanti non dalla bottiglia ma travasati nel classico “pot lyonnais”, bottiglia di vetro dal fondo spesso dalla capienza precisa di 46 cl. La tradizione risale al 19° secolo

quando l ' industr ia della seta lionese era una delle principali al mondo e i lavoratori della seta (Canuts) avevano diritto a 50 cl di vino al giorno. Nel 1843 venne emanata u n a m o d i fi c a ch e p e r m e t t e v a d i “donare” una quota del proprio vino al p r o p r i o c a p o riducendo quindi la capienza ai tradizionali 46 cl. Il “pot” a Lione è una vera e propria i s t i t u z i o n e n e i bouchons, trattorie tipiche a gestione spesso familiare, e una visita in questa città non può dirsi completa senza consumarne uno (almeno).

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Vini consigliati- Beaujolais Nouveau L’ Ancien 2018 Jean Paul Brun

Domaine des terres dorées. Abbinamento: caldarroste

- Pouilly Fuissè Vielles Vignes Chateau Vitallis 2015 Abbinamento: crostacei, carni bianche ( per esempio pollo di Bresse)

- Sa int Joseph Rouge Dard & Ribo 2016 Abbinamento: arrosti, carni rosse

- Les Bessards 2015 Maison Delas Freres Hermitage AOC Abbinamento: vino da grandi occasioni perfetto con selvaggina o carni rosse

Dove acquistare/consumare- Halles de Lyon Paul Bocuse 102 Cours Lafayette.

Vera e propria istituzione lionese dove i locali a c q u i s t a n o o g n i g e n e r e d i e c c e l l e n z a enogastronomica. Il rituale classico è quello di fare un break dagli acquisti con ostriche e un pot di Macon

- L’Ange Di Vin 13 Rue de la Monnaie Ottimo rapporto qualità/prezzo e selezione di vini con piccola cucina

- Café Comptoir Abel 25 Rue Guynemer. Un must per ogni visita a Lione. Ottima cucina con le specialità locali portate al massimo livello e una carta dei vini assolutamente all’ altezza

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INE Parlando di vino e Lione non si può non citare il

fenomeno Beaujolais Nouveau che è diventato ormai di fama mondiale. Ogni anno il Beaujolais nouveau invade letteralmente tutto il mondo con circa 50 milioni di bottiglie (450 mila ettolitri di vino) alla mezzanotte del terzo giovedì di novembre. Questo vino, ottenuto con il procedimento della macerazione carbonica, scatena a Lione e in tutta la Francia una vera e propria frenesia che si traduce nell'organizzazione di feste molto “accese” in tutta la città dove i locali espongono il caratteristico cartello “Le Beaujolais Nouveau est arrivé”.

Vi basterà un weekend per avere un piccolo assaggio della famosa “ a r t d e v i v r e ” sorseggiando in estate un pot di Viognier ghiacciato su una peniche oppure riparandosi dal freddo in un bouchon con un calice di Saint-Joseph... Provare per credere!

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30 novembre - 1 dicembre 2018A Firenze si svolge il1° SIGASCOT Closed Meeting Una data che farà la storia!

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CPRS DEL POLSO

Dietro a un banale trauma della mano e del polso puo’ nascondersi una delle più temute complicanze: la Complex Regional Pain Syndrom, CRPS, un t empo ch iamata algodistrofia se di tipo primo, o causalgia se di tipo secondo dovuta in questo caso a un danno accertato a un ramo nervoso periferico. La definizione attuale evidenzia le più tipiche manifestazioni cliniche di questa sindrome: complex per l’estrema variabilità dei fenomeni clinici, regional perché la localizzazione anatomica prescinde da una distribuzione metamer i ca , e pa in perché è l a so la manifestazione clinica costante.Si verifica con una frequenza che varia dal 4 al 37% dei casi e non sappiamo con certezza quali siano i fattori predisponenti; la fascia di popolazione fra i 40 e i 60 anni di genere femminile piu’ facilmente va incontro a questa temibile complicanza, ma nessuna fascia di età è e s c lu sa compre sa que l l a ped ia t r i ca e l’adolescenza.La CRPS è una patologia multifattoriale, consiste in una risposta algica spropositata rispetto al

trauma subito, si verifica con m a g g i o r frequenza in c a s o d i coinvolgimento delle estremità o d e l l ’ a r t o s u p e r i o r e , purtroppo nel 30% dei casi n o n v i e n e effettuata una c o r r e t t a diagnosi e la t e m p e s t i v i t à diagnostica per

la risoluzione senza esiti è fondamentale.Esistono diverse forme di presentazione che variano per tipo di sintomi e severità, le forme acute presentano dolore trafittivo o urente anche a riposo, tumefazione, arrossamento locale, aumento della temperatura cutanea e riduzione antalgica della mobilità della mano, gli annessi piliferi possono essere assenti o può verificarsi una ipertricosi (fig 1: trauma alla mano complicato in CRPS, si osserva importante tumefazione e tensione della c u t e ) ; l e for me cron iche invece sono caratterizzate dal dolore accentuato al tatto o alla mobilizzazione articolare, allodinia e iperpatia, pallore della cute, iperidrosi locale e rigidità delle dita con perdita di elasticità dei tessuti molli, contrattura e ipotrofia.A questo stadio segue poi quello atrofico, dove la contrattura diviene irreversibile. Le indagini diagnostiche che possono essere utili sono la scintigrafia ossea trifasica (aumentata captazione dei tessuti molli); la RMN nelle fasi precoci (edema della spongiosa in T2), alla indagine radiografica si osserva una importante porosi maculata dell’osso (Fig 2: porosi maculata in frattura del radio distale complicata in CRPS), ma non

THE DARK SIDE OF THE JOINTS è una nuova rubrica che si occupa delle patologie meno note, di quelle considerate piu’ banali ma che possono invece nascondere insidie o complicanze poco conosciute, di quelle difficili da diagnosticare o di quelle rare di cui si parla poco nei Congressi, che rappresentano il lato oscuro di ogni articolazione.

THE DARK SIDE OF THE JOINTSUno sguardo al rovescio della medaglia Articolo di Simonetta Odella - Chirurgia della Mano, G.Pini Milano

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TS sono dirimenti, il solo modo per stabilire la

presenza di una CRPS è la valutazione clinica, oggi si fa riferimento ai Criteri di Budapest, tab 1, dalla sede nella quale sono stati presentati per la prima volta, stilati dalla IASP (International Association for the Study of Pain) nel 1994 e poi elaborati nel 1999.

Non solo è importante la diagnosi precoce ma anche il riconoscimento delle diverse fasi della patologia per stabilire quale sia il miglior trattamento.La remissione del dolore e il recupero funzionale sono l’obiettivo del trattamento, l’approccio è multidisciplinare, il paziente deve essere informato in merito al tipo di complicanza e a quali siano gli obiettivi conseguibili; la fisioterapia

d e v e e s s e r e d o l c e e progressiva, data l’entità del dolore smisurata rispetto all’evento traumatico e la lunga durata può essere

necessario un supporto psicologico al paziente.In merito al trattamento farmacologico per anni c’è stato grande disaccordo, i corticosteroidei trovano un razionale in caso di CRPS di tipo I, sono i soli farmaci antinfiammatori che presentano un buon livello di evidenza; un altro gruppo di farmaci che ha una buona efficacia sono i bifosfonati, un recente studio che prevede l’uso di 4 infusioni di neridronato in vena dimostra un evidente miglioramento rispetto al gruppo di controllo trattato con placebo purchè somministrato entro i primi 12 mesi dalla insorgenza.La CRPS nonostante la recente individuazione di un trattamento farmacologico, rimane una complicanza temibile, con forti implicazioni per il paziente dato il dolore insopportabile, la forte limitazione funzionale e il rischio di depressione conseguente, le tempestività diagnostica, ricordando che diagnosi che è ancora ad oggi prevalentemente clinica, rimane la chiave per la risoluzione del problema senza esiti invalidanti per il paziente.

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29-30 marzo 2019, Verona

“WINTER IS COMING”A. Marmotti, G.M. Peretti, F, Castoldi, L. De Girolamo (presidente del comitato Scienza Di Base) e i membri del comitato Scienza Di Base (A. Berton, D. Cucchi, S. De Giorgi, L Mangiavini, F Rosso, A. Russo, M Viganò)

“Winter is coming” [7]. L’inverno sta arrivando. E con l’arrivo del freddo e della neve, tornano alla mente le saghe avventurose che abbiamo letto e seguito e che hanno accompagnato tanti momenti delle nostre vite. Paesaggi innevati, le sconfinate distese delle montagne e valli ricoperte di conifere che alternano il giallo con il verde e il bianco della neve appena caduta riportano vivi i ricordi di epiche nordiche antiche, di capolavori leggendari come “The Lord of the Rings” e di nuove mitologie altrettanto potenti come le storie del “Trono di spade” di George R. R. Martin , in cui eserciti si alleano e lottano contro avversari potenti e dai nomi evocativi come “Fenrir” il lupo gigantesco nemico di Odino, “Sauron” della terra di mezzo o il “Re degli Estranei” in “A song of ice and fire”. Ogni nemico, in ogni storia, ha un nome diverso, ma tutti rappresentano una forza oscura e distruttrice, che sovverte la struttura del nostro mondo e che porta alla degenerazione e alla scomparsa di ciò che è nobile e luminoso e vitale, fino all’immobilità.Nel mondo dell’ortopedia, uno degli avversari più potenti contro il quale continuiamo a scontrarci nella nostra vita professionale è sicuramente la patologia complessa e multiforme nota sotto il nome di “osteoarthritis”. Sia essa presente nella forma di difetto osteocondrale maggiore, che ha il potere di evolvere in futuro in artrosi più generalizzata [9], sia essa nella forma di artrosi precoce, con già iniziale compromissione globale anche di un solo compartimento articolare (ad esempio nel ginocchio), l’artrosi è una presenza costante contro cui ogni ortopedico deve lottare. E lottare significa prevenire e intervenire prima che la battaglia sia persa e che l’articolazione, che è la struttura nobile e vitale con la quale ci muoviamo, sia destinata ad un destino irrecuperabile di progressiva degenerazione e immobilità, fino alla sua necessaria distruzione (che, in altri termini, non è altro che la soluzione

finale e radicale della sostituzione protesica). In questo “inverno senza fine” che è la lotta contro l’artrosi, la scienza di base sta compiendo progressi notevoli nella ricerca di nuove armi e nuove strategie per intervenire sul campo e rallentare (se non è possibile arrestare) l’avanzata di questo avversario temibile all’interno dello spazio articolare. E le “cellule s taminal i” , cos ì come s iamo abi tuat i genericamente a chiamarle, sono ancora le nostre armi più potenti. Recentemente siamo stati abituati a chiamarle con i l loro nome più completo, c ioè “mesenchymal stem cells (MSC)”, per individuare il loro potenziale ricostruttivo e anabolico in senso mesenchimale. Così dalle prime osservazioni del potere differenziativo delle MSC del midollo osseo adulto, descritte da Pittenger nel 1999 [13], ora sappiamo che le entità cellulari assimilabili al concetto di “cellula mesenchimale” sono in realtà in ogni punto del nostro cor po, sono i s to logicamente corrispondenti alle cellule attorno ai vasi, i “periciti” [2], e hanno il potere di migrare, sotto la “chiamata alle armi” da parte di un tessuto di fronte a un attacco esterno o a una lesione in

BEYOND - LE BOMBE DI MARMOTTILa rubrica dedicata ai lavori scientifici potenzialmente rivoluzionari, letti, interpretati e proposti da:

A cura di AntonGiulio Marmotti & Comitato Scienza di base

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Figura 1:human skeletal stem cell (PDPN+ CD146- CD73+ CD164+) that generates progenitors of bone, cartilage, and stroma (but not fat)da Chan CKF, Gulati GS, Sinha R, Tompkins JV, Lopez M, Carter AC, Ransom RC, Reinisch A, Wearda T, Murphy M, Brewer RE, Koepke LS, Marecic O, Manjunath A, Seo EY, Leavitt T, Lu W-J, Nguyen A, Conley SD, Salhotra A, Ambrosi TH, Borrelli MR, Siebel T, Chan K, Schallmoser K, Seita J, Sahoo D, Goodnough H, Bishop J, Gardner M, Majeti R, Wan DC, Goodman S, Weissman IL, Chang HY, Longaker MT (2018) Identification of the Human Skeletal Stem Cell. Cell 175:43-56.e21

genere, e di localizzarsi, mediante un viaggio chiamato “homing” nel sito di lesione e lì fermarsi ed esercitare la loro azione trofica, antiinfiammatoria e immunomodulante. Già, non solo azione trofica e rigenerativa, ma anche antiinfiammatoria e immunomodulante. Per cui, se per gli nostri studi “in vitro”, erano state chiamate mesenchimali, poiché sotto opportuni e selezionati terreni e in determinate condizioni di coltura i ricercatori erano riusciti a differenziarle in elementi cellulari precursori di osso, cartilagine e tessuto adiposo (la “triade “mesenchimale universalmente riconosciuta [6]), adesso seguendo le recenti osservazioni, in vivo tutto sembra cambiare nel loro nome e nella loro azione. La visione tradizionale che vedeva le MSC come puri elementi dotati di capacità differenziativa locale si espande e include nuovi orizzonti terapeutici quali la capacità di attivarsi, dopo essere migrate, nel sito di lesione e creare un microambiente rigenerativo mediante la secrezione di fattori trofici e immunomodulanti [3]. E la sigla “MSC” non significa più tanto “mesenchymal stem cell” ma “Medicinal Signaling Cells” cioè elementi in grado di differenziarsi, sì anche, in tessuti quali l’osso e la cartilagine, ma, forse, molto più abili nell’incitare le cellule pluripotenti residenti nel sito di lesione a ricostruire, con il loro aiuto e il supporto e lo stimolo dei fattori trofici da loro secreti, il tessuto danneggiato e degenerato che altrimenti andrebbe perduto. Questa è la visione più ampia della azione terapeutica delle MSC; in altre parole, questa è la nuova strategia con cui le forze rappresentate dalle MSC di ogni provenienza si possono opporre alla progressione della artrosi, in qualsiasi forma si manifesti nel nostro mondo dell’ortopedia. Ed è con questa strategia che possiamo interpretare i nuovi fronti di ricerca e gli alleati cellulari che i ricercatori stanno indagando come possibili elementi in grado di modificare in senso anabolico e rigenerativo il microambiente cellulare dove la lotta contro l’artrosi è costante. E le fonti a cui attingere le nuove forze non mancano. Dal tessuto adiposo, le cellule appartenenti alla frazione stromale vascolare si stanno studiando sempre di più come alleati importanti e promettenti. Si possono utilizzare purificate, manipolate e coltivate come elementi singoli (le “adipose MSC”) in trial clinici come ADIPOA [12] (per la cui applicazione clinica il verdetto di

un comitato et ico è i m p r e s c i n d i b i l e e indispensabile) . Ma si possono usare in modo molto più semplice e immediato (“one-stage”) attraverso il concentrato di tessuto adiposo stromale ottenibile con la digestione mediante collagenasi (“stromal vascular fraction SVF”) o la miniaturizzazione mediante “spezzettamento” del tessuto adiposo stesso, conservandone la parte stromale e gettando via il grasso inerte (“microfragmented adipose tissue” nelle forme conosciute come Lipogem) come ci ha descritto il gruppo di lavoro di Laura de Girolamo [10], che da anni guida i suoi ricercatori come un coraggioso generale in questo fronte di ricerca. E una cosa straordinaria è che queste cellule staminali di derivazione adiposa hanno una “armatura” completamente diversa dalle altre cellule perché esprimono, almeno nei primi passaggi di cultura, il marker CD34 (sì, davvero, sono CD34+) che è un marker di staminalità condiviso con la linea ematopoietica, per cui stiamo vedendo un “cross-over” di staminalità e d i potenzia le r igenerat ivo tota lmente inaspettato! [1].Ma nuovi alleati cellulari provengono anche dalla membrana sinoviale, da cui si possono o t tenere ce l lu le dotate d i potenz ia le mesenchimale promettente come descritto nel trial umano di Shimomura [16], dal sangue in forma di cellule staminali ematopoieiche CD34+ (previa trattamento con di granulocyte colony-stimulating factor G-CSF (che aumenta la mobilizzazione sistemica di queste cellule dal midollo osseo e, forse, anche di cellule CD34-) come nel trial clinico di Saw [15], dalla stessa urina umana, che sembra inaspettatamente ricca in cellule staminali (periciti provenienti dalle strutture stromali renali?) come descritto da Chen nel suo studio sul coniglio [5], e, ovviamente, da ciò che ci fa nascere e crescere cioè il cordone ombelicale, dal cui stroma si possono ricavare elementi mesenchimali assolutamente convincenti sia in vitro [11], sia in modello animale (Zhang e il suo studio sul cane lo dimostrano [18]) e sia nell’uomo, come ci hanno mostrato Sadlik e i suoi [14] con un trial clinico incredibile e coraggioso in cui la lotta per la riparazione della cartilagine viene affrontata davvero impiantando cel lule staminali

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allogeniche da cordone ombelicale trasportate da scaffold collagenico e colla di fibrina, in difetti osteocondrali trocleari e femorali, in un setting dal sapore quasi futuristico. Ma qui dobbiamo fermarci un momento. Le sorgenti di MSC potrebbero essere ancora altre, anche più fantascientifiche, ma non ci rendiamo conto che, forse, c’è qualcosa che non stiamo vedendo? Un po’ come nella visione del futuro di “Matrix” [17], ogni ortopedico che ha a che fare con il mondo delle staminali non si accorge che sotto la realtà di queste MSC c’è qualcosa che non vediamo, ma che sappiamo che “deve esistere”? Noi, infatti, sappiamo che, in fondo, le nostre fonti di MSC (tessuto adiposo, cordone ombelicale, sinovia, sangue…) ci danno accesso non ad una linea cellulare pura e uniforme, ma ad una popolazione fatta di “gruppi diversi” di cellule staminali. Questi “gruppi diversi di MSC” provenienti da una determinata fonte (come ad esempio il midollo osseo) e, spesso, isolate perché aderenti a piastra, hanno, sì, le caratteristiche di “Medic ina l S igna l ing Ce l l s” , ma non appartengono ad una singola linea cellulare ben definita e indirizzata verso il potenziale ricostruttivo mesenchimale: sono piuttosto un insieme di elementi cellulari eterogenei con potenziale variabile e contributo rigenerativo differente nei confronti delle varie linee cellulari osteoblastiche, adipoblastiche e condroblastiche (“heterogeneous mixtures of cel ls with indeterminate potencies and promiscuous contribution to many overlapping lineages” [4]). E forse è per questo motivo che, più che rigenerare direttamente un tessuto cartilagineo, sono molto più brave ad indirizzare altri elementi cellulari a farlo. Ma esiste allora una linea cellulare puramente differenziativa e in grado di generare osso e cartilagine e basta? In altre parole, in questa lotta contro l’artrosi, esiste l’arma perfetta in grado di rigenerare e guidare da sola la ricostruzione? Esiste, cioè, “one ring to rule them all”?[8]Forse non siamo così lontani dal trovarlo. Forse nelle nostre ricerche si sta aprendo una nuova luce e una nuova speranza nella lunga lotta contro l’artrosi.Nell’ultimo giorno d’estate, il 20 settembre 2018, da Stanford il folto gruppo di ricercatori guidato da Longaker ha lanciato una provocazione incredibile per il mondo delle MSC [4].Hanno trovato e dimostrato l’esistenza di una linea cellulare nell’uomo che rappresenta l’apice

dell’albero differenziativo s che l e t r i co e che è capace, da sola, di dare o r i g i n e a s o t t o t i p i cellulari condrogenici e osteogenici (e non a tessuto adiposo). Questa l i n e a c e l l u l a r e “ p u r a ” c h i a m a t a PodoplaninPDPN+CD146-CD73+CD164+ (per i markers caratteristici espressi alla superficie della cellula) è in grado di generare tessuto osseo e cartilagineo anche quando impiantata sotto la capsula renale del ratto (Fig 1). In altre parole questa linea cellulare va incontro ad un processo di transizione lineare direttamente verso l’elemento progenitore precoce di osso e cartilagine (early bone, cartilage, and stroma progenitor o hBCSP), che poi, a sua volta, dà origine ai progenitori ossei e cartilaginei prima di differenziarsi in modo terminale in osso e cartilagine. E’ facile intuire come questa linea cellulare possieda in se un potenziale terapeutico enor me: i l suo isolamento, nel singolo individuo, e il suo utilizzo in senso rigenerativo potrebbe rappresentare un gesto terapeutico in grado di invertire in modo paziente-specifico la progressione di malattie muscoloscheletriche, c o m e a f f e r m a L o n g a k e r ( “ f u r t h e r characterization of the hSSC will facilitate the development of patient-specific ap proaches to diagnosing and reversing diverse types of skeletal disorders).Una nuova strategia si apre, quindi, con la scoperta di questa linea cellulare, e con sé un nuovo fronte nella lotta contro l’artrosi.L’inverno sta arrivando e continuerà ancora per molto, ma le nostre armi contro l’artrosi, che è l’avversario più potente, si stanno facendo sempre più efficaci. A noi, ora, sta solo entrare in gioco e combattere, tutti insieme, nel tempo che ci sarà concesso, la nostra battaglia.

(P.S. un ringraziamento di cuore a F. Dettoni, amico e compagno di battaglia; senza di te, questa storia non sarebbe mai stata immaginata)

References1. Bora P, Majumdar AS (2017) Adipose tissue-derived

stromal vascular fraction in regenerative medicine: a brief review on biology and translation. Stem Cell Res Ther 8:145

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COME ERAVAMOImmagini, momenti, ricordi ed episodi dei grandi chirurghi che hanno fatto la storia della chirurgia ortopedica moderna e dei grandi eventi

A cura dei GianLuigi Canata

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Salto triplo ed ortopedia

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Qualche giorno fa sono stato invitato ad Agazzano per la celebrazione del cinquantennale della medaglia di bronzo di Peppe Gentile alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 [Figura 1,2].

Mi è sempre rimasta negli occhi q u e l l a g a r a , u n a d e l l e p i ù straordinarie della storia del salto triplo che ha un po’ condizionato anche la mia vita inducendomi a praticarlo. Peppe Gentile da allora è uno dei miei grandi miti sportivi.Il 29 gennaio 1970 Antonio Odasso, insegnante di educazione fisica del Liceo Cavour di Torino, inviò me ed un compagno di classe al CUS Torino per prepararci alle gare scolastiche. Lì incontrai un giovane allenatore del CUS Torino che mi vide e dopo avermi fatto fare qualche balzo mi indirizzò all’atletica, naturalmente al salto triplo: era Elio Locatelli,

ancora oggi tecnico della nazionale di atletica leggera. L’ambiente dell’atletica mi conquistò e iniziai ad allenarmi incoraggiato da mia madre che a sua volta aveva praticato salto in lungo e 80 metri ostacoli negli anni universitari. Tuttavia in quel primo anno mi era consentito un solo allenamento alla settimana: avevo 16 anni [Figura 3].

Cercherò ora di spiegare il collegamento fra il salto triplo e l’ortopedia.Ad Agazzano ho rivisto quella gara olimpica e i salti dei grandi campioni che l’hanno resa immortale: la straordinaria eleganza dei salti di Gentile, terzo alla fine

dopo aver stabilito il record mondiale in qualificazione

Fig 1 e 2: Con Peppe Gentile ad Agazzano; Peppe

Gentile , Messico 68

Fig 3: Giovanna Massa nello stadio comunale di Torino, 1937 Gentile , Messico 68

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(17,10) e in finale al primo salto (17,22), la strapotenza muscolare di Viktor Sanayev che vinse con 17,39 e la elasticità di Nelson Prudencio che fu secondo con 17,27 con una tecnica di salto estremamente personale. Il fenomenale Viktor Sanayev riuscì a vincere il salto triplo in tre Olimpiadi consecutive e ad arrivare secondo nella quarta confermandosi uno dei maggiori

campion i de l l a s to r i a dell’atletica [Figura 4,5].

Io ho praticato il salto triplo per 10 anni fra liceo ed università senza riuscire a raggiungere i risultati di Gentile, ma ricevendo in cambio gli strumenti che hanno forgiato la mia vita s u c c e s s i v a . N e l l a progressione di risultati da allievo e junior ero alla pari con i più grandi campioni, poi smisi di progredire [Figura 6].

Il salto triplo è forse la specialità più tecnica dell’atletica leggera e richiede grande dedizione per ottenere risultati ed evitare infortuni. Ogni allenamento è volto alla ricerca del miglioramento della tecnica di salto e delle qualità che permettono di allungarlo: forza, velocità, elasticità e resistenza allo sforzo anaerobico.Nei salti di Gentile ho visto la perfezione tecnica unita ad una eleganza gestuale straordinaria. Nel suo intervento ad Agazzano Gentile ha ricordato la successione dei suoi salti, la coscienza di aver raggiunto livelli straordinari ma anche la percezione che il 17,22 poteva non essere sufficiente. Poi nel quinto salto tentò di andare oltre ma un piccolo errore gli fece perdere l’equilibrio sul terzo balzo e dovette alla fine accontentarsi del terzo posto.Non ho ottenuto i risultati di Peppe Gentile ma ho ricevuto molto di più: ho perso e vinto molte gare realizzando che il confronto leale con l’avversario ci insegna ad affrontare le difficoltà della vita senza paura. Le sconfitte nascondono preziosi insegnamenti

perché inducono ad analizzare gli errori commessi e ad emulare chi è stato al momento più bravo di noi. Ho imparato che è sempre possibile fare meglio e il confronto con l’avversario è un parametro di valutazione importante. L’atletica è sport individuale solo apparentemente perché si gareggia soli con se stessi ma la presenza dell’avversario ci connette integralmente con il mondo esterno trasmettendoci energie e motivazioni. Ne deriva uno straordinario stimolo al miglioramento e la fiducia che le energie spese non sono inutili fatiche ma se bene utilizzate possono dare grandi soddisfazioni.

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Fig 4 e 5: Viktor Sanayev, Messico 1968; Con Viktor Sanayev, 2013

Fig 6: 1973: sosta forzata

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In quegli anni di grande entusiasmo sportivo ho studiato la biomeccanica del salto e cercato di apprendere i principi dell’allenamento arrivando a scrivere nel 1975 un libretto sulle tecniche di allenamento del salto triplo. Nell’inverno del 1975 accettai un durissimo programma di allenamento con la prospettiva di partecipare alle Olimpiadi di Montreal l’anno successivo. Una tendinopatia rotulea insorta nel maggio del 1976 pose fine al mio sogno olimpico ma mi indusse a trasferire nella medicina le mie energie, arrivando a dare 42 esami invece dei canonici 26. Trasferii allo studio medico anche l’abitudine al confronto con i coetanei europei acquisita saltando nei vari incontri nelle nazionali giovanili e per tre anni consecutivi frequentai nel mese di agosto ospedali in Danimarca ed Inghilterra nell’ambito degli internati esteri della Minerva Medica, antesignani dei corsi Erasmus allora non ancora esistenti. Queste esperienze influirono profondamente sulla mia successiva attività professionale. Lo stesso spirito sportivo stimolò in seguito anche la piacevole esigenza del confronto scientifico con i colleghi ortopedici. Nulla del tempo e dell’impegno profusi negli anni del salto triplo è andato perduto applicando all’ortopedia i concetti tecnici, biologici e biomeccanici appresi. Ho imparato il concetto stesso di allenamento trasferendolo ai pazienti: non siamo tavoli o sedie ma esseri viventi che si plasmano e modificano ogni minuto della nostra vita con straordinarie capacità riparative e di adattamento purché vengano rispettate le leggi della natura. Ho sollevato intere palestre e consumato pedane ma non ho mai vissuto come fatica le tante ore impegnate che ho sempre percepito come grande opportunità di miglioramento rispettando fiducioso i programmi dei miei allenatori, ma altrettanto interessato ad imparare i principi che li regolavano [Figura 7].

Mi era rimasto un solo cruccio: non essere andato alle olimpiadi e aver perso qualche altra occasione per rispettare la volontà dei miei genitori che anteponevano lo studio alla pratica sportiva. Rivedere la gara olimpica di Gentile mi ha liberato definitivamente da questo ultimo dubbio, la meravigliosa armonia dei suoi salti mi ha fatto capire che oltre al risultato metrico vi sono altri elementi superiori che travalicano il salto stesso: Gentile arrivò terzo ma aveva raggiunto la perfezione e non aveva più nulla da dimostrare né motivazioni che lo inducessero a cercare altre imprese. Come il volo del gabbiano Jonathan Livingstone.Ottavio Castellini, grande cultore dell’atletica, nel titolo del suo libro celebrativo riprende questi aspetti quasi da eroe mitologico intuiti dallo stesso Pier Paolo Pasolini che lo volle attore per interpretare Giasone con Maria Callas nelle vesti di Medea [Figura 8].

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Fig 7: Con l’allenatore Mauro Astrua, 1972

Fig 8: Il libro di Ottavio Castellini su Peppe Gentile e sul salto triplo

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Da Agazzano sono tornato felice per aver onorato un grande atleta, aver rivisto altri grandi campioni successivi oltre ai compagni di anni di salti e soprattutto grato pensando a quanto il salto triplo mi ha dato nella mia successiva vita ortopedica. Lo sport ha valenze che vanno enormemente oltre l’aspetto ludico, spettacolare o professionale e in questa ottica emerge l’assoluta idiozia della pratica del doping soprattutto negli sport non professionistici [Figura 9-10].

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SIGASCOTconsiglia

Fig 9: Qui con Magdelin Martinez e Antonella Capriotti, super tripliste azzurre (e primatiste italiane) e con Dario Badinelli ed Enzo Marchetti, grandi triplisti e miei avversari in tante gare. Enzo Marchetti è anche campione mondiale master di salto triplo.

Fig 10: Tutti i diciassettemetristi italiani con Ottavio Castellini ad Agazzano

MEETING(S) WITH... FOODIL GUSTO DI ANDARE AI CONGRESSI

Con il “nostro” misterioso Craccon

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Sede, Bologna. L'evento scientifico è, ovviamente il nostro congresso nazionale Sigascot!La Fenice, sede della cena del Presidente, è dimora storica elegante ed austera, impreziosita da tavoli minimal, arredati in bianco, come si conviene.Location di gran classe, il clima disteso e divertito, è chiaro fin da quando ti siedi che la cena sarà di gran livello.E le aspettative verranno assolutamente mantenute.Già a partire dagli aperitivi in giardino con in particolare gelatini alla crema di basilico o alla crema di Parmigiano... ingrediente che alla cena la farà da padrone.Si inizia infatti con un risotto Carnaroli con crema di Parmigiano, radicchio trevigiano e lacrime di aceto balsamico. Un piatto saporito in cui la sapidità del formaggio si incontra perfettamente con l'acidita del radicchio e l'agrodolce dell'aceto balsamico.Si continua con cappellacci di pasta fresca con chips di crudo di Parma e stridoli. Gli stridoli: cosa saranno mai? Si tratta di una piccola pianta perenne che in Romagna  si può trovare da maggio ad ottobre, vicino ai corsi d’acqua o in collina. E' un'erbetta, perfetta per contrastare l'aggressiva sapidita delle chips di crudo, scelta azzeccata e molto regionale.Ci vuole una piccola pausa, i due primi sono s tat i generos i s ia in termini di quantità che di sapore. La chiacchiera scorre che è un piacere, favorita dal buon vino rosso.

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OD Alla ripresa delle ostilità ecco servito un delicatissimo petto di faraona scaloppato in crosta di erbe

aromatiche e Dauphinoise di patate al timo. A base di latte e formaggio grattugiato, nella versione tradizionale francese le patate alla Dauphinoise prevedono la presenza della Crème Fraîche, ossia la panna acida. Si tratta quindi di una stratificazione di patate insaporite dal formaggio e circondate dalla crema. Tutto molto buono, morbido e croccante, sapido e grasso: la tecnica dello chef è indiscutibile.Cosi come indiscutibile è la scelta di concludere con una spuma di mascarpone con croccante ai pinoli di pineta. Morbido e croccante, dolce e sapido, grasso e secco….chapeau…..

MEETING WITH... ARTS & DECO’Dai  Congressi    lungo  le  strade  di  s0le  e  cultura...... seguendo i consigli di Miss Vannini

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SIGASCOT  e  i  luoghi  della  Bologna  segreta

Certo…la  SIGASCOT  quest’anno  è  stata  a  Bologna,  bellissimo,  tu<  conten>ssimi,    tra  l’altro  si  sprecano  sui  social  ar>coli  su  ar>coli  da  parte  del  New  York  Times  e  di  altri  giornali  blasona>,   sul  faFo  che  Bologna  è  fashion,   Bologna  >  abbraccia,  Bologna  is  the  place  to  be.

Ed  è  così,  naturalmente,  Bologna  la  grassa,  Bologna  la  rossa,  Bologna  la  doFa,  è  in  una  forma  strepitosa,  in  ques>  ul>mi  anni!  Piena  di  locali  gourmet  interessan>,  dove  mangiare  ed  incontrarsi  e  ricca  di  arte.   Ricca  di  arte,  peraltro  lo  è  sempre  stata,  sebbene  così  poco  considerata.

E   io  dov’ero  nel  fraFempo?  Mentre  tu<  venivano  a  Bologna  e  si  aspeFavano,  legi<mamente,    che,  la  volta  che  la  SIGASCOT  viene  nella  mia  ciFà,  io  ci  fossi?

N i en te .   I o   e ro   ad  Antalya,   dove   avevo  acceFato   un   invito  precedente   a   quella  che,   sostanzialmente,   è  la  SIGASCOT  turca,  ed  il  tuFo,  prevalentemente,  perché   c’era,   lì   nei  pressi  un  teatro  romano  che  non  avevo  mai  visto  e   che   non   si   poteva   in  a l c u n   m o d o   n o n  vedere.   E   non   si   può  dire  che  non  ne  valesse  la  pena…  

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E  Così,  onde  fare  ammenda  per  non  essere  stata  dove,  decisamente,  sarebbe  stato  opportuno  che  fossi,   ecco  quel  che  avreste  dovuto  vedere  a  Bologna  (e  che  spero  siate  sta>  così  previden>  da  vedere,  pur  senza  la  mia  guida)

Bologna  dall’alto.

Bologna   era   la   ciFà   dalle   mille   torri,   e  sebbene   Napoleone,   nella   sua   sgradita  visita,   abbia   ben   pensato   di   raderne   la  maggior   parte   all’altezza   degli   altri  caseggia>,  come  pure,  già  che  c’era,  >rare  giù   le   mura,   alcune   torri,   per   fortuna   si  sono   salvate.   Tra   queste   il   meraviglioso  campanile   della   bruFa   ed   irrilevante  caFedrale  di  San   Pietro  (lo   so,   anche  voi  pensavate   che   la   caFedrale   di   Bologna  fosse   San   Petronio,   che   invece   è  c o n s i g l i a > s s ima ,   ma   p e r   mo>v i  imperscrutabili  non  è  così).  

Quest’anonima  caFedrale,   tuFavia,  che  si  affaccia  su  via  Indipendenza,  ha  da  qualche   mese   aperto   il   magnifico   campanile   quaFrocentesco,   che   è   stato  sempre  chiuso  da  che  ne  ho  memoria.  Panorama  stupendo,   e  un  campanaro  gen>le  che  consente  di  dare  un  rintocco  di  campana  ai  più  entusias>.

Una  volta  avuta  una  panoramica  adeguata  dall’alto,   si  scorgerà,   proprio  alla  sinistra  della  torre,  una  bella  cupola.  Quella  cupola  appar>ene  a  Santa  Maria  della   vita   e   con>ene   uno   dei   più   straordinari   ed   inusuali   capolavori   del  rinascimento  italiano.

Fare  un’affermazione  del  genere,  in  Italia,  potrebbe  risultare  rischioso.  Ma  in  questo  caso  non  lo  è.   Il  Compianto  realizzato  da  Niccolò  dell’Arca  intorno  al  1470,   è   straordinario   per   due   mo>vi.   Il   primo   è   la   scelta  del  materiale:   la  

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terracoFa,   in   Italia   è   sempre  stata   considerata   in   qualche  modo  meno  nobile,  rispeFo  al  marmo,   e   i  grandi  capolavori  in  terracoFa  non  abbondano.  Ma   sopraFuFo,   quel   che  colpisce   è   i l   dinamismo  dell’opera.   E’   come   se   un  vento   for>ssimo,   una   forza  centrifuga,   travolgesse   i  personaggi   e   l’impianto.   Sul  Cristo  morto,  imperniate  intorno  alla  figura  di  uno  sta>cissimo  pensieroso  San  Giovanni,  Maria  Maddalena  e  Maria  di  Cleofa  sembrano  leFeralmente  volare  via.   La  leggerezza  di  queste  sculture  dal  peso  di  due  tonnellate,  mi  sorprende  ogni  volta.  Io  la  trovo  la  migliore  Maddalena  di  sempre.

Imperdibile.  

A   pochi   passi,   tappa  obbligata  per   noi,   che  questo  mes>ere   lo   pra>chiamo  anche  oggi,  si  trova  l’Archiginnasio  con  il  suo  teatro  anatomico.

La  realizzazione  dell'Archiginnasio  fu  commissionata  da  Papa  Pio  IV  per  mezzo  del   Cardinale   Legato   Carlo   Borromeo   e   del   suo   vice   Pier   Donato   Cesi   che  assegnarono  il  progeFo  ad  Antonio  Morandi  (deFo  il  Terribilia),  il  quale  terminò  il   lavoro   di   costruzione  tra   il  1562   ed   il  1563.   Obie<vo   del  progeFo   era  la  realizzazione  di  un   luogo  unitario   dove   svolgere  gli   insegnamen>   universitari  rela>vi  alle  diverse  discipline,  prima  di  allora  dispersi  tra  sedi  e  luoghi  diversi.

Bologna   è   stata   sempre,   giustamente   orgogliosa,   per   avere   portato   avan>,  anche   nei   secoli   più   bui,   lo   studio   dell’anatomia   sul   cadavere.   Il   teatro  anatomico   bolognese   è   caraFerizzato   da   una   caFedra,   dove   sedeva   il  professore,   sovrastata  da  un  baldacchino  reFo  da  due  statue  di  uomini  nudi  e  priva>   della   pelle,   de<   "gli   spella>",   opera   seFecentesca  di   Ercole   Lelli.   Le  numerose  statue  che  decorano  le  pare>  rappresentano  medici  dell'an>chità  e  della  contemporaneità,   in   busto   se   ritenu>   figure  minori,   a   figura   intera   se  considera>  eminen>  luminari.  Una  statua  interessante,  sulla  parete  opposta  alla  

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caFedra,   raffigura   un  medico   che   regge   in  mano  un  naso:   si   traFa  del   bolognese   Gaspare  Tagliacozzi,   considerato  i l   p recu r so re   de l l a  rinoplas>ca.

Finite  le  visite  obbligate,  siete   liberi   di   perdervi  per   i  por>ci,   patrimonio  dell’Unesco   e   cercare  qualche  ristorante  che  vi  confor>  con  un  bel  piaFo  di  tortellini.  E  per  finire,  un  gelato  alla  SorbeFeria  Cas>glione,  perché  le  gelaterie  bolognesi,  sebbene  non  cosi  rinomate  come  il  resto  della  cucina  >pica,  sono  a  mio  modesto  avviso  le  migliori  d’Italia.  Il  che  significa,  le  migliori  del  mondo.

E  ho  condoFo  uno  studio  compara>vo  serissimo.

DopotuFo,  a  Bologna,  nessuno  si  aspeFa  che  s>ate  a  dieta.

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