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rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica Schweizerische Zeitschrift für Architektur, Ingenieur- wesen und Stadtplanung 1/2013 L’edificio e il suolo Gebäude und Boden Testi Texte Berlanda, I & A Ruby Progetti Projekte Baserga e Mozzetti + Ingegneri Pedrazzini Guidotti, Bonetti e Bonetti + Bernardoni, Coffari, Gianola, S & R Gmür, Könz Molo SIA : Il 3 marzo è necessario sostenere la revisione della LPT

rivista archi 1/2013

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Page 1: rivista archi 1/2013

rivista svizzera di architettura, ingegneriae urbanisticaSchweizerische Zeitschrift

für Architektur, Ingenieur-

wesen und Stadtplanung

1 / 2 0 13

L’edificio e il suolo Gebäude und Boden

Testi TexteBerlanda, I & A Ruby

Progetti ProjekteBaserga e Mozzetti + Ingegneri Pedrazzini Guidotti, Bonetti e Bonetti + Bernardoni, Coffari, Gianola,S & R Gmür, Könz Molo

SIA: Il 3 marzo è necessario sostenere la revisione della LPT

Page 2: rivista archi 1/2013
Page 3: rivista archi 1/2013

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Page 4: rivista archi 1/2013

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Page 5: rivista archi 1/2013

Novità: VOLA braccio doccia con soffione tondo. Eccezionalmente rinfrescante.

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Page 6: rivista archi 1/2013

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L’ascensore senza sporgenza sopra il tetto.

Page 7: rivista archi 1/2013

Archi rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanisticafondata nel 1998, esce sei volte all’anno

ISSN 1422-5417, Tiratura REMP: 2668 copie

via Cantonale 15, 6900 Lugano – tel. 091 921 44 55

[email protected] – www.espazium.ch

Direttore Alberto Caruso AC

Coordinamento editoriale Stefano Milan SM

Assistente al coordinamentoTeresa Volponi TV

RedazioneMarco Bettelini MB, Debora Bonanomi DB, Andrea Casiraghi AnC,

Laura Ceriolo LC, Piero Conconi PC, Mercedes Daguerre MD,

Gabriele Neri GN, Andrea Pedrazzini AP, Andrea Roscetti AR,

Enrico Sassi ES, Stefano Tibiletti ST, Graziella Zannone Milan GZM

Redazione online Livia De Domizio LDD

Redazione comunicati SIA Sonja Lüthi, [email protected]

Impaginazione Silvana Alliata

CorrispondentiAndrea Bassi, Ginevra; Francesco Collotti, Milano

Jacques Gubler, Basilea; Ruggero Tropeano, Zurigo

Traduzioni italiano-tedescoAlexandra Geese AG

Correzione bozzeFabio Cani

Consiglio editorialeGiuliano Anastasi, ing. ETHZ, Locarno

Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto

Valentin Bearth, arch. ETHZ, Coira

Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como

Nicola Emery, filosofo, Collina d’Oro

Franco Gervasoni, ing. ETH, Bellinzona

Massimo Martignoni, ing. ETHZ, Lumino

Nicola Soldini, storico dell’architettura, Novazzano

Editore Verlags-AG der akademischen technischen Vereine

Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo – tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57

Walter Joos presidente; Katharina Schober, direttrice;

Hedi Knöpfel, assistente

Abbonamenti e arretrati Stämpfli Publikationen AG, Berna – tel. 031 300 62 57

fax 031 300 63 90, e-mail: [email protected]

Abbonamento annuale (6 numeri)

Svizzera Fr. 125.– / Estero Fr. 150.– / Euro 94.00

Studenti Svizzera Fr. 62.50

Abbonamenti soci SIA: SIA, Zurigo – tel. 044 283 15 15

fax 044 283 15 16, e-mail: [email protected]

Organo ufficiale SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch

OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti, www.otia.ch

Associazioni garanti SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch

FAS Federazione architetti svizzeri, www.architekten-bsa.ch

USIC Unione svizzera ingegneri consulenti, www.usic-engineers.ch

A3 Associazione diplomati dell’EPFL, http://a3.epfl.ch

ETH Alumni Ex allievi dell’ETH, www.alumni.ethz.ch

Stampa e rilegaturaStämpfli Publikationen AG, Berna

PubblicitàSvizzera italiana e Svizzera tedesca:

Kömedia AG, CP 1162, 9001 San Gallo

tel. 071 226 92 92, fax 071 226 92 93

Svizzera romanda:

Kömedia AG, Rue de Bassenges 4, 1024 Ecublens

tel. 021 691 20 84, fax 021 693 20 84

La riproduzione, anche parziale, di immagini e testi,

è possibile solo con l’autorizzazione scritta dell’editore

e con la citazione della fonte.

Nel prossimo numero

Giardini periferici

Tracés n.02VERTICALITÉSwww.revue-traces.ch

Dello stesso editore

Tec21 n.7-8HALLENBAD CITY ZÜRICHwww.tec21.ch

DOSSIER

VERTICALITÉSConcept Consult Architectes, Mozinor, Herzog & de Meuron à Miami Beach

0 2 139e année / 30 janvier 2013 Bulletin technique de la Suisse romande

6

9

15

17

23

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38

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1/ 2 013F E B B R A I O

In copertina: Luca Cof fari, casa monofamiliare a BiascaFoto Filippo Simonetti

Comunicati aziendaliInterni e designLa ricetta di atelier oïa cura di Gabriele Neri

L’edificio e il suoloa cura di Enrico Sassi

EditorialeIl suolo dell’architetturaAlberto Caruso

Groundscapes

Ilka & Andreas Ruby

L’incontro con il suolo nell’architettura ticineseTomà Berlanda

Casa monofamiliare, BiascaLuca Coffari

Autorimessa CMB, CamorinoBonetti e Bonetti architetti, Bernardoni SA

Casa ai Pozzi, MinusioSilvia e Reto Gmür

Casa al Ronco, PregassonaJachen Könz, Ludovica Molo

Villa a VacalloIvano Gianola

Casa Minghetti-Rossi, GordolaNicola Baserga, Christian Mozzetti,

Ingegneri Pedrazzini Guidotti

TIDiario dell’architetto a cura di Paolo Fumagalli

Archivi Architetti TicinesiEdificio commerciale SEPU a Zaragoza

Accademia Architettura MendrisioRiuso e restauro

SIAComunicatiOTIAComunicatiOfferte di lavoroLibri Segnalazionia cura di Enrico Sassi

La traduzione del testo di Ilka & Andreas Ruby è a cura di Mercedes Daguerre

ERRATA CORRIGE

La fonte delle immagini dell’articolo di Martin O. Bachmann nello scorso numero

è Pöyry Infra AG e non Poyly come menzionato.

Page 8: rivista archi 1/2013

C O M U N I C A T I A Z I E N D A L I

Stûv : tutti i vantaggi dei focolari a legna «a bassa energia»

Le nuove abitazioni sono sempre me-

glio isolate termicamente, questo è

un dato di fatto. Per ottimizzare il

benessere degli occupanti, si deve

scegliere una soluzione di riscalda-

mento adattata…

Stûv offre una gamma completa di

soluzioni di riscaldamento a legna

«a bassa energia».

Cos’è un focolare «a bassa energia» ?

È un focolare che:

- ha una camera di combustione più

compatta, una potenza adattata

alle esigenze delle nuove abitazioni,

unconsumo inferiore e sempre un

ottimo rendimento,

- ha una gamma di utilizzo più ampia,

- è a tenuta ermetica e provvisto di

una presa d’aria esterna diretta.

Perché scegliere un focolare «a bassa

energia»?

È indispensabile per le abitazioni «a

bassa energia» che hanno esigenze

di riscaldamento limitate, per evitare

surriscaldamenti e disagi. È molto utile

per ridurre il consumo di un sistema di

riscaldamento centralizzato (o di un

sistema di riscaldamento elettrico).

E perché non scegliere un focolare più

potente, che viene fatto funzionare al

minimo?

Perché un focolare a legna, anche mol-

to potente e utilizzato a regime elevato,

funziona male al minimo: si surriscalda,

consuma troppo, il ritorno di fumo è

considerevole, il vetro si sporca.

È possibile installare un focolare «a bas-

sa energia» in un’abitazione tradizionale?

Questo focolare funzionerà a regime

elevato nelle stagioni intermedie, quin-

di nelle migliori condizioni (zona chiara

nello schema sottostante). Solo quan-

do il freddo è più intenso vi sarà anche il

contributo del riscaldamento centraliz-

zato (zona più scura). Si deve pertanto

evitare di installare un focolare che

funziona al minimo per la maggior

parte del tempo e a regime ottimale

solo alcune settimane l’anno.

Stûv in breveStûv è un’azienda belga che progetta,

costruisce e commercializza soluzioni

di riscaldamento a legna (stufe, inserti

e caminetti da posa) destinate ad esal-

tare il fuoco, sia nella sua dimensione

funzionale (riscaldamento) che emotiva

(bellezza della fiamma, piacere, socie-

volezza e comfort termico).

A tale scopo, Stûv si propone di seguire

costantemente un approccio seve-

ro, fondato sulla creatività, il design,

la qualità dei prodotti sviluppati e il

loro adeguamento nei confronti delle

aspettative dei consumatori, ricono-

scendo sempre maggiore importanza

ai valori umani. Stûv impiega diretta-

mente 120 persone, con altrettanti in

subappalto. L’azienda, con un fatturato

di 25 milioni di euro, produce ogni anno

15.000 focolari ed esporta il 75% della

sua produzione.

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6

12°

Variazione della temperatura esterna

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

Dicem

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Novem

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Ottobre

Settembre

Agosto

Luglio

Calore fornito dal focolare a legna

Calore fornito dal riscaldamento centralizzato

25°

20°

15°

10°

- 5°

- 10°

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I focolari Stûv sono disponibili in una

quarantina di punti vendita in Svizzera.

Potete trovare l’elenco su

www.lack-sa.ch o su

www.stuv.com/it/contatto/

i-distributori/punti-vendita.html

Page 9: rivista archi 1/2013

NOVITÀ: braccio doccia con soffio-ne tondo VOLA – eccezionalmente rinfrescante

Puntualmente, per l’inizio dell’anno

2013 VOLA presenta il nuovo braccio

doccia con soffione tondo. Si tratta di

un nuovo elemento per la progetta-

zione di bagni esclusivi, nei quali viene

assegnato particolare valore all’ele-

ganza sobria e al lusso personalizzato.

L’elemento fondamentale di design

del nuovo braccio doccia con soffione

è l’anello sottile, che gli conferisce un

effetto molto filigranato. La sua effi-

cienza si deve alla piastra del soffione

doccia. L’acqua viene condotta attra-

verso 18 serie di fori che si diramano

a ventaglio dal centro sulla piastra.

Questo assicura anche un’incompa-

rabile esperienza doccia.

La sostenibilità è stata sempre impor-

tante per VOLA. Il principio basilare

è sempre stato quello di mettere a

disposizione la quantità d’acqua ideale,

necessaria, senza tuttavia rinunciare

a nessun comfort di azionamento.

Il braccio doccia con soffione tondo

viene perciò offerto con due diverse

portate di flusso: 24 L/min e 15 L/min.

Come è consueto per VOLA, sussiste

una vasta gamma di possibilità d’im-

piego per il nuovo braccio doccia con

soffione. Esso è disponibile come

modello a soffitto o a parete, cromato

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overto fissa nuovi criteriFeller ha ulteriormente sviluppato il

sistema d’accesso biometrico overto

che aveva già riscontrato successo. Un

nuovo scanner per dita con sensore a

righe capacitivo migliora ancora sensi-

bilmente le capacità di riconoscimento

e valutazione. Questo ricava informa-

zioni non sulla pelle, come accadeva

finora, ma anche all’interno della pelle.

Perciò è più veloce, più preciso e meno

sensibile agli influssi ambientali. Nuovi

processori e memorie contribuiscono

ad aumentare l’efficienza dello scanner

per dita. Una guida per dita ottimizzata

e la scansione multipla migliorano la

qualità della lettura.

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Page 10: rivista archi 1/2013

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Page 11: rivista archi 1/2013

I N T E R N I E D E S I G N

Atelier oï è uno studio di progettazione con base a La Neu-veville, sul lago di Bienne. Attivo da più di vent’anni, si è distinto per la capacità di muoversi tra diverse discipline – dall’architettura alla scenografia – mantenendo fissa l’at-tenzione per una dimensione artigianale del progetto. Una dimensione capace però di affrontare anche la produzione industriale e la costruzione di grandi edifici: sul loro curri-culum si passa infatti dagli oggetti per IKEA alle boutique per Swatch, dai tappeti per Ruckstuhl agli «Objets Nomades» per Louis Vuitton, dagli edifici – ad esempio il DYB Centre de compétences a Cormondrèche del 2007, per cui hanno dise-gnato tutto, dalla facciata agli arredi – fino alle barche. Ab-biamo fatto qualche domanda a Patrick Reymond, uno dei tre soci fondatori, per capire meglio quali sono i principi alla base di questo «volare» da un progetto all’altro.

Gabriele Neri: Cosa avevate in mente quando avete aperto il vostro studio?Patrick Reymond: Abbiamo fondato atelier oï nel

1991, dopo aver fatto alcuni concorsi insieme. Alla

base ci sono sempre stati l’idea di lavorare in team –

come eravamo abituati a fare all’École d’architecture

Athenaeum di Losanna – e il modello del workshop,

per mantenere saldo il legame concreto con i mate-

riali e per puntare a sviluppare tutte le componenti

costruttive che definiscono il progetto.

Molte delle vostre creazioni, dagli arredi alle facciate di gran-di edifici, sembrano infatti essere generate dalla ripetizione di un singolo elemento costruttivo: un pezzo di corda, una bac-chetta di legno, addirittura il mangime per gli uccelli…Sì, infatti, è un po’ come quando cucini: prendi alcu-

ni ingredienti e cominci ad aggiungerne altri… provi

a usare il legno, poi il metallo, e continui a testare al-

tre possibilità, sempre seguendo gli stessi principi alla

base del progetto. Credo che la tutta la nostra ispira-

zione derivi da questa assidua sperimentazione con

i materiali. Questa è anche la ragione per la quale il

nostro ufficio è sempre rimasto a La Neuveville, dove

fin dall’inizio abbiamo installato i nostri macchinari e

i nostri materiali… non avrebbe avuto senso spostarsi

altrove. Inoltre qui possiamo sfruttare la vicinanza con

una serie di artigiani e laboratori, che ci aiutano a svi-

luppare piccoli prototipi delle nostre idee. Così abbia-

mo deciso di ristrutturare un vecchio motel degli anni

Sessanta, il Moïtel, per farlo diventare il nostro quar-

tier generale, e abbiamo continuato a sperimentare.

9

A cura diGabriele Neriin collaborazione con VSI.ASAI

La ricetta di atelier oïIntervista a Patrick Reymond, fondatore dello studio svizzero

1.

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3.

Page 12: rivista archi 1/2013

10

Dalle tue parole mi viene in mente l’attività di Jean Prouvé…In effetti siamo un po’ vicini a quel modo di lavora-

re. L’opera di Prouvé è interessante perché il suo la-

voro sta a cavallo tra quello di un ingegnere e quello

di un architetto, tra la realizzazione artigianale e la

produzione industriale. Nel nostro studio siamo sem-

pre a contatto con le macchine, con i materiali, con i

prototipi… una volta realizzato, ogni progetto viene

archiviato ma rimane sottotraccia nelle nostre menti

e accade che un pezzo venga ripreso, modificato, mi-

gliorato; possiamo cambiarne la scala e il materiale…

È possibile che questa sperimentazione vada avanti

anche per 5-6 anni e che infine conduca a qualcosa di

nuovo. Questo spirito è anche alla base del libro che

abbiamo pubblicato (cfr. la scheda di Enrico Sassi su

questo numero di archi): i progetti non sono infatti

presentati in ordine cronologico, ma rispecchiano il

modo in cui utilizziamo il nostro archivio.

Insomma un archivio open source… nel quale vi muovete senza problemi da un tema all’altro.Ci muoviamo tra scale diverse, contesti diversi, diffe-

renti tematiche; tra design, architettura e scenogra-

fia. Quest’ultima in particolare è molto importante

nei nostri progetti. Abbiamo imparato molto dal pro-

getto Arteplage Neuchâtel per l’Expo 2002…

I famosi padiglioni «a goccia»…È stata un’ottima esperienza per sviluppare un pro-

getto dalla piccola alla grande scala. La cosa più

importante era creare un progetto intorno a una te-

matica: il tema era insomma la cosa fondamentale,

ben più del programma funzionale, e questo ci ha

permesso di sperimentare. Cerchiamo di sviluppare

un linguaggio, e non una «firma»: infatti tra tutti i

nostri progetti puoi trovare alcuni punti di contatto,

ma questi non sono mai lineari o immediati. Non è

come quando vedi il lavoro di molti designer famosi,

nel quale la «firma» è ostentata e si vede chiaramen-

te. Ovviamente ci sono delle costanti nel modo in cui

affrontiamo temi come la struttura o la texture; siamo

ispirati dal mondo naturale, da fotografie e dal lavoro

di molti artisti, ma pensiamo che sia importante an-

che cambiare completamente il nostro linguaggio in

ogni occasione.

Come rispondono i clienti a questo approccio progettuale? All’inizio non era facile capire la filosofia del nostro

atelier, che cambia linguaggio e scala a ogni proget-

to… non era facile né per le aziende né per noi stes-

si. C’è voluto tempo per capire e far capire il nostro

modo di lavorare e per comunicarlo. Ma alla fine in

molti hanno saputo apprezzare il nostro modo di af-

frontare il processo creativo, sul quale continuiamo

ad investire.

I N T E R N I E D E S I G N

1. Cabane des oiseaux (dal 2005) è un piccolo rifugio commestibile

fatto di mangime per uccelli, all’insegna della sostenibilità: una

volta terminato il pasto infatti «l’architettura» si dissolve nella

natura. Foto atelieroï

2. Per Jaquet Droz manufacture a Crêt-du-Locle (2010) atelier oï ha

spostato il problema dalla produzione al paesaggio: l’edificio

sfuma nella vegetazione circostante, ponendosi come un’opera

di land art. Foto Yves Andre

3. Realizzata per il Centro Culturale Svizzero di Milano (2006), la

scenografia A Composition of Cords è uno studio sulla corda

come materiale compositivo e strutturale, da cui deriveranno

diversi arredi. Foto atelieroï

4. La scenografia Oïphorique (2011) si ispira alla danza acquatica

delle meduse, sottolineando la compressione e la dilatazione

dello spazio attraverso l’intensità della luce che proviene dalle

lampade. Foto atelieroï

5. Insieme a Thalassa e a Elara, Pandora (2012) forma una collezio-

ne di lavabi fatti in cemento ad alta densità, disegnati per Beton

Manifactur. Foto creabeton

4.

5.

Page 13: rivista archi 1/2013

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Page 14: rivista archi 1/2013

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Page 15: rivista archi 1/2013

Un moderno riscaldamento ad olio risparmia molta energia

La tecnica ad olio a condensazione, la nuova generazione di riscaldamento

Casa non isolataNuova caldaia a condensazioneConsumo annuo: 15 litri/m2

Casa non isolataVecchia caldaiaConsumo annuo: 22 litri/m2

Casa isolataNuova caldaia a condensazione Consumo annuo: 7 litri/m2

Casa isolata / Nuova caldaia a condensazione con impianto solare Consumo annuo: 5 litri/m2

Per la tutela dell’ambiente non occorre passare a un altro vettore energetico. Una buona coibentazione dell’edifi cio e l’installazione di un nuovo riscaldamento ad olio combustibile con tecnica a condensazione, combinato con un impianto solare termico, sono un’eccellente soluzione (riferito al consumo annuo di olio da riscaldamento di una casa tipica).

Foto

: UP

La sua effi cienza è eccellente, è par-simoniosa nei consumi ed ecolo-gica. Non c’è dubbio: la tecnica di riscaldamento ad olio a condensa-zione è la nuova generazione di ri-scaldamento. Rispetto alla tecnica a bassa temperatura vanta segna-tamente valori di raff reddamento dei fumi decisamente migliori. Inol-tre, sfrutta il calore di condensazio-ne dell’acqua contenuta nei gas di scarico. Ne risulta una produzione di calore supplementare del 10% dovuta nella misura del 6% alla condensazione diretta e nella mi-sura del 4% all’ulteriore riduzione della temperatura dei gas di scari-co. L’installazione di un impianto a condensazione di nuova generazio-ne consente di risparmiare denaro, ridurre i consumi di combustibili fossili e tutelare l’ambiente.

 In gran parte dei cantoni sono quin-di state varate norme che prevedo-

no che nelle nuove costruzioni e in caso di ristrutturazioni possano esse-re installati solo ancora riscaldamenti ad olio combustibile a condensazio-ne. La durata di un riscaldamento ad olio varia, a dipendenza della sol-lecitazione, tra 15 e 20 anni. Siccome i riscaldamenti ad olio sono molto robusti e duraturi, in Svizzera sono ancora in esercizio molti apparecchi assai più vetusti. Con il risanamento

di un siff atto apparecchio, il che è ra-gionevole sia dal punto di vista eco-nomico sia per motivi ambientali, il ri-sparmio energetico arriva fi no al 35%.

Ancora più signifi cativi sono i risparmi conseguibili mediante un investimento parallelo nel risana-mento energetico dello stabile. Con la posa di nuove finestre per esempio è possibile risparmiare fi no al 20% di energia. Con un buon isola-mento delle facciate, del solaio o del tet-to è possibile ridurre, a dipendenza del-lo standard e del carattere dell’edifi cio, i rispettivi consumi di un altro 10% fi no al 25%. Di regola conviene sostituire il riscaldamento ad olio combustibileesistente con una moderna caldaia ad olio a condensazione per risana-re con il risparmio rispetto a un ri-scaldamento alternativo l’involucrodell’edifi cio. Il moderno riscaldamento ad olio a condensazione è nettamente più conveniente di una pompa di ca-lore a sonda geotermica. Con l’impor-to restante risparmiato è possibile per esempio sostituire le fi nestre. Tramite queste misure si può ridurre sostan-zialmente il consumo di olio combu-stibile per metro quadrato di superfi -cie riscaldata, vale a dire che dopo ilrisanamento i consumi si riduconoda 22 litri a soli 7 litri l’anno al metro quadrato. Combinando il tutto con un impianto solare termico, si arriva www.olio.ch

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a un consumo annuo di 5 litri al metro quadrato.

Un moderno riscaldamento ad olio è economico, pulito e parsimonioso. Può essere installato in ogni edifi cio e può essere facilmente combinato con sistemi per energie rinnovabili come per esempio collettori solari. Inoltre, con l’olio combustibile la sicurezza d’approvvigionamento è molto più elevata che con altri vettori energetici. Basti pensare alle proprie scorte di combustibile depositate nella cisterna.

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Page 16: rivista archi 1/2013

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Page 17: rivista archi 1/2013

Alberto Caruso

E D I T O R I A L EL ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

spiazzato gli ascoltatori mostrando due immagini

del palazzo di Versailles di Jules Ardouin-Mansart.

La prima era lo scatto fotografico originale del fronte

classicamente tripartito del palazzo, la seconda

(appositamente modificata con Photoshop da Stefano

Milan) era la medesima immagine dalla quale era sta-

to sottratta la fascia architettonica del basamento, per

dimostrare, con un artificio tanto arbitrario quan-

to didatticamente efficace, come quell’architettura

avrebbe guadagnato in proporzioni se fosse stata con-

cepita in un contesto urbano.

Il suolo, quindi, è il supporto materiale necessario

dell’architettura, è il foglio sul quale essa viene dise-

gnata. Come già sosteneva Hans Bernoulli nel 1945,

è prima di tutto il regime dei suoli con le sue regole

a determinare la stessa forma degli insediamenti. Nei

tentativi finora messi in atto per correggere gli esiti

disastrosi della città cosiddetta diffusa (che non è cit-

tà, è territorio abitato privo di ogni qualità cittadina),

sembra che finalmente si sia compreso che sono inef-

ficaci le misure esclusivamente pianificatorie, e che

bisogna agire a monte, partendo dal regime dei suoli,

costruendo un nuovo sistema di regole giuridiche e

fiscali per governare il suo valore economico. È allo-

ra importante, al referendum del prossimo 3 marzo,

sostenere con il voto la recente revisione della lpt, la

Legge federale sulla pianificazione del territorio, che

prevede misure avanzate, quali la riduzione dei suoli

edificabili inutilizzati e la tassazione del plusvalore

determinato dalla edificabilità. Al referendum se-

guirà la revisione della Legge cantonale sullo svilup-

po territoriale, che prevede analoghe misure. È una

prova generale di civiltà, per non distruggere irrever-

sibilmente il paesaggio di tutti.

Per quanto il suo autore possa contestare le tradizioni

costruttive e ribaltare i canoni architettonici più antichi

o quelli più moderni, ogni edificio costruito stabilisce re-

lazioni con il suolo, e, più in alto, con il cielo. All’esame

critico fondato sul criterio della tripartizione classica ba-

samento-fusto-coronamento non è possibile sfuggire.

La relazione con il suolo, sia che venga praticata let

contrario, che venga negata «liberando», in modo al-

trettanto tematico, l’edificio dall’aderenza al terreno,

rimane una questione determinante della vita pubbli-

ca dell’architettura, del suo ruolo nella città. La for-

za di gravitazione che caratterizza il pianeta impone

l’appoggio della struttura portante nel terreno, i ser-

vizi tecnologici necessari al confort degli abitanti ob-

bligano la connessione verticale con le reti orizzontali

che corrono nel suolo, e la relazione, più in generale,

degli abitanti con il contesto sociale attribuisce al li-

vello di contatto con il suolo il ruolo di «ingresso», di

inizio della sequenza di spazi interni che ogni edificio

offre ai suoi utenti.

Nella sua complessità poetica, la modernità ci ha pro-

posto le soluzioni più diverse ed opposte di relazione

con il suolo, sempre fortemente motivate da un’idea di città da costruire attraverso edifici esemplari. I pi-lotis corbusiani, come anche il tetto-giardino, erano

finalizzati a moltiplicare e rendere continuo il suolo

pedonale verde, per favorire la densificazione. L’e-

sempio realizzato più importante e famoso, l’Unité marsigliese, mostra come la liberazione dal suolo non

abbia comportato, in quel caso, un effetto di lievita-

zione, ma addirittura una rappresentazione figurati-

vamente imponente della relazione tra edificio e ter-

reno. Nella Neue Nationalgalerie berlinese Mies, invece,

appoggia l’edificio su uno zoccolo, la cui dimensione

è molto superiore a quella dello stesso edificio. La Na-tionalgalerie si estende effettivamente nella superficie

espositiva contenuta nello zoccolo, mentre l’edificio

d’acciaio nero funge da ingresso e ospita piccole mo-

stre temporanee. Qui lo zoccolo, come afferma Livio

Vacchini, è una modulazione del suolo urbano e fa ap-

partenere alla città gli edifici costruiti sopra di esso. Per

Vacchini, infatti, è diversa la condizione degli edifici

costruiti nella città, sul grande basamento pubblico co-

stituito dal suolo artificiale, rispetto agli edifici costru-

iti sul terreno naturale, che invece hanno bisogno di

una mediazione con il suolo appositamente progettata.

Nell’ultima conferenza pubblica all’Accademia di

Mendrisio nel 2003 parlando della Ferriera di Locarno,

urbanissimo edificio privo di basamento, Vacchini ha

Il suolo dell’architetturaLo stilobate di marmo, il resto tutto in acciaio. Nero.Lo zoccolo è enorme, non prende il filo delle colonne, è una piazza, appartiene alla città. È il piano della città ad essere modificato, non la crosta terrestre. Tutta Berlino è virtualmente coinvolta e non c’è, come nel Partenone, un punto d’entrata dai Propilei.Livio Vacchini, 2005

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Alberto Caruso

E D I T O R I A LL ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

16

Der Boden der ArchitekturDer Stylobat ist aus Marmor, der Rest aus Stahl. Schwarz.

Die Sockelplattform ist riesig und richtet sich nicht nach den Säulen, sie bildet einen Platz und gehört zur

Stadt. Nicht die Erdkruste wird verändert, sondern der Plan der Stadt. Ganz Berlin ist virtuell beteiligt, und es

gibt keinen Eintrittspunkt von den Propyläen aus wie im Parthenon.

Livio Vacchini, 2005

An der letzten öffentlichen Konferenz der Akademie von Mendrisio im Jahr 2003 überraschte Vacchini bei einem Gespräch über die Ferriera in Locarno, ein städtisches Gebäude ohne Sockel, das Publikum mit zwei Bildern des Schlosses von Versailles von Jules Ardouin-Mansart. Das erste war eine klassische Frontalansicht der Dreiflügelan-lage des Schlosses, das zweite zeigte die gleiche Ansicht, aus der jedoch (von Stefano Milan, mittels Photoshop) das Sockelband entfernt worden war. Durch einen willkürli-chen, aber didaktisch wirksamen Trick wurde ersichtlich, in welchem Masse sich die Proportionen des Bauwerks ver-bessert hätten, wenn es in der Stadt errichtet worden wäre.

Der Boden ist der materielle Untergrund, den die Archi-tektur braucht, das Blatt, auf dem sie gezeichnet wird. Wie Hans Bernoulli bereits 1945 betonte, ist es die Raum-planung mit ihren Regeln, die die Siedlungsform gestaltet. Die bisher unternommenen Versuche, die katastrophalen Folgen der Zersiedelung zu korrigieren (es handelt sich um Gebiete ohne jeglichen städtischen Charakter), ma-chen deutlich, dass Massnahmen unwirksam bleiben, die allein auf die Bebauungsplanung bezogen sind. Ausge-hend von der Raumplanung muss das Problem auf einer höheren Ebene gelöst werden – wir brauchen ein neues System rechtlicher und steuerrechtlicher Bestimmungen, die den wirtschaftlichen Wert beeinflussen. Aus diesem Grund ist es wichtig, bei dem Referendum am 3. März das revidierte Raumplanungsgesetz (RPG) zu unterstüt-zen, das fortschrittliche Massnahmen wie die Verkleine-rung von ungenutzten Baulandparzellen und die Besteu-erung des Mehrwerts der Bebaubarkeit vorsieht. Auf das Referendum folgt die Revision des Kantonalgesetzes über Raumentwicklung, das ähnliche Massnahmen enthält. Auf dem Prüfstand steht die Zivilisation – sie darf die Landschaft, die allen Menschen gehört, nicht zerstören.

Auch wenn der Urheber die Bautraditionen anficht und die ältesten oder modernsten Regeln der Architektur um-stürzen will, so geht doch jedes Bauwerk Beziehungen zum Boden und – in die andere Richtung – zum Himmel ein. Die kritische Betrachtung, ausgehend von der klassi-schen Dreiteilung Sockel–Schaft–Krone, ist unverzichtbar. Die Beziehung zum Boden mag ausdrücklich praktiziert und explizit thematisiert oder aber ebenso explizit durch «Befreiung» des Gebäudes vom Grund negiert werden – immer bleibt sie ein wesentliches Thema für das öffentliche Leben der Architektur und ihre Rolle in der Stadt. Die Schwerkraft der Erde macht es notwendig, jede tragende Konstruktion auf dem Boden abzustützen. Die technische Infrastruktur, die für den Komfort der Be-wohner erforderlich ist, verlangt eine vertikale Verbin-dung mit den horizontalen Leitungsnetzen im Boden. Die allgemeine Beziehung der Bewohner zu ihrem sozia-len Umfeld verleiht der Ebene im Erdgeschoss, die in Verbin-dung zum Boden steht, die Rolle eines «Eingangs»: Hier be-ginnt die Abfolge von Innenräumen, die jedes Gebäude seinen Nutzern bietet. Mit ihrer komplexen Poetik hat uns die Moderne unter-schiedliche, oft gegensätzliche Lösungen für die Beziehung zum Boden präsentiert. Dahinter steht immer eine Idee

der Stadt, die durch Bauten mit Vorbildcharakter umge-setzt werden soll. Die Pilotis von Le Corbusier dienten eben-so wie Dachgärten dazu, von Fussgängern nutzbare Grün-flächen zu vermehren und zu verbinden, um eine dichte Bauweise zu ermöglichen. Das berühmteste Beispiel, die Unité in Marseille, zeigt, dass die Befreiung vom Boden in diesem Fall keine schwebende Wirkung entfaltet, son-dern eine imposante figurative Darstellung der Beziehung zwischen Gebäude und Boden verkörpert. In Mies von der Rohes Neuer Nationalgalerie in Berlin steht das Gebäude auf einer Sockelplattform, die wesentlich grösser ist als das Gebäude selbst. Die Ausstellungsfläche der National-galerie liegt unter diesem Sockel, während das Gebäude aus schwarzem Stahl als Eingang und für kleine temporäre Ausstellungen dient. Wie Livio Vacchini hervorhebt, ist die Sockelplattform hier eine Modulation des städtischen Bo-dens und stellt die Zugehörigkeit der darauf errichteten Bauten zur Stadt her. Für Vacchini sind die Ausgangsbe-dingungen für Gebäude in der Stadt, die auf dem grossen öffentlichen Sockel des künstlichen Bodens errichtet wer-den, anders als bei Bauwerken auf natürlichem Boden, weil bei ihnen ein Eingehen auf das eigens für dieses Bau-werk geplante Grundstück erforderlich ist.

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17

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

una parte del proprio edificio simbolicamente rialza-

ta. Nel Padiglione di Barcellona, quel terreno artifi-

ciale ancora si evidenzia come uno zoccolo massiccio

che fornisce il suo microcontesto ideale alla struttura

più leggera dei cristalli delle pareti e del tetto. Nella

casa Farnsworth (Plano, Ill., 1945-1950), Mies accen-

tua quell’effetto deterritorializzante mediante la

piattaforma che galleggia tra il livello del terreno e il

piano elevato dell’ingresso, espediente che utilizzerà

anche nell’iit (Chicago, 1950-1956). L’assenza di gra-

vità suggerita con questo gesto elimina ogni impron-

ta della nozione di peso associata tradizionalmente

al suolo. Negli appartamenti di Lake Shore Drive

(Chicago, 1948-1951), Mies esegue la smaterializza-

zione del suolo tramite una sorta di tappeto magico

che copre la superficie del piano terra aperto. Que-

sto tappeto è costituito da sottili lastre di travertino

che fuoriescono dal terreno in tutto il loro spessore

e sembrano levitare alcuni millimetri sopra il suolo.

In questo modo, il suolo pare coperto da una verni-

ce «fenomenologica» che, invece di essere di asfalto

Groundscapes Die Begegnung mit dem Boden in der zeitgenössischen ArchitekturIlka & Andreas Ruby*

L’idea del suolo come un’ecologia dell’architettura

nel senso che le attribuisce Reyner Banham, risulta

oggi talmente familiare che facciamo fatica a imma-

ginare che una volta fosse stata concepita in un altro

modo. E, tuttavia, quest’idea ha appena un secolo.

Nel 1926 Le Corbusier proclamò la «liberazione dal

suolo» nei suoi «cinque punti per una nuova architet-

tura». La «casa sopra pilotis», realizzata prima nella

casa Citrohan (1922-1927) e poi – diventata la tipolo-

gia dominante della modernità – nell’Unité d’habi-

tation (Marsiglia, 1947-1952), rappresenta infatti l’i-

cona della liberazione dal suolo. Senza un contatto

diretto con il terreno, la casa si sottrae al suo contesto

fisico. Il suolo non definisce più l’architettura poiché

l’edificio, mediante la piattaforma appoggiata su pilo-

tis, crea praticamente il proprio terreno. Questa du-

plicazione della superficie stabilisce un nuovo livello

elevato che lascia in ombra – spesso anche in senso

letterale – il suolo materiale del lotto. Dal punto di vi-

sta programmatico, si assegnano al terreno solo fun-

zioni secondarie (circolazione, parcheggi, depositi

ecc.) mentre l’abitazione è riservata esclusivamente al

nuovo bel étage della villa moderna.

Mentre l’architettura decolla come un aereo – tanto

ammirato da Le Corbusier – il suolo continua a rin-

viare alla terra. La «Maison en l’air» di Le Corbusier,

ormai ha bisogno del suolo soltanto come una con-

traddizione forzata per stabilire la dialettica della

sua presenza: quanto più debole sia il suolo, tanto più

forte sarà la figura con cui l’architettura si distanzia

da esso. Risulta impossibile immaginare la Villa

Savoye in un lotto dalla topografia accidentata. L’au-

ra solenne della sua geometria idealizzata ha bisogno

della superficie piana del suolo vergine che circonda

l’edificio nelle fotografie contemporanee, e questo lo

fa apparire come un’isola in mezzo all’oceano. Tra-

mite lo svuotamento fisico, programmatico e seman-

tico del terreno, il contesto si trasforma in una massa

priva di attributi che, in forma di tabula rasa, sarebbe

diventata la materia prima dell’urbanismo moderno.

All’interno dell’architettura moderna, è in Mies van

der Rohe dove più chiaramente si materializza questa

neutralizzazione concettuale del suolo, sebbene sen-

za la didattica propagandistica con cui Le Corbusier

postula questo esito, ma piuttosto in modo poetico.

Seguendo la sua tendenza classica, Mies colloca solita-

mente la costruzione su di un basamento che riman-

da allo stilobate del tempio greco. In qualche modo

costruisce il terreno su cui poggia il manufatto come

GroundscapesL’incontro con il suolo nell’architettura contemporanea**

1. Le Corbusier, Villa Savoye, Poissy 1929. Foto S. Milan

2. L. Mies van der Rohe, Neue Nationalgalerie, Berlino 1965-68. Foto S. Milan

1.

2.

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18

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

care nei moli interni, i quali sono collegati agli spazi

pubblici della parte superiore mediante una rampa a

spirale. Secondo l’idea di Virilio della «circolazione

abitabile», tutte le superfici hanno programmi dif-

ferenti. Così, per esempio, la copertura diventa una

piazza urbana per incontri informali o un palcosceni-

co all’aperto, dove il pubblico può disporsi nelle tri-

bune localizzate nel tratto più inclinato della stessa.

Per Parent e Virilio, il vantaggio decisivo dei piani in-

clinati risiede in questa capacità di stabilire una cor-

rente ininterrotta tra interno ed esterno. Questa idea,

che a malapena trova seguito nell’architettura france-

se, fornisce invece impulsi decisivi al dibattito interna-

zionale, le cui conseguenze architettoniche prendono

corpo, paradossalmente, in Francia.2 Nel 1976 Oscar

Niemeyer riceve l’incarico dal partito comunista fran-

cese di costruire la nuova sede del comitato centrale.

Il suo progetto sembra sviluppare le idee di Parent e

Virilio, il cui sodalizio professionale finì l’anno suc-

cessivo, a causa delle diverse posizioni rispetto alla

rivolta studentesca del maggio del ’68. Tramite una

messa in scena la cui suspense pare degna di un film

di Hitchcock, in questo caso Niemeyer conferisce al

suolo (solitamente continuo e figurativamente inde-

finito) una forma, un’espansione e un luogo concre-

to. In linea di principio, tutto sembra girare attorno

al pannello curvo dell’edificio principale, visibile da

lontano. Tuttavia, esso produce un effetto così poten-

te perché la maggior parte del lotto non è costruito,

almeno in superficie. Dalla Place Colonel Fabien, una

via attraversa una piazza elevata e conduce il visitato-

re verso una cupola bianca che sembra nascondere il

corpo di fabbrica. Siamo guidati verso destra, finché

arriviamo dove immaginiamo di trovare l’ingresso

all’edificio. Sebbene non vi sia un vero e proprio ac-

cesso, sarà un’apertura a forma di fessura, situata nel

pavimento di calcestruzzo della piazza, a indirizzare il

visitatore nelle profondità del terreno. Una volta giù,

egli si trova in un autentico mondo sotterraneo, all’in-

terno di un’architettura invisibile, senza orizzonte:

non vi è nessuna finestra né alcuna comunicazione

con l’esterno, tranne la sala conferenze, che ora si ri-

vela come l’equivalente sotterraneo della cupola bian-

ca del giardino. In questo modo, privo dell’abituale

orientamento nello spazio, il visitatore segue la sua

percezione di movimento per scoprire con stupore

che si muove su un terreno quasi-topologico. In real-

tà, il pavimento dell’atrio non è una superficie piana,

ma è animato da alcune ondulazioni appena percetti-

bili, talmente sottili che prima si avvertono con i piedi

e solo dopo con gli occhi: piccoli ostacoli inattesi che

interferiscono tenacemente il movimento del fruito-

re, correggendolo e, pertanto, anche organizzandolo.

Anticipando in parte le «superfici liquide» del padi-

glione acquatico di Nox, Niemeyer trasforma qui il

pavimento di una superficie in uno spazio configura-

to plasticamente. Questa è un’opera pioniera – finora

oscuro, è di travertino. La pietra chiara gli toglie

dimensione terrena e lo trasforma in una superficie

luminosa che riflette la luce del sole verso la parte

inferiore della copertura dell’atrio, generando così

un materasso luminoso che nei giorni chiari sembra

sorreggere il corpo dell’edificio. Negli anni sessanta,

questa concezione del terreno come terra incognita

incomincia a cambiare poco a poco. Se fino ad allora

lo «spazio del suolo» solo si definiva in senso negati-

vo (come un volume scavato, vuoto, tra l’edificio e il

livello del suolo), ora incomincia a considerarsi come

una «condizione abitabile». È interessante come il

precursore di questa evoluzione sia, ancora una vol-

ta, Le Corbusier. Tra le sue ultime opere costruite,

come il Monastero di La Tourette (Eveux-sur-Arbre-

sle, 1957-1960) e il Carpenter Center for the Visual

Arts (Cambridge, Mass., 1961-1964), è già annunciata

questa nuova valorizzazione del suolo, ma dove essa

si manifesta più radicalmente è nel suo progetto non

realizzato del Centro di calcolo elettronico per l’Oli-

vetti (Milano-Rho, 1963). Sotto i vetri galleggianti del

dipartimento di ricerca, Le Corbusier organizza un

impressionante groundscape a diversi livelli: le sale di

montaggio sono state disposte al piano terra ma sono

accessibili dall’alto tramite una piattaforma inter-

media che si estende dalla strada fino alla copertura

delle stesse, dove si conclude con tre sale a forma di

paravento. Questo edificio-piattaforma diventa un’in-

terfaccia spaziale che permette lo sviluppo di un terzo

ambiente tra gli edifici nel terreno e nell’aria. Questo

terzo spazio diventò concretamente il centro della

ricerca architettonica quando Paul Virilio e Claude

Parent fondarono il gruppo Architecture Principe

nel 1963, anno in cui Le Corbusier progettò l’edificio

per l’Olivetti. Entrambi partono da una critica alle

monoculture rappresentate dall’orizzontalità della

Broadacre City (1935) di Frank Lloyd Wright, così

come dalla verticalità assolutista del grattacielo ame-

ricano, criticando anche le utopie metabolistiche di

Constant, Yona Friedman, Domenig/Huth e altri.1 Mentre il moderno distanziamento dal suolo solo si

accentua con la sovrapposizione di nuove città spazia-

li sulla città esistente, Virilio e Parent inventano con

la loro «funzione obliqua» un modulo concettuale

per la produzione di una continuità urbana: invece di

limitarsi a situare una nuova città su quella esistente,

cambiano la disposizione del suolo presente facendo

in modo che la nuova città sorga «obliquamente» da

quella precedente.

Questa intenzione si rivela nel progetto del centro cul-

turale di Charleville (1966) con più intensità rispetto

alla chiesa costruita di Sainte Bernadette (Nevers,

1964-1966). Si tratta di un gigantesco manufatto

leggermente inclinato, collocato nel letto del fiume

Mosa. All’altezza del livello dell’acqua, il volume si

apre tramite fessure in modo che le barche possano

entrare direttamente dal fiume nell’edificio e attrac-

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19

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

poco valorizzata – per l’architettura degli anni ottanta

e novanta, in cui il suolo diventò finalmente un oggetto

primordiale della ricerca architettonica.

Una continuità diretta con l’«architettura del suolo»

di Niemeyer può essere colta nei progetti dell’archi-

tetto argentino Emilio Ambasz. Eppure, mentre in

Niemeyer la figura dell’edificio continua a prevalere

e solo sonda e palpa il terreno sotto la superficie del

visibile, Ambasz trasforma il suolo nella figura archi-

tettonica visibile e tramuta l’edificio nell’agente se-

greto del paesaggio. Per rendere l’architettura invisi-

bile utilizza essenzialmente due tecniche. Da un lato

copre l’architettura con uno strato di vegetazione in

modo che l’edificio non sembri un oggetto ma una

sinuosità topografica del paesaggio. Dall’altro, af-

fonda il volume nella topografia del terreno. La sua

Casa di Ritiro Spirituale è un monumento alla spari-

zione: due enormi pareti bianche segnano l’ingres-

so alla casa, i cui spazi abitabili sono completamente

ipogei. Il progetto non realizzato per i laboratori di

ricerca Schlumberger avanza un altro passo collocan-

do la massa architettonica esclusivamente sotto terra.

L’edificio non sembra un oggetto appoggiato su una

superficie ma piuttosto delle incrostazioni eseguite in

un materiale. In alcune parti la massa di terra scom-

pare ed espone una serie di facciate vetrate che for-

niscono luce naturale all’interno dei laboratori. Ciò

nonostante, l’architettura di Ambasz continua a essere

un’architettura protagonista; il suolo si utilizza essen-

zialmente come strumento per il camuffamento

topografico dell’oggetto architettonico. Tuttavia, esso

non è ancora concepito come personaggio. Questa

emancipazione dal suolo, da fondamenta architet-

toniche ad architettura per proprio diritto, acquista

forma, forse per la prima volta, nelle «Cities of Artifi-

cial Excavation» di Peter Eisenman. Mentre in Virilio

e Parent, Ambasz e Niemeyer il terreno si definisce

partendo dalla figura, Eisenman tenta di sviluppare

la configurazione architettonica a partire dal terreno.

Con questo lavoro, egli fece una critica alle sue prime

abitazioni, che funzionavano completamente all’in-

terno della tradizione atopica della villa moderna in

quanto oggetto autonomo su terreno neutrale. Tutta-

via, nelle «Cities of Artificial Excavation» Eisenman

si basa sulla Collage City di Colin Rowe, secondo cui

il suolo della città non è una superficie neutrale, ma

soltanto lo strato superiore di una densa sovrapposi-

zione di strati delle più variegate vestigia storiche. Per

svelare queste vestigia e assumerle come materiale

generatore del proprio progetto, Eisenman utilizza il

palinsesto come analogia metodica. Nell’Antichità e

nel Medioevo per palinsesto s’intendeva una pagina

o rotolo di manoscritto che, dato il costo del materiale

(generalmente pergamena o papiro) veniva scritto

più volte. Si raschiava o lavava l’iscrizione precedente

e, in seguito, si scriveva un nuovo testo. Spesso rima-

nevano tracce del testo originale che oggi, mediante

3., 4. Paul Virilio, Claude Parent, Centro Culturale, Charleville 1966.

elementosdecomposicion.wordpress.com

5. Oscar Niemeyer, Sede del Partito Comunista Francese, Parigi 1967

3.

4.

5.

Page 22: rivista archi 1/2013

20

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Questo spazio vincola la leggerezza dell’architettura

planetaria al peso gravitazionale della Terra e asso-

miglia a quel «denso levitare» dei vecchi film di fanta-

scienza quando la navicella spaziale atterra lentamente.

Poco prima di toccare il suolo, la navicella si ferma

un momento e rimane immobile, fluttuando sopra la

superficie. È proprio in questo momento che lo spa-

zio tra la terra e la navicella spaziale trema in modo

quasi impercettibile, come se l’imminente messa in

contatto lo stesse caricando di energia. La potenza di

quello spazio intermedio che galleggia sopra il suolo

è uno dei temi centrali dell’architettura di Zaha Ha-

did. La scena è sempre la stessa: una massa scende

poco a poco verso il terreno senza arrivare a posarsi

su di esso. Dei pilastri affilati perforano il suolo, e, in

seguito, la terra sottostante incomincia a muoversi

finché la superficie si apre e sotto di essa scaturiscono

spazi non percepiti. Questa emergenza spaziale, che

ricorda la tettonica dei continenti scoperta da Alfred

Wegener, tiene conto di uno spazio prima invisibile

in architettura: le fondazioni. Si configura una sorta

di «fondazione esposta» invece della pianta aperta

propria della prima modernità, ed è precisamente in

questo punto dove Hadid colloca la parte più attraen-

determinati processi tecnici come la fotografia fluo-

rescente, possono diventare nuovamente visibili, in

modo che il testo antico sia leggibile. Nelle sue «Ci-

ties of Artificial Excavation», Eisenman tratta la pro-

pria città come un palinsesto e utilizza l’architettura

come procedimento per rendere ancora visibile le sue

molteplici iscrizioni. Dove più chiaramente egli appli-

cò questa tecnica fu nelle sue abitazioni d’interesse

sociale all’iba (Esposizione Internazionale di Archi-

tettura) di Berlino (1982-1987), nella Kochstrasse,

proprio accanto al Muro. Invece di limitarsi a riempi-

re i vuoti rimasti dopo la Seconda Guerra Mondiale

nell’edificazione marginale di un isolato urbano ber-

linese – cioè, piuttosto che ricostruire pressappoco lo

stato prebellico – Eisenman cercò le vestigia storiche

del luogo localizzate più in profondità, che in parte

erano astratte e artificiali e, in parte, concrete. Rivestì

il lotto con un muro-reticolo corrispondente al grado

di latitudine e longitudine del globo, evidenziando

così l’importanza di Berlino come città di frontie-

ra durante la Guerra Fredda. Sotto questo reticolo

artificiale, egli porta alla luce una parte della trama

barocca della planimetria urbana. In questo modo il

progetto emerge, tramite un’estrusione verticale delle

informazioni spaziali del terreno, come una struttura

tridimensionale la quale fa sì che i resti esistenti dell’i-

solato siano spostati e confusamente contestualizzati.

Questo intreccio sistematico tra storia e contempora-

neità provoca in progetti più recenti, come Romeo e

Giulietta (Verona, 1985) e il Wexner Center of Arts

(Columbus, Ohio, 1982-1989), il fatto che la figura

architettonica dell’edificio vada scomparendo come

oggetto autonomo, mentre il suolo diventa progres-

sivamente protagonista come archivio archeologico.3 Negli anni novanta, Eisenman continua ad analizzare

questa trasformazione nei suoi scritti, in cui stabilisce

concetti come figured ground figure che definiscono ma-

terializzazioni architettoniche del terreno, concetti che

vanno oltre la dialettica classica tra la figura e il suolo.

La ricerca architettonica su questa nuova potenzia-

lità del terreno diventa il punto essenziale del lavoro

di Zaha Hadid. La fase di gestazione di questa ricer-

ca coincide, paradossalmente, con il periodo della

sua architettura planetaria, in cui lei sembra negare

la nozione di suolo. Infatti, nelle sue immagini i volu-

mi galleggiano come navicelle spaziali in uno spazio

infinito e privo di gravità. Non vi è sopra e sotto, né

davanti e dietro, ma soltanto diversi spazi di movi-

mento che si assemblano dinamicamente. Malgrado

ciò, questo non significa che per Zaha Hadid il suolo

non esista: semplicemente esso è concepito dall’al-

to. Poiché le sue navicelle spaziali sono destinate alla

terra, deve comunque porsi la questione del suolo

quando atterrano. In ogni caso, il suolo nell’architet-

tura di Zaha Hadid non è solo il pezzo di terra su cui

si posano le sue navicelle, ma quel peculiare «spazio

di suolo» che si genera nel momento dell’atterraggio.

6. OMA, Kunsthall Rotterdam, Olanda 1992. Foto Steven Ward

7. Zaha Hadid Architetti, Plastico Opera di Cardiff, Regno Unito 1994.

Render Zaha Hadid Architetti

8. FOA, molo Osanbashi, Yokohama, Giappone 2002. Foto Matteasu

9. MVRDV, Metacity/Datatown, Olanda 1998-2000. Render MVRDV

6.

7.

Page 23: rivista archi 1/2013

21

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

te del programma. Vale a dire: uno spazio che prima

era infrastrutturale diventa improvvisamente uno

spazio sperimentale e culturalmente rappresentativo

dell’architettura.

Da qui fino all’infrastrutturalismo di oma degli anni

novanta – dove in linea di massima gli edifici appar-

tengono più al dominio delle infrastrutture che a

quello dell’architettura – vi è solo un passo. Koolhaas

vide nell’infrastruttura un’opportunità per liberare

l’architettura e l’urbanismo dalla loro separazione

categorica e per assemblarli operativamente. Intesa

come parte di un’infrastruttura della città, l’archi-

tettura poteva reclamare per sé una nuova forma di

performance urbana. Nel Kunsthal (Rotterdam, 1992),

questa concezione dà luogo a una doppia program-

mazione dell’architettura: come museo e come luogo

di scambio urbano tra il parco del museo e l’auto-

strada. Una rampa pedonale che attraversa l’edificio

come un passaggio pubblico stabilisce la comuni-

cazione e, allo stesso tempo, fornisce il modello per

circolare. In questo senso, il Kunsthall non è solo un

polemico adattamento della «scatola-museo» di Mies,

né una nuova edizione della promenade architecturale di

Le Corbusier. La sua continua sequenza spaziale, che

interpreta lo spazio di circolazione come ambiente

funzionale e viceversa, è piuttosto un’appropriazione

diretta della funzione obliqua di Claude Parent e Paul

Virilio. Con questo stesso metodo, Koolhaas progetta

un paesaggio infrastrutturale nell’Urban Design

Forum (Yokohama, 1992). Questo progetto urbano

riunisce una grande quantità di programmi (di edi-

ficazione) su di un «piano ondulato» e fa di loro una

coreografia trasformandoli in un ciclo esperienziale

di ventiquattro ore. In entrambi i casi con l’inclusione

del mondo sperimentale circostante si vuole rompere

la monofunzionalità di una tipologia e riempirla di

programmi. Infine, nelle Biblioteche di Jussieu (Pari-

gi, 1992), Koolhaas porta al culmine questa ambizio-

ne trans-programmando l’edificio, il quale diventa

generatore architettonico di spazio pubblico. Lo spa-

zio della strada – il boulevard – continua all’interno

dell’edificio come un passaggio continuo di superfici

piegate che configurano un boulevard intérieur di 1,5

km di longitudine. Sebbene il progetto diventi fa-

moso per aver impiegato per la prima volta una ge-

ometria topologica per l’organizzazione spaziale di

uno spazio interno, l’uso che fa Koolhaas della nuova

forma si basa principalmente su una strategia preci-

sa: fornire un nuovo luogo allo spazio pubblico della

città, sempre più sottomessa alla pressione della pri-

vatizzazione. La principale funzione della superficie

continua consiste nel fatto che questo nuovo ambito

pubblico non costituisca una riserva monadica, ma

che rimanga collegata alla città esistente e influisca su

di essa con effetto retroattivo. Il concetto del suolo in-

frastrutturale è anche sviluppato da alcuni successori

di Koolhaas, in particolare mvrdv e foa. Questi ulti-

mi si occupano di una ridefinizione morfologica del

terreno come edificio. Combinano geneticamente la

geometria topologica di Jussieu con la logica infra-

strutturale del progetto di oma per Yokohama, e tra-

sformano tipologicamente l’edificio in un paesaggio

urbano infrastrutturale. Grazie a questa concezione

ibrida, foa risolve le contraddizioni tipologiche che

ancora caratterizzano i due progetti di Koolhaas. Nel-

la proposta di foa, gli edifici che nel progetto di oma

per Yokohama sono ancora concepiti come entità se-

parate, si fondono definitivamente nel «piano ondu-

lato», nello stesso modo in cui il paesaggio di rampe

piegate di Jussieu scappa – per così dire – dalla scato-

la vetrata. La superficie piegata che in Koolhaas era

ancora un semplice dispositivo strategico, per foa di-

venta un’infrastruttura inclusiva in cui si sopprimono

tutti gli elementi isolati: in questo modo la tecnica del

collage è definitivamente rimpiazzata dal morphing.

Con il suo Osanbashi Pier (Yokohama, concorso: 1995;

8.

9.

Page 24: rivista archi 1/2013

22

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Ausgehend von der Freigabe des Bodens, die Le Corbusier mit dem «Haus auf Pilotis» praktiziert, erarbeiten Ilka und Andre-as Ruby einen facettenreichen Diskurs, in dem unterschiedliche Herangehensweisen beleuchtet werden: die Klassik von Mies van der Rohes im Barcelona-Pavillon (1929), in der die konzeptuelle und poetische Neutralisierung des Bodens klar umgesetzt wird; die von Virilio und Parent in den 60er-Jahren propagierte «function oblique», ein Konzeptmodul für ein vollkommen neue städtische Kontinuität; sowie die plastische, «quasi-topologische» Defini-tion, die Niemeyer mit dem Hauptsitz der Kommunistischen Partei Frankreichs (Paris, 1976) realisiert hat und die mit den Projek-ten von Ambasz fortgeführt wird, der den Boden in eine sichtbare architektonische Form verwandelt und das Gebäude harmonisch mit der Landschaft verschmelzen lässt. In all diesen Fällen wird, ausgehend von der Figur, der Boden definiert. Eisenman dagegen definiert in den «Cities of Artificial Excavation» die architekto-nische Konfiguration direkt vom Boden aus. Er lehnt sich me-thodisch an die Idee des Palimpsest an, um historische Überreste der Stadt zu enthüllen und sie als Projektmaterial zu verwenden. Dieses neue Potenzial des Bodens wird zum zentralen Punkt der Architektur von Hadid, dem besonderen experimentellen Raum, der beim Landen der «Schiffe» entsteht. Dann folgt der Begriff des Infrastrukturbodens, den OMA in den 90er-Jahren entwickelte. Hier nimmt die Architektur eine neue Form der städtischen Per-

formance für sich in Anspruch, während das Artefakt öffentli-chen Raum generiert. MVRDV und FOA schliessen den Kreis mit der morphologischen Neudefinition des Bodens als Gebäude. Es handelt sich um ein hybrides Konzept, das das Bauwerk in eine infrastrukturelle urbane Landschaft verwandelt.

Note 1. Prima di lavorare con Virilio, Parent fece parte di un

movimento utopico. Solo il contatto con le idee di Virilio

sulla «funzione obliqua» gli fece prendere le distanze:

«Incominciai ad essere in disaccordo con i miei colleghi

utopici. La spaccatura emerse nel dibattito su un

progetto che proponeva una grande autostrada urbana

–l’Avenue Charles de Gaulle– che partiva da Parigi,

bloccando il movimento pedonale. Pensai che fosse una

follia, ma la mia proposta alternativa –una struttura gra-

dinata accessibile– non trovò consenso tra gli utopici.»

Si veda Irénée Scalbert, Mohsen Mostafavi, «Interview

with Claude Parent», The function of the Oblique. The Architecture of Claude Parent and Paul Virilio 1963-1969, (aa

Documents 3), Architectural Association Press, Londra

1996, p. 54. Successivamente, Parent rifiutò di diven-

tare membro del gruppo degli architetti utopici giap

(Groupement International d’Architecture Prospective)

e fonda insieme a Virilio «Architecture Principe» come

contro-movimento critico.

2. Oltre alla sede centrale del pcf, occorre citare la meno

nota Bourse de Travail, costruita da Niemeyer nel 1973

nei dintorni parigini di Bobigny. Anche qui si utilizza

la «funzione obliqua» in modo sorprendente. Il suolo si

separa dalla strada: un piano scende mezzo livello, pe-

netra nel terreno per configurare un atrio –un volume

inedito simile a una tenda da campagna– all’aperto che

conduce all’edificio d’uffici nella parte retrostante alla

sala cerimonie, da dietro; l’altro piano sale mezzo livello

e, configurando un semicircolo generosamente curvo,

porta al piano d’ingresso dell’edificio d’uffici.

3. Si veda Alejandro Zaera Polo, «Eisenman’s Machine of

Infinite Resistance», in «El Croquis», 83, 1997, pp. 50-63,

in part. pp. 54-55.

realizzazione: 2000-2002), foa crea la struttura di un

suolo che si differenzia e si moltiplica permanente-

mente, ma che in realtà è un’unica superficie: scom-

paiono così le tradizionali gerarchie tra muro, coper-

tura e pavimento.

A differenza di foa, mvrdv abbandona il principio

topologico di Jussieu – l’angolo curvo della villa vpro

era poco più di un ammiccamento manierista a Ko-

olhaas da parte dei suoi ex collaboratori Winy Maas e

Jacob van Rijs – e continua a sviluppare decisamente

i paradigmi della moltiplicazione del suolo nel suo fi-

lone programmatico. Con questo scopo, combinano

la teoria del grattacielo di Koolhaas – di Delirious New York – con la continuità idealizzata del «Monumento

Continuo» di Superstudio. In un certo modo, mvr-

dv applica alla linea verticale la mancanza di scala

orizzontale di quest’ultimo progetto, con lo scopo di

continuare a sviluppare, a modo di piattaforme so-

vrapposte, il principio del grattacielo: generare una

molteplicità urbana impilando i programmi più di-

versi (così la critica culturale distopica di Superstudio

perde – e questo risulta interessante – ogni ambigui-

tà, acquistando una neutralità analitica). Del resto,

l’iperdensificazione della società urbana libera il

paesaggio – sempre più dilaniato dalla società – e lo

dichiara «un nuovo tappeto verde continuo» tra enor-

mi blocchi urbani. Con edifici che sembrano punti

in mezzo allo spazio verde fluido, il palcoscenico del-

la città in tre dimensioni allarga la ville radieuse di Le

Corbusier a limiti fino allora sconosciuti (il progetto

accoglie un milione di abitanti in un singolo edificio).

Considerando che la popolazione mondiale continua

ad aumentare, la grandezza limitata della superficie

abitabile della Terra sembra un problema quantitati-

vo. La mutazione del suolo suggerita da mvrdv, che

da singolarità naturale diventa molteplicità artificia-

le – in realtà un’unica natura creata dall’uomo – può

sembrare esagerata. Tuttavia, il panorama reale che i

climatologi paventano per il nostro pianeta per il XXI

secolo non è meno surrealista: calotte polari che si

sciolgono progressivamente, aumento del livello del

mare, quote di neve più basse sulle Alpi, migrazioni

dalle zone di vegetazione e altri cambiamenti immi-

nenti rendono evidente che il suolo ha smesso di esse-

re la base stabile della nostra esistenza ed è diventato

una topografia dinamica, ai cui mutamenti e oscilla-

zioni dobbiamo adattare la nostra vita.

* Ilka Ruby è architetto e Andreas Ruby critico e storico

dell’architettura. Titolari dal 2001 dell’agenzia berlinese di

comunicazione textbild. Si occupano di architettura contem-

poranea sia tramite l’attività didattica, sia come consulenti e

curatori di eventi culturali e pubblicazioni.

Nel 2008 fondano le edizioni Ruby Press.

** Introduzione al volume: Ilka & Andreas Ruby,

Groundscapes. El reencuentro con el suelo en la arquitectura contemporánea. The rediscovery of the ground in contemporary architecture, edizione originale spagnolo/inglese,

Editorial Gustavo Gili, Barcelona 2007.

Page 25: rivista archi 1/2013

23

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

In realtà, gli architetti per i quali la relazione tra co-

struzione e luogo non si basa su analogie e rimandi

geometrici o formali sono ancora una minoranza. È,

però, generalmente condivisa l’idea che il paesaggio

non sia lo sfondo dell’architettura, ma l’oggetto stes-

so della trasformazione. Se le dichiarazioni d’intenti

possono sembrare simili, esse si materializzano in for-

me diverse e riflettono diverse intenzioni e priorità.

In altre parole, ogni attacco al suolo si configura in

funzione della strategia di modificazione del luogo.

Per alcuni, l’aspirazione a costruire senza alterare la

configurazione del sito si traduce nel tentativo di far

sì che l’architettura ne diventi, o ne sembri, un com-

pletamento. Simile a questo approccio, che ricorda

l’idea classica dell’appartenenza dell’architettura alla

terra, perché come diceva Frank Lloyd Wright «la ter-

ra è la forma più semplice di architettura», è quello

che considera l’architettura come estensione del pae-

saggio o in esso vorrebbe farla dissolvere.

Per altri, l’architettura nasce dalle forme naturali, ma

pur non ignorando gli aspetti essenziali della topogra-

fia li trasforma. La capacità di assumere le caratteristi-

che morfologiche come punto di partenza della proget-

tazione, ma nello stesso tempo dar origine a una nuova

entità, e che riecheggia il modo di procedere di Alvar

Aalto, è evidente nella casa Balmelli di Tita Carloni e

Luigi Camenisch a Rovio (1956-1957) che segue l’anda-

mento del terreno, ma crea anche un nuovo profilo.

Il ricorso all’architettura per dare risalto alla topogra-

fia e accentuare ed estendere il sito è un atteggiamen-

to che si manifesta soprattutto quando il manufatto si

colloca su sommità o punti cospicui. La chiesa di San-

ta Maria degli Angeli a Monte Tamaro di Mario Botta

(1992-1996), dove il monte è stato «ampliato di una

piccola sporgenza», e nella sua massa architettonica

è stato integrato di pochi strati di roccia, viene letta

come una «prosecuzione della montagna», una «leg-

gera correzione geometrica della massa rocciosa».2

C’è, poi, chi considera la conformazione esistente

come un dato da accettare, per turbare la terra il

meno possibile. La registrazione degli accidenti del

terreno, la conservazione degli oggetti minerali e de-

gli organismi vegetali presenti, più che un vincolo di-

venta il fulcro dell’intero processo.

Infine, un esplicito intento di contraddizione nei

confronti della configurazione del sito si ritrova nel-

le opere di quegli architetti che non sono indifferen-

ti al luogo, ma rifuggono da qualsiasi integrazione e

mimesi, come fa Aurelio Galfetti con casa Rotalinti

Die Begegnung mit dem Bodenin der Tessiner Architektur. Theorie und PraxisTomà Berlanda*

1. L’ipotesi sottintesa nella scelta di dedicare un nu-

mero monografico al rapporto con il suolo è che sia

possibile individuare nelle opere degli architetti tici-

nesi un comune interesse per il tema, che si traduce

in una molteplicità di soluzioni costruttive.

È una domanda interessante, che lega la discussione

sulla rilevanza teorica della questione - cioè il ricono-

scimento che l’itinerario che traduce un’idea in una

architettura costruita, strutturalmente stabile e ade-

guata nella collocazione spaziale, trova un momento

decisivo nel modo in cui il manufatto tocca la terra -

alle scelte tettoniche di volta in volta inventate.

Negli anni recenti si è sviluppato un discreto corpo di

letteratura che affronta il tema dell’attacco al suolo

da due principali punti di vista. Il primo concentra

l’analisi su un singolo architetto, con l’intento di indi-

viduarne l’evoluzione o la continuità nel modo di rap-

portarsi al terreno. Alcuni esprimono preferenze as-

solute per una particolare soluzione che diventa una

costante nel loro approccio progettuale, mentre altri

sono disponibili a declinarne più d’una in funzione

delle specifiche condizioni del sito. Il secondo parte

dall’individuazione di specifiche categorie o modi ri-

correnti di attacchi al suolo e li analizza attraverso le

opere di architetti diversi.

Il tema, invece, non è stato affrontato con riferimen-

to a specifiche aree geografiche o alle scuole e gruppi

regionali, alla cui produzione architettonica della se-

conda metà del Novecento viene riconosciuto un no-

tevole grado di omogeneità e di riconoscibilità. Il Ti-

cino è una di queste aree culturali. Le caratteristiche

che si trasmettono da una generazione all’altra e che

giustificano l’individuazione di una scuola ticinese

sono la scelta pertinente e la sincera esibizione della

struttura, dei materiali e delle soluzioni tecnologiche,

nonché un rapporto con le preesistenze che rifiuta

qualsiasi storicismo e mimetismo formale.1

2. Topografia è ormai un termine abusato nel dibat-

tito architettonico ed il suo significato originario si è

dilatato per incorporare, oltre alla descrizione delle

caratteristiche geometriche di un sito, preoccupa-

zioni e tematiche nuove rispetto alla tradizionale no-

zione di crosta terrestre. Riecheggiando tale allarga-

mento di prospettiva, è diventata una consuetudine

enfatizzare l’attenzione per l’attacco al suolo e pre-

sentare progetti e costruzioni come risultato di un in-

tenzionale rapporto con il sito, inteso nella sua dupli-

ce e inscindibile connotazione geografica e umana.

L’incontro con il suolo nell’architettura ticineseTeoria e pratica

Page 26: rivista archi 1/2013

24

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

a Bellinzona (1960-1961) che si pone in intenzionale

contrasto con il pendio al quale è accostata.

Anche per Livio Vacchini l’ordine nasce dalla distin-

zione dalla natura, e la sua architettura si discosta

dall’intorno rivelando la propria artificialità logica e

tecnica. La palestra a Losone (1995-1997) che lo stes-

so Vacchini ha paragonato ad un tempio arcaico, una

Stohenenge del nostro tempo, appare come un bloc-

co imponente, inaccessibile su una piattaforma posta

sopra un esteso prato verde. La sala rettangolare è un

blocco di vetro cinto da pilastri di calcestruzzo che si

rastremano verso l’alto e sono stati eseguiti in un solo

getto. Al livello del suolo non è visibile alcuna entrata,

perché gli ingressi si trovano alle estremità delle ram-

pe che scendono al sotterraneo e hanno il significato

di scandire il percorso in una fase di discesa all’inter-

no della terra e in una successiva emersione.3

Collegare l’edificio al suolo con un elemento che dal

suolo appare staccato, è un modo per segnalare la di-

versità tra artefatto e natura.

3. L’enfasi con la quale progettisti e critici sottolineano

l’importanza della topografia, che letteralmente signi-

fica scrittura di un luogo, non si traduce meccanica-

mente in architettura. A volte il riconoscimento del va-

lore fondativo dell’attacco a terra si riduce a un retorico

richiamo alla necessità di sviluppare una non meglio

definita sensibilità topografica, mentre la relazione tra

manufatto e contesto viene trattata in termini di visione

poetica o di linguaggio architettonico, senza che questi

elementi si traducano in coerenti scelte costruttive.

Al moltiplicarsi di immagini e metafore che descri-

vono edifici «ancorati, radicati, seduti, in volo, gal-

leggianti» non corrispondono adeguati metodi di

rappresentazione, quali la sezione lunga, o più pro-

priamente detta intersezione, che è lo strumento più

efficace per rivelare e sintetizzare tutti gli intrecci tra

sito e architettura. Consentendo di evidenziare la

configurazione generata dalla solidarietà tra suolo e

manufatto, che è diversa rispetto a quella che la linea

della terra e la costruzione avrebbero se considerate

separatamente, l’intersezione è essenziale per com-

prendere le modalità dell’incontro e ricondurne la

materializzazione ad alcune situazioni di base. A se-

conda che il piano della pianta coincida con la super-

ficie d’appoggio, che il contatto sia limitato a pochi

punti, che l’edificio e il terreno entrino l’uno nell’al-

tro, si parla rispettivamente di aderenza, distacco,

incastro. Tale terminologia deve essere integrata ren-

1. Lio Galfetti, Casa Rotalinti, Bellinzona 1960-61.

Foto Archivio Galfetti

2. Livio Vacchini, Palestra, Losone 1997. Foto Archivio Vacchini

3. Livio Vacchini, sezione della Palestra, Losone 1997.

Disegno dell’autore

4. Rino Tami, autostrada N2, portali delle gallerie di Sciaresc

1963-83. Foto S. Milan

5. Lio Galfetti, Flora Ruchat, Ivo Trümpy, sezione dei Bagni,

Bellinzona 1967-70. Disegno dell’autore

1.

2.

3.

Page 27: rivista archi 1/2013

25

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

fare distinzione tra architettura, land art e landscape

architecture, trattano il suolo come materiale prima-

rio del progetto.

Aurelio Galfetti e Luigi Snozzi sono entrambi attratti

dalla dimensione territoriale del rapporto tra archi-

tettura e suolo, ma la declinano con strumenti diver-

si. Nei Bagni di Bellinzona, che Galfetti ha costruito

con Flora Ruchat e Ivo Trumpy (1968-1970), l’attacco

al suolo, che consiste in una passerella che connette

e articola spazialmente il percorso, non è un accorgi-

mento tecnico pensato a posteriori per garantire sta-

bilità all’edificio, ma il cardine stesso del progetto. Il

luogo dove si fa il bagno è, in realtà, un percorso e la

passerella, cioè l’infrastruttura che crea lo spazio, ha

una dimensione paesaggistica.

Per Snozzi l’interesse per il territorio – sintetizzato in

uno dei suoi aforismi «fino a poco tempo fa gli inse-

diamenti umani erano carte geologiche» – prevale su

quello per il singolo edificio ed abbraccia un ambito

che si estende a tutti gli strati della crosta terrestre, da

quello dove insistono le fondazioni fino al centro del-

la terra. «Ogni casa raggiunge il centro della terra, un

vero prato arriva fino al centro della terra» è un altro

dei suoi aforismi.5 Snozzi è affascinato dal valore simbo-

lico delle fondazioni, dalla loro capacità di comunicare

l’ossatura dell’idea architettonica e di essere, quindi,

una sintesi di tutto il percorso progettuale. «Un edificio

comincia sempre dalle sue fondazioni», dice, ed è con-

vinto che per capire un’architettura basta osservare le

fondazioni, perché «le più belle piante dell’architettura,

le vedi dalle cantine, è li che matura tutta l’idea».6

Inoltre, per Snozzi il progetto è uno strumento di ri-

dendo espliciti i criteri in base ai quali ogni architetto

sceglie una o l’altra modalità.

La decisione di appoggiarsi al terreno semplicemente

consolidato o su una sottile piattaforma, che diventa

una sorta di suolo artificiale, può essere ricondotta

alla ricerca di un rapporto simbiotico tra interno ed

esterno. Può anche coesistere con la convinzione che

un edificio sia un artefatto che non è indifferente al

luogo, ma rifugge da qualsiasi integrazione, come

dimostra la casa Bucerius a Brione sopra Minusio

(1965-1966) – una delle due case costruite da Richard

Neutra in Ticino – collocata su una piattaforma che si

allarga oltre il perimetro dell’edificio.

L’incastro non è mero sinonimo di vano interrato o

di edificio ipogeo, ma una configurazione pensata in

modo che la terra e la costruzione, condividendo uno

spazio definito volumetricamente, siano complemen-

tari; un procedimento ben diverso da quello di chi

manipola e stravolge la terra per realizzare costruzio-

ni indifferenti ai luoghi.

Anche le motivazioni di chi cerca di limitare il contat-

to ad una serie di punti possono essere molto diverse,

come dimostrano le piattaforme appoggiate su sup-

porti spostati verso l’interno di Mies van der Rohe, gli

edifici di Sean Godsell sostenuti da elementi punti-

formi studiati caso per caso e alcune recenti opere di

Peter Zumthor.

Un edificio non può essere completamente privo di

legami con il suolo, ma la limitazione del contatto ad

una serie di elementi discontinui consente di lasciar-

ne il piano orizzontale principale staccato. Lo spazio

interstiziale che ne risulta separa e allo stesso tempo

connette il terreno con l’edificio e consente di leggere

con chiarezza la struttura portante.

Casa Nadig a Maroggia di Rino Tami (1956-1957) è

un parallelepipedo appoggiato su due muri ortogo-

nali di pietra legati da due travi di calcestruzzo. L’ap-

parente distacco dal suolo pone in risalto la ricerca

della soluzione strutturale.

4. Le opere di Tami sono un lascito ineludibile per

la successiva generazione di architetti che pure

hanno posizioni variegate nei confronti del modo

di legarsi al suolo.

Sia i singoli edifici – le case che sempre «cercavano di

essere ben sedute» e per questo in ogni suo lavoro si

preoccupa di «sposare la casa col terreno»4 – che gli

interventi a scala territoriale lungo l’autostrada N2 tra

Chiasso e il Gottardo (1963-1983) nei quali è difficile

5.

4.

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26

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

costruzione del legame con il suolo, la piattaforma –

che secondo Jørn Utzon è l’evento critico dal quale

emerge l’architettura – assolve molte funzioni. Può

segnalare la quota di riferimento principale o stabilir-

ne una nuova, può mettere in relazione la costruzione

con una porzione più o meno ampia di terreno, può

evidenziare una intenzionale separazione tra il suolo

e l’edificio o tra la parte della costruzione adiacente

al suolo e quelle superiori.

Il basamento attira l’attenzione al legame con la terra

e alla soluzione costruttiva che lo sostanzia, esprimen-

do così l’artificialità costitutiva di ogni intervento ar-

chitettonico. La piattaforma rimanda alla concezione

classica, tripartita dell’architettura. Ogni architettura

è sempre «tendenzialmente tripartita, si appoggia

sulla terra, si innalza e si chiude nel cielo», dice Livio

Vacchini, e conformemente a questa visione, colloca

la palestra di Losone su uno zoccolo rialzato.12

Ogni muro è diverso, ma sempre risolve e segnala l’at-

tacco al suolo e ridefinisce il sito. Per Mario Botta la

gravità è la forza che lega l’opera di architettura alla

terra e costituisce la ragion d’essere del principio co-

struttivo nella ricerca dell’equilibrio per trasmettere

i carichi al suolo. A suo giudizio, il gesto primo del

costruire è dato dal «sovrapporre alla terra una pie-

tra» e perciò, «piuttosto che di pietra su pietra si deve

parlare di pietra su terra».13 I suoi muri sono più una

massa che una superficie ed enfatizzano il peso della

terra e il peso dell’architettura che saldano insieme.

Come elemento di raccordo al suolo, la passerella ha

un forte valore simbolico. Ponendo i due elementi

che connette l’uno di fronte all’altro, li lega ma allo

stesso tempo ne evidenzia la separazione.

La cappella di Santa Maria degli Angeli a Monte Tama-

ro, che Botta definisce «una passerella viadotto che

esce dalla montagna»; è un «ponte metafisico» che ver-

tiginosamente lascia la terra per gettarsi nel vuoto.14

6. La ricognizione delle configurazioni alle quali la

solidarietà del manufatto architettonico con il suolo

può dar origine deve essere accompagnata dall’anali-

si di come ogni idea progettuale si concreta in soluzio-

ne costruttiva se si vuole che la modalità dell’attacco a

terra perda la connotazione di astrazione geometrica.

Opere che dal punto di vista tipologico sembrano si-

mili, rivelano intenzioni diverse se analizzate alla luce

delle modalità di attacco al suolo, come dimostra il

confronto fra tre case di Snozzi, Botta e Vacchini.

A prima vista tutte e tre appaiono semplici scatole di

calcestruzzo armato su un pendio, ma ognuna instau-

cognizione e la scoperta del terreno è il momento

decisivo del percorso nel quale intuizione e inven-

zione possono avere un peso diverso, ma comunque

interagiscono.7 Come ha osservato Alvaro Siza, «nelle

sue valli, Snozzi, ricerca meticolosamente ogni traccia

sul suolo e ogni voglia di cambiamento. Tanti sono gli

elementi che attirano la sua attenzione.. filari di viti,

muri, fondazioni di antichi conventi, abitudini anti-

che e in trasformazione».8 Camminare, per misura-

re ed esplorare il sito, è una pratica seguita da quegli

architetti, che Jacques Gubler chiama «architetti agri-

mensori» e tra i quali include Snozzi, che costruiscono

il progetto «con la punta della matita e con i piedi»,

cioè partendo dalle tracce e dai segni scoperti andan-

do a piedi9 e per i quali l’esplorazione del terreno non è

una mera operazione tecnica di raccolta di dati quanti-

tativi e misurabili, ma un processo di selezione e inter-

pretazione inscindibile dal progetto.

Pierre-Alain Croset considera l’orografia qualcosa

che deve essere rivelato grazie all’architettura. È un

concetto che usa nella lettura di molte opere di Snoz-

zi, casi esemplari di promenade architecturale concepita

come «lettura dell’orografia». A suo giudizio, Snozzi

prende le mosse dalla conformazione del terreno e

inventa la topografia per comporre sequenze di im-

magini incorniciate nel paesaggio. Nelle sue case,

mai disposte come prospetti statici10 i valori geografi-

ci del sito sono rivelati attraverso il percorso di avvi-

cinamento e «stupisce il grande rispetto manifestato

nei riguardi dell’orografia naturale: piccoli dislivelli,

minimi spostamenti di terra e terrazzamenti appena

affioranti si dimostrano sufficienti laddove abitual-

mente le nuove costruzioni tendono a cancellare defi-

nitivamente i caratteri dell’orografia originaria».11

5. L’attenzione alla percezione fenomenologica

dell’architettura fa sì che alcuni interpretino le «fi-

gure» architettoniche come strumenti grazie ai quali

l’architetto può leggere e riscrivere la topografia di

un sito. Secondo questo approccio, la piattaforma,

che media l’andamento del terreno o crea un nuovo

piano distaccato, stabilisce e segnala una precisa re-

lazione altimetrica con l’esistente; il muro, oltre che

filtro e supporto, è un elemento di misura del terre-

no; la passerella concentra l’attenzione sulle due parti

che collega sottolineandone la separatezza; la rampa,

prolungando e rallentando il percorso di avvicina-

mento, crea una serie di orizzonti intermedi tra la ter-

ra e la costruzione.

In quanto parte di una consapevole strategia della

6.

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27

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

ra con il sito una peculiare relazione che è possibile

cogliere guardando il modo in cui è stato realizzato il

contatto con la terra.

Casa Kalman a Minusio (1972) è un manifesto costrui-

to dell’approccio di Snozzi che, attraverso la critica in-

terpretazione della geografia e della topografia, iden-

tifica particolari caratteristiche naturali o resti della

storia e della cultura e li riformula per intensificare la

percezione del luogo. Il muro di contenimento segue

la curva di livello – la condizione geologica esistente

che informa l’organizzazione della casa – e collega

l’architettura alla più larga fisica entità del lago. La

contrapposizione tra il ripido pendio e l’andamento

orizzontale del piano della valle è accentuata dalla

passerella che indirizza e sposta l’attenzione dell’os-

servatore dall’oggetto architettonico verso la concreta

esperienza della topografia del sito.

Casa Bianchi di Botta a Riva San Vitale (1973) è una

torre che si erge isolata, come un osservatorio. Ma se la

torre rimanda all’atto di guardare, la passerella d’ac-

cesso rimanda a quello di attraversare. Percorrendola

il terreno diventa parte integrale dell’esperienza di en-

trare in casa e allo stesso tempo, essa articola il distac-

co tra le forme naturali e l’artefatto facendo emergere

l’opposizione tra la casa e il paesaggio suburbano.

La casa a Costa Tenero di Vacchini (1992-1993) è un

parallelepipedo appoggiato perpendicolarmente

sul pendio collinare, ad un’altezza di circa 140 cm ri-

spetto alla quota di accesso. La casa è definita da una

struttura ridotta al limite delle leggi fisiche. Il tetto è

un’ unica trave in calcestruzzo precompresso che, al-

leggerita da tubi in acciaio, poggia su sei pilastri posti

alle estremità del rettangolo di base. Una piccola pen-

silina e una pedana in calcestruzzo rivelano l’ingres-

so ed indicano la separazione tra esterno ed interno.

La soglia, che divide e connette, è il momento signifi-

cativo dell’incontro tra terreno e costruzione, ma non

è parte di un processo di narrazione. La casa ha la sua

logica, la montagna ne ha un’altra, è una «gestalt come

le opere di Donald Judd».15

7. Molti architetti hanno assimilato l’insegnamento

dei maestri, come si evince dagli esempi qui pubblicati.

La struttura portante di casa Minghetti e Rossi a Gor-

dola di Nicola Baserga e Christian Mozzetti (2009-11)

si limita a due appoggi interni che permettono di non

«infierire» sulla terra. Due travi longitudinali appog-

gianti su plinti portano la soletta di copertura, men-

tre la soletta inferiore è appesa tramite tiranti centrali

alle pareti laterali.

È un approccio non dissimile da quello usato per l’au-

torimessa cmb a Camorino da Dario e Mirko Bonetti

(2009), che sollevando un lungo volume chiuso sopra

pochi appoggi puntuali idealmente rafforza l’anda-

mento orizzontale della pianura circostante.

Il rapporto con un sito assimilabile a una linea orizzon-

tale è presente anche nella casa monofamiliare a Bia-

6. Mario Botta, sezione longitudinale Cappella di Santa Maria

degli Angioli, Monte Tamaro 1990-95. Disegno dell’autore

7. Livio Vacchini, Casa a Costa, Tenero-Contra 1991-92. Foto E. Sassi

8. Luigi Snozzi, Casa Kalmann, Brione 1976. Foto S. Milan

9. Mario Botta, Casa Bianchi, Riva San Vitale 1971-73.

Foto Marco D’Anna

8.

9.

7.

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28

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Note 1. Schmertz, Mildred, The Ticino Group: Toward an architecture

of place, in «Architectural Record», n. 175, 1987, p. 110.

2. Oechslin, Werner, Mario Botta: l’architettura sacra, l’espres-sione e la pietra, in Gemin, Mario (a cura di), Mario Botta. Cinque architetture, Skira, Milano, 1996, pp. 126-148.

3. Masiero, Roberto, Prima e dopo il classico. Sull’architettura di Livio Vacchini, in Livio Vacchini. Opere e progetti, Electa,

Milano, 1999, p. 16.

4. Carrard, Philippe, Oechslin Werner, Ruchat-Roncati,

Flora (a cura di) Rino Tami, Segmenti di una biografia architettonica, gta, Zurich, 1992, p. 50.

5. Snozzi, Luigi, Aforismi, in Disch, Peter, Luigi Snozzi, L’ope-ra completa 1958-93, ADV, Lugano, 1994, pp. 104-105.

6. Croset, Pierre Alain, Una conversazione con Luigi Snozzi, in «Casabella», n. 567, 1990, pp.20-22 e Id. Un’architettura aulica e funzionale, ivi, pp. 6-7.

7. Lichtenstein, Claude, Design as recognition, in Luigi Snoz-zi, Birkhauser, Basel, 1997, pp. 7-25.

8. Siza, Alvaro, Impressioni di un viaggio in Ticino, visitando le case di Snozzi, in Disch, Peter, cit., pp. 20-23.

9. Gubler, Jacques, Motions, émotions: notes sur la marche à pied et l’architecture du sol, in «Matières», n. 1, 1997, pp.

6-14, ora in Guerrand, Henri (a cura di), Thème d’histoire et d’architecture, Infolio, Gollion, 2003, pp. 15-30.

10. Croset, Pierre Alain, L’architettura e l’urbanistica di Luigi Snozzi, in Disch, Peter, cit. p. 48.

11. Croset, Pierre-Alain, ivi, p. 46.

12. Masiero, Roberto, cit., pp. 17-65.

13. Botta, Mario, Luce e gravità, in Cappellato, Gabriele (a

cura di), Mario Botta, Compositori, Bologna, 2008, p. 8.

14. Botta, Mario, Il monte e la cappella, in Pozzi, Giovanni e

Botta, Mario, Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro,

Casagrande, Bellinzona, 2001, p. 5.

15. Lucan, Jacques, Livio Vacchini, L’implacabile necessità del tutto, in Disch, Peter (a cura di), Livio Vacchini architetto,

adv, Lugano, 1994, p. 26.

sca di Luca Coffari (2011). Una pesante piattaforma di

calcestruzzo funge da zoccolo nel quale è incastrato un

involucro che rimane visivamente staccato da terra.

Casa Ostinelli a Vacallo di Ivano Gianola (2007-09)

presenta una tensione creata tra i piani orizzontali del

pavimento e della copertura. L’imponente spessore

della soletta del tetto, quasi a voler sottolineare un pa-

radosso statico è rivestito da alte lastre di pietra verde

che dominano la composizione.

Nella casa ai Pozzi a Minusio, Silvia e Reto Gmür (2007-

11) hanno sfruttato un terrazzamento pianeggiante

per posizionare il basamento dell’edificio che segnala

la separazione della casa dal pendio e allo stesso tempo

fa si che il contesto diventi parte del suo interno.

La casa a Ronco a Pregassona di Jachen Könz e Ludo-

vica Molo (2007) è invece sollevata rispetto al suolo e,

staccandosi dal terreno terrazzato, garantisce la con-

tinuità del prato sottostante.

8. La ricognizione delle opere di tre generazioni di

architetti ticinesi mette in luce una condivisa atten-

zione per l’attacco al suolo che si traduce nella ricerca

di soluzioni costruttive appropriate. Piace qui citare

come esempio la consapevolezza della necessità di

esplorare nuovi percorsi di ricerca riconoscibile nel-

la Capanna Cristallina (2009) di Baserga e Mozzetti

dove la scelta dell’attacco al suolo ha richiesto, prima

che una soluzione tecnica, la ricerca della «giusta col-

locazione» del manufatto. L’ubicazione della capanna

rispecchia la volontà di non costruire sulla fragile to-

pografia del passo e di occupare un terrazzo adiacen-

te ritenuto più adatto alle caratteristiche climatiche.

Il rapporto con il sito è ricercato, più che attraverso

rimandi formali, attraverso l’uso dei materiali. Uno

zoccolo, formato con pietre recuperate dalla vecchia

Capanna e con materiale di scavo, si estende da un

lato per diventare terrazza. Il piano seminterrato in

calcestruzzo, che salda la capanna alla terra, ha la

funzione di isolare la parte abitativa dal terreno, men-

tre l’involucro leggero possiede un’elevata coibenza

termica ed una ridotta inerzia termica.

Se da un lato appare chiaro come, negli anni più re-

centi, la scelta della modalità dell’attacco a terra ten-

de a incorporare nuove preoccupazioni che riflettono

il superamento della tradizionale nozione di topogra-

fia, dall’altro quelli che sembrano essere gli esempi

più interessanti non attingono a un repertorio statico

di soluzioni già sperimentate, ma propongono inno-

vazioni dal punto di vista tecnologico, strutturale e

dell’uso dei materiali, confermando così la vitalità

della scuola ticinese.

* architetto, tra i primi laureati aam, dottore di ricerca. Dal

2010 in Ruanda é professore e titolare di asa studio. La sua

tesi di dottorato Topografie architettoniche: lessico grafico dell’at-tacco al suolo è in corso di pubblicazione presso Routledge.

Auf Grundlage der These, dass das Thema der Befestigung im Boden in der Tessiner Architektur der letzten 50 Jahre eine wichtige Rolle gespielt hat, untersucht der Artikel eine Reihe von klassi-schen Bauwerken unter dem Gesichtspunkt der von den Urhebern beabsichtigte Beziehung zum Boden und der dafür entwickelten baulichen Lösungen. Die Analyse erfolgt im Rahmen umfassen-derer Überlegungen darüber, wie sich die Theoriedebatte zum Be-griff der Topografie entwickelt und wie sich seine ursprüngliche Bedeutung erweitert hat. Heute versteht man darunter nicht allein die Beschreibung der geometrischen Eigenschaften eines Standorts, sondern auch seine vielfältigen materiellen Aspekte, zu denen auch neue Anliegen und Themen gehören, die über den herkömmlichen Begriff der Erdkruste hinausgehen. Soweit möglich werden die be-schriebenen Bauwerke als Schnitte dargestellt – einige stammen vom Autor des Artikels selbst. Wie die Schnitte und der Vergleich zwischen den Erklärungen der Planer und den errichteten Bau-werken zeigen, erfolgt die materielle Umsetzung der Eingebungen und Absichten, die mit Zeichnungen und Modellen erzählt und il-lustriert werden, durch tektonische Knoten – durch eine konstruk-tive Syntax also, die mit der Topografie verbunden ist. Aus dem Überblick, der von den Meistern Rino Tami, Aurelio Gal-fetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini und Mario Botta bis zu den jüngeren Vertretern der Tessiner Architektur reicht, kristallisieren sich wesentliche Elemente heraus, die auf eine Kontinuität hindeu-ten. Zugleich wird offensichtlich, dass das Thema der Befestigung am Boden von einer Generation zur nächsten weitergegeben wird und sich dabei konstant weiterentwickelt.

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

foto Filippo Simonetti

Abitare su un piano

Abbiamo voluto lavorare su un progetto che prevedes-

se di abitare su un piano.

Tutte le attività: arrivare in auto, soggiornare, studiare,

mangiare, rilassarsi e dormire, si sviluppano ad

un’unica quota. Una parte di sotterraneo contiene i

locali tecnici, i depositi, la lavanderia e la cantina.

La seconda volontà era quella di abitare in una pianta

a L che permettesse di vedere due facciate della casa e

di usufruire dello spazio esterno allo stesso livello.

La volontà era anche quella di semplificare al massi-

mo le superfici, dando al progetto un’immagine o,

meglio, una forma scultorea, lavorando sui volumi.

Questo atteggiamento ci ha permesso di «dialogare»

con le montagne circostanti e il paese di Biasca.

Il modo più diretto per ricercare la «pulizia» delle

forme è stato quello di utilizzare il calcestruzzo ar-

mato a vista gettato senza giunti visibili, casserato con

cura, pulito e levigato.

La forma dell’edificio si è ottenuta attraverso la lavo-

razione di due volumi iniziali tramite sottrazione e

tagli e la successiva aggiunta di un terzo e un quarto

volume. Il primo volume è estruso dal terreno e de-

finisce un piano di 362 mq che accoglie tutte le atti-

vità. Abbiamo poi «incastrato» sul volume primario

un volume secondario che misura 22.50 x 17.50 x 3.71

m, le pareti hanno uno spessore di 40 cm sui quattro

lati e di 66 cm alla sommità; il volume secondario si

incastra in sospensione sul volume primario, ospitan-

do nei 148 mq di superficie netta interna riscaldata

tutti i contenuti abitativi. Viene poi realizzata un’o-

perazione di sottrazione di una parte del volume se-

condario e l’inserimento di altri due volumi. Il taglio

a 60° permette di rivelare il contenuto del volume. Ta-

gliare «l’esoscheletro duro» per rivelare un contenuto

«addomesticato», dove si svolge la vita famigliare. Le

facciate a L, completamente vetrate, permettono di

godere la casa da tutte le stanze e di accedere al sog-

giorno esterno.

La sottrazione al volume secondario sul lato della

strada forma l’accesso. In questo vano si inseriscono

il terzo volume dalla sezione a L, dallo spessore di 40

cm, che caratterizza l’entrata. La forma è giustificata

dalla necessità statica di sostenere il solaio interno li-

berando l’angolo vetrato da pilastri portanti. Il quarto

volume, inserito nel vano, va a formare «l’approdo»

a forma di rampa che porta alla quota dell’abitato.

Il soggiorno esterno è in contatto diretto col terreno

naturale (non è un tetto), ospita un prato steso a rotoli

Luca Coffari

Casa monofamiliare, Biasca

precoltivati come se fosse un tappeto. I serramenti

sono in alluminio termolaccato antracite perché non

volevamo parti «luminose» che riflettessero la luce

diurna ma che rimanessero in ombra. Il pavimento è

realizzato su tutte le superfici della casa sia all’interno

che all’esterno, in betoncino finito Duratex pigmen-

tato antracite con il 4% di colore nero nella massa, ac-

curatamente lisciato e trattato con una lacca di finitura

indurente, scelto per dare uniformità e rafforzare

l’idea dell’abitare su una quota unica.

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Pianta

Schema compositivo

Sezione soggiorno

Sezione camere

1 Volume primario: estrusione

2 Volume secondario: incastro in sospensione

3 Terzo volume: definizione entrata e struttura

4 Quarto volume: approdo

5 Taglio volume secondario a 60°

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Casa monofamiliare; Biasca

Architetto Luca Coffari; Coldrerio

Collaboratore R. Coffari

Ingegnere Project Partners; Grancia-Lugano

Fotografo Filippo Simonetti; Brunate

Date progetto: 2008-2009

realizzazione: 2010-2011

Modellista Benjamin Marchesoni; Lamone

Impresario costruttore Muttoni SA; Faido p. 12

Elettricista Elettrobiasca 2 SA; Biasca p.12

Sanitario e riscaldamenti Thermonord SA; Biasca p.12

Sistemi costruttivi a secco Knauf SA; Lugano p.6

Serramenti Vitrocsa Design System

Protezioni solari Griesser SA; Cadenazzo

Arredi LaCasa Interior Design; Mendrisio

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

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dell’edificio (piano terra) che lungo le sue facciate

(primo piano). Questa scelta strutturale consapevole

e fondamentale, pur se tecnicamente impegnativa,

è scaturita grazie anche al contributo sostanziale

dell’ingegnere civile. La rampa d’accesso come ele-

mento eccezionale è slegata dalla logica strutturale

dell’autorimessa e funge da sfondo al piazzale d’ac-

cesso verso la ferrovia.

Il progetto nasce dalla necessità della committenza

di trovare una nuova collocazione per i posti macchi-

na presenti nell’area del Centro di Manutenzione di

Camorino. L’incarico chiedeva la nuova edificazione

di circa 80 posteggi una parte dei quali chiusi per esi-

genze legate alla sicurezza. Un programma di natura

prevalentemente infrastrutturale che una commit-

tenza avveduta e lungimirante ha saputo, e voluto,

tematizzare in un progetto.

Il terreno, ubicato sul piano di Magadino, fa parte

di un più vasto comparto occupato dal Centro per

la Manutenzione delle strade nazionali. Delimita-

to a nord dalla linea ferroviaria del Gottardo e di

AlpTransit, a sud dalla strada d’accesso al centro di

manutenzione, si presenta come una superficie qua-

si perfettamente orizzontale libera da costruzioni. Il

contesto si connota invece per un’occupazione dif-

fusa di capannoni artigianali, industriali e ammi-

nistrativi. In lontananza le montagne che, in netto

contrasto con il disordine delle immediate adiacenze,

costituiscono il chiaro limite del paesaggio e che re-

stituiscono al luogo la tranquillità di un riferimento a

grande scala.

Un edificio, elementare nella sua semplicità, occupa

l’intera larghezza del sedime a disposizione e tenta,

tramite la sua dimensione e la sua espressione, un dia-

logo con la grande scala del paesaggio e delle infra-

strutture viarie che lambiscono il sedime (autostrada,

ferrovia, ). La sua ubicazione segna, caratterizzando-

lo, l’ingresso al centro di manutenzione. Il volume

progettato è completamente sollevato per liberare lo

spazio orizzontale del piano campagna. Questa solu-

zione genera uno spazio coperto ma aperto sulle su-

perfici adiacenti che divengono così parte integrante

del sistema. Gli spazi residui ed abbandonati sono

così praticamente assenti.

Alla grande continuità ed alla trasparenza del pia-

no terreno si contrappone un piano superiore com-

pletamente chiuso ed introverso che risponde alla

richiesta di posteggi chiusi. Una facciata astratta e

continua, realizzata con un unico modulo di pannelli

in lamiera d’alluminio presso-piegata, azzera ogni ri-

ferimento alla scala ed alla funzione dell’intervento.

La struttura tocca il suolo solo puntualmente ed

evidenzia aggetti significativi grazie anche alla pre-

compressione delle solette. L’edificio pare così librarsi

sul terreno. La cadenza e la disposizione dei pilastri,

arretrati rispetto al filo delle facciate, consentono

la disposizione dei veicoli sia lungo l’asse centrale

Bonetti e Bonetti architettiBernardoni SA

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Autorimessa CMB, Camorino

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Autorimessa Centro Manutenzione Camorino CMB

Committente Sezione della Logistica

Cantone Ticino

Architetti Bonetti e Bonetti architetti;

Massagno

Ingegneria e realizzazione Bernardoni SA; Lugano

Ingegnere elettrotecnico Tecnoprogetti SA; Camorino

Consulente costr. metalliche Didier Grandi SA; Rivera

Date progetto: 2005-2008

realizzazione: 2009

Impresario costruttore Bossi e Bersani SA; Bellinzona

Precompressione Stahlton SA; Mezzovico

Metalcostruttore Officine Canova; Chiasso

Impermeabilizzazioni Lotti SA; Lumino

Pavimentazione Consorzio Novastrada SA; Taverne

ATAG AG; Erstfeld

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Pianta piano superiore

Sezione trasversale

Sezione di dettaglio

Pianta piano terra

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

foto Helene Binet

Silvia GmürReto Gmür

Casa ai Pozzi, Minusio

è dunque evidenziata anche da questo espediente.

La facciata in vetro non è chiusura ma solo protezio-

ne termica e rappresenta invece l’assoluta apertura

verso il paesaggio. Delle tende traslucide sono dispo-

ste tutto attorno allo spazio della casa. Esse permet-

tono di scegliere la parte di paesaggio che si vuole

accogliere all’interno. Le tende trasformano la casa

in uno spazio intimo di protezione che sembra gal-

leggiare nel paesaggio piuttosto che essere ancorata

al terreno.

Matematica e proporzione sono gli elementi che deter-

minano la forma e la struttura dello spazio. I pochi ma-

teriali conservano la loro espressione arcaica.

L’acqua che scorre attraverso la terra della valle, è stata

catturata e diretta in due bacini che riflettono la luce.

Il nostro obiettivo per questo progetto è stato quello

di riflettere sulle questioni fondamentali dell’archi-

tettura, non certo quello di soddisfare delle esigenze

specifiche dettate dal programma.

«Il progetto, prima che strumento di trasformazione,

è strumento di conoscenza» (Luigi Snozzi).

Tuttavia ogni progetto trasforma sempre il suo autore.

Alcune delle domande che ci siamo posti sono: Qual è

l’essenza di una casa? Come si esprime il rapporto tra

pubblico e privato? Come tocca il suolo la casa? Quale

relazione si instaura col paesaggio? Come si comporta

l’edificio rispetto alla pendenza (cioè, quando non ci

sono né riferimenti orizzontali né verticali)?

La casa è in primo luogo la protezione fisica e psico-

logica dell’uomo e crea un limite tra uno spazio usato

individualmente e il mondo esterno. Il passaggio dal

privato al pubblico simboleggia il rapporto dell’indi-

viduo con la società. Nella casa ai Pozzi, questi spazi di

transizione hanno un carattere integrativo in quanto

ancorano l’edificio al paesaggio.

La casa è sempre un artefatto, non c’è simbiosi tra l’e-

dificio e il terreno. Il carattere del dialogo tra natura

e artefatto determina la specificità del progetto.

La parcella della casa ai Pozzi è di forma triangola-

re, si colloca obliquamente rispetto alla strada ed è

situata su un ripido pendio. È stato dunque sfrutta-

to un terrazzamento pianeggiante per posizionare

il basamento dell’edificio. Da un lato la separazione

della casa dal pendio permette di percepire lo stesso

ordine architettonico su tutti i lati, dall’altro le quat-

tro pareti trasformano la topografia permettendo un

confronto diretto di ogni facciata con il paesaggio cir-

costante. Questo gesto genera una tensione più forte

rispetto all’opzione di integrare l’edificio nel terreno.

L’edificio è indipendente ma allo stesso tempo il con-

testo paesaggistico diventa parte del suo interno.

Due unità identiche formano un tutto. La loro posi-

zione speculare esprime dualità e complementarità

ma anche l’equilibrio nell’asimmetria.

I pochi elementi della casa sono costituiti dalla strut-

tura e dall’involucro. Gli elementi di arredamento ne-

cessari, come ringhiere, cucina e bagno, sono subor-

dinati al tutto e sono realizzati in cemento.

Due pilastri di cemento speculari, che contengono

anche gli spazi di servizio, formano con i tre solai,

sempre di cemento, la struttura dell’edificio e defini-

scono gli spazi della casa. La pianta rettangolare (12 x

24 m) è divisa in spazi interni ed esterni, ognuno dei

quali contiene una porzione di questi pilastri. L’unità

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Casa ai Pozzi; Minusio

Committente Silvia Gmür

Architetti Silvia Gmür, Reto Gmür Architetti;

Basilea

Collaboratore J. B. Machado

Ingegnere A. Basetti, Dr. Lüchinger+Meyer

Bauingenieure AG; Zurigo

Specialista imp. riscaldamento W.Haldemann, Waldhauser

Haustechnik AG, Münchenstein

Specialisti imp. sanitario Gode AG Baden; Dättwil

EE Design; Basilea

Specialista imp. elettrico PPEngineering; Basilea

Architetto paesaggista August Künzel; Binningen

Fotografo foto Helene Binet; Londra

Date progetto e realizzazione: 2007-11

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Pianta piano superiore Pianta piano inferiore

Sezione trasversale

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foto Walter Mair

e Filippo Simonetti

Jachen KönzLudovica Molo

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Casa al Ronco, Pregassona

La casa sospesa

La casa sospesa è l’abitazione per una coppia e si collo-

ca su una collina con una vista magnifica in un quar-

tiere di villette nella periferia di Lugano.

Il lotto, per secoli terreno agricolo, è terrazzato. L’ubi-

cazione delle case unifamiliari adiacenti ha compro-

messo la qualità originaria del terreno introducendo

terrapieni, muri di sostegno e recinti e lasciando spazi

interstiziali indefiniti.

Il progetto crea un mondo a sé stante: tutte le funzioni

si svolgono all’interno di un corpo che, staccandosi

dal terreno, ne garantisce la continuità. Il prato viene

conservato nella sua essenzialità. La messa a dimora

di un ciliegio vicino al nuovo accesso, un orto sul lato

est e un frutteto sul lato ovest costituiscono gli unici

interventi esterni. Il giardino abitato entra all’interno

della casa.

Dentro il volume della casa un paesaggio composto

da terrazze interne che rispondono all’andamento

del pendio e alla vista forma uno spazio continuo

intorno alla grande terrazza. La luce entra attraverso

corpi di varie dimensioni incavati nel volume: la grande

terrazza, una piccola corte che funge da parete diviso-

ria nella zona notte e un lucernario che corre lungo

tutta la zona giorno. La corte presenta un microclima

simile a quello di una serra e consente di penetrare

l’edificio con piante. Il lucernario lungo il soggiorno

svolge anche la funzione di captare il calore, garan-

tendo un basso consumo energetico.

Tutto l’edificio è in legno, costruzione, rivestimenti

esterni e interni compresi. Una costruzione in legno

è vantaggiosa non solo per leggerezza, velocità nella

realizzazione e caratteristiche ecologiche, ma ha

anche una grande qualità statica, che, abbinata alla

necessità di staccare il legno dalla terra e dall’umidità,

ci ha indotto ad optare per una costruzione sospesa.

L’elemento di raccordo con il terreno è il posteggio,

il cui zoccolo contiene i locali tecnici. Si accede alla

casa tramite un piccolo ponte, che si stacca dalla terra

e conduce ad un mondo tutto interno, proiettato verso

l’orizzonte.

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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Casa al Ronco; Pregassona

Committente Eliana Fuchs e Renzo Viganò

Architetti Jachen Könz e Ludovica Molo;

Lugano

Statica e costruzione in legno Xilema; Bedano

Ingegnere civile Geo Viviani; Lugano

Specialista elettrotecnico Riva Elettroprogress; Ponte Tresa

Specialista sanitario Copa e Co; Viganello

Specialista VR Aircond Ser vice; Bioggio

Fotografo Walter Mair; Zurigo

Date progetto di concorso: 2006

realizzazione: 2007

Falegname Veragouth SA; Bedano

foto Filippo Simonetti

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Sezione longitudinale

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Principio costruttivo-strutturale

Travi parallele

Travi perpendicolari

Assemblaggio

Pianta livello superiore

Pianta livello inferiore

Pianta degli appoggi

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Sezione cavedio

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Villa a Vacallo

foto Siegfried J. GragnatoIvano Gianola

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Si tratta di un’abitazione monofamiliare con un pia-

no fuori terra e uno interrato.

Il piano terreno si compone di una rimessa per due

auto, l’atrio entrata con guardaroba e il servizio ospi-

ti, un grande soggiorno da cui si accede direttamente

al portico e al giardino. Il soggiorno mette in contatto

anche lo studio, la cucina e la camera padronale con

guardaroba e bagno. Al piano interrato si trovano i

locali di servizio: lavanderia e stireria, riscaldamento,

deposito, cantina, e una serie di armadi.

Le facciate esterne sono formate da una muratura

doppia isolata, con rivestimento in serpentino verde.

I serramenti scorrevoli del portico-terrazza, pavimen-

tato con la stessa pietra delle facciate, così come la

zona d’ingresso e il garage, ma con un diverso tratta-

mento, sono in alluminio termolaccato. La zona gior-

no è caratterizzata dal volume che contiene il camino

rifinito in stucco veneziano di colore rosso. Tutti i pa-

vimenti del piano terreno sono realizzati in wengé a

doghe, la scala e il pavimento del piano interrato sono

rivestiti in resina.

Villa a Vacallo

Committente Giovanni Ostinelli; Chiasso

Architetto Ivano Gianola; Mendrisio

Ingegnere Giani e Prada; Lugano

Fotografo Siegfried J. Gragnato; Stoccarda

Date realizzazione: 2007-2009

Impresario costruttore Fossati SA; Mendrisio

Impianti RVS Fratelli Branca; Mendrisio

Impianto elettrico Elattro Mastai SA; Riazzino

Serramenti Binetti SA; Canobbio

Particolare cura è stata dedicata alla scelta delle es-

senze del giardino: olivi, ligustrum, osmantus, cor-

bezzoli, lecci, feijoa, melograni, sugheri, callistemon citrinus, gelsomini e philadelphus levisii disegnano il

giardino.

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Pianta piano interratoPianta piano terra

Sezione longitudinale

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54

Il terreno si situa nella zona collinare di Gordola ed è

orientato verso il lago e il Piano di Magadino. Il lotto

è caratterizzato dalla preesistenza di due rustici: uno

nella parte piana a valle ed uno in quella in pendenza

a monte, sottostante la strada d’accesso; le due zone

sono divise da una valletta intermedia.

La nuova casa è un volume parallelepipedo posto al

limite del cambio di pendenza; aperto sia a valle che

a monte si relaziona con il paesaggio e con le carat-

teristiche topografiche del sito. La sua collocazione

permette di salvaguardare i rustici e di trasformarli in

spazi accessori. La struttura portante si limita a due

appoggi interni che sospendono la casa dal terreno e

permettono di non stravolgerne la fragile e particola-

re topografia.

Due travi longitudinali poggianti su due plinti portano la

soletta di copertura, la soletta inferiore appesa tramite

quattro tiranti centrali e le pareti laterali. La struttura

portante è l’espressione dell’edificio e al contempo lo

organizza spazialmente. Lo spazio interno ne risulta

così suddiviso: camere agli estremi e spazi giorno e di

servizio al centro.

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Nicola BasergaChristian Mozzetti

Ingegneri Pedrazzini Guidotti foto Nicola Roman Walbeck

Casa Minghetti-Rossi, Gordola

Committente Tiziano Minghetti e Monica Rossi

Architetti Nicola Baserga,

Christian Mozzetti; Muralto

Collaboratore R. Arrivabeni

Ingegneri Ingegneri Pedrazzini Guidotti;

Lugano

Specialista SV Studio tecnico Idalgo Ferretti; Pura

Protezione antincendio Giovanni Laube,

IFEC Consulenze; Rivera

Architetto paesaggista Giorgio Aeberli; Gordola

Fotografo Nicola Roman Walbeck; Düsseldorf

Date progetto: 2010

realizzazione: 2011-2012

Consulente Pittsburgh Corning SA; S. Antonino

Sistemi costruttivi a secco Rigips SA; S. Antonino p. 61

Impresario costruttore Marchesini G. SA; Mezzovico

Serramenti General Mast Engineering SA;

Stabio p. 61

Protezioni solari Griesser SA; Cadenazzo

Pittore Luca Stauffer; Ascona p. 60

Impianto elettrico Pedrioli SA, Locarno p. 60

Impianto d’allarme Sicurtech SA; Bioggio p. 12, 61

Falegname e pavimenti Oswald Wyrsch Schreinerei;

Attinghausen p. 60

Casa Minghetti-Rossi, Gordola

Page 57: rivista archi 1/2013

55

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Page 58: rivista archi 1/2013

56

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Sezione longitudinale

Pianta abitazione

Pianta struttura

Sezione trasversale

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57

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

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58

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

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59

L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O

Page 62: rivista archi 1/2013

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Page 64: rivista archi 1/2013

62

D I A R I O T I

Paolo Fumagalli

Diario dell’architettodel 16 gennaio 2013

line sono (salvo i luoghi dorati dei milionari con vista

lago) gli abitanti delle città stesse, costretti a cercare

un’alternativa ad affitti divenuti troppo cari nei centri

delle città. Secondo, gli enti comunali, per nulla pre-

occupati di questa «emigrazione», dilatano le aree

edificabili e asfaltano nuove strade in periferia. Mai

però hanno fatto un «progetto» architettonico di carat-

tere collettivo, anzi di qualità per la collettività. Non si

conta un quartiere, nemmeno uno, degno di questo

nome. Un quartiere vero, come lo definisce l’Enciclo-

pedia Treccani: «Nucleo o settore che, all’interno di

una città, si individua rispetto al restante agglomerato

urbano per particolari caratteristiche geografiche e

topografiche». Quartiere capace di offrire abitazioni

di qualità a costi controllati, con aree verdi in comu-

ne, con strade veicolari divise dai pedoni e percorsi pe-

donali per raggiungere le scuole e le fermate dei mezzi

di trasporto pubblico e i negozi e così via. In assenza

di questi quartieri, il tutto è lasciato all’iniziativa

della proprietà privata, che – per carità, talvolta an-

che bene – ha costruito singoli palazzi su singoli terre-

ni. Nel Cantone Ticino «insomma» le città, come già

si è scritto in queste colonne, le fanno i privati, non gli

enti pubblici: e i privati, come è logico, fanno i loro

interessi. Dalla periferia alle colline il discorso è for-

se più grave, perché lo spezzettamento del territorio è

ben maggiore, non è per niente piatto ma contorto in

mille pieghe e mille pendii, perché i muri di sostegno

la fanno da padrone per tirare orizzontale quello che

non lo è per posarci sopra un tavolo con delle sedie, un

ombrellone e l’immancabile barbecue.

Un effetto inatteso: le nuove emergenze

nel paesaggio

Se da un lato questa evoluzione urbanistica e le conse-

guenze che implica sono un’azione dinamica nella

sua negatività, a fianco emerge un altro effetto – inat-

teso – di carattere invece passivo, non provocato ma

subìto: la sempre maggiore importanza che, per la

qualità del paesaggio, hanno oggi assunto le aree

emergenti e di eccezione dentro il contesto edificato.

Emergenti per il loro valore intrinseco, come ovvio,

ma anche per la loro eccezionalità dentro questo

paesaggio modificato, oppure per il loro ruolo di

equilibrio dentro un’urbanizzazione diffusa. Alcune di

queste aree sono protette a livello cantonale o comu-

nale, ma molte invece hanno acquisito questo ruolo

di «emergenza» in questi ultimi anni: non tanto per

qualità proprie o perché abbellite di recente, ma per-

Le derive estetiche del paesaggio

Paesaggio è in definitiva una definizione generica,

nel senso che ci si può mettere dentro un po’ di tutto, città

periferie villaggi colline montagne boschi radure prati

pianure agricoltura e così via. Tutte componenti che

vanno a configurare il paesaggio. Ma se questo pae-

saggio presenta – come presenta – degli squilibri e del-

le incongruenze e importanti perdite di valori, allora

occorre capire dove e perché. Il dove: i luoghi più

problematici del paesaggio sono le periferie delle cit-

tà, sono le aree circostanti i villaggi, sono le colline che

circondano gli abitati, sono i fondovalle e sono le rive

dei laghi. Infatti: all’interno delle città le normative

pianificatorie sono chiare (pur con molte contraddi-

zioni) e gli interventi pianificatori e architettonici

sono bene o male tesi verso una qualificazione spaziale

dei luoghi della collettività, le piazze, le strade, le zone

pedonali. Nelle periferie invece la dilatazione del co-

struito è avanzata con normative legate in prevalenza

alle quantità, molto meno sulla qualità. Abban-

donati al loro destino (qualitativo) sono soprat-

tutto gli spazi pubblici, dalle strade che si limitano a

incanalare il traffico alle aree verdi che sono piutto-

sto terreni di risulta o alle zone pedonali che sono

inesistenti. Sulle colline la situazione è identica, forse

anche peggio: affastellate le une sulle altre in piccoli

appezzamenti, ville e villette si disperdono lungo viot-

toli e strade tracciate a caso su per i pendii, sopra muri

in pietra, in cemento, in prefabbricati «fai da te», coro-

nati da alte siepi alla ricerca di un’utopica privacy.

E lontane tutte dai mezzi di trasporto pubblico. Nessu-

na area di svago, un parco che sia un parco: tanto

– dicono – i sentieri di montagna sono poco distanti.

Ma se le colline piangono, i fondovalle non ridono: oc-

cupati dalla cacofonia dei capannoni industriali e dei

depositi, lungo strade percorse da camion di giorno e

deserte di notte, su terreni ritenuti di nessun valore

naturalistico o paesaggistico, offrono un quadro deso-

lante nella loro banalità urbana. Non una gerarchia,

un momento di «respiro spaziale», un viale alberato.

Nulla.

Le cause e gli effetti

Premesso che l’evoluzione di un territorio è un fatto

positivo perché traduce un’economia dinamica, vi è

tuttavia da chiedersi come questa evoluzione avviene.

E se di storture si tratta, occorre valutarne le cause e

le conseguenze. Sono riconducibili fondamentalmen-

te a due aspetti. Primo, chi occupa le periferie e le col-

Page 65: rivista archi 1/2013

63

D I A R I O T I

ché è il «resto» che sta intorno ad essere cambiato, a

essersi totalmente urbanizzato. E quindi queste aree

sono rimaste come uniche isole di qualità e di identità

e di eccezione dentro la banalità del paesaggio. La di-

latazione del costruito è una realtà preoccupante se si

osserva la spalmatura di ville e palazzine nel Mendri-

siotto o in Capriasca o in sponda destra del Ticino tra

Bellinzona e Gordola, o addirittura drammatica su

per le falde del Brè sopra Lugano o del San Salvatore

sopra Paradiso o a Orselina sopra Locarno. E sempre

più evidente emerge, quale contrappunto, il valore di

quello che resta dei quartieri di primo Novecento a

Minusio o Muralto o Bellinzona o Mendrisio, oppure

singoli edifici grandi o piccoli degli anni Sessanta e

Settanta, oppure ancora le macchie ancora verdi nelle

periferie di Lugano o Mendrisio o Bellinzona o Locarno,

o il ponte in ferro o pietra di fine Ottocento. Oggi in-

somma un terreno non ancora edificato posto dentro

una periferia anonima può avere un’importanza –

per l’equilibrio del paesaggio – ben maggiore rispetto

a cinque o dieci anni fa. Ma questo luogo divenuto oggi

paesaggisticamente importante è ancora edificabi-

le, come lo erano gli altri terreni circostanti. Il Piano

regolatore, nato al minimo un dieci anni fa, ovvia-

mente ne ignorava il ruolo strategico attuale, e ne pre-

vede la sua edificabilità.

Progettare significa scegliere

In estrema sintesi, il paesaggio è afflitto da due fattori:

primo, l’eccessiva dilatazione dell’abitato nelle perife-

rie delle città e sulle colline che sovrastano laghi e vil-

laggi e pianure; secondo, luoghi e spazi edificabili cir-

condati dalla dilatazione diffusa dell’edificato e dalla

sua banalità sono oggi divenuti importanti per la qua-

lità e l’equilibrio del paesaggio. Ma poiché piangere

serve a ben poco, occorre riflettere non tanto su pos-

sibili rimedi, ma piuttosto sulla necessità di «disegna-

re», o se si preferisce di progettare, questo paesaggio

in profonda trasformazione. Poiché progettare signi-

fica in primo luogo scegliere per determinare valori e

gerarchie, queste scelte non possono che essere tre:

primo, arrestare la dilatazione del costruito mediante

una riduzione delle aree edificabili; secondo, per ga-

rantire lo sviluppo (indispensabile) di città e agglo-

merati operare una densificazione del costruito all’in-

terno degli abitati; terzo, salvaguardare edifici e spazi e

aree verdi importanti per la qualità del paesaggio.

Strumenti per progettare il territorio

Di questa rapida evoluzione è cosciente anche il Can-

tone, che in questi ultimi decenni ha assunto un ruolo

attivo e propositivo e si è dotato di strumenti giuridici

per un maggiore controllo del territorio. Alcuni già

da alcuni anni, come il Piano Direttore (un progetto

di organizzazione territoriale per orientare le trasfor-

mazioni dell’insieme del Cantone), altri più recenti

come i Programmi di agglomerato, i Piani di utilizza-

zione cantonale (puc, pianificazioni intercomunali

per aree complesse), i Concetti di organizzazione ter-

ritoriale nelle diverse regioni, gli Inventari dei paesaggi

di importanza cantonale, i Progetti di paesaggio com-

prensoriale (linee guida per comprensori geografica-

mente unitari). Sono strumenti pianificatori e proget-

tuali importanti, alcuni dei quali, istituiti di recente,

non hanno ancora trovato uno sbocco concreto e

sono in fase di gestazione ed elaborazione. Ma stru-

menti comunque indispensabili per gestire l’edificato

in un Cantone che progressivamente si è quasi intera-

Page 66: rivista archi 1/2013

mente urbanizzato e che richiede strumenti legislati-

vi capaci di gestire un intero territorio, e non solo il

ridotto limite comunale dei Piani Regolatori.

Legge federale sulla pianificazione

del territorio: la votazione del 3 marzo

Poiché i problemi urbanistici tratteggiati in Ticino sono

in definitiva identici a quelli che si osservano in altri

Cantoni svizzeri, pur nelle loro maggiori dimensioni, a

Berna il Governo e il Parlamento hanno approvato

una revisione della lpt, la Legge federale sulla pianifi-

cazione del territorio. Contro questa revisione è stato

promosso un referendum e si andrà a votare il 3 marzo

2013. Cosa prevede questa revisione? Sostanzialmente

due misure: primo, l’obbligo di ridurre le zone edifica-

bili sovradimensionate. Sono terreni per la maggior

parte ancora liberi da edifici posti all’esterno delle

zone abitate, e che non ha più senso oggi edificare per

non dilatare ulteriormente gli agglomerati. La seconda

misura riguarda il plusvalore: vale a dire la tassazione

dell’aumento del valore economico di un terreno edifi-

cabile se questo viene inserito in una zona edificabile,

oppure quando aumenta l’indice di sfruttamento. Un

bel regalo e un evidente guadagno per il proprietario e

che la Confederazione vuole tassare per un principio

ovvio di parità di trattamento.

Legge cantonale sullo sviluppo territoriale:

plusvalore

Anche il Cantone Ticino si muove in parallelo con la

Confederazione e propone una modifica alla Legge

sullo sviluppo territoriale legata ai vantaggi e svantag-

gi che derivano dalla pianificazione. In concreto, si

vuole tassare il plusvalore di quei terreni che vengono

resi edificabili oppure che beneficiano di un aumento

della loro edificabilità (altezze e indici di sfruttamento).

Il ricavato di questa tassa andrebbe ad alimentare un

fondo a favore del paesaggio, e in particolare per in-

dennizzare quei proprietari i cui terreni o edifici

sarebbero vincolati o addirittura resi inedificabili.

Non credo che le misure proposte dalla Confedera-

zione e dal Cantone siano una rivoluzione o un atten-

tato contro la proprietà privata e il libero mercato,

come si vuol far credere. Ma piuttosto una scelta civile

a favore della qualità del paesaggio, a favore della col-

lettività. Sono strumenti oggi indispensabili per fron-

teggiare la sempre maggiore trasformazione di un

territorio la cui qualità si regge su rapporti estrema-

mente delicati. E, aggiungo, per far sì che i rapporti di

forza tra pubblico e privato ritrovino quell’equilibrio

che in questi ultimi decenni di boom immobiliare

sembra andato perso.

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Page 67: rivista archi 1/2013
Page 68: rivista archi 1/2013

66

ministrativi a Lisbona e Lima, in Perù. Non sappia-

mo come sia entrato in contatto con i promotori,

possiamo solo presumere che, oltre all’attività pro-

fessionale nota, sia le ville sul lago realizzate in Ti-

cino per diversi clienti facoltosi che le amicizie e le

conoscenze personali in occasione dei suoi soggior-

ni invernali a Sils e St. Moritz e la signorilità del per-

sonaggio stesso abbiano fruttato i contatti necessari.

Possiamo ammirare a Zaragoza un Mariotta appa-

rentemente diverso da quello che opera negli stessi

anni nel locarnese, un architetto consapevole delle

esigenze contemporanee, delle nuove tipologie ne-

cessarie a coprire i fabbisogni della modernità. L’e-

dificio si erge in verticale oltre i limiti di quelli circo-

stanti, e pur sforzandosi di conservare i tradizionali

portici commerciali della capitale aragonese, parla

un linguaggio innovativo, funzionale e moderno

anche all’interno di questi ultimi. La trama leggera

delle solette in metallo fotografate durante il cantie-

A volte ci si imbatte in progetti inaspettati come

quelli di un architetto, Paolo Mariotta, di cui si co-

nosce vagamente l’attività professionale soprattutto

per i rimandi e le citazioni trovate fra le riviste di

storia dell’architettura.1 Ma è sorprendente scoprire

come un architetto, visto in patria come esempio sì

di eleganza e di rigore, ma anche di attenzione agli

aspetti più storicistici e tradizionali di un’architettu-

ra regionalista, abbia progettato e costruito all’este-

ro edifici moderni e innovativi in paesaggi urbani,

forse sufficientemente lontani da una realtà troppo

conosciuta che non gli permetteva di esprimersi li-

beramente. Ne è un esempio la realizzazione del

grande edificio commerciale per sepu a Zaragoza,

Spagna. Progettato a partire dal 1963 ed inaugurato

nel 1967, è il terzo di una serie di collaborazioni in-

stauratesi a partire dal 1951 fra l’architetto Mariot-

ta e la direzione dei grandi magazzini spagnoli. La

sepu, Sociedad Espanola de Precios Unicos, viene

fondata già nel 1934 da cittadini stranieri, le fonti

citano fra gli altri gli svizzeri di origine ebraica Hen-

ry Reisembach e Alexander Goestschet. Il grande

magazzino popolare entra sul mercato spagnolo nel

1935, istallandosi a Madrid sulla Gran Via in un edi-

ficio che era stato l’emblema dei grandi magazzini

francesi «Paris-Madrid» e proponendo la vendita di

diversi articoli al medesimo prezzo secondo una tec-

nica impiegata dal gruppo americano Woolworth.

Filiali nascono in seguito a Barcellona e Zaragoza e

a Mariotta, dopo una prima trasformazione dell’em-

porio originario di Madrid nel 1951 e una seconda

collaborazione nel 1952 per quello di Barcellona,

viene commissionato un progetto impegnativo per

Zaragoza. Si tratta di intervenire con un nuovo edi-

ficio sul Paseo de la Independencia, in un tessuto

urbano di transito e di commercio già densamente

edificato, partendo dalla demolizione parziale di

uno stabile adiacente ad importanti edifici storici,

sedi rispettivamente della Union Y el Fenix Espanol

(committente del progetto) e del Banco Hispano-

Americano.

Di Paolo Mariotta si conosceva già il nuovo Feld-

pausch di Zurigo, inaugurato nel 1949, e di cui la

Neue Zürcher Zeitung aveva ampiamente riferito;

aveva inoltre lavorato a diversi progetti di empori

commerciali situati nei centri di Lucerna, Ginevra

e Basilea. Dopo la partecipazione al concorso per i

nuovi grandi magazzini Bekas a Malmoe in Svezia

nel 1950, aveva realizzato edifici commerciali e am-

Edificio commerciale SEPU a ZaragozaPaolo Mariotta architetto, 1905-19721

T IA R C H I V I A R C H I T E T T I T I C I N E S I

A cura diAngela Riverso OrtelliFondazione Archivi Architetti Ticinesi

L’edificio della SEPU, Zaragoza 1963-1967

Page 69: rivista archi 1/2013

67

re, si ripete nei dieci livelli sopra i portici, separata

da questi ultimi da una sottile fascia completamen-

te vetrata a marcare lo stacco del volume dalla base

e che assumerà maggiore rilievo solo sulla facciata

laterale all’interrompersi dei portici. La verticalità

è accentuata dalla scelta finale di marcare la strut-

tura portante della facciata con leggeri montanti in

metallo e di sovrapporla alle fasce di chiusura oriz-

zontali che marcano le solette e corrono lungo tutto

il perimetro. A chiudere il volume, nei disegni, un

piano attico poi non realizzato. Mariotta collabora

con la direzione sepu e con gli architetti locali che

firmano il progetto, José Jarza e Teodoro Rios,2 si

reca in cantiere e riceve puntualmente rapporti e

fotografie dei lavori in corso. La documentazione

conservata in archivio riguarda soprattutto gli studi

prospettici per le diverse varianti di facciata, le fo-

tografie di cantiere e dell’edificio terminato, poca

corrispondenza e la rivista di costruzione madrile-

na «Obras» del 1968, con la descrizione e diverse

fotografie dell’immobile e in copertina la facciata

principale. Ma un’ulteriore conferma dell’impe-

gno personale di Mariotta e del valore riconosciuto

dell’opera ci viene da un sottile cartoncino bianco,

inserito fra le pagine della rivista spagnola.

È il riconoscimento, i «Complimenti per la bella co-

struzione». La firma: Augusto (Jäggli).

T IA R C H I V I A R C H I T E T T I T I C I N E S I

Vista dei portici. Fondazione A ATVista dal Paseo de la Indipendencia. Fondazione A AT

Paolo Mariotta, ca 1960

Per gentile concessione di Alfredo Mariotta

Note 1. Simona Martinoli in ast, n.133, p. 47

2. «Obras», n. 112, Madrid 1968, p. 20

Bibliografia – Fondazione aat, Fondo 005,

architetto Paolo Mariotta, pr. 124

– http://revisioninterior.blogspot.ch/2010/04/grandes-

almacenesen-espana

Page 70: rivista archi 1/2013

68

getico. La ricerca, che si basa su fonti bibliografiche e

archivistiche, è stata effettuata dagli architetti France-

sca Albani, Giulia Marino e Yvan Delemontey, ricer-

catori e docenti nelle rispettive università e da esperti

del settore inviatati a presentare i loro contributi in

giornate studio volte allo scopo di approfondire tema-

tiche specifiche.

Sono state coinvolte molte discipline affini nella sua ricerca CUS, che ne sottolineano il carattere interdisciplinare e la com-pletezza.La tutela del patrimonio architettonico si basa su un

approccio interdisciplinare che coinvolge architetti,

ingegneri (strutturisti e impiantisti), fisici della co-

struzione, chimici dei materiali, restauratori, econo-

misti, giuristi, ecc. All’interno della ricerca questo

aspetto è tenuto in estrema considerazione, sia per

quanto riguarda l’analisi della costruzione dell’edi-

ficio (fase di cantiere) – per esempio lo studio della

Tour Nobel risulterebbe assolutamente superficiale

senza comprendere il contributo di Jean Prouvé – sia

la fase di restauro – come nel caso dell’intervento di

consolidamento della fabbrica Olivetti a Crema rea-

lizzata con strutture in calcestruzzo precompresso.

La ricerca si inserisce all’interno del Swiss Cooperation

Project in Architecture (2008-2012), finanziato dalla CUS, Conferenza Universitaria Svizzera, ed è basata sulla collabora-zione tra USI, EPFL, ETHZ e SUPSI. È strutturata in quattro se-zioni: strumenti critici per la storia, il riuso e il restauro; storia materiale del costruito e il progetto di conservazione; strumenti critici per il restauro urbano; strumenti metodologici per la pra-tica del restauro.

Laura Ceriolo: Le opere del XX secolo non si sono dimostrate così durabili, ma necessitano di una nuova declinazione del restauro. Perché?Franz Graf: Tutti i manufatti architettonici dal mo-

mento della loro realizzazione sono soggetti a proces-

si di invecchiamento, compreso quindi le architetture

moderne e contemporanee che si credeva realizzate

con materiali (quasi) indistruttibili – acciaio, vetro,

calcestruzzo –, ma che in realtà si sono rivelate fragili,

spesso costruite in modo sperimentale ed economico.

Il patrimonio architettonico costruito nel XX secolo

oggi appare il luogo privilegiato di lavoro dell’archi-

tetto sia per la sua dimensione quantitativa sia per le

questioni teoriche che solleva. Il progetto di architet-

tura che si occupa dell’esistente si definisce progetto

di tutela, sia nella sua accezione rivolta alla conserva-

zione sia in quella della nuova realizzazione. La storia

materiale del costruito contemporaneo, che si occupa

della conoscenza dei materiali, dei cantieri e dei siste-

mi costruttivi sviluppati nel XX secolo, è base impre-

scindibile per il progetto. Da qui il ruolo centrale di

questo campo di ricerca all’interno dell’Enciclopedia

critica.

Quali sono dunque i settori di ricerca e gli obiettivi di questa sezione del progetto?La ricerca mira a fornire da un lato conoscenze spe-

cifiche relative alla materialità dell’architettura, ai

sistemi costruttivi utilizzati nel XX secolo, ai fenome-

ni di degrado, alle patologie e alle fragilità che li ri-

guardano, dall’altro individua e analizza in maniera

critica interventi volti alla manutenzione e conser-

vazione oltre che al riuso e alla trasformazione. Tre

sono le tematiche principali: i materiali «moderni»,

con particolare riferimento alle facciate leggere e alle

loro problematiche specifiche; i sistemi costruttivi,

soprattutto i sistemi prefabbricati e industrializzati

e la loro conservazione/trasformazione; i dispositivi

del confort in relazione al progetto tecnologico che

determina un miglioramento dal punto di vista ener-

Riuso e restauro Intervista a Franz Graf* a proposito della ricerca sul riuso e il restauro dell’architettura del X X secolo e sul rapporto fra la storia materiale del costruito e il progetto di restauro.

T IA C C A D E M I A A R C H I T E T T U R A M E N D R I S I O

A cura diLaura Ceriolo

Jean Prouvé, cantiere della Tour Nobel, Parigi-la Défense 1963-1967

Page 71: rivista archi 1/2013

69

In che modo la ricerca ha influenzato la didattica dei suoi corsi universitari o viceversa?I temi della ricerca – storia materiale del costruito e

progetto di restauro – sono presenti da sempre nei

nostri corsi. Non si è mai concepito l’insegnamento

come una materia semplicemente tecnica, senza un

panorama culturale, storico e senza una relazione

con il progetto. Questa consapevolezza ha profonda-

mente influenzato il nostro progetto di ricerca. Ov-

viamente i corsi teorici sono stati rinnovati e per certi

versi ristrutturati per quanto riguarda le fonti archivi-

stiche e documentarie, ma anche l’articolazione di te-

orie e metodi di restauro in relazione alla materialità

del costruito.

La ricerca e la didattica devono o dovrebbero andare di pari passo nell’ambito di un insegnamento accademico, per com-pletarsi ed arricchirsi vicendevolmente. Quali sono stati gli insegnamenti, quali i risultati piu’ significativi del vostro progetto di ricerca?I tre temi principali – in cui si articola la ricerca che si

presenta sotto certi aspetti veramente innovativa, ma

T IA C C A D E M I A A R C H I T E T T U R A M E N D R I S I O

sempre intimamente legata alle problematiche della

tutela e restauro – sono estremamente significativi

per comprendere le specificità dell’architettura del

XX secolo e definiscono una conoscenza articolata e

complessa sul tema, la maggior parte della quale ine-

dita. L’obiettivo non è quello di compilare una docu-

mentazione tecnica – sicuramente interessante, ma

probabilmente riduttiva – ma l’intenzione è di porre

le premesse per «un’altra» storia dell’architettura che

si basa sulla materialità del costruito, oltre che pro-

porre un nuovo modo di concepire il progetto di ar-

chitettura capace di relazionarsi in modo complesso

e rispettoso verso i valori di cui essa si fa portatrice.

Gli insegnamenti che possono essere dedotti da que-

sta esperienza sono fin da adesso molteplici e a diversi

livelli. Vanno dall’offerta dell’industria vetraria che

riproduce i vetri mattoni Nevada, tanto amati da Pier-

re Chareau e da Le Corbusier, alle proposte di proget-

ti sostenibili rispettosi dei valori architettonici che il

patrimonio diffuso veicola che rischiano di scompa-

rire sotto i «cappotti» esterni isolanti proposti come

un’unica risposta alle norme vigenti. Importante inol-

tre è sottolineare che una serie di pubblicazioni, rela-

tive alle giornate studio organizzate all’interno della

ricerca,1 sono già uscite e rappresentano quello che

è stato definito come «la primera piedra de esa disci-

plina, aún por construir, que un día nos permitirá re-

pensar nuestras ciudades desde la – tan necesaria ya –

perspectiva de la reutilización».2

* architetto, professore ordinario di Costruzione e Tecno-

logia all’aam dal 2005 e professore associato di Teoria

e Progetto all’epfl dal 2007. È co-responsabile della

ricerca cus «Enciclopedia critica per il riuso e il

restauro dell’architettura del XX secolo»

Note 1. Franz Graf, Francesca Albani (a cura di),

Il vetro nell’architettura del XX secolo: conservazione e restauro,

Mendrisio Academy Press, 2011

Franz Graf, Yvan Delemontey (a cura di), Architecture indu-strialisée et préfabriquée: connaissance et sauvegarde, ppur, 2012

2. ArquitecturaViva 147 2012, p. 85.

1. Esploso assonometrico della

struttura portante in calcestruzzo

armato prefabbricato della

fabbrica Olivetti di Crema

progettata da Marco Zanuso

e Eduardo Vittoria.

Disegno di Bailey Matew Truan

e Farrell Darragh, corso di

«Tecniche costruttive del XX

secolo», prof. Franz Graf,

AAM, a.a. 2011-12

2. Studio dell’elemento di copertura

in materiale plastico della fabbrica

Olivetti di Crema, 1968-72.

Disegno di Robin Bader, corso di

«Tecniche costruttive del XX

secolo», prof. Franz Graf, AAM,

a.a. 2011-12

1.

2.

1 Struttura opaca in plastica rinforzata

con fibre di vetro GFRP

2 Impermeabilizzazione del plexiglas in gomma

3 Rivetti ciechi per fissare il plexiglas al lucernario

4 Elemento trasparente in polimetalcrilato

5 Aggancio del lucernario

alla trave secondaria

6 Copri-vite

7 Aggancio fra i lucernari

8 Guaina in gomma

4321

765

8

Page 72: rivista archi 1/2013

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Page 73: rivista archi 1/2013

SIAC O M U N I C A T I

Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla revisione della legge sulla pianificazione del territorio. Nella presente intervista, il giurista e Consigliere nazionale Beat Flach spiega in che modo la revisione possa concorrere a supe-rare il «campanilismo cantonale».

Sonja Lüthi: «La pianificazione del territorio si contrappone al federalismo, all’autonomia cantonale, alla proprietà privata – la pianificazione del territorio è un concetto profondamente non elvetico», così Thomas Held in occasione dell’inaugura-zione della mostra itinerante «Idea spazio territorio» tenutasi a Berna. Signor Flach, lei come la pensa al proposito?Beat Flach: Da un lato il signor Held ha certamente

ragione. La pianificazione del territorio aderisce a un

approccio molto poco svizzero, poiché va contro la li-

bertà di pensiero tipicamente elvetica. D’altro canto

però, il desiderio di ordine e l’anelito di giustizia, con-

templati dalla pianificazione del territorio, sono deci-

samente propri del nostro Paese. Direi piuttosto che la

pianificazione del territorio contrasta gli interessi indi-

viduali, ponendo l’interesse comune in primo piano,

il che non è nulla di sconosciuto alla nostra realtà, la

grande sfida è piuttosto insita nel modo in cui realizza-

re tutto questo.

Come valuta la pianificazione attuata finora sul nostro territorio?Dipende dai punti di vista. A mio modo di vedere,

negli ultimi anni la pianificazione urbanistica ha rag-

giunto livelli notevoli. La maggior parte dei problemi

tuttavia non insorge nelle città, dove è possibile piani-

ficare spazi pubblici, trasporti, aree abitative e lavora-

tive con un’unica soluzione calzante, bensì nelle zone

periferiche, negli agglomerati e in campagna, dove

lo sviluppo territoriale dipende per lo più dal siste-

ma stradale. Ed è proprio in tale contesto che si sono

commessi tanti errori. A cominciare dall’idea del

centralismo decentralizzato, dove, a prescindere dal

fatto che sia sensato o no, quasi ogni capoluogo can-

tonale è stato provvisto di un raccordo autostradale.

Le ripercussioni di tale approccio non sono mai state

prese seriamente e affrontate.

Oltre alla pianificazione dei trasporti, spesso si menziona il moltiplicatore d’imposta come il vero e proprio strumento di gestione dello sviluppo territoriale oppure, tra i tanti mali, l’autonomia dei Comuni. Quale strumento di gestione con-trappone la revisione della legge sulla pianificazione del territorio (LPT)?

Immaginare la Svizzera come una cittàIl Consigliere nazionale Beat Flach* si esprime a favore della revisione della legge sulla pianificazione del territorio

In riferimento all’autonomia comunale, la nuova lpt

non segna alcuna cesura, e probabilmente una com-

binazione di questo tipo si presenta necessaria.

Con la revisione della lpt si promuove e consolida

soprattutto il modo di pensare e di agire al di là dei

confini politici. Per riuscire in tale intento occorre

rafforzare il piano direttore cantonale che, sul piano

internazionale, rappresenta uno dei migliori stru-

menti di pianificazione territoriale. I Cantoni sono

chiamati a esprimere con chiarezza, in riferimento al

piano direttore, quale sia lo sviluppo territoriale au-

spicato, in particolare in riferimento a uno sviluppo

insediativo centripeto, il che rappresenta il pilastro di

tale revisione. Vi è inoltre l’obbligo di verificare quan-

te riserve di terreno edificabile siano necessarie per

coprire il fabbisogno dei prossimi quindici anni, e ciò

non ognuno per sé, bensì all’interno di una regione.

L’armonizzazione delle aree edificabili con il fabbisogno pre-visto per i prossimi quindici anni è già contemplata dall’at-tuale LPT. Tra i pianificatori del territorio circola spesso la voce che la LPT sia di per sé una buona legge, ma che sia fallita nell’applicazione. Perché allora la revisione della LPT non fallirà?Anche la revisione della lpt dovrà certamente mi-

surarsi con la sua applicazione. Tuttavia, la nuova legge

comporta un maggiore inasprimento, poiché sancisce

71

Beat Flach (foto: Michael Mathis, SIA)

Page 74: rivista archi 1/2013

SIAC O M U N I C A T I

72

in modo più restrittivo e definisce per la prima volta

nero su bianco come sia possibile raggiungere uno

«sviluppo centripeto degli insediamenti». La revisio-

ne prevede vari strumenti: l’ancoramento, in termini

legali, di una tassa sul plusvalore pari ad almeno il 20

per cento, riscossa in caso di nuovi azzonamenti, in

modo da frenare un’urbanizzazione sproporziona-

ta. E poi anche l’impegno a ridurre le aree edificate

sovradimensionate – con particolare riferimento alle

superfici al di fuori delle aree insediative, la cui co-

struzione nei prossimi quindici anni appare del tutto

insensata. Da ultimo, con la nuova lpt i Cantoni pos-

sono far valere l’obbligo di edificazione, naturalmen-

te con lo scopo di utilizzare concretamente il terreno

edificabile disponibile.

Contrariamente a quanto sottolineato da alcuni scet-

tici, la nuova lpt non mira a ridurre artificialmente

il terreno edificabile, bensì a incentivare negli inse-

diamenti l’utilizzo del terreno edificabile disponibi-

le. Il nostro obiettivo non è quello di impedire la co-

struzione, ma di impedire che il terreno edificabile

sia tesaurizzato o che si costruisca sugli «spazi verdi».

Oltre alla critica da lei citata in merito a una «riduzione ar-tificiale del terreno edificabile», l’Unione svizzera delle arti e mestieri e altre associazioni affini considera l’obbligo di edifi-cazione un concetto «discutibile sul piano del diritto fondia-rio e contrario al diritto alla proprietà».Innanzitutto va precisato che l’obbligo di edificazione

concerne esclusivamente i nuovi azzonamenti; secon-

do il legislatore occorre effettuare degli azzonamenti

laddove è sensato farlo, ma poi bisogna anche costrui-

re. Questo approccio non ostacola per nulla la proprie-

tà, al contrario, anche i proprietari ne risultano avvan-

taggiati. Infatti, se si costruisce laddove effettivamente

è sensato che si costruisca, si utilizza in modo ottimale

l’infrastruttura disponibile. Si tratta dunque di un’otti-

mizzazione del sistema, un’ottimizzazione dalla quale

anche i proprietari possono trarre beneficio.

Da un punto di vista giuridico quali sono state le sfide mag-giori che si sono dovute affrontare nell’elaborazione della revisione della LPT?In generale, una grande sfida della pianificazione del

territorio è il lungo termine. Prendiamo per esempio,

a titolo di paragone, la legge sulla circolazione strada-

le. Posso decidere di posizionare un cartello con in-

dicato il limite di velocità 30 km/h ed è chiaro che a

partire da quel momento preciso varrà tale limite, un

limite subito misurabile.

Nella legge sulla pianificazione del territorio invece

fisso un piano direttore con un orizzonte temporale

di dieci-quindici anni. Se l’obiettivo prefissato viene

poi raggiunto posso solo dirlo con il senno di poi.

Ecco perché è così difficile legiferare in materia di

pianificazione del territorio.

Secondo lei che conseguenze ha la revisione della LPT sul lavoro dei pianificatori?Sono fermamente convinto che la nuova lpt porterà con

sé un periodo interessante e stimolante per i pianifi-

catori. Con la revisione della legge si comincia infatti

finalmente a considerare la Svizzera come un tutt’uno,

in modo unitario, e a pensare al nostro Paese come

a una grande «città». Questo scostarsi dal «campani-

lismo cantonale» è fondamentale. Negli ultimi quindici

anni infatti abbiamo provveduto a dotare il nostro

Paese di un’infrastruttura globale e completa, che

in altri luoghi del pianeta è disponibile soltanto nelle

megalopoli. Dovremmo dunque cominciare a sentirci

parte, non tanto di un paese, ma di un quartiere di

una grande città chiamata Svizzera.

In questo contesto sono chiamati a intervenire non

soltanto i pianificatori e gli urbanisti, ma anche gli

architetti: come riuscire per esempio a riempire i nu-

merosi spazi vuoti nei centri dei paesi che si sono pro-

gressivamente svuotati, senza snaturare i luoghi, al

contrario generando un plusvalore?

Che cosa auspica per il futuro della «città Svizzera»?Mi auguro vivamente che riusciremo a strutturare i no-

stri fabbisogni in modo da poter lasciare libertà di de-

cisione alle generazioni future. Mentre per la maggior

parte delle persone è chiaro che una centrale nucleare

non sia facile da smantellare, forse pochi sono consape-

voli del fatto che anche una strada, una volta costruita,

con molta probabilità non verrà più demolita.

* Consigliere nazionale, giurista presso la sia, M Law,

cas eth in Pianificazione del territorio.

Intervista a cura di Sonja Lüthi

SÌ ALLA REVISIONE DELLA LEGGE SULLA PIANIFICAZIONE

DEL TERRITORIO ALLE URNE IL 3 MARZO 2013!

Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla revi-

sione della legge sulla pianificazione del territorio (lpt). La sia

appoggia la revisione. La revisione della lpt gode dell’ampio

sostegno delle associazioni dei pianificatori e altri ancora (tra

questi i promotori dell’iniziativa per il paesaggio). Con la revisione

della lpt i piani direttori sono precisati e rafforzati, promuovendo

la pianificazione in spazi funzionali. Tra le novità più importanti vi

sono l’introduzione di una tassa sul plusvalore di almeno il 20 per

cento, l’obbligo di edificazione in caso di nuovi azzonamenti come

pure l’impegno teso a ridurre le aree edificate sovradimensionate.

In questo modo la nuova lpt crea misure in grado di contrastare lo

sviluppo incontrollato degli insediamenti e la tesaurizzazione di

terreno edificabile e garantisce così spazio per la natura e il pae-

saggio, creando il necessario margine di manovra atto a garantire

la possibilità di futuri sviluppi (edilizi ed economici).

Altre informazioni al sito: www.ja-zum-raumplanungsgesetz.ch

(in tedesco e francese) e www.sia.ch (alla voce temi/pianificazione-

territoriale).

Page 75: rivista archi 1/2013

73

SIAC O M U N I C A T I

il che lascia spazio a due possibili interpretazioni.

Da un lato si denota, in proporzione, un aumento

maggiore dei salari lordi rispetto alle spese generali.

D’altro canto le spese generali hanno potuto effetti-

vamente essere ridotte. Il rilevamento salariale che

avrà luogo nel 2013 permetterà presumibilmente di

disporre di una valutazione complementare al riguar-

do. I fattori delle spese generali in cui si riscontra una

forte diminuzione sono soprattutto le spese per i locali,

le spese d’ufficio e le spese amministrative, gli interessi

e gli ammortamenti.

Aumentata la produttivitàUno dei principali risultati scaturiti dalla statistica sulle

ore di lavoro è lo sviluppo della produttività aziendale

(cfr. tabella 2). Le ore di lavoro non attribuibili a un

mandato sono leggermente diminuite rispetto all’ulti-

mo rilevamento effettuato, è stato dunque possibile au-

mentare la produttività in tutte le specializzazioni.

La cifra d’affari per onorari di tutte le specializzazioni

corrisponde a circa 174 000 chf per ogni impiego a

tempo pieno. Al proposito si denotano tuttavia diffe-

renze considerevoli: gli ingegneri civili capeggiano

con un onorario di circa 183 000 chf, gli architetti at-

testano cifre attorno ai 162 000 chf.

* avvocato, mba, direzione del progetto sia-Service

È noto il risultato dell’attuale rilevamento statistico effettuato presso gli studi di architettura e di ingegneria. L’obiettivo del rilevamento è di aumentare la trasparenza negli studi di proget-tazione e contribuire a una sensibilizzazione per quanto concerne la pianificazione finanziaria e la definizione degli onorari.

Il rilevamento statistico del 2012 è stato il primo dopo

i dati registrati nel 2006 (con l’allora determinazione

delle spese generali e delle ore di lavoro) e in futuro

sarà effettuato ogni due anni. Con tale strumento la

sia e le associazioni partner (usic, igs, fsai, fas) vo-

gliono richiamare l’attenzione dei membri sull’im-

portanza degli indici aziendali quale strumento per

la pianificazione finanziaria e la definizione degli

onorari. Inoltre, occorre aumentare la trasparenza

nel settore della pianificazione. D’ora in poi i rileva-

menti saranno effettuati mediante un’apposita piatta-

forma online. I risultati attuali sono pubblicati in for-

ma anonima al link https://benchmarking.sia.ch in

un’area protetta da password. Gli studi che non han-

no partecipato al rilevamento hanno la possibilità di

sottoscrivere un abbonamento (cfr. fine articolo). Gli

studi partecipanti possono accedere gratuitamente ai

dati raccolti e mettere a confronto, con un semplice

clic, i propri indici aziendali con i corrispettivi para-

metri settoriali ed eseguire un benchmarking. Sono in tutto 192 le aziende che hanno concluso il rile-

vamento. Per evitare anomalie statistiche, la valutazione

è stata eseguita sulla base di 174 aziende (77 architet-

ti; 45 ingegneri civili; 43 ingegneri rurali e geometri; 9

ingegneri impiantisti). Come in passato, i dati raccolti

sono stati verificati e sottoposti a plausibilizzazione

dall’azienda bdo ag, partner di lunga data della sia. Le

eventuali divergenze riscontrate hanno potuto essere

chiarite telefonicamente con i partecipanti e le infor-

mazioni mancanti sono state completate.

I risultati sono stati rilevati in base a principi statistici e

conferiscono dati affidabili e confrontabili. Per ottene-

re la trasparenza desiderata, in futuro si auspica un’an-

cora più numerosa partecipazione. La bdo garantisce

la confidenzialità e l’anonimato assoluti per quanto

concerne i dati pubblicati sulla piattaforma.

Diminuito il fattore delle spese generaliCome per l’ultimo rilevamento effettuato, la deter-

minazione delle spese generali si basa sui salari lordi

(cfr. tabella 1). Gli indici di supplemento delle spe-

se generali risultano in parte nettamente inferiori,

Rilevamento statistico 2012

David Fässler*

Fattore delle spese generaliin valori percentuali

2012 2005 DifferenzaTutte le specializzazioni 55.1 60.1 -5.0

Architetti 53.0 62.0 -9.0

Ingegneri civili 52.9 56.5 -3.6

Ingegneri rurali e geometri 61.1 63.5 -2.4

Ingegneri impiantistici 54.2 - -

1. Il fattore delle spese generali indica il rapporto tra spese generali in percentua-

le rispetto al salario lordo in percentuale. Il salario lordo equivale sempre al 100%.

Produttività in valori percentuali

2012 2005 DifferenzaTutte le specializzazioni 77.6 76.7 +0.9

Architetti 79.7 77.6 +2.1

Ingegneri civili 77.1 77.0 +0.1

Ingegneri rurali e geometri 75.0 76.7 -1.7

Ingegneri impiantistici 76.7 - -

2. La produttività è calcolata dividendo le ore attribuibili a un mandato e le ore

di presenza ef fettive.

Abbonamento e factsheet

Per disporre dell’analisi dettagliata dei risultati, al link https://

benchmarking.sia.ch è possibile sottoscrivere un abbonamento.

L’abbonamento è valido un anno e conferisce l’accesso al rileva-

mento statistico 2012 e al rilevamento salariale che avrà luogo

nel 2013. Per i membri SIA e le associazioni partner il costo dell’abbona-

mento è di 240 CHF, per i non membri 360 CHF. Inoltre il numero di

gennaio di «Blickwinkel/Aspects» (tedesco/francese), la rivista

aziendale pensata dalla SIA, contiene esaustivi commenti e infor-

mazioni dettagliate sul rilevamento e le funzioni della piattaforma

online. La rivista (18 CHF per ogni numero) può essere ordinata per

e-mail a [email protected]. Il factsheet sul rilevamento 2012 è

disponibile gratuitamente e può essere scaricato collegandosi

al sito https://benchmarking.sia.ch

Page 76: rivista archi 1/2013

74

SIAC O M U N I C A T I

Concorso e termine di inoltro

Per partecipare a «Umsicht – Regards – Sguardi 2013» l’inoltro

dei lavori deve avvenire dal 15 febbraio al 30 aprile 2013.

Le opere possono essere spedite per posta (timbro postale prima

del 30 aprile) oppure consegnate di persona.

Per posta: Umsicht – Regards – Sguardi 2013, c/o SIA Geschäfts-

stelle, Postfach, 8027 Zürich

Consegna di persona: dal 29 al 30 aprile 2013, dalle 10.00 alle

18.00, c/o trottoir SIA, Selnaustrasse 6, 8001 Zurigo

Riunione della giuria: 6/7 e 28 giugno 2013

Cerimonia di assegnazione: 5 dicembre 2013, Auditorium Maxi-

mum, Politecnico federale, Zurigo

Troverete un elenco di informazioni costantemente aggiornate e

il testo integrale del concorso (incl. composizione della giuria,

requisiti di partecipazione e inoltro, nonché criteri di valutazione)

a partire dal 15 febbraio 2013 sul sito: www.sia.ch/sguardi

Come dovrebbe essere organizzato lo spazio di vita in

modo da soddisfare le esigenze delle generazioni fu-

ture e mantenere nel contempo un elevato valore

qualitativo? Quest’anno si terrà la 3a edizione di

Umsicht – Regards – Sguardi, il più importante ricono-

scimento nazionale per lo sviluppo sostenibile, con

cui la sia rende onore ai lavori che contribuiscono in

modo eccellente all’organizzazione lungimirante dello

spazio di vita.

Il concorso inizia il 15 febbraio e termina il 30 aprile

2013 e si rivolge a tutti gli esponenti attivi in quei set-

tori che svolgono un ruolo di primo piano nell’orga-

nizzazione lungimirante dello spazio di vita. Tra questi

citiamo, a titolo d’esempio, la pianificazione territo-

riale, l’edilizia, i trasporti, il settore dello sviluppo,

l’ingegneria sismica, il settore agrario, l’ingegneria

forestale e ambientale, l’architettura e l’architettura

del paesaggio, la dinamica strutturale, la fisica edili-

zia e la geofisica, l’urbanistica, la costruzione di strade,

ponti e gallerie, l’idrologia e l’ingegneria meccanica,

la tecnica edilizia, la tecnologia dei materiali, la bio-

tecnica, la geotecnica, la microtecnica, la tecnica dei

processi, la tecnica energetica e l’impiantistica, l’illu-

minazione, la geologia, la geografia e la mobilità.

Si ricercano, anche quest’anno, soluzioni complete e

avveniristiche, in linea con le esigenze del futuro.

I partecipanti sono invitati a inoltrare lavori di varie

dimensioni; importante è che impieghino in modo

interdisciplinare le competenze disponibili, ma anche

che si confrontino sapientemente con lo spazio di

vita e con approcci sorprendenti e creativi basati sulla

volontà di creare con spirito innovativo. Inoltre, si

auspica che le opere presentate attestino un valore

durevole ed economicamente performante, contri-

buiscano al bene comune e cristallizzino in sé un

plusvalore culturale.

Una giuria altamente professionale assegnerà il rico-

noscimento a un numero massimo di otto lavori. I ri-

conoscimenti saranno assegnati il 5 dicembre 2013,

in un contesto festoso, segnato dalla consegna di un

simbolico «apriti sesamo» di Sguardi. La sia accompagna l’intero iter per il conferimento

dei riconoscimenti con molteplici misure di comuni-

cazione e garantisce così ai lavori presentati l’atten-

zione pubblica che meritano. I lavori sono documen-

tati e illustrati nelle prospettive più diverse e resi

pubblici attraverso un’esposizione itinerante, in uno

speciale dossier di tec21/Tracés/Archi, nonché

attraverso i supporti elettronici della sia.

Umsicht-Regards-Sguardi 2013Il riconoscimento per l’organizzazione lungimirante dello spazio di vita

Benvenuti ai nuovi membri SIA Ticino 2012!

Membri Filiali

Itten+Brechbühl AG, Lugano-Paradiso

Membri individuali

Aguiar Cristiano, Dipl. Arch. REG A, Mendrisio

Benzoni Patrizia, Dipl. Arch. E TH, Montagnola

Borra Antonio, Dipl. Kultur-Ing. E TH REG A, Sorengo

Botta Giuditta, Dipl. Arch. EPF, Lugano

Carboncini Jacopo, MSc Arch. USI, Origlio

Conti Alessandro, MSc Arch. USI, Serra de’ Conti

Del Fedele Marco, Arch. SUPSI REG A, Sala Capriasca

De Prà David, MSc Arch., Mendrisio

Dellea Loris, Dipl. Arch. E TH, Bellinzona

Hochuli Stefano, Dipl. Arch. EPF, Gudo

Inches Matteo, MSc in Architecture, Vacallo

Magnani Marco, Dipl. Arch. USI, Breganzona

Mauch Mischa, Dipl. Arch. USI, S. Nazzaro

Parola Fabia, MSc E TH, Morcote

Membri associati

Benetollo Marco, BSc Arch. SUPSI, Gnosca

Membri associati studenti

Roncelli Michele, Bellinzona

Informazioni sull’adesione alla SIA

Tel. 044 283 15 01, [email protected]

Informazioni e offerte per ditte SIA: www.sia.ch/siaser vice

Page 77: rivista archi 1/2013

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Christian Pagnamenta, Aurelio Pagnamenta SA, 6917 Lugano Impresa insignita 2012– 2014

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FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA Avviso di concorso

La Fondazione Lombardi Ingegneria ha lo scopo di promuovere la ricerca nel settore del genio civile, in particolare nei campi delle opere sotterranee e idrauliche.

Per l'anno 2013 il Consiglio di Fondazione ha scelto di sostenere con priorità i progetti che interessano le tematiche seguenti:

- Comportamento a lungo termine delle costruzioni in calcestruzzo armato e delle opere idrauliche,

- Impiego di calcestruzzi ad alta resistenza in galleria, - Nuovi sviluppi per l’utilizzo del potenziale idroelettrico, - Manutenzione di ponti e dighe.

L'importo messo a disposizione dalla Fondazione per il 2013 ammonta a circa CHF 15'000 - 20'000 per progetto.

Le richieste di sostegno dovranno essere inoltrate alla Fondazione entro martedì 30 aprile 2013 e corredate dalla documentazione seguente: - generalità del richiedente - scopo e programma della ricerca - enti o istituti coinvolti - sostegno finanziario desiderato.

Informazioni aggiuntive in merito al presente concorso possono essere ottenute sul sito www.lombardi.ch

FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA c/o Lombardi SA - Via R. Simen 19 - 6648 Minusio

www.espaz ium.ch /a rch i / concors i

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Page 78: rivista archi 1/2013

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Page 79: rivista archi 1/2013

C O M U N I C A T I OTIA

77

La Legge cantonale sull’esercizio delle professioni di inge-gnere e di architetto (LEPIA) definisce le condizioni d’eserci-zio delle professioni di architetto e di ingegnere in Ticino, caso unico in Svizzera. L’evoluzione tecnologica, le aspet-tative crescenti dei committenti pubblici e privati e la presa di coscienza dei politici dell’importanza delle professioni in esame sono fattori che permettono di essere ottimisti e ipotiz-zare a medio termine l’adozione della regola ticinese a livel-lo della Confederazione.

Le condizioni di esercizio della professione in TicinoIn merito alle condizioni di esercizio della professio-

ne di architetto e di ingegnere, la lepia è chiara: sono

abilitate ad esercitare le professioni di ingegnere e di

architetto nel Cantone, nei campi di attività dei gruppi

professionali e nei limiti delle disposizioni delle leggi

speciali, le persone che adempiono i requisiti stabiliti

dalla presente legge e sono in possesso della relativa

autorizzazione rilasciata dall’otia (art. 3 cpv. 1 lepia).

In altre parole, senza autorizzazione rilasciata da otia

non è possibile esercitare le professioni di ingegnere e

di architetto su suolo ticinese. L’autorizzazione è rila-

sciata ai richiedenti in possesso dei requisiti professio-

nali e personali stabiliti agli art. 5 e 6 lepia. I requisiti

professionali si riferiscono al diploma conseguito e/o

all’esperienza pratica acquisita dal richiedente. I re-

quisiti personali concernono lo stato della persona del

professionista dal punto di vista giudiziario e finanzia-

rio (carenza beni e fallimento).

Le condizioni d’esercizio della professione di architet-

to e di ingegnere comprendono pure il rispetto di una

serie di obblighi da parte dei professionisti iscritti all’al-

bo, in particolare svolgere l’attività professionale nel ri-

spetto del diritto e del Codice deontologico otia, non

prestarsi a fare da prestanome e rispettare le regole

professionali per la fatturazione delle prestazioni (art.

17 lepia). Le violazioni sono sanzionate dalla Commis-

sione di Vigilanza (18 lepia).

La validità della LEPIA

La normativa ticinese potrebbe fungere da esempio

per una futura legge federale sull’esercizio delle profes-

sioni di architetto e di ingegnere. La validità della lepia

è stata ribadita dal tram e dal Tribunale federale.

Rispondendo agli argomenti sollevati dal ricorrente/

ingegnere che aveva firmato una domanda di costru-

zione per la realizzazione di un’opera architettonica,

il tram ha constatato che il contenuto della lepia è

compatibile con il diritto costituzionale dalla libertà di

La LEPIA: un esempio valido per tutta la Svizzera

commercio. In effetti, la leggera limitazione d’eserci-

zio posta dalla lepia non pone ai singoli professionisti

alcuna significativa restrizione dello svolgimento della

professione per la quale sono stati formati. Il tram pre-

cisa inoltre che i Cantoni hanno la facoltà di sottoporre

l’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere

ad un regime autorizzativo che permetta di verificarne

le capacità. La Confederazione ha comunque la com-

petenza di legiferare a livello svizzero, adottando una

legge federale di rango superiore. Con tutta evidenza,

sarebbe auspicabile una normativa unificata a livello fe-

derale e non pratiche diverse nei vari Cantoni svizzeri.

La necessità e l’utilità di regole sull’esercizio della pro-

fessione è confermata dal tram, secondo il quale l’e-

sercizio delle professioni di ingegnere e di architetto

«presuppone conoscenze scientifiche che gran parte

degli architetti ed ingegneri acquisiscono in una scuo-

la d’ordine universitario o in un’altra scuola di rango

equivalente e la cui assenza rischierebbe di essere di

nocumento alla collettività». Il tram ha precisato che il

regime autorizzativo instaurato dalla lepia è dettato da

importanti, nonché evidenti interessi pubblici. Eviden-

temente però, affinché questi obiettivi possano essere

raggiunti, è necessario, secondo il tram, che «il campo

d’attività delle persone autorizzate a svolgere la profes-

sione di architetto o di ingegnere sia circoscritto a que-

gli ambiti per i quali esse dispongono di una effettiva e

sufficiente formazione teorica e pratica».

Il sistema istaurato dalla lepia è molto liberale e per-

mette ai professionisti con la necessaria esperienza pra-

tica, ma non in possesso di un diploma accademico, di

poter richiedere l’autorizzazione tramite l’ottenimento

del titolo reg B o reg A (www.reg.ch).

La necessità di una legge federaleLa scelta del legislatore ticinese non si giustifica solo

per la costante evoluzione tecnologica nei settori dell’e-

dilizia e del genio civile e per le aspettative crescenti

dei committenti pubblici e privati. Permettere l’eserci-

zio delle professioni di architetto e di ingegnere unica-

mente ai professionisti che hanno dimostrato di pos-

sedere determinati requisiti professionali e personali

è un’esigenza riconosciuta pure da molti politici eletti

a Berna, non solo per tutelare gli interessi del «consu-

matore», ossia dei singoli committenti pubblici e priva-

ti, ma pure a tutela dell’interesse generale, dell’intera

popolazione Svizzera.

Per maggiori informazioni: [email protected].

a cura diDaniele Graberconsulente giuridico OTIA

Page 80: rivista archi 1/2013

ISTITUTO CONSULENZA GEOTECNICA SA

Consigli Consulenze Indagini Progettazione Direzione lavori Misurazioni Perizie

negli ambiti

della geotecnica,della meccanica delle terre e delle rocce,dei flussi sotterranei,dell'idrologia edei pericoli naturali e ambientali

Via Besso 7 Tel. 091 966 07 77 6903 Lugano Fax 091 967 22 24

[email protected]:Martinenghi Tullio Tel. diretto 091 961 24 52 ing. civ. PF Losanna Cellulare 079 230 05 32 docente SUPSI/SSSTE [email protected]

Page 81: rivista archi 1/2013

Erfolgsmanagement für PLANUNG BAU IMMOBILIEN

K N E L L W O L F

Unsere Auftraggeberin ist eines der grössten und traditionsreichsten Bauunternehmen in Europa. Ob Hochbau, Tiefbau, Projektentwick-lung oder Strassenbau – die lückenlose Wertschöpfungskette ermög-licht der Gruppe mit mehreren Tausend Mitarbeitenden die Realisie-rung komplexer Projekte. Das Unternehmen ist mit einer eigenen AG in der Schweiz vertreten und beschäftigt hier derzeit ca. 175 Mitar-beitende. Für den Standort in Zürich konnten mehrere grosse und facettenreiche Hochbauprojekte gewonnen werden.Aufgrund der stetigen guten Auftragslage und des damit verbun-denen weiteren Standortausbaus suchen wir einen vielseitigen und erfahrenen

Technischen Projektleiter Grossprojekt m/w

Ihre Aufgaben. Sie sind verantwortlich für die technisch opera tive Gesamtabwicklung und Gesamtleitung eines TU- oder GU-Hoch-bauprojektes inkl. Vertragsmanagement nach Auftragserteilung. Sie leiten die bautechnische Planungs- und Vorbereitungsphase des ent-

sprechenden Projektes inkl. Abklärungen und Einbindung von bauher-renspezifischen Vorgaben in die bestens etablierten Standardabläufe des Unternehmens. Sie führen ein Projektteam von bis zu 10 Mitarbeitenden selbständig und rapportieren direkt an die Geschäftsleitung. Zu Ihren weiteren Hauptaufgaben gehört die Vertragsabwicklung, Kosten-, Quali-täts- und Terminkontrolle sowie die Leitung der Projektbesprechungen mit Planern, Bauherrenvertretern und Subunternehmern.

Ihr Profil. Sie haben eine abgeschlossene technische Hochschulaus-bildung beispielsweise als Bauingenieur oder Architekt mit mehrjähriger Berufserfahrung und hervorragender Qualifikation in allen relevanten Bereichen der technischen Leitung komplexer Hochbauprojekte. Auf-grund Ihrer Erfahrung sind Sie in der Lage, Projekte und Arbeitsabläufe zu optimieren und effizient zu leiten. Sie sind ein Teamplayer mit hoher Einsatzbereitschaft und sind es gewohnt, Ihr Organisationstalent mit ausgeprägtem unternehmerischen Denken und Handeln einzusetzen.

Sind Sie interessiert, in einem dynamischen Arbeitsumfeld mit Entwick-lungsmöglichkeiten innerhalb eines internationalen Unternehmens tätig zu sein? Dann senden Sie Frau Claudia Willi Ihre Bewerbungsunterlagen oder rufen Sie uns für weitere Informationen an. Wir garantieren Ihnen absolute Diskretion und freuen uns, Sie kennen zu lernen.

Knellwolf + Partner AGTödistrasse 51 I 8002 Zürich I T 044 311 41 60 I F 044 311 41 [email protected] I www.knellwolf.com

Die Dr. von Moos AG ist ein gut etabliertes und erfolgreiches Beratungsbüro auf dem Gebiet Geotechnik/ Geologie/Altlasten. Wir sind seit über 50 Jahren als Baugrund-Spezialisten bekannt und bearbeiten in derUmweltgeologie vielseitige Aufträge von Privaten und der öffentlichen Hand (www.geovm.ch).

Profis beraten... bei anspruchsvollen ProjektenZur Verstärkung unseres Teams suchen wir eine Projektleiter-Persönlichkeit:

Altlastenspezialist/-inmit Erfahrung in der Bearbeitung und Projektleitung von Altlasten- und Umweltaufgaben

Ihre Hauptaufgaben : Wir bieten Ihnen : - Planung und Auswertung von - A bwechslungsreiches, anspruchsvolles

Altlastenuntersuchungen und interdisziplinäres Tätigkeitsfeld -

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G ut eingespieltes, kollegiales Team und altlastenrechtlichen Fragen St

In- und externe Weiterbildungtelle mit Verantwortung, Arbeitsort Baden

- Erstellen von Gutachten

Ihr Profil : Interessiert?

- Solide Fachkompetenz, Projektleitererfahrung- Vorzugsweise Diplom in Erdwissenschaften

Für weitere Auskünfte steht die Geschäftsleitung in Zürich und Baden gerne zur Verfügung

- Systematisches Denken und Arbeiten ( B. Rick 079 286 20 68, M. Henzen 079 643 87 61).- T eamfähig, flexibel und belastbar Wir freuen uns auf Ihre schriftliche Bewerbung! - G ewandtheit im schriftlichen und mündlichen

Ausdruck in Deutsch, evtl. Fremdsprachen Dr. von Moos AG, Geotechnisches Büro z.H. B. Rick, Bachofnerstrasse 5, 8037 Zürich

Dr.

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ten

- Beratung von Auftraggebern in abfall-

O F F E R T E D I L A V O R O

Page 82: rivista archi 1/2013

T IL I B R I T I

80

Roberta Grignolo,

Bruno Reichlin (a cura di)

Lo spazio interno moderno come oggetto di salvaguardia – Modern Interior Space as an Object of PreservationMendrisio Academy Press,

SilvanaEditoriale, Mendrisio 2012

(CHF 49.90, ISBN 978-83-6624-171,

bross., 21 x 25 cm, ill. foto e dis. b/n

e col., pp. 293, italiano e inglese)

Il libro edito dalla Mendrisio Academy

Press raccoglie i contributi presentati

nel corso delle giornate di studio inter-

nazionali tenutesi presso l’Accademia

di architettura di Mendrisio il 6-7 otto-

bre 2011 sul tema Lo spazio interno mo-

derno come oggetto di salvaguardia.

L’evento è stato organizzato nel quadro

della ricerca interfacoltà svizzera inti-

tolata Enciclopedia critica per il restau-

ro e riuso dell’architettura del XX secolo,

finanziata nel 2008 dalla Conferenza

Universitaria Svizzera con l’obiettivo di

promuovere la collaborazione tra le prin-

cipali scuole di architettura svizzere

(Swiss Cooperation Project in Archi-

tecture). La ricerca si articola in quat-

tro sezioni: Strumenti storico-critici

e salvaguardia (coordinata da R. Gri-

gnolo e B. Reichlin), Storia materiale

del costruito (diretta da F. Graf EPFL,

USI), Salvaguardia della città nel XX

secolo (coordinata da V.M. Lampu-

gnani ETHZ), Strumenti metodologici

(diretta da J. Jean, SUPSI). Il volume è

composto da 4 sezioni che raccolgono

complessivamente 24 contributi:

1) Lo spazio interno moderno. Storia

e prospettive di salvaguardia (B. Rei-

chlin, A. Rüegg, E. Garda, R. Grignolo);

2) Musealizzazione di spazi interni

moderni (J. Molenaar, L.S. Waggoner

& J. Gunther, G. Rigone, M. Goutal);

3) Difficile adeguamento di monumenti

fragili (M. Pogacnik, H. Frank, D. De-

schermeier, F. Fiorino & P. Scaramuzza,

A. Canziani); 4) Salvaguardia di interni

a rapida obsolescenza (C. Briolle & J.

Repiquet, R. Grignolo, J-B. Minnaert).

Sergison Bates architectsBuildingscoll. Monografie, Quart Verlag,

Luzern 2012 (CHF 105.– ,

ISBN 978-3-03761-060-2 D,

978-3-03761-061-9 E, ril., 21.6 x 27

cm, 506 ill. foto b/n e col., 113 dis.,

pp. 300, tedesco o inglese)

Il libro è pubblicato nella collana Mo-

nografie dalla casa editrice svizzera

Quart Verlag e documenta l’opera del-

lo studio di architettura londinese

Sergison-Bates (Jonathan Sergison e

Steven Bates), caratterizzata dall’at-

tenzione all’«atmosfericità» e al rigore

formale. L’indice è suddiviso in quattro

sezioni: Texts, Intentions, Impressions,

Catalogue (regesto). Il libro è molto

raffinato, sia per grafica che per con-

fezione; è stampato su tre tipi di carta:

bianca opaca 100 g per la sezione Texts;

opaca color avorio 150 g per la sezione

Intentions; bianca semilucida 150 g per

la sezione Impressions. La prima parte

pubblica tre saggi (testo in tono di gri-

gio): 1) Tectonic presence di Irina Davi-

dovici, London; 2) A raison dêtre of its

own di Martin Steinmann, Aarau; 3)

A kind of picturesque di Dirk Somers,

Antwerpen. La scelta degli autori riflet-

te l’internazionalità della produzione

dello studio del quale sono pubblicate

8 opere realizzate (City Library, Blan-

kenberge Belgio; Urban housing, Hackney

London UK; Care home, Huise-Zingem

Belgio; Applied arts centre, Ruthin Wa-

les UK; Urban housing and crèche,

Genève CH; Urban bolock, Westminster

London UK; House, Cadaqés, Catalonia

E; Garden pavillion, Mereworth Kent UK).

Le opere sono pubblicate con la stessa

sequenza nelle due sezioni Intentions

e Impressions. Nella prima sono illu-

strate le fasi di elaborazione del pro-

getto con schizzi, modelli di studio,

disegni e campioni di materiali; nella

seconda sono pubblicate immagini

fotografiche con alcune sequenze (fo-

tografie piccole, grandi immagini a

colori, tutta pagina). Jonathan Sergison

è professore di progettazione presso

l’Accademia di architettura a Mendrisio.

A cura diEnrico Sassi

Ser vizio ai lettoriAvete la possibilità di ordinare i libri re-

censiti all’indirizzo [email protected]

(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo

dell’opera, il vostro nome e cognome, l’indi-

rizzo di fatturazione e quello di consegna.

Riceverete quanto richiesto entro 3/5

giorni lavorativi con la fattura e la cedola

di versamento.

Buchstämpfli fattura un importo forfet-

tario di CHF 7.– per invio + imballaggio.

Workshop guide atelier OïAvedition, Ludswigsburg (D) 2012

(CHF 53.90, ISBN 978-3-89986-164-

8, ril., 17.7 x 24.5 cm, ill. foto e dis. b/n

e col., pp. 224, francese, tedesco,

inglese)

Il libro – edito dalla casa editrice tede-

sca avedition – è una sorta di manuale

di istruzioni dell’atelier di design sviz-

zero «oï», fondato nel 1991 a La Neuve-

ville nei pressi del lago di Bienne da tre

soci: Aurel Aebi, Patrick Reymond, Ar-

mand Louis. I primi due si sono forma-

ti all’«École d’architecture Athenaeum»

di Losanna, il terzo era un costruttore

di imbarcazioni. Il nome dello studio è

formato dalle vocali centrali della pa-

rola russa «Troïka» che indica il trio di

cavalli che trainano una slitta, a meta-

fora del modo di lavorare dei tre soci.

Nell’atelier il design è considerato come

processo nella genealogia delle cose

passate e presenti. Il designer è parte

della storia degli oggetti come succes-

sore e predecessore, in contrasto con

la tendenza contemporanea del culto

della personalità che domina nell’indu-

stria del design. La sede dell’atelier si

chiama Moïtel, neologismo che com-

bina «oï» con «Motel», a indicare un

vecchio motel degli anni ’60, comple-

tamente ristrutturato e trasformato,

che accoglie l’atelier. L’ormai ventenna-

le produzione dello studio si basa su un

approfondito studio dei processi di

produzione, sulla concretezza, la co-

noscenza della materia e dei materia-

li; è molto vasta e differenziata, tra le

altre realizzazioni ricordiamo: progetto

dell’infocentro Alptransit a Pollegio;

coperture a forma di gocce d’acqua per

l’Arteplage di Neuchâtel dell’Expo 02;

Lunix, sistema di pavimentazione in

cemento per la Creabeton; lampade

(Allegro e Allegretto, Foscarini 2007-

2009, Tome lamp in carta, Danseuses,

lampade sospese in tessuto la silhou-

ette delle quali si modifica con la fre-

quenza delle rotazioni); tessuti, mobili,

sistemi espositivi, allestimenti.

Page 83: rivista archi 1/2013
Page 84: rivista archi 1/2013

Bazzi Piastrelle SAVia dei Pioppi 106616 LosoneT +41 (0)91 792 16 02F +41 (0)91 792 18 [email protected]

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