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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo N. 1/ MARZO 2009 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Sicurezza alimentare: un mondo senza carestie è possibile Lettonia: la lingua ufficiale di un tempo non è più gradita nel piccolo Stato multietnico Sempre più professionalizzato il volontariato nella cooperazione allo sviluppo

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Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

N. 1/ MARZO 2009LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Sicurezza alimentare: un mondo senza carestie è possibile

Lettonia: la lingua ufficiale di un tempo non è più gradita nel piccolo Stato multietnico

Sempre più professionalizzato il volontariato nella cooperazione allo sviluppo

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Sommario

DSC

FORUM

Un solo mondo n.1 / Marzo 20092

SICUREZZA ALIMENTAREPorre fine alla fame non è impossibile Nonostante si produca cibo in sufficienza per tutti, ogni annomilioni di persone nel mondo muoiono di fame. Ma le attualicarestie sono le conseguenze di sviluppi errati che possonoessere corretti

6«Dobbiamo agire e cambiare lo stile di vita» Intervista con Hans Herren, presidente supplente del Consiglio mondiale dell’agricoltura

12Priorità assoluta all’alimentazione A causa del drammatico peggioramento della situazionealimentare in molti paesi in via di sviluppo, nell’autunno 2008la Svizzera ha lanciato un programma globale per la sicurezzaalimentare

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LETTONIABabele linguistica sul Mar Baltico La crisi economica e l’integrazione della minoranza russa in seno al paese multietnico producono una crescente tensione sociale

16Il mio piccolo paese delle meraviglieZane Berlaua si interroga sui lettoni di ieri e di oggi

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Una promessa al momento giustoMartin Dahinden, direttore della DSC, commentapositivamente la decisione del Parlamento di aumentareprogressivamente i fondi destinatati alla cooperazione allosviluppo

21Rielaborare un passato dolorosoIl Burundi esce finalmente da una lunga guerra civile. La Svizzera interviene a vari livelli per aiutare il paese africano a superare i traumi del passato

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Volontario sì, ma professionale Negli ultimi anni il volontariato si è sempre piùprofessionalizzato – a beneficio, innanzitutto, dellepopolazioni del Sud

26Un regno moribondoL’autore sudafricano Zakes Mda ci conduce nel CapeFloral Kingdom, patria di 8600 specie di piante chenon si trovano in nessun altro posto del mondo

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In bilico sull’orlo dell’abissoIl sudafricano Pieter-Dirk Uys, «grande vecchio» dellasatira politica internazionale, presenta un’analisi spietatasullo stato della nazione

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è … livelihood approach? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertantonon esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

Da progetto di microcredito a banca commerciale In Albania, grazie al sostegno della DSC, una rete dicasse di risparmio e di credito si accinge a trasformarsi in banca commerciale per offrire ai suoi clienti nuoveprestazioni

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DOSSIER

ORIZZONTI CULTURA

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La ripartizione del lavoro assume forme sempre più sor-prendenti: di recente, nazioni ricche e paesi emergenti ac-quistano in paesi in via di sviluppo i diritti per lo sfrutta-mento agricolo di milioni di ettari di terreno, dove poicoltivano generi alimentari per il proprio consumo. Ne èesempio la Cina che in Madagascar fa lavorare dalla po-polazione locale ben 1,3 milioni di ettari di terreno coltivatoa riso destinato al mercato cinese. Nello scorso mese dinovembre, Qatar e Kuwait hanno firmato un accordo conla Cambogia che consente loro l’utilizzazione di milioni diettari di terreno agricolo, destinato ad assicurare l’alimen-tazione futura dei due paesi. Se tale tendenza si confer-merà anche in futuro, sarà soltanto questione di pochi annied il Camerun, che ha concesso alla Cina l’utilizzazione di10mila ettari di terreno agricolo, sarà costretto a re-impor-tare dal grande paese asiatico il suo fabbisogno alimen-tare.

Già oggi, su 148 paesi in via di sviluppo, ben 105 sono im-portatori netti di generi alimentari, nonostante evidenzinoun notevole potenziale agricolo, come dimostrano chiara-mente gli esempi appena elencati. Ciò significa che i paesiin via di sviluppo potrebbero autonomamente nutrire le loropopolazioni. Ma perché mai, i contadini del Ghana, BurkinaFaso o Sudan dovrebbero ammazzarsi di lavoro se poi nonriescono a vendere i loro prodotti perché quelli importatisono molto meno cari? Le eccedenze di prodotti agricolidel Nord che vengono generati con il sostegno statale e daanni ormai inondano i mercati del Sud, hanno portato inmolti paesi in via di sviluppo al naufragio dell’agricoltura locale.

La realtà è che oggi, nel mondo, vengono prodotti generi

alimentari sufficienti per nutrire l’intera popolazione mon-diale, che conta 6,7 miliardi di persone. Jacques Diouf, direttore generale dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura dell’ONU (FAO), dichiara senza indugi:«Eliminare la fame nel mondo non è questione di soldi, madi volontà». Tuttavia, mai come oggi così tante personehanno sofferto la fame. Ogni anno muoiono di fame milionidi persone, 860 milioni soffrono di penuria alimentare e de-nutrizione, mentre i prezzi crescenti degli alimenti di basecondurranno ad una crisi alimentare ancora più acuta, edaltre centinaia di milioni di persone non avranno modo al-cuno di nutrirsi. Una spirale diabolica, soprattutto perché ipoveri, per i quali non c’è alcuna sicurezza alimentare, nondispongono nemmeno dell’energia vitale che sarebbe loro necessaria per migliorare la loro tragica situazione.

L’attuale crisi alimentare ripropone vecchi e nuovi contra-sti che evidenziano quanto sia oggi irrinunciabile, a livellomondiale, una sicurezza alimentare sostenibile. Come po-trebbe essere realizzata, è descritto nel nostro dossier apartire da pagina 6.

Anche quest’anno, nel solco della tradizione, Un solomondo ha invitato un autore del Sud del mondo a scriverela nostra rubrica «Carta bianca». È per noi un piacere par-ticolare essere riusciti a stimolare il fervido estro dello scrit-tore sudafricano Zakes Mda. Questo romanziere ed autoredi teatro di fama internazionale è capace di un approcciointellettuale che va ben oltre i confini sudafricani; il suoprimo contributo lo trovate a pagina 29.

(Tradotto dal tedesco)La redazione

«Non è questione di soldi, ma di volontà»

Un solo mondo n.1 / Marzo 2009 3

Editoriale

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La povertà rende ciechi (bf ) Le popolazioni dei paesi in via di sviluppo sono esposte a un rischio di cecità dieci voltesuperiore rispetto alle popola-zioni dei paesi sviluppati. Intutto il mondo vi sono 37 mi-lioni di ciechi e 124 milioni diipovedenti. Il 90 percento deiciechi vive nei paesi in via disviluppo, dove ogni cinque se-condi una persona perde la vista– in primo luogo a causa dellapovertà e della relativa carenzadi servizi sanitari.Statisticamente in Africa è di-sponibile un oculista ogni mi-lione di abitanti, contro 13milaabitanti in Europa centrale. Chiperde la vista in un paese po-vero precipita in un circolo vi-zioso: il 90 percento dei bam-bini ciechi non può frequentarela scuola e l’80 percento degliadulti ciechi è senza impiegoper la mancanza di possibilità di formazione. Eppure gli oftalmologi sonoconcordi nell’affermare che almeno tre quarti dei casi di cecità potrebbero essere evitati,poiché causati da una carenza di vitamina A. Questa è legataalla malnutrizione vigente neipaesi in via di sviluppo, ma po-trebbe essere facilmente com-pensata attraverso un’ alimenta-zione equilibrata e correttaoppure attraverso la sommini-strazione di retinolo in capsule.

A chi appartengono i ritualifunebri? (bf ) Singoli individui o gruppipossono vantare diritti di pro-prietà su tradizioni? Chi puòutilizzare e commercializzaresimboli religiosi? A chi «appar-tengono» i rituali funebri?Queste ed altre domande occu-peranno nei prossimi tre anniun gruppo di ricercatori inter-nazionali provenienti dagli isti-tuti di antropologia culturale,etnologia, diritto ed economiadell’Università tedesca diGottinga, che realizza studi inEuropa e in Asia sud-orientale e ricerche in seno alla WorldIntellectual Property Organisa-tion, l’ente preposto delleNazioni Unite. Sono in corsomicrostudi riguardanti, fra l’altro, i rituali funebri del po-

polo dei toraja nel Sulawesi e la costituzione dei templi diAngkor Vat, in Cambogia, qualepatrimonio mondiale dell’uma-nità. I risultati interesseranno inparticolare anche i paesi in viadi sviluppo, data la ricchezza el’autenticità delle loro tradizionie dei rituali, e poiché particolar-mente esposti alla svendita deicosiddetti beni culturali sia insenso stretto, sia in senso lato.

Navigare con la voce (gn) È risaputo che Internetpuò rappresentare un plusvalorenon indifferente, in particolareper le popolazioni povere delleregioni discoste. In India IBMfa ora un ulteriore passo avanticon lo sviluppo dello «spokenweb», una rete basata sulla lin-gua parlata anziché la linguascritta e le immagini. «Spesso i contadini locali non sono ingrado di scrivere, ad esempio,un’e-mail o il resoconto di unlavoro; è molto più sempliceparlarne», spiega Tapan Parikhdella University of California diBerkeley, che collabora al pro-getto. La «rete parlata» è basata,come Internet, su pagine web,ma esse sono caricate, ascoltatee costruite con la voce via tele-fono. Secondo Parikh, data l’attuale larga diffusione dellatelefonia mobile, questa rete potrebbe portare vantaggi nonindifferenti agli utenti poveridel Sud che non possono per-mettersi un computer e che so-vente sono persino analfabeti.«Gli approcci convenzionali mi-rano a integrare l’attuale reteInternet nella telefonia mobile.Qui, invece, abbiamo la possibi-lità di creare una rete del tuttonuova».

Boom dell’energia eolica (bf ) I produttori di impianti eolici hanno motivo di ralle-grarsi. Infatti, a causa degli au-menti dei prezzi del greggio, ilmercato internazionale dell’en-

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ergia eolica è in piena espan-sione. Meglio ancora: in tutto ilmondo l’industria eolica si pre-para, per gli anni a venire, ad af-frontare una crescita dell’ordinedel 20 percento annuo. Unostudio conferma che stando ai traboccanti libri delle com-messe, zeppi di richieste dinuove installazioni, da qui al2017 la produzione di elettricitàquintuplicherà, dagli attuali20mila a 107mila megawatt. Lecapacità saranno sviluppate so-prattutto nei paesi in via di svi-luppo e in transizione dell’Asiasud-orientale, in Cina e negliStati Uniti. La crescente do-manda cela un enorme poten-ziale anche per i paesi in via di sviluppo. Non soltanto mettesotto pressione i prezzi mondialidelle installazioni eoliche, anchele differenze di prezzo tra ener-

gie rinnovabili ed energie con-venzionali saranno colmate piùin fretta del previsto.

Prime piantagioni di olio dipalma occupate (bf ) La produzione di olio dipalma da sfruttare come biocar-burante è sempre meno accet-tata dalle popolazioni locali. Orale prime piantagioni di olio dipalma sono già state occupateper protesta. Per quale motivo?La domanda internazionale dibiocarburante fa aumentare iprezzi, e quindi – come inCamerun – l’olio di palma non è più reperibile come oliocommestibile. In Malesia eIndonesia, primi produttorimondiali di olio di palma con130mila ettari di piantagioni, ungruppo di ricercatori interna-zionali ha analizzato altresì l’im-

patto di queste coltivazioni sullabiodiversità. Le superfici dive-nute agricole erano, all’origine,foreste pluviali tropicali inseritein spazi vitali fra i più ricchi dispecie del pianeta. Lo studio ap-pena pubblicato dimostra chemediamente nelle piantagioni

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Volteggio ad alta quota

sopravvive meno di un sestodelle specie animali che abita-vano la foresta pluviale. Perfinole foreste convertite alla silvicol-tura o a coltivazioni comequelle del cacao, dell’alberodella gomma o del caffè sonopiù ricche di specie.

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L’esplosione dei prezzi delle derrate alimentari ha causato moti di protesta in diversi paesi, come per esempio in Etiopia (foto in alto). In altre regioni,come nel Sudan (foto in basso), la siccità e diversi conflitti hanno inoltre contribuito ad aggravare lo spettro della fame.

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Sicurezza alimentare

Porre fine alla famenon è impossibileNonostante si produca cibo a sufficienza per tutti, ogni annomilioni di persone muoiono di fame e oltre 860 milioni di per-sone soffrono di denutrizione. La recente esplosione dei prez-zi ha inoltre creato altri 100 milioni di poveri che non possononemmeno più permettersi di comprare il pane quotidiano. Male attuali carestie non sono ineluttabili – sono le conseguenzedi sviluppi errati che vanno corretti. Di Gabriela Neuhaus.

Nel 2007 il Programma alimentare mondiale(PAM) ha acquistato otto tonnellate di mais, pro-dotte in modo sostenibile da piccoli contadini delLesotho, per destinarle alla popolazione bisognosadello stesso paese. Un’operazione commercialedegna di nota perché per la prima volta il PAM si è procurato nel paese stesso l’aiuto alimentare da devolvere a questo piccolo Stato martoriatodall’erosione e dalla siccità. Le otto tonnellate sonosolo un’infima parte dei quantitativi importati nelLesotho per alleviare la crisi alimentare. Ciono-nostante la direttrice del PAM, Josette Sheeran,commenta l’operazione positivamente: grazie agliacquisti locali il PAM ha potuto risparmiare de-naro; inoltre i 2800 dollari US pagati per il maiscostituiscono un’entrata importante per i piccoliagricoltori.

Il Lesotho dà l’esempio Il Lesotho è uno dei paesi più poveri del mondo,circa il 70 percento della popolazione vive sotto lasoglia della povertà. Le condizioni climatiche, i me-todi agricoli inadeguati e un’infrastruttura lacu-nosa sono fra i motivi per cui la fame, qui, fa par-te della vita quotidiana. Negli anni 1950, James Jacob Machobane, figlio dicontadini autoctono, sviluppò un metodo di agri-coltura non solo sostenibile, ma anche in grado diassicurare un reddito alla popolazione locale. Il si-stema Machobane è incentrato sulla coltivazioneparallela di sette piante diverse sullo stesso campo,fra cui patate, mais, miglio e fagioli. Per la concimazione si usa cenere e sterco, i rac-colti si susseguono nell’intero arco dell’anno. Ini-zialmente, questo metodo ideato per un sistema di

piccola agricoltura a forte intensità di lavoro, pas-sò praticamente inosservato. Solo negli anni 1990Machobane riuscì a sfondare, anche grazie al so-stegno di diverse ONG, fra cui Helvetas. Ben pre-sto dall’esperienza pratica si capì che i contadini,che hanno seguito una formazione adeguata, se-guendo questo metodo non solo assicurano un’ali-mentazione migliore alle loro famiglie, ma riesco-no anche a produrre delle eccedenze per il mer-cato. Oggi numerose ONG e agenzie lavorano nel Le-sotho – con il sostegno del governo locale – perdiffondere metodi di agricoltura sostenibile, ade-guati alle condizioni climatiche e ambientali e peroffrire ai contadini migliori possibilità di accessoal mercato. Un approccio che offre opportunità, eche viene seguito già in molti altri paesi e appli-cato in vari progetti di sviluppo. Eppure il proble-ma della fame è ancor lungi dall’essere risolto –anzi: secondo la FAO il numero di persone chesoffrono la fame nel mondo non è mai stato cosìalto.

La crisi alimentare Quando verso la metà del 2007 i prezzi degli ali-menti di base, quali cereali, riso, latte e olio hannocominciato a lievitare, nel mondo si sono levateproteste. Sono scoppiate manifestazioni e rivolte.A Haiti, ad esempio, le proteste hanno fatto cade-re il governo. Diverse regioni del Sud hanno do-vuto far fronte oltre che all’aumento vertiginosodei prezzi delle derrate alimentari anche a carestiecausate da siccità, uragani e guerre. La comunità in-ternazionale ha reagito con programmi d’emer-genza e aiuti alimentari. Piuttosto insolito è stato

Diritto a un’alimenta-zione adeguataIl cibo è ciò che ci man-tiene in vita – anche se lanostra vita non è solo ali-mentazione. Se manca ilmangiare, manca l’energia,nel vero senso del termine.Le conseguenze: dolori,sofferenze, malattie emorte. Oggi, una personasu sette vive senza la sicu-rezza di un’alimentazionesufficiente. Chi deve lottareogni giorno per procurareda mangiare per sé e perla sua famiglia non ha nétempo, né energia per ten-tare di uscire dalla miseria.Il circolo vizioso di fame epovertà è difficile da spez-zare. C’è da temere checon la crisi globale e conl’aumento dei prezzi dellederrate alimentari la sicu-rezza alimentare diventiun’utopia per un numerocrescente di persone. Equesto, sebbene il dirittoad un’alimentazione ade-guata sia sancito espres-samente dalla dichiara-zione universale dei dirittiumani dell’ONU: «Il dirittoad una alimentazione ade-guata si realizza quandoogni uomo, donna o bam-bino, sia come singolo chein una collettività, ha ac-cesso illimitato ad una ali-mentazione appropriata oai mezzi per procurarsela».www.righttofood.org

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però il fatto che alla luce delle precarie prospetti-ve di sviluppo dell’agricoltura, il dibattito si siaspostato verso la problematica della sicurezza ali-mentare futura. La crisi alimentare che nell’estate del 2008 ha rag-giunto il suo apice politico e mediale con il «Ver-tice sull’alimentazione», tenutosi a Roma, è il ri-sultato di una lunga evoluzione. Un’evoluzioneche, se si vuole bandire la fame e affermare il di-ritto al cibo per tutti, va urgentemente corretta. Inmolte regioni del mondo, la rivoluzione verdedegli anni 1960 aveva permesso di aumentare forte-mente la produzione di derrate alimentari e dicombattere la fame, soprattutto in ampie parti dell’Asia. Sementi migliori, concimi artificiali, pesticidi e la meccanizzazione della coltivazioneavevano portato ad un cambiamento strutturaledell’agricoltura e a raccolti mai visti prima di al-lora. L’industrializzazione parziale della produzioneagricola ha così generato un calo dei prezzi agri-coli. Sembrava essersi creata una base ideale perforzare lo sviluppo, soprattutto nei paesi poveri: delresto, la rivendicazione di prodotti alimentari a bas-so costo per i lavoratori era stato uno dei pilastriportanti della rivoluzione industriale del tardo Set-tecento. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e così, a cau-sa della forte pressione sui prezzi, nell’agricolturatradizionale non si poteva guadagnare più nulla.Cessarono gli investimenti e a pagarne lo scottosono stati soprattutto i piccoli contadini, in parti-

colare quelli del Sud, che non possono contare susovvenzioni statali. Questo processo ha portato allastagnazione dello sviluppo nelle zone rurali e inmolti luoghi ad un’ulteriore pauperizzazione e anuova fame – con conseguente esodo massicciodalle campagne.

Stop alle sovvenzioniI tentativi di una spiegazione monocausale dellaproblematica della fame non riescono ad abbrac-ciare tutto il fenomeno nella sua complessità. La si-curezza alimentare – e questo è dimostrato chiara-mente dalla crisi attuale – richiede un approccioglobale e un cambiamento di paradigma a vari li-velli. Iniziative quali la fornitura di derrate ali-mentari in regioni di grande indigenza, negli ulti-mi anni hanno sì salvato vite umane, ma hanno an-che causato molti danni. Machobane era solito mettere in guardia i suoi contadini: «Che cosa fa un uomo che ha ricevutoaiuti alimentari? Va a mettersi di nuovo in fila, perun po’ di merce. Perde la sua dignità – e viene la-sciato dalla moglie. Ecco perché è meglio andare ecercare lavoro per procurarsi da mangiare»! Infat-ti: chi sarà ancora disposto a faticare sui campi seil cibo è disponibile gratuitamente, o se non rie-sce più a vendere i suoi prodotti al mercato perchéle merci dall’estero costano meno? Le eccedenze della produzione agricola provenien-ti dal Nord, accumulatesi grazie alle sovvenzionistatali, inondano da anni i mercati del Sud. Così leimportazioni di grano e riso sovvenzionati prove-

Suolo prezioso Il suolo è un bene preziosoper molteplici aspetti – edè una risorsa chiave per il futuro della sicurezza alimentare: più numerosesono le persone nel mondo,meno metri quadri ab-biamo a disposizione procapite. È vero che glienormi aumenti di produtti-vità raggiunti negli ultimi 30anni ci permettono raccoltimaggiori su una superficieagraria sempre più ridotta.Ma è altrettanto vero che ilsuolo è ed è sempre statosfruttato in modo smisu-rato; lo sfruttamento sel-vaggio e la gestione erratadei suoli hanno fatto sì che,stando ad alcune stime, oltre il 40 percento dellesuperfici coltivate sonostate sfruttate e avvelenateal punto da compromet-terne la produttività a lungotermine. Porre fine a taledistruzione e ripristinare isuoli degradati è possibile,ma richiede investimenti,ricerca nonché un cambia-mento del modo di pen-sare. La pressione sulle ri-sorse agrarie sempre piùscarse è inoltre accentuatadai cambiamenti climatici e dalla coltivazione di pro-dotti agrari non destinatialla produzione di derratealimentari, quali il bioeta-nolo e il biodiesel.

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nienti dagli USA e dall’Europa hanno portatoall’abbandono di molte specie di cereali che primafacevano parte della tradizione africana. Nel Gha-na, per esempio, la produzione locale di pollame èquasi completamente crollata perché il pollo sur-gelato importato dall’UE è molto più conveniente.Il forte rialzo dei prezzi di borsa dei cereali hannocolpito duramente la popolazione più povera delSud per via della forte dipendenza dei loro paesidai mercati internazionali. Oggi, 105 su 148 paesiin via di sviluppo, pur disponendo di un ampio po-tenziale agricolo, sono importatori netti di derra-te alimentari. Se si vuole che in futuro questo po-tenziale sia utilizzato per garantire una sicurezza ali-mentare sostenibile – e su questo punto tutti gliesperti concordano – i paesi ricchi del Nord de-vono cessare di sovvenzionare la loro agricoltura aspese delle popolazioni più povere.

Aumento della domandaOggi l’agricoltura sarebbe di per sé in grado di nu-trire l’intera popolazione mondiale che conta 6,7miliardi di persone. Infatti, per via dell’alta pro-duttività dell’economia agricola industrializzata, lafame è innanzitutto un problema di distribuzionee di povertà. Ma ben presto le cose potrebbero cam-biare: da un lato perché la domanda continuerà lasua impennata a causa dell’inarrestabile crescitademografica, dall’altro perché in paesi quali la Cinao l’India molte persone riescono a superare la so-glia della povertà e quindi consumano di più. Inoltre, chi potrà permetterselo, stando ai progno-

stici basati sulle esperienze dei paesi industrializza-ti, consumerà più carne. Secondo il rapporto mon-diale sullo sviluppo, pubblicato nel 2008, per po-ter soddisfare i bisogni futuri, la produzione di ce-reali mondiale dovrà aumentare del 50 percentoentro il 2030; e per la carne l’incremento è stima-to all’85 percento. Ma intanto il mondo vive già oggi al di sopra del-le proprie possibilità: ogni anno le risorse che con-sumiamo sono di gran lunga superiori a quelle chela terra può rigenerare nello stesso periodo di tem-po. Le conseguenze: sfruttamento eccessivo dellerisorse ittiche, suoli erosi o avvelenati, penuria idri-ca, riduzione drammatica della biodiversità edesaurimento delle fonti di energia fossile. A ciò siaggiunge il cambiamento climatico che avrà benpresto un impatto negativo sulla produzione agri-cola mondiale. La sicurezza alimentare in futuro, equesto è certo, sarà sottoposta a condizioni note-volmente più difficili di quelle attuali.

Agrocarburanti: le controversie continuano L’utilizzo di prodotti agricoli, quali canna dazucchero, cereali o soia, per la produzione di agro-carburanti, aumenta ulteriormente la pressionesulle risorse naturali già scarseggianti. Da numero-si studi è emerso che gli attuali metodi di produ-zione di agrocarburanti permettono un guadagnoenergetico molto scarso. Per la produzione di eta-nolo derivato dal mais e dalla colza, l’ecobilancioè addirittura negativo. Ciononostante si continua

Le eccedenze delle produ-zioni agricole del Nord,sovvenzionate dai diversiStati, inondano a prezzistracciati i mercati di nu-merosi paesi in via di svi-luppo. Di conseguenza iprodotti locali non trovanopiù acquirenti e molte qua-lità di cereali tradizionalinon sono più coltivate.

Sicurezza alimentare

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stibile fino al motore delle automobili. Così le im-prese agricole diventano aziende produttrici di en-ergia – e viceversa. Alla luce della crisi alimentare alcuni paesi qualiGermania e Svizzera hanno rivisto la propria po-litica di promozione nel campo degli agrocarbu-ranti o sono impegnati nell’elaborazione di nuovilabel per contraddistinguere i «biocarburanti so-stenibili». Resta da vedere se ciò sarà sufficiente perassegnare in futuro una priorità più alta alla sicu-rezza alimentare globale piuttosto che alla produ-zione di energia per il Nord.

Una sfida globale Da diversi studi, che tuttavia illustrano soluzioni di-verse, è emerso che il problema della fame potrebbeessere risolto e che a livello mondiale si potrebbeprodurre abbastanza cibo per tutti. Tutti concorda-no però sul fatto che per raggiungere tale obietti-vo occorre adottare tempestivamente una serie dimisure sia a livello regionale che globale. In futu-ro la sostenibilità e la gestione accurata delle risor-

a investire miliardi nello sviluppo di agenti ener-getici che crescono sui campi e che dunque sonoin concorrenza diretta con la produzione alimen-tare. Non è chiaro se e in quale misura le speculazioniconnesse alla produzione di agrocarburanti abbia-no fatto aumentare i prezzi dei cereali, già l’annoscorso. Fatto sta che la domanda di prodotti agri-coli per la produzione di energia, senza una rego-lamentazione a livello globale, comporta un seriopericolo per la sicurezza alimentare futura. La stessa cosa vale per gli agrocarburanti detti del-la seconda generazione che costituiscono l’ogget-to di ricerche congiunte di grossi gruppi multina-zionali attivi nel campo dell’energia, dell’industriaagricola e automobilistica. Il gruppo agrario ame-ricano Archer Daniels Midland ha stilato un ac-cordo di collaborazione con Daimler nonché conil gruppo farmaceutico produttore di sementi Bay-er per la produzione e lo sfruttamento della pian-ta jatropha. Con questo tipo di collaborazioni si in-tende creare processi integrati: dal seme al combu-

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Prodotti locali, di sta-gione e del commercioequoPer effetto del commercioglobale, la sicurezza ali-mentare nel Sud avanza dipari passo con il compor-tamento dei consumatorinel Nord. In un mondo incui ogni cosa è correlata èdifficile definire delle moda-lità di comportamentosemplici. In ultima analisi si tratta di ripartire in modopiù equo le risorse disponi-bili, affinché bastino pertutti. Un indicatore impor-tante è il dispendio di ener-gia necessario per la pro-duzione e il trasporto dellederrate: per produrre unacaloria di carne di manzo,ad esempio, si consumanosette calorie di cereali inmangime. La questione èun po’ diversa per quantoriguarda i cosiddetti cashcrops, quali cacao, caffè obanane, prodotti dai conta-dini del Sud per i nostrimercati: l’elemento deci-sivo è che questi produttoriricevano per le loro merciun prezzo equo e che laloro sicurezza alimentarenon sia messa a repenta-glio dalla loro dipendenzadal mercato delle esporta-zioni. E così anche le agen-zie per lo sviluppo inSvizzera raccomandano ai consumatori e alle con-sumatrici del Nord di ac-quistare prodotti locali, di stagione e del commercioequo.

se limitate rivestiranno un’importanza centrale. Ma che cosa significa ciò concretamente? Le opi-nioni in merito sono divergenti. Mentre l’industriaagraria punta soprattutto sulla coltivazione indu-striale e sull’incremento della produttività attra-verso l’uso della tecnologia genetica, il rapportosull’agricoltura mondiale conclude, invece, cheun’agricoltura a misura dei piccoli contadini è ilmiglior garante per una sicurezza alimentare so-stenibile (vedi pag. 12). Per la DSC, l’analisi del rapporto sull’agricolturamondiale conferma che la politica che ha finoraadottato è quella giusta. Tuttavia sembra cinico do-ver contare sui piccoli contadini per salvare il pia-neta, quando sono proprio loro a subire gli effettipiù devastanti della concorrenza sul piano inter-nazionale e non riescono nemmeno a guadagnar-si il loro pane quotidiano. «Innanzitutto, questi pic-coli agricoltori devono riuscire a nutrirsi meglio»,constata l’esperto di agricoltura Willi Graf dellaDSC. «Per farlo, però, necessitano del nostro so-stegno in termini di ricerca e consulenza, ma an-

che di un miglior accesso ai mercati». Passare dall’autosussistenza alla sicurezza alimenta-re globale rappresenta un passo enorme che nonpuò essere compiuto da solo, né dai piccoli agri-coltori, né dall’intero settore agricolo. «Dobbiamorivedere il nostro stile di vita in tutti i suoi aspet-ti», afferma ancora Graf. «Anche la politica svizze-ra e noi in quanto consumatori e consumatrici ab-biamo molto da fare se vogliamo contribuire allasicurezza alimentare globale». ■

(Tradotto dal tedesco)

Sicurezza alimentare

Il disboscamento, la pro-duzione di agrocarburantie il commercio mondialeinfluiscono negativamentesulla crisi alimentare efanno sì che i piccoli con-tadini dei paesi in via disviluppo soffrano semprepiù la fame.

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«Un solo mondo»: Quante persone può nu-trire la nostra terra secondo i principi dellasostenibilità?Hans Herren: Molti dicono che non vi sono li-miti – soprattutto perché si stima che il numerodella popolazione fra 50 anni sarà aumentato di al-tri 2,5 miliardi, ma che poi inizierà di nuovo a ri-dursi. Già oggi potremmo produrre le quantità ne-cessarie – anche per 2,5 miliardi di persone in più,se non si lasciasse andare a male la metà dei beniprodotti. Per non parlare di tutto quello che oggile macchine usano come carburante. Possiamo pro-durre abbastanza – bisogna vedere solo come, dovee a che prezzo.

Quali sono i tre punti prioritari per garan-tire una sicurezza alimentare sostenibile?Innanzitutto: l’agricoltura è importante per la so-pravvivenza dell’uomo, e non solo per l’alimenta-zione. L’acqua, l’aria, tutto l’ambiente necessita diun’agricoltura al servizio degli ecosistemi. Secon-

do: dobbiamo conservare uno spazio vitale in cuil’uomo può vivere felicemente. Ciò significa chevogliamo un ambiente bello, vario, e non soltantopiantagioni gigantesche di mais o soia in un pae-saggio deserto. Terzo: è necessaria un’agricolturache aiuti i paesi in via di sviluppo a superare la po-vertà. Ciò significa anche che al Nord non possia-mo più produrre eccedenze con l’aiuto delle sov-venzioni dirette; eccedenze che poi vanno convo-gliate verso Sud, dove rovinano l’esistenza deicontadini locali. Soprattutto nei paesi in cui man-ca l’infrastruttura è molto difficile commercializ-zare derrate alimentari – viceversa il mercato nonha un influsso diretto sulla coltivazione dei campi.È l’intero ciclo che non funziona. È tutta una que-stione di investimenti.

Da dove si potrebbe iniziare?Gli agricoltori andrebbero pagati per ciò che fan-no per gli ecosistemi. Investendo per esempio nelmiglioramento dei suoli agrari o con lo stoccag-

Con le sue rivendicazioni a favore di un’agricoltura sostenibilee a misura dei piccoli contadini, il rapporto sull’agricolturamondiale dell’aprile 2008 ha destato scalpore. Hans Herren, pre-sidente supplente del Consiglio mondiale dell’agricoltura, da al-lora è sempre in viaggio per propagandere quei cambiamenticomportamentali così urgenti – per esempio nella politica agri-cola, ma anche a livello dei consumatori. Di Gabriela Neuhaus.

«Dobbiamo agire e cambiare lo stile di vita»

L’agronomo svizzero HansHerren si annovera fra i più rinomati espertinell’ambito della prote-zione biologica delle col-ture. Per i suoi lavori inno-vativi in Africa nel 1995 èstato insignito del presti-gioso premio mondiale perl’alimentazione. Herren èstato a lungo direttoredell’International Centre of Insect Physiology andEcology (ICIPE) in Kenia,dove ha elaborato pro-grammi integrati per la salute di uomo, piante, animali e ambiente. Nellasua funzione di Direttoredel Millennium Institute, dal 2005 si dedica al rile-vamento di programmi estrumenti per raggiungeregli Obiettivi di sviluppo delMillennio nei paesi in via disviluppo. Insieme a JudiWakhungu dell’AfricanCentre for TechnologyStudies Hans Herren ha condotto per quattroanni l’Assessment ofAgricultural Knowledge,Science & Technology(IAASTD), che costituiscela base del rapportosull’agricoltura mondiale.

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gio di CO2 si potrebbe aumentare enormementela produzione – con un duplice vantaggio per icontadini. Queste misure potrebbero essere avvia-te già domani.

Quando è stato pubblicato, il rapporto sul-l’agricoltura mondiale ha riscontrato ungrande interesse. Nel frattempo se ne parlameno – quale è stato il suo impatto reale?

L’interesse si è ulteriormente accresciuto: oggi sicerca di portare avanti l’operato del Consigliomondiale dell’agricoltura e istituzionalizzare le at-tività di resoconto sulle evoluzioni in campo agra-rio. Nell’aprile 2008, dinanzi alle carestie acute, bi-sognava agire immediatamente. Purtroppo, nell’in-tento di garantire la sicurezza alimentare, ancoraoggi si fa ricorso a metodi non sostenibili, comead esempio la fornitura di concimi e aiuti alimen-tari. Inoltre l’industria continua a pubblicizzare latecnologia genetica come rimedio per evitare fu-ture carestie. Eppure, oggi sappiamo, anche sullascorta dell’esperienza della Rivoluzione verde, chele carestie si ripetono ciclicamente, se non si adot-tano metodi di produzione sostenibili.

Lei è un sostenitore dell’agricoltura struttu-rata in piccole aziende contadine che lavo-rano con le risorse della natura. Come si puòprodurre abbastanza seguendo questo ap-proccio?Importante è che i contadini possano vivere deiloro prodotti, che per loro il prezzo sia giusto. L’uo-mo deve abituarsi al fatto che i prodotti alimenta-ri buoni costano un po’ di più. A Nord possiamopermettercelo senza problemi. La situazione è unpo’ diversa a Sud, ma sarebbe sbagliato mantenerebassi i prezzi delle derrate in questi paesi. Così fa-cendo il contadino resterebbe povero. Dobbiamoinvestire nei paesi in via di sviluppo per permette-re ai consumatori di trovare lavoro e di avere piùdenaro a disposizione: costruire strade, ferrovie eindustrie che smerciano i prodotti agricoli. Oggi

la maggior parte è esportata in forma grezza. NelKenia, per esempio, i manghi marciscono sotto glialberi, mentre il concentrato da cui si ricava il suc-co di mango, venduto poi nei supermercati di Nai-robi, viene importato dal Pakistan. I costi di tra-sporto sono troppo bassi, e quindi non vale la penamettere in piedi una fabbrica per la lavorazione deifrutti nel Sudan o nel Kenia. Purtroppo il liberoscambio non promuove l’economia locale.

Dobbiamo dire addio al commercio globale?Il commercio globale funziona solo se il grezzo èa basso costo. Anche se è bello mangiare le frago-le in inverno – se si calcolano i costi reali, non pos-siamo permettercelo. E c’è dell’altro: se tutti vo-lessero consumare come facciamo noi, le risorsenon basterebbero. Se però vogliamo aiutare il Suddobbiamo essere coerenti e magari rinunciare aqualcosa.

Cosa significa in termini concreti?Dobbiamo cambiare stile di vita, mangiare peresempio meno carne. In tal modo si potrebbe ri-durre il fabbisogno di suolo. Inoltre si dovrebbe in-crementare la produzione locale. Tuttavia bisognachiedersi anche che cosa è sensato fare, perché al-cuni prodotti locali costano più energia di altri chearrivano da lontano. Forse ci vuole un nuovo la-bel che ci indichi quanto costa una caloria di undeterminato prodotto. Una cosa è certa: dobbiamoagire. Perché se continuiamo così, magari funzio-nerà ancora per dieci o quindici anni, ma sarannopoi i nostri figli a doverne pagare lo scotto. ■

(Tradotto dal tedesco)

Il rapporto sull’agricol-tura mondialeIl rapporto sull’agricolturamondiale, noto anchecome Rapporto IAASTD,inizialmente è stato com-missionato dalla Bancamondiale, con lo scopo diavere a disposizione – unpo’ come per il rapporto sulclima – un’ampia analisidella situazione come baseper ulteriori sviluppi nell’a-gricoltura. L’elaborazionedello studio è durataquattro anni è ha visto ilcoinvolgimento di rappre-sentanti di tutti i campi in-teressati, per esempio leassociazioni di contadini econsumatori, le organizza-zioni ambientaliste, l’eco-nomia privata, nonché va-rie organizzazioni delleNazioni Unite. La pubblica-zione del rapporto nell’a-prile 2008 ha destato scal-pore: da un lato perché inquel momento i prezzi deicereali nelle borse interna-zionali segnavano prezzida record, mentre diverseregioni del mondo eranominacciate da gravi ca-restie, dall’altro lato, e so-prattutto, perché nelle sueraccomandazioni il rap-porto boccia l’agricolturaindustrializzata e la tecno-logia genetica verde e giun-ge alla conclusione cheun’agricoltura strutturata inpiccole aziende contadineoffre la miglior garanzia perun approvvigionamento alimentare sostenibile.

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(gn) Il sostegno delle popolazioni rurali e dei con-tadini è tradizionalmente uno dei temi prioritaridella cooperazione svizzera allo sviluppo. Seguen-do una tendenza mondiale, pur non rinunciandocompletamente all’impegno assunto in questo set-tore, negli ultimi anni la DSC lo aveva ridotto afavore di altri temi. Ma la crisi alimentare, delinea-tasi dal 2007, ha ridefinito le priorità: alla sicurez-za alimentare, uno dei grandi temi globali del no-stro tempo, dovrà essere rivolta un’attenzione par-ticolare. «La crisi alimentare crea una situazione fonda-mentalmente nuova che si ripercuoterà negativa-mente anche sul raggiungimento degli Obiettividi sviluppo del Millennio». Così Jürg Benz, inca-ricato di progettare la nuova strategia della DSC,descrive l’attuale situazione. Infatti, il rincaro del-le derrate mette in pericolo la stessa sopravviven-za delle famiglie povere, come illustra un esempiodal Bangladesh: prima della crisi, una famiglia po-vera costretta a vivere con 5 dollari al giorno spen-deva quotidianamente 3 dollari per nutrirsi e 50centesimi per l’energia; il restante dollaro e mezzopoteva essere utilizzato per le rimanenti spese come

abbigliamento, libri scolastici, medicamenti ecce-tera. Con il rincaro delle derrate del 20 fino al 50percento, il denaro non basta più. Se poi si calcolache anche l’energia ha subito degli aumenti diprezzo, va da sé che, ad esempio, anche i figli sonocostretti a trovare una fonte di reddito e non pos-sono più andare a scuola (vedi pag. 25) o che nonci si può più permettere articoli per l’igiene per-sonale – con conseguenze negative sulla salute. Ilrincaro delle derrate, dunque, può avere effettimolto più gravi e complessi fra le popolazioni piùpovere.

Un impegno sul lungo termine In un primo tempo la Svizzera ha reagito attuan-do alcune misure urgenti per sostenere con derra-te alimentari i gruppi di popolazione più bisognosi– soprattutto donne incinte, madri che allattano ebambini in tenera età. Avendo posto un accentomaggiore sulla sicurezza alimentare – uno dei tretemi abbinati ai nuovi programmi globali (accan-to ai mutamenti climatici e alla migrazione) – laDSC dispone di 20 milioni di franchi supplemen-tari per programmi di sicurezza alimentare da rea-

Priorità assoluta all’alimentazione

Fissando le nuove assi tematiche, la DSC intende focalizzarele proprie attività su temi globali fondamentali. E poiché in mol-ti paesi in via di sviluppo la situazione alimentare è drammati-camente peggiorata, nell’autunno 2008 la Svizzera ha lanciatoun programma globale per la sicurezza alimentare.

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lizzare in nuove regioni. Il programma globale si basa sull’impegno attualedella cooperazione bilaterale, multilaterale e uma-nitaria e si prefigge di creare e sfruttare sinergie. Atale scopo la DSC pone le priorità in primo luo-go su misure strutturali a lungo termine, come ilsostegno dei paesi poveri nel settore della politicaagricola e di sicurezza alimentare, con l’obiettivodi migliorare gli stimoli alla produzione locale o alcommercio regionale. Come già sperimentato in altri progetti, non ci silimiterà a promuovere solo l’agricoltura. Infatti, alcentro delle attività ci sarà il consolidamento di in-tere catene di valore aggiunto. Secondo Jürg Benzquesto è l’unico modo per migliorare in modo so-stenibile la situazione dei produttori e di stimola-re lo sviluppo rurale. «Intendiamo trattare il temadella sicurezza alimentare con coerenza a tutti i li-velli. Perciò si tratta di progetti pensati sul lungotermine, con un orizzonte temporale di almenocinque anni per un programma di sviluppo». A li-vello governativo la Svizzera è impegnata a favoredi un’agricoltura contadina sostenibile e di una po-litica commerciale e agricola orientata alle esigen-ze dei più bisognosi.

Nuove vie Dovranno essere sperimentate anche nuove formedi collaborazione. Si prevede, ad esempio, di tra-sferire in paesi come il Malawi, l’Etiopia o il Ke-nia un programma di sostegno per piccoli conta-dini e di sviluppo rurale attuato con successo in

America latina (vedi testo a margine). Attraversoun progetto di cooperazione trilaterale la Svizzerasostiene il trasferimento di know-how dal Brasilead Haiti, dove si lotta contro la crisi avvalendosi del-l’esperienza maturata con il programma brasilianodi riduzione della fame. Nell’ambito del Global Issue Programm la DSCprevede anche di aumentare il suo impegno e in-flusso nelle politiche nazionali. In particolare, gli ef-fetti prodotti dalla politica agraria svizzera sull’e-conomia e il commercio dei paesi in via di svilup-po saranno tematizzati e inseriti nel dialogopolitico. Ma anche questioni inerenti all’utilizzo dibiocarburanti o di politica commerciale elveticahanno spesso effetti concreti sulle popolazioni delSud. Perciò, anche in questo senso le conoscenzetecniche della DSC confluiranno sempre più spes-so nei processi decisionali. «Nell’estate 2008 sono state presentate trenta in-terpellanze parlamentari sul tema della sicurezzaalimentare. La DSC deve intervenire e far conflui-re la sua visione nelle risposte», afferma Jürg Benz.Infatti, la grande sfida futura sarà quella di regola-re la produzione di derrate alimentari e le relazio-ni commerciali mondiali in modo tale che il dirit-to a un’alimentazione adeguata divenga una realtàsostenibile per tutti. ■

(Tradotto dal tedesco)

Silos di metallo perl’Africa Negli anni Ottanta la DSClanciava, in America latina,un programma denomi-nato «postcosecha» (dallospagnolo «dopo il rac-colto»), il cui cavallo di bat-taglia è rappresentato daun silo di lamiera zincata di semplice manutenzione.Il silo consente di stoccarei raccolti in tutta sicurezza,permettendo ai piccolicontadini di decidere auto-nomamente quando met-tere sul mercato le ecce-denze. I silos hannopermesso di ridurre del 10-15 percento le perdite postraccolto – 50mila tonnel-late l’anno di prodotti agri-coli, per un valore di 12 milioni di dollari. Una storiadi successo dalla qualehanno deciso di trarre l’e-sempio anche diversi paesidella «cintura africana delgranoturco», dove lo stoc-caggio inappropriato com-promette fino a un terzodei raccolti di mais.Attraverso il finanziamentodi un progetto pilota laDSC promuove il trasferi-mento Sud-Sud di kno-whow dall’America latinaall’Africa, lungo i binari delCentro internazionale di ri-cerca agricola CIMMYT.L’obiettivo è di impiegare i silos metallici su largascala anche in Africa, favo-rendo così la produzionelocale e migliorando le op-portunità sui mercati per i piccoli contadini.

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La Lettonia, per molti anni, è stata considerata la terra del mi-racolo economico fra le ex repubbliche dell’Unione Sovietica.Ma l’attuale crisi finanziaria mondiale ha frenato il suo svilup-po e gli investimenti stranieri. Tuttavia, i problemi che afflig-gono il piccolo Stato sul Mar Baltico non sono solo di naturaeconomica. L’integrazione della minoranza russa in seno alpaese multietnico produce una crescente tensione sociale. DiGesa Wicke*.

Cupo e minaccioso, quasi fosse una macchia nerasull’anima della Lettonia, si erge lo scuro blocco di cemento nella graziosa Piazza del mercato diRiga, nel cuore della città vecchia. Quasi che il pos-sente edificio del «Latvijas Okupacijas Muzejs» –il Museo nazionale dell’occupazione – intenda am-monire i frettolosi passanti, a fermarsi per riflette-re sulle tremende azioni di rappresaglia alle qualifu esposto nel passato il popolo lettone.L’esposizione, all’interno dell’edificio gigantesco,documenta in maniera impressionante la storiadella dominazione straniera della terra lettone, chefu lunga e costellata di cambiamenti. Fu soltantonel 1918 che il piccolo Stato si rese indipendentedal dominio russo; ma poi, appena 22 anni dopo,furono le truppe sovietiche a marciare di nuovo interritorio lettone, invaso alcuni anni dopo dai te-deschi. Alla fine, arrivarono nuovamente i russi, cheliberarono finalmente il popolo lettone dal giogo

del nazismo e, questa volta, rimasero stazionati perben 45 anni, fino alla dichiarazione d’indipenden-za lettone, che si perfezionò nel 1991. Una soffe-renza infinita si cela dietro queste all’apparenza sobrie cifre. Le lettere, e le foto affisse sulle paretidell’esposizione narrano di gulag, sequestri e de-portazioni, di invasioni militari e censura, di fami-glie separate e di bambini cresciuti senza i proprigenitori.

Apolidi nel proprio paeseAd Anna Ivanovic tali destini importano poco. Alcontrario, e proprio questo mercoledì mattina incui sta andando all’Ufficio delle naturalizzazioni,passando davanti al museo, nemmeno lo degna diuno sguardo. «I lettoni devono moltissimo allaRussia; e questo è il loro modo di ringraziarci? No,proprio no: a me sembra di non essere presa sul serio». Anna Ivanovic fa parte della minoranza

Babele linguisticasul Mar Baltico

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Sempre meno cittadini Il mercato del lavoro let-tone si trova in una difficilefase di trasformazione. Acausa dell’alto tasso di di-soccupazione e del bassolivello salariale, numerosilettoni hanno, dai giornidell’indipendenza, voltatole spalle alla loro patriaper andare a lavorareall’estero, perlopiù inIrlanda ed in Inghilterra. Il tutto, non senza conse-guenze: dal 1991 la po-polazione è calata di oltreil 10 percento, ed unostudio svolto su incaricodel governo quantifica in150mila il numero dei let-toni che vivono all’estero.All’economia locale man-cano forze di lavoro in tuttii settori. Uno sviluppo checomporta spiacevoli con-seguenze, consideratoche si è ora costretti ad ingaggiare lavoratori in paesi in cui il costo del lavoro è ancora piùbasso: Russia, Bielorussiae Ucraina. Ciò comportaun’ulteriore pressione sui già difficili rapporti trale componenti di lingualettone e russa della po-polazione.

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tenne russa si è decisa per il test. Nelle ultime set-timane ha studiato l’opuscolo che si riferisce al test,e ora è pronta ad affrontare l’esame. «Desidero farecarriera nel lavoro, e girare il mondo – afferma condecisione –, e ciò non sarebbe mai possibile senzaquesta maledetta naturalizzazione»!

Lettone invece di russo Mentre Anna Ivanovic riappare, poco dopo, con ilcertificato d’ammissione tra le mani – rivolgendo-ci un veloce saluto, anche perché il gioioso even-to dovrà ora essere copiosamente festeggiato – taleAntons Kurstis ha ben altri pensieri per la testa.Quest’uomo dai capelli grigi e dalla folta barba èa capo dell’autorità di controllo linguistico statalelettone; lui ed i suoi collaboratori hanno al mo-mento molto lavoro. Ogni giorno, su incarico delgoverno, affrontano le strade di Riga con una mis-sione: rinsaldare l’identità e la lingua della Letto-nia! Considerato che nel recente passato si credeva inpericolo la lingua lettone, il parlamento lettone hadeciso di inasprire ulteriormente la sua politica inambito linguistico. Già a partire dal 2004, una nor-ma impone che nelle scuole medie russe almeno

russa nel paese che ammonta ad un terzo dell’in-tera popolazione; nella capitale Riga la compo-nente russa sale persino ad oltre il 50 percento. Lamaggior parte dei russi è giunta nel paese balticodopo la seconda guerra mondiale, nell’ambito divasti progetti industriali. Poi, con il crollo dell’U-nione Sovietica, molti si trovarono quali apolidi nelproprio paese, senza la cittadinanza lettone, senzadiritto di voto e senza un vero futuro. Nel frat-tempo, il governo lettone – non da ultimo a cau-sa di pressioni esterne – ha introdotto il test di na-turalizzazione Naturalisazia, con il quale si intenderisolvere il problema. Si tratta di domande con re-lativa scelta fra risposte pre-formulate e riguardan-ti storia e costituzione della Lettonia, la declama-zione dell’inno nazionale, un breve test di gram-matica e conoscenze idiomatiche. «Tutto moltosemplice», afferma con un accenno di sorriso la si-gnora dai riccioli rossi incaricata della consegna delformulario di naturalizzazione. Tuttavia, non è sem-pre così semplice: in particolare i vecchi russi, ri-fiutano, a volte con una certa veemenza, di sotto-porsi al test; lo considerano un’offesa, un’imposi-zione o anche, come dice Anna, un «atto disottomissione». Ciononostante, la graziosa tren-

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dopo l’indipendenza della Lettonia fu incaricata disorvegliare sulle istanze di integrazione e dei dirit-ti della componente russa (un terzo in tutto) del-la popolazione, oltre che sulla politica di naturaliz-zazione – completò il suo lavoro nel 2001 dichia-rando ufficialmente risolta la problematica, reazionicome quelle della commessa di cui sopra mostra-no quanto sia ancora oggi carica di tensioni l’in-tegrazione dei russi in Lettonia.

Ieri eroi, oggi insultati Nel paese baltico il solco fra russi e lettoni è sem-pre più profondo: risentimento e pregiudizi deter-minano le percezioni da entrambe le parti. E il do-loroso passato appare oggi tutt’altro che superato.In particolare agli anziani di origine russa non ri-esce semplice comprendere appieno ed accettare icambiamenti della situazione politica.Un esempio: l’Associazione dei reduci e pensionatirussi di guerra in Lettonia è anche una delle mag-giori organizzazioni di veterani del paese. Più di15mila soldati dell’allora esercito sovietico vivonoancora oggi in Lettonia, molti di essi si incontra-no regolarmente, celebrano vecchi rituali e festeg-giano – ancorché ciò sia proibito – le ricorrenzedei tempi dell’URSS. Tempi in cui l’esercito russo era considerato il li-beratore, e non certo l’occupante, ed i suoi solda-ti venivano trattati da eroi, e non come oggi, in-sultati e sputati dalla gente in strada. Tempi di unpassato remoto, ma ancora così tragicamente pre-senti nella Lettonia di oggi. ■

* Gesa Wicke è giornalista freelance a Brema e visita re-golarmente i paesi baltici.

(Tradotto dal tedesco)

il 60 percento dell’insegnamento debba essere impartito in lingua lettone; e che inoltre tutte lescuole russe siano trasformate in istituzioni bilin-gui. Numerose organizzazioni per i diritti umaniprotestarono allora contro questa riforma, tuttaviasi giudicò la misura ancora insufficiente.Per tale motivo, Antons Kurstis ed il suo team sonoora assiduamente sulle strade della capitale, forte-mente impegnati nella campagna per il manteni-mento del lettone. Articoli di stampa, manifesti, car-telli indicatori: tutto deve essere espresso in lingualettone, ed anche il personale di vendita è sotto-posto a prove-campione di conoscenza idiomati-ca. E guai se questa autorità linguistica trova an-che solo una vocale cirillica di troppo: allora ci sonopesanti multe, di parecchie centinaia di euro! «Negli ultimi mesi si è verificato un continuo cre-scendo di lamentele, da parte di lettoni che si sen-tono discriminati nella loro stessa terra, in quantogli è stata negata una normale comunicazione inlettone», afferma Kurstis a muso duro. E aggiunge:«Perciò, il nostro compito prioritario resta quellodi proteggere il lettone, la nostra lingua nazionale,e di opporci all’uso illegale dell’idioma russo»!

Un’integrazione carica di tensioni Un compito prioritario, sì, visto che a 17 anni dal-l’indipendenza, la lingua russa resta in Lettonia unidioma che è tutt’altro che la minacciata lingua diuna minoranza etnica. In fondo, ai tempi del-l’URSS fu lingua ufficiale, e ancora oggi, almenole persone anziane, la parlano perfettamente, poi-ché a quei tempi era materia obbligatoria in ogniscuola. Anche se molto è cambiato, ancora oggi unagran parte dei datori di lavoro privati pretende chei propri impiegati parlino bene il russo; «Soprat-tutto perché fra i clienti ci sono spesso molti rus-si», dice Kurstis. «È una vergogna – afferma la com-messa di un negozio di articoli di cancelleria –, irussi devono capire che loro sono subordinati, e de-vono adattarsi a questa nostra terra», e lo dice conuna violenza che si esprime con un pugno sul le-gno del banco vendita. Anche se l’OSCE – che

Spaccatura crescenteA partire dall’indipendenzadel 1991, il corso econo-mico di impronta forte-mente liberale del governolettone ha consentito, neglianni recenti, a un elevatonumero di creativi giovaniimprenditori una rapida ricchezza, e all’economiaun costante impulso allacrescita. Anche investitoriesteri hanno da tempo sco-perto i vantaggi della poli-tica economica lettone. Essiprofittano soprattutto deibassi livelli salariali, di unaforza lavoro ben formata e di una fiscalità per le im-prese ben più bassa chenegli altri paesi europei.Tuttavia, non tutti possonoessere considerati vincitori:ad esempio, più di tre quartidei pensionati vivono al disotto del minimo esisten-ziale. La pensione media inLettonia è più o meno di180 franchi al mese, e chinon può contare sull’aiutodei famigliari deve ricorreread un lavoro sussidiario. Inparticolare nelle zone rurali,la maggior parte della po-polazione è ancora ben lon-tana dagli standard di vitadell’Europa occidentale.

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(bf ) La Lettonia è uno dei dieci paesi divenutimembri dell’UE nel 2004, e dunque fra quelli chebeneficiano del contributo svizzero all’allarga-mento dell’UE. Responsabili della sua applicazio-ne sono la DSC e la Segreteria di Stato dell’eco-nomia SECO. Nell’ambito di questo contributo, inLettonia sono stati approvati – fino al 2012 – pro-getti per un volume totale di 59 milioni di franchi,intesi alla riduzione degli squilibri economici e so-ciali all’interno dell’Unione Europea. In questaprospettiva, circa tre quarti dell’ importo stanziatosono destinati alla realizzazione dei progetti propu-gnati dalla DSC, mentre un terzo è destinato al fi-nanziamento di progetti voluti dalla SECO. Al ri-guardo, la concretizzazione dei progetti è in Letto-nia più avanzata che non in altri paesi, in quantopraticamente tutte le idee progettuali sono presen-tate dai relativi ministeri lettoni e, da parte svizze-ra, sono già stati discussi con il Ministero degli Este-ri lettone. L’implementazione dei progetti viene ac-curatamente accompagnata dall’Ufficio per ilcontributo svizzero all’allargamento di Riga, che sitrova in stretto contatto con l’Ufficio nazionale dicoordinazione del Ministero lettone delle finanze.In primo piano troviamo le seguenti quattro tema-tiche portanti:

Sicurezza, stabilità e sostegno alle riformeNell’ambito dello sviluppo regionale è previsto, interritori piuttosto discosti, il miglioramento del tra-sporto scolastico. In quest’ottica si dovrà provvede-re a finanziare l’acquisto di scuola-bus, sulla base diuna analisi della situazione. L’obiettivo è quello dioffrire a bambini che abitano in regioni isolate elontane un sicuro tragitto da casa a scuola, facili-tando così il loro accesso all’istruzione. Inoltre, laSvizzera contribuisce ad un rafforzamento del la-

voro giovanile. In primo piano si evidenziano quiiniziative per i giovani (ad esempio, programmi discambio, corsi di formazione, attività per il tempolibero) e la formazione di specifici operatori socia-li. Nel settore della giustizia, la Svizzera supportaun programma inteso a realizzare una struttura giu-diziaria qualitativamente migliore e più efficiente,che consenta al cittadino un più facile approcciocon l’autorità giudiziaria.

Ambiente ed infrastruttura Per il miglioramento delle condizioni di vita e perla promozione di un durevole sviluppo economi-co, si dovrà provvedere al risanamento delle disca-riche per i rifiuti speciali, come pure procedere alladecontaminazione di territori fortemente inquina-ti. Inoltre si dovrà in futuro procedere alla gestio-ne controllata delle discariche destinate a ospitarerifiuti speciali.

Promozione del settore privato Per un migliore regolamento del settore finanzia-rio dovranno essere prese misure negli specifici set-tori del resoconto e della revisione contabile delleimprese. In questo modo si contribuisce alla com-pleta applicazione del diritto comunitario dell’U-nione Europea.

Sviluppo umano e sociale Con mezzi svizzeri di sostegno si dovrà provvede-re a finanziare il consolidamento del potenzialescientifico lettone, l’accesso a programmi di for-mazione e di ricerca, la distribuzione di borse di stu-dio e di programmi di scambio culturale.Inoltre si provvederà a sostenere iniziative della so-cietà civile nei settori dell’ecologia e del sociale. ■

La Lettonia e la Svizzera Dai rifiuti speciali fino al trasporto scolastico

Lettonia

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Zane Berlaua ha conse-guito un titolo di studio universitario in manage-ment del turismo e unalaurea in amministrazionepubblica. Ha 28 anni e vivea Riga. Lavora come assi-stente di direzione pressola casa editrice «Dienasbizness» e nel suo tempolibero si dedica allo sport,frequenta eventi culturali ecerca un lavoro all’estero.

Il mio piccolo paese delle meraviglie

Una voce dalla Lettonia

Sono nata in una piccola cittadina della Lettoniasovietica, in una famiglia numerosa, cosa abbastan-za insolita. Una volta a casa nostra venne addirit-tura un rappresentante del Sowjet della città perappuntare la medaglia di madre-eroina al petto dimia mamma. Il riconoscimento da parte dei nostrivicini era invece piuttosto limitato, ma la nostracondizione di famiglia numerosa aveva anche i suoirisvolti positivi: se gli altri bambini con le loro mar-chette dovevano fare ore e ore di fila per ritiraresalsiccia, zucchero o burro, noi almeno potevamodarci il cambio.

Dopo la «Rivoluzione del canto», avvenuta attor-no al 1988, all’inizio degli anni 1990 cominciaro-no a giungere i primi aiuti umanitari, che ci per-misero - con gli occhi spalancati dallo stupore – discoprire una varietà di colori e oggetti mai visti pri-ma: brillanti tonalità di giallo, verde e blu; e i den-ti dei primi stranieri che vidi con i miei occhi era-no veramente bianchi. Inoltre, scoprì che Lenin inrealtà non era mio nonno, e che il televisore par-lava anche il lettone. Da questo momento, per me,come per la gran parte dei lettoni, tutto quello chearrivava dall’estero (occidentale) era buono e giu-sto – e la vita nella capitale Riga, sembrava esserequella più desiderabile.

È a Riga che vivo ormai da una decina di anni –e con me la metà della popolazione lettone. Il re-gime sovietico era simbolo del pensiero unico, del-l’univocità dell’opinione a livello artistico, cultu-

rale, sociale e politico. Oggi, dopo l’apertura dellefrontiere, questa unità consiste nel fare proprie le«culture» degli altri paesi e nella dichiarazione che«la Lettonia è capace!». Si tratta di un progetto crea-to dal mio datore di lavoro, il primo giornale dieconomia della Lettonia per ordine di importan-za. L’idea: presentare lettoni che si sono costruiti –in un qualsiasi posto del mondo o dopo l’esilio alloro ritorno in Lettonia – una vita dignitosa, in op-posizione a coloro che in Irlanda o in Inghilterraraccolgono funghi e siedono alle catene di mon-taggio. Tuttavia, in prima linea si affermano colo-ro che hanno avuto la fortuna di frequentare unascuola universitaria o di aver trovato un lavoro al-l’estero.

Io ho due lauree universitarie lettone in tasca – enel mio settore preferito non trovo lavoro nean-che come segretaria. Sembra che la Lettonia con-tinui a copiare tutto quello che vede oltrefrontie-ra, visto che tutto le sembra buono e valido. Così,ad esempio, divido un appartamento di due vanicon una coppia gay, comunico con i miei amici pre-valentemente via Skype e non mi meraviglio piùse nel filobus dinanzi a me siede un bambino neroo giallo che parla il lettone.

Ciononostante, qui da noi regna ancora l’inegua-gliabile magia della vecchia Lettonia. Nel nostropaese i Lettoni sono così pochi che è quasi im-possibile camminare per strada, andare al cinema oin campagna senza imbattersi in un parente o inun vecchio conoscente. Sono passati 18 anni dallaproclamazione di indipendenza, e ancora oggi sia-mo un popolo in cui ognuno ha il suo orticello,sul davanzale della cucina crescono erba cipollinae aneto, e i funghi e le bacche raccolti nei boschili conserviamo per l’inverno. Anche se in vita mianon ho mai visto una mucca blu, che è il simbolonazionale principale della Lettonia, vado fiera diquesto paese. E non importa, se ieri nel centro sto-rico di Riga, due turisti si sono avvicinati, chie-dendomi: «Scusi, può indicarci la strada per Riga»?

Prima o poi tutti sapranno chi e dove siamo. Per-ché se ci impegniamo veramente non riusciamo,se invece non ci impegniamo riusciamo. E così chevanno le cose da noi – nel mio piccolo paese del-le meraviglie che è la Lettonia. ■

(Tradotto dal lettone)

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Al Vertice dell’ONU del Millennio, nell’anno2000, la Svizzera ha promesso di incrementare ilsuo impegno a favore dei più poveri. Da quell’an-no, gli importi destinati alla cooperazione allo svi-luppo sono cresciuti in maniera assoluta. La per-centuale riferita al prodotto interno lordo è percontro stagnante, e ciò deve cambiare. Nello scor-so mese di dicembre, il Parlamento ha deciso diportare l’aiuto allo sviluppo, entro il 2015, dagli at-tuali 0,37 allo 0,5 percento del reddito nazionalelordo. A questo scopo, il Consiglio federale dovràpresentare l’anno prossimo al Parlamento un mes-saggio supplementare. Tale decisione è coraggiosae evidenzia diversi segnali positivi.

Degno di nota è il momento in cui è stata presa ladecisione. Infatti, coincide con l’inizio della crisifinanziaria che sconvolge l’economia planetaria emette in crisi anche le più solide economie nazio-nali. A livello internazionale si decide di utilizzareenormi somme di denaro provenienti dalle cassedei vari Stati per sostenere grandi banche e setto-ri industriali di importanza strategica. Tutto ciò pro-voca strappi nelle casse statali.

Esiste il pericolo che l’aiuto allo sviluppo ne sof-fra? Tale eventualità non si può certo escludere. Asoffrirne di più sarebbero quei paesi che meno ditanti altri hanno colpe e che non sono assoluta-mente in grado di ammortizzare le conseguenzedella crisi con misure economiche e sociali. La con-seguenza potrebbe manifestarsi in un aumento diconflitti e di inquietudine sociale.

Tutto ciò va evitato. Con l’intento dichiarato di au-mentare un passo per volta l’aiuto, il Parlamento

mette in guardia da possibili tendenze negative. Se-gnala che la solidarietà verso i paesi poveri, mal-grado o proprio a causa di mezzi di bilancio ridotti,non può essere indebolita. È pertanto chiaro cheil superamento di una crisi globale è possibile solotramite una cooperazione internazionale ancor piùrobusta e una migliore intesa. I paesi del Sud e del-l’Est del mondo devono essere sempre meglio in-tegrati nella soluzione di questi compiti comuni.La cooperazione allo sviluppo contribuisce a que-sto processo, rinforza le istituzioni dei paesi part-ner e migliora le loro possibilità partecipative inseno alla concertazione internazionale.

La decisione presa dal Parlamento è anche una pro-va di fiducia per la DSC e onora la complessa ri-organizzazione della Centrale e la migliore inte-grazione della cooperazione allo sviluppo nel-l’ambito complessivo della politica estera svizzera.La base fondamentale per un utilizzo più efficaceed efficiente dei mezzi in bilancio è così posta. ■

Martin Dahinden Direttore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

Una promessa al momento giusto

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Un consolidamentolento della pace Nel 2000 il governo burun-dese ha sottoscritto ac-cordi di pace con 18 fa-zioni, ma non con i ribelliarmati. Solo nel 2003 ilgruppo di ribelli CNDD-FDD ha deposto le armi,trasformandosi in partitopolitico. I suoi combattentisono stati integrati nell’am-ministrazione e nell’eser-cito. Questo partito havinto le elezioni legislativedel 2005, e il suo leaderPierre Nkurunziza ha as-sunto la presidenza. Maqueste elezioni non hannoposto fine al conflitto,poiché restava attivo un ultimo gruppo ribelle, ilPalipehutu-FNL, che ha firmato un accordo di cessate il fuoco nel 2006,prima di darsi nuovamentealla macchia. Il gruppo ètornato al tavolo delle trat-tative nella primavera del2008.

(jls) Dall’indipendenza, ottenuta nel 1962, moltestragi hanno travolto ad intervalli regolari le dueetnie dominanti – la maggioranza hutu, vittima didiscriminazioni, e la minoranza tutsi che per quat-tro decenni ha detenuto il controllo su ogni appa-rato statale. I massacri del 1993 hanno affondato ilpaese in una guerra civile che in dodici anni ha pro-vocato 300mila morti. Dalle elezioni legislative del2005, vinte da un ex movimento di ribellione, letensioni sono diminuite. Tuttavia, i burundesi sonoancora lungi dalla riconciliazione. Per stabilire unapace duratura il paese deve rielaborare il suo pas-sato doloroso e mettere fine all’impunità di cui be-neficiano i responsabili di queste violenze.

Ritardi nell’attuazione Gli accordi di pace conclusi nel 2000 prevedeva-no di instaurare, sotto l’egida delle Nazioni Unite,due organi di giustizia di transizione: una Com-

missione per la verità e la riconciliazione, incari-cata di far luce su tutti i massacri perpetrati dal-l’indipendenza, e un Tribunale speciale che giudi-cherà i colpevoli. Questo doppio meccanismo nonè ancora costituito – tanto profonde sono le di-vergenze sulle sue competenze. A titolo di esem-pio, il governo burundese auspica la cassazione deiprocedimenti penali per le persone che confessa-no le atrocità commesse; l’ONU, invece, non tol-lera amnistie per gli autori di crimini di guerra econtro l’umanità. Ma su un punto le due parti sonod’accordo: l’organizzazione di consultazioni po-polari nazionali per ottenere il parere dei burun-desi sulla giustizia di transizione.

Mediazione e sensibilizzazione La Svizzera agisce a livello politico per accelerarela realizzazione di questo doppio meccanismo.Marc George è consulente per le questioni di con-

Rielaborare un passato doloroso

Il Burundi esce da una lunga guerra civile, ulteriore capitolo nerodi una storia nazionale travagliata da massacri e genocidi. LaSvizzera interviene a vari livelli per aiutare il paese a superarei traumi del passato: offre la sua mediazione, incoraggia la mes-sa in atto di una giustizia di transizione e porta aiuto alle don-ne vittime di violenze.

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riconciliazione e la giustizia di transizione, e so-stiene la copertura mediatica delle consultazionipopolari.

Stuprate durante e anche dopo la guerra Perpetrati su larga scala dai soldati delle varie fa-zioni, anche gli stupri godono di una pressoché to-tale impunità. Per timore di rappresaglie sono po-chissime le donne che osano denunciarli. A questedonne la DSC offre sostegno giuridico nel quadrodi un programma, attuato dal 2002 in Congo e Bu-rundi, che prevede anche cure mediche e sostegnodi carattere psicosociale. «Le vittime hanno biso-gno in primo luogo di assistenza medica – o di unintervento chirurgico, per quelle che hanno subi-to le lesioni più gravi. Il loro secondo problema èdi ordine economico. Infatti, sono in molte ad essere ripudiate dalla famiglia e a ritrovarsi senzarisorse», sottolinea Ursula Keller dell’organizza-zione femminista svizzera cfd che ha sostenutol’Ufficio di cooperazione della DSC nell’accom-pagnamento di questo programma. Secondo Ursula Keller è arrivato il momento di porre l’ac-cento su tutte le violenze e le ingiustizie perpe-trate contro le donne. «Se durante la guerra gli stu-pri hanno assunto tale ampiezza è perché nella so-cietà le donne hanno uno statuto inferiore. Delresto, queste violenze perdurano nonostante la tre-gua. Oggi gli aggressori sono dei civili, general-mente un membro della famiglia o un parente». ■

(Tradotto dal francese)

solidamento della pace in seno all’Ufficio di co-operazione svizzero a Bujumbura. Nei suoi con-tatti con le autorità e i partiti, il collaboratore del-la Divisione politica IV del DFAE pone l’accentosulla necessità di affrontare il passato: «Le cose pro-grediscono lentamente. Alcuni degli attuali diri-genti non hanno nessun interesse a lanciare un pro-cesso che potrebbe stabilire la loro responsabilitàin questi eventi. Ma questo non ci impedisce di pre-parare il terreno affinché la giustizia di transizio-ne, al momento opportuno, trovi condizioni adat-te».Svariate iniziative mirano a ristabilire la pace e con-solidare lo Stato di diritto. La mediazione svizzeraha permesso, ad esempio, di organizzare numerosicolloqui tra politici burundesi e gruppi ribelli. IlDFAE offre il suo sostegno alle autorità anche perla stesura di rapporti concernenti i trattati interna-zionali sui diritti umani. Occorre inoltre migliora-re la sicurezza nel paese: sono, infatti, 100mila le fa-miglie che possiedono fucili o granate. A tale pro-posito la Svizzera sostiene un progetto di disarmovolontario della popolazione civile e di distruzio-ne delle armi leggere.

Infrangere i tabù Altre azioni mirano a migliorare l’informazionepubblica e a incoraggiare il dialogo sugli avveni-menti passati. «Alcuni massacri hanno catturato l’at-tenzione dei media, ma altri sono avvenuti nel-l’ombra. I burundesi non osano parlarne, poichépuò essere pericoloso formulare accuse. Quandola Commissione per la verità e la riconciliazioneavrà reso pubblici questi abusi, le famiglie non do-vranno più nascondere la loro sofferenza», spiegaMarc George. La Svizzera sostiene uno spettacoloteatrale presentato in tutto il paese che invita glispettatori a dibattere sulle violenze. Inoltre finan-zia la diffusione di trasmissioni radiofoniche sulla

No alla violenza In Burundi e nel Congo laproblematica degli stupri èmessa in luce da svariatecampagne di sensibilizza-zione che, dal 2007, pos-sono valersi del preziososostegno di un fumettopubblicato dalla DSC infrancese, kirundi e swahili –«No alla violenza! Lo stupronon è una vergogna, è uncrimine» – in cui vi si scoprela storia di Générose, unacontadina violentata da uno sconosciuto mentredissodava il suo campo.Ripudiata dal marito,Générose si rifugia da unavicina che l’accompagnaall’ospedale e le consiglia di sporgere denuncia. Il fu-metto fornisce tutte le infor-mazioni utili alle donne vit-time di stupro: la necessitàdi assumere entro 72 oremedicinali contro una gravi-danza indesiderata e malat-tie sessualmente trasmissi-bili, le possibilità di ottenereun sostegno psicosociale,le basi legali e le proceduregiudiziarie.

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( jls) Nelle zone rurali in cui sono insediate, le cas-se di risparmio e di credito rappresentano l’unicoaccesso a servizi finanziari. Sono concepite sul mo-dello delle casse Raiffeisen, con clienti soci e un’or-ganizzazione mantello, l’Unione albanese di ri-sparmio e di credito (Unione ASC), che difendegli interessi dell’insieme delle cooperative. Questa rete si è sviluppata partendo da un proget-to di microcredito lanciato dalla Banca mondialealla caduta del comunismo: dei «fondi di credito divillaggio» prestavano denaro ai contadini e ai pic-coli imprenditori desiderosi di investire in attivitàproduttive. La DSC ha fornito un appoggio tecni-co e strategico al progetto. Alla fine degli anni No-vanta ha sostenuto la conversione di questa strut-tura temporanea in un sistema finanziario duratu-ro gestito dagli abitanti dei villaggi. «Il progetto ha aiutato le piccole entità iniziali a rac-cogliersi per formare cooperative, quindi ad auto-finanziarsi mobilitando il risparmio», ricorda RuthEgger, incaricata di accompagnare lo sviluppo del-la rete. Dal 2005 l’Unione ASC non dipende piùdal contributo finanziario dei donatori. E nel 2007si classificava fra le quindici istituzioni di microfi-nanza più efficienti al mondo.

Presto una «vera» banca Come istituto finanziario non bancario, l’Unioneè tuttavia limitata ad alcune attività ed è questo ilmotivo per cui prevede di trasformarsi in una ban-ca commerciale. «Ciò ci permetterà di allargare lanostra gamma di servizi per soddisfare le necessitàdi una clientela più esigente che in passato», spie-ga la direttrice Zana Konini. Fra queste nuove prestazioni figura il trasferimen-to internazionale di denaro: la rete potrà così tra-sportare nei villaggi le rimesse inviate alle famigliedagli emigrati albanesi. Il previsto cambiamento ri-chiede tecnologie più moderne, maggiori capaci-tà di gestione e un’infrastruttura migliore. Diversifinanziatori hanno promesso all’Unione un aiutofinanziario o tecnico per questa nuova fase del suosviluppo. ■

(Tradotto dal francese)

L’Unione ASC in cifre La rete di casse di rispar-mio e di credito cresce di anno in anno. È già pre-sente in tredici dei 36 di-stretti albanesi, e le 103cooperative servono 778villaggi. Conta quasi 23 400membri. Il suo portafogliodi prestiti ammonta all’e-quivalente di 43 milioni difranchi svizzeri. L’importomedio dei crediti concessiè di 4300 franchi, e la per-centuale di rimborso sfiorail 100 percento. Quanto alrisparmio, introdotto nel2001, si è sviluppato solotimidamente. Ma una voltaacquisita fiducia nel si-stema, gli abitanti dei vil-laggi sono stati viepiù nu-merosi ad affidare le loroeconomie alle casse. Nel2007 i fondi di risparmiosono progrediti del 73 per-cento. Nel secondo trime-stre del 2008 superavano i 12 milioni di franchi.

Da progetto di microcredito a banca commerciale L’Albania conta più di cento casse di risparmio e di credito cheservono quasi 800 villaggi rurali. Questa rete di cooperativesi è costituita gradualmente dal 1992 con il sostegno dellaDSC. Oggi autogestita e autofinanziata, prevede di trasfor-marsi in banca commerciale per offrire ai suoi clienti nuoveprestazioni.

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Il Parlamento aumenta l’aiutoallo sviluppo ( jtm) La Svizzera incrementa ilsuo impegno a favore dei piùpoveri. È quanto hanno stabilitole Camere federali, nel dicembre2008, nell’ambito dell’elimina-zione delle divergenze concer-nenti i due messaggi in meritoalla cooperazione allo sviluppo.Il Parlamento chiede al Consigliofederale un messaggio aggiun-tivo che dovrebbe indicare inquale modo i mezzi supplemen-tari saranno impiegati, in modoche la Svizzera, fino al 2015,possa raggiungere l’obiettivo –fissato per l’aiuto allo sviluppopubblico – dello 0,5 percentodel reddito nazionale lordo(RNL). Il Parlamento ha presouna decisione politicamentefondamentale che va oltre laproposta del Consiglio federaledello 0,4 percento. L’importodel messaggio aggiuntivo dipen-

derà dallo sviluppo del RNL. Lacifra si aggirerà presumibilmenteintorno ai 400 milioni di fran-chi. Il Parlamento ha inoltre deciso che la parte dell’aiutomultilaterale nell’ambito dellacooperazione allo sviluppo nondovrà superare il 40 percentodell’intero credito-quadro.L’accrescimento dell’aiuto pub-blico è una prova di fiduciaverso l’operato della DSC enelle misure di riforma avviate.Il Parlamento lancia un segnaledi solidarietà internazionale intempi ben più che turbolenti. I paesi in via di sviluppo nondevono pagare i costi della crisifinanziaria. Proprio ora è impor-tante sostenere i paesi poveri, affermano i politici che propu-gnano tale politica. Non farlo,porterebbe con sé anche il rischiodi ulteriori, gravi fenomeni dirigetto.

Un maggiore spazio di ma-novra sul posto (jtm) Dopo l’avvenuta riorga-nizzazione della Centrale, nellaseconda fase della riorganizza-zione della DSC prevista per il2009, si provvederà a riformu-lare le relazioni tra la Centrale di Berna e gli Uffici di coopera-zione presenti nei paesi partner.In primo luogo si punta ad unamaggiore decentralizzazione deiprocessi decisionali. Infatti, se-condo studi compiuti, l’efficaciadella DSC sul posto può esseremigliorata delegando una mag-giore responsabilità agli Uffici dicooperazione. La DSC ha giàcompiuto un primo passo versola decentralizzazione nel 1995;tuttavia, le decisioni strategicherestavano di competenza dellaCentrale. Ora, tale processo didecentralizzazione viene portatoa termine. La responsabilità de-cisionale dovrebbe essere più vi-

cina possibile al «campo», dove ilprogramma viene implementato.Un gruppo di lavoro, compostoda collaboratori della Centrale edegli Uffici di cooperazione, haelaborato diverse opzioni. In pri-mo piano vi è la proposta che laCentrale elabori un programmaintegrale a proposito di unapriorità tematica e ne stabiliscal’ambito finanziario. Per la sele-zione dei singoli progetti e perl’ulteriore sviluppo dei pro-grammi tematici sarebbe poi responsabile l’Ufficio di coope-razione. Inoltre, si dovrebberosviluppare nuove forme di co-operazione, con l’obiettivo dirinsaldare la presenza e l’efficaciadell’aiuto svizzero allo sviluppo,della Cooperazione con l'Europadell'Est e dell’Aiuto umanitario.La Direzione prenderà in me-rito, a fine primavera, importantidecisioni.

Dietro le quinte della DSC

(bf ) Nell’aiuto allo sviluppo si è iniziato a parlare di livelihoodapproach alla fine degli anni 1990 per tentare di evitare un ap-proccio troppo settoriale (salute, agricoltura, ecc.) nella lotta allapovertà. Livelihood in italiano si traduce con contesto di vita obasi vitali, mentre approach significa approccio o anche chiave dilettura. È generalmente riconosciuto che la povertà è pluridi-mensionale – che, per esempio, non può essere ridotta ad un red-dito giornaliero di meno di 1 dollaro – e che, per contrastarla,occorre intensificare gli sforzi e le prestazioni che gli stessi pove-ri mettono in atto allo scopo di uscire dall’indigenza. Il concet-to del livelihood approach propone un quadro analitico, incen-trato sull’uomo e le sue idee, le sue decisioni e le strategie di vitae sopravvivenza. Lo scopo è quello di capire, come e sotto qualiinfluenze (regole di condotta, rapporti di forza, reddito, disponi-bilità di infrastruttura, ecc.) prendono le loro decisioni. In termi-ni concreti si capisce per esempio che la povertà non ha lo stes-so significato per una famiglia di pescatori, di contadini o di ta-gliapietre, anche se tutte e tre vivono nello stesso villaggio.Saranno dunque diverse anche le strategie sviluppate per sottrar-si alla sua morsa. Un progetto della DSC, attuato nel Bangladesh, ha rivelato chele famiglie autoctone si avvalgono delle strutture scolastiche pub-bliche in modo differenziato. Mentre le famiglie povere di ungruppo non ne fanno quasi uso, le famiglie indigenti dell’altrogruppo le considerano una grande opportunità per i loro figli, iquali praticamente non mancano neanche una lezione. Da ciò

Che cos’è … livelihood approach?

emerge che il sostegno offerto da una scuola è accolto in modoassai diverso a seconda dei gruppi di poveri. Per combattere lapovertà in modo efficace bisogna capire cosa fa la gente, in qua-li condizioni lo fa e per quali motivi. Il quadro proposto con illivelihood approach permette di immedesimarsi in una realtà enelle attività con cui si combatte la povertà. I risultati ottenuti nelBangladesh saranno integrati nel programma per la lotta alla po-vertà, in quanto permettono innanzitutto di capire le basi vitalidel contesto di vita delle famiglie in questione, per poi proteg-gerle, rafforzarle e possibilmente migliorarle.

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l’anno e attivo in 40 nazioni, soprattutto latino-americane, africane e asiatiche. Sono all’incirca 200i volontari delle organizzazioni di Unité in mis-sione ogni anno.

Mettere in continua discussione il propriooperato Non tutte le organizzazioni che operano conesperti volontari aderiscono tuttavia a Unité. Me-dici senza frontiere (MSF), per esempio, non è con-siderata un’organizzazione che distacca personalevolontario, ma rientra nelle organizzazioni medi-che a carattere umanitario. A questo titolo MSF ècofinanziata dalla DSC tramite il budget umanita-rio. Nel 2007 la sezione svizzera di MSF ha colla-borato in 60 progetti realizzati in oltre una venti-na di paesi. Senop Tschakarjan è un medico di MSF.33 anni, cittadino tedesco di origini armene, vivea Zurigo ed è appena rientrato da un interventonel Darfur occidentale (Sudan). Per cinque mesi hacurato migliaia di persone con i suoi colleghi del-l’unità mobile. Ogni giorno la squadra di MSF

Nell’aiuto allo sviluppo chi cerca l’avventura è fuo-ri posto. Lo dimostrano anche le cifre dei coope-ranti effettivamente impiegati. Le istituzioni consede in Svizzera, infatti, scartano la metà circa del-le domande di persone interessate a un impiego vo-lontario nel Sud. «Con avventurieri e sapientoni non si va da nes-suna parte e nemmeno con chi pensa di cambiareil mondo. Le qualità indispensabili di un cooperantesono le competenze professionali e sociali», spiegaMartin Schreiber, amministratore di Unité, asso-ciazione svizzera mantello per l’invio di personalenella cooperazione internazionale. Unité rappre-senta 25 organizzazioni con un orientamento tec-nico, di politica di sviluppo, religioso e umanita-rio come Bethlehem Mission Immensee, Mission21, Interteam, E-Changer e Solidarmed. In colla-borazione con le organizzazioni aderenti, l’asso-ciazione cura un programma di promozione degliscambi di personale nella cooperazione allo svi-luppo e degli scambi Nord-Sud. Il programma èsostenuto dalla DSC con nove milioni di franchi

Volontario sì, ma professionale

L’invio di volontari nei paesi del Sud suscita spesso critiche.C’è, infatti, chi sostiene che sia poco efficace e che sottraggaai lavoratori locali i posti di lavoro. Ma tali critiche sono perlo-più prive di fondamento. In realtà, negli ultimi anni, il volonta-riato si è viepiù professionalizzato – a beneficio, innanzitutto,delle popolazioni del Sud. Di Maria Roselli.

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composta da un medico, un assistente, una psico-loga e un’infermiera ha visitato e curato in me-dia160 persone. «Giorno per giorno ci interroga-vamo sul senso del nostro operato. Ciò è molto im-portante, poiché è l’unico modo per imparare daglierrori», afferma il medico – che presto ripartirà inmissione per conto di MSF. Nonostante l’uccisione, nel gennaio del 2008, ditre cooperanti di MSF a Kismaayo, in Somalia, Se-nop Tschakarjan non ha ripensamenti: «Abbiamodel buon personale di sicurezza, e siamo stati ad-destrati su come comportarci in situazioni di pe-ricolo». Infatti, la formazione e la selezione dei vo-lontari è di centrale importanza per la riuscita diun’operazione.

Dal lavoratore edile all’ingegnere La selezione del personale è accuratissima. Bastipensare che, negli ultimi sei anni, un’organizzazio-ne di scambio di personale cooperante delle di-mensioni di E-Changer, ha dovuto richiamare sol-tanto un volontario. Quest’organizzazione, consede a Friburgo, distacca ogni anno una quindici-na di persone; su tre anni, gli esperti operativi sonoall’incirca 45. Chi inoltra la propria candidatura segue una for-mazione di un anno che prevede, fra l’altro, settecorsi intensivi di quattro-cinque giornate. L’im-piego dura dai tre ai cinque anni, come per la mag-gior parte delle organizzazioni di Unité. «Il lungoperiodo di collocazione agisce da filtro motivazio-nale supplementare», spiega Beat Wehrle, segreta-

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rio generale di E-Changer. La severa procedura diselezione, la formazione e il lungo periodo d’im-piego garantiscono la qualità delle missioni. Piùbreve è la missione, tanto più è importante che siainserita in un programma che le dia continuità. Nel corso degli ultimi anni il profilo dei volonta-ri si è viepiù allineato a quello dei cooperanti pro-fessionisti. Se negli anni Ottanta l’età media dei vo-lontari era di trent’anni, oggi la maggior parte neha più di quaranta. E c’è sempre meno richiesta diartigiani: negli anni Novanta il 50 percento dei vo-lontari aveva un diploma universitario o superio-re, oggi la quota è dell’80 percento – anche per-ché le persone nel Sud, e soprattutto in Americalatina, sono sempre meglio formate e le organiz-zazioni partner hanno oramai bisogno quasi esclu-sivamente di volontari altamente specializzati. Dal-l’inizio degli anni Novanta il volontariato è sem-pre più professionalizzato. «Il distacco di personale volontario è relativamen-te costoso. Ogni volontario costa alla DSC all’in-circa 50 000 franchi l’anno », calcola Konrad Spec-ker, capo della sezione DSC Partenariati istituzio-nali, che vaglia attentamente ogni missione. Laspesa comprende i costi per vitto e alloggio, for-mazione, viaggi, assicurazioni sociali e la cosiddet-ta quota di reintegrazione.

Piccoli contadini e imprenditrici agricole Da un anno e mezzo i coniugi Bruno e BeatrizKull-Moreira sono impegnati per conto di E-Changer in un programma di HEKS/EPER rea-

Lo sviluppo attraverso lo scambio I progetti realizzati nell’am-bito del volontariato nellacooperazione internazio-nale sono improntati sullungo termine e garanti-scono ai partner del Sudun accompagnamento affi-dabile e permanente. I pro-getti mirano a impiegare imezzi in modo efficiente edefficace e di migliorare du-revolmente le condizioni divita delle popolazioni locali.Viene offerto aiuto all’auto-aiuto e, dunque, incorag-giato attivamente l’auto-aiuto. Il volontariato nellacooperazione internazio-nale appoggia e consolida i gruppi e le strutture localicoinvolti, promuove metodipartecipativi e la mobilita-zione contro le cause di ingiustizie, violenza e po-vertà. Il carattere di impe-gno sul lungo termine deiprogetti di volontariato so-stiene i partner del Sud insituazioni di violenza e re-pressione. Questi progettisono esempi di non vio-lenza quale alternativa astrategie repressive di riso-luzione dei conflitti.

Il quadro professionale dei volontari nella coope-razione allo sviluppo è radicalmente cambiato nel corso degli anni. Nesono esempio i volontari di HEKS/EPER (foto a sini-stra) e di MSF. Le lorocompetenze sono semprepiù simili a quelle dei co-operanti statali, come per esempio a quelle deicollaboratori della DSC(foto pagina seguente).

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lizzato nel sudovest dello Stato brasiliano di Bahia.L’agronomo e formatore per adulti friburghese so-stiene il rafforzamento del movimento sociale deipiccoli contadini. Al centro della sua attività c’è, frale altre cose, il tentativo di migliorare la commer-cializzazione dei prodotti agricoli. Recentemente,grazie al contributo del volontario elvetico, i pic-coli contadini stanno trattando con lo Stato uncontratto di compravendita di banane che frutte-rà ai produttori un utile di gran lunga superiore aquello del passato. Il 56enne non è al suo primo impiego nel Sud. Ne-gli anni Novanta aveva lavorato per conto dellaDSC in Guinea-Bissau e in Senegal. «Presentarsicome cooperante statale o volontario fa una diffe-renza enorme», spiega Bruno Kull. «Un operatoreufficiale ha sempre difficoltà per riuscire a distin-guere i bisogni reali da quelli simulati. Noi non ab-biamo questo problema perché non abbiamo de-naro da distribuire. Possiamo unicamente assecon-dare gli sforzi delle organizzazioni partner».Sua moglie Beatriz Kull-Moreira, 59 anni, sostie-ne le contadine a far valere i propri diritti. Diplo-mata in chimica, Beatriz tiene inoltre seminari cheinsegnano alle donne a procurarsi redditi aggiun-tivi. Con pane fatto in casa, borse cucite a mano emedicamenti confezionati con erbe medicinali, ledonne possono migliorare il budget della famiglia.

Missioni in linea con le necessità deipartner locali«Perché una missione abbia senso, gli incarichi de-

vono soddisfare le reali esigenze delle organizza-zioni partner in loco. In altre parole: una personanon va distaccata soltanto perché è da tempo in li-sta d’attesa», sottolinea Specker. Inoltre, secondo l’esperto, i cooperanti devono es-sere integrati immediatamente nella struttura di unprogetto: «Non può essere che a un volontario oc-corra un anno prima che inizi concretamente a la-vorare». Importante è poi anche che la persona nonoccupi una posizione esecutiva, ma di consulenzae sostegno, poiché è l’unico modo per essere cer-ti di non svantaggiare i lavoratori locali. E Martin Schreiber aggiunge: «L’invio di volontarinella cooperazione allo sviluppo porta un valoreaggiunto reale, poiché in primo piano non ci sonosoldi, tecnologie o il trasferimento unilaterale dinozioni, ma una collaborazione professionale in-terculturale. E, non da ultimo, facciamo anche del-la sensibilizzazione in Svizzera»! ■

(Tradotto dal tedesco)

«Missioni brevi, ad esempiodi un mese, consentonosoltanto un trasferimentounilaterale di conoscenze.Ciò è utile se le nozioniconfluiscono in operazionigià in corso, altrimenti sulloro senso si potrebbe discutere a lungo.Nell’ambito del volontariatonella cooperazione interna-zionale è importante che visia uno scambio di sapere– uno scambio intercultu-rale tra società civili».Beat Wehrle, segretariogenerale di E-Changer

Linkwww.unite-ch.orgwww.e-changer.ch www.msf.ch

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In visita a Città del Capo per unevento letterario osservo nubi difumo formarsi sopra le monta-gne di fronte alla città. Partonole sirene, e i volontari del corpopompieri, equipaggiati di tuttopunto, corrono veloci ognuno al proprio punto di riferimento.In un attimo gli elicotteri ta-gliano il cielo, spegnendo lefiamme con una sostanza rosa. Nella piazza di GreenmarketSquare, in centro città, un vec-chio si arrabbia:«Sono velocis-simi quando si tratta di spegnerele fiamme se brucia la montagna,ma quando bruciano le nostrecase, non si vede nessuno. Sipreoccupano più degli uccelli,delle tartarughe e delle antilopiche degli esseri umani». Duevenditrici di fiori vestite con vo-luminosi abiti tipici di CapoMalay lo zittiscono immediata-mente: «Devono proteggere lenostre piante di protea»!Per i Sudafricani la protea non èsoltanto un fiore. È un simboloportato con orgoglio anche dallesquadre nazionali di sport. È unfiore resistente che ci parla dimisteri risalenti a 300 milioni dianni fa, quando la terra non eraancora popolata di uomini.Fiorisce soprattutto in invernosu alcune specie del fynbos, unavegetazione di arbusti e piccolicespugli tipica del sud della pro-vincia di Western Cape che co-

pre una superficie di circa 93milachilometri quadrati. La regione ènota anche con il nome di CapeFloral Kingdom, patria di 8600specie di piante che non si tro-vano in nessun altro posto delmondo. Delle 112 proteaceae delpianeta, 69 si trovano solo qui.Ecco perché i sudafricani custo-discono questo territorio congelosia e orgoglio. Infatti, CapeFloral Kingdom è anche la patriadella protea reale, una pianta car-diforme, assorta a fiore nazionaledel paese. Questo ecosistema sviluppatosinel corso di milioni di anni, oggiè in pericolo. I ritmi climatici sisono alterati fino a diventare im-prevedibili. «Quando eravamogiovani», osserva il vecchio diGreenmarket Square, «le stagioniandavano e venivano a ritmoprevedibile. Ora sono impazzite».Solo alcuni decenni fa, i pom-pieri volontari non si sarebberopresi la briga di combattere lefiamme. Gli incendi erano utili, edovevano seguire il loro corso.Ma allora erano prevedibili. Lecolline si incendiavano all’incircauna volta ogni quindici anni. Eraun ritmo che serviva al fynbos,perché questa vegetazione ha bisogno del fuoco per propagarele specie, come ha bisogno dellepiogge invernali. Nel CapeFloral Kingdom le piante con-servano i frutti in piccoli strobili.

Le fiamme spezzano le squamedi queste piccole pigne, libe-rando il seme, che è poi raccoltoe depositato sottoterra dalle for-miche. Senza incendi il fynbossarebbe sempre più senescente,fino ad estinguersi. Nel corso dei millenni, gli incendi hannosostenuto la vegetazione, si svi-luppavano ad intervalli regolari e permettevano alle piante digermogliare e fiorire. Ma oggi iltempo è cambiato. Gli incendi,una volta essenziali, oggi hannoscardinato il sensibile ecosistemae potrebbero essere la sua con-danna a morte. In alcuni posti ilcigolio raspante e metallico dellozuccheriere del capo non si sentegià più. Le temperature semprepiù elevate hanno allontanatol’uccello che ora si sposta versozone climatiche più gradevoli,senza curarsi dell’impollinazionedelle piante di protea. Ma le preoccupazioni del vec-chio non riguardano tanto l’infe-lice migrazione dello zucche-riere; i suoi problemi sono piùesistenziali e immediati. Si rendeconto del cambiamento dellepiogge, sia qui nella provincia diWestern Cape, dove le leggerepiogge dovrebbero cadere in inverno, sia nel suo villaggio di origine, nella provincia diEastern Cape, dove le forti preci-pitazioni dovrebbero essere tipi-che dell’estate. Ma non è piùcosì. Per troppo tempo il suofazzoletto di terra è stato bru-ciato dal sole, e il vecchio è statocostretto a cercare lavoro in città.Il mondo si comporta in modostrano e le stagioni sono impaz-zite. Persino le rondini restanotutto l’anno, senza cercare lecalde estati delle latitudini più a nord. Una cosa è certa, se il mondocontinua a riscaldarsi per colpadell’uomo, Cape Floral Kingdomrischia di diventare un deserto. ■

(Tradotto dall’inglese)

Un regno moribondo

Carta bianca

Zakes Mda (all’anagrafeZanemvula Kizito GatyeniMda), classe 1948, fa partedegli autori di teatro e roman-zieri più famosi del Sudafrica.Cresce a Soweto e nelLesotho, che lascia nel 1963per recarsi negli USA, dovefrequenta gli studi nell’Ohio.Nel 1995 ritorna in Sudafrica.È anche autore di teatropresso il JohannesburgMarket Theatre, nonché pit-tore, compositore e cineasta,come pure apicoltore e diret-tore del Southern AfricanMultimedia AIDS Trust diSophiatown, Johannesburg. I suoi romanzi sono tradotti inmolte lingue. In italiano sonousciti tre suoi romanzi, tuttipresso l’editore E/O: «Si puòmorire in tanti modi», «LaMadonna di Excelsior» e«Verranno dal mare». Per lesue opere Zakes Mda ha rice-vuto numerosi premi. Oggi è docente universitario negliUSA e in Sudafrica. Vive aJohannesburg e nell’Ohio.

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lora non c’era ancora l’Aids.

Cosa significa per un artistasudafricano esibirsi all’e-stero?Gli spettacoli all’estero sonomolto importanti perché mipermettono di capire se reggo ilconfronto internazionale. InEuropa ci si aspetta che io miesibisca quale Sudafricano,quindi da straniero. Ma in realtàla politica non è molto diversa

da paese a paese. La paura ciunisce. La globalizzazione ci haavvicinati, ci conosciamo a vi-cenda e io pongo le paure delpubblico per il quale mi esibiscoal centro del mio show. Portodunque i miei personaggi inEuropa e non il mio pubblico in Africa.

Normalmente le erezionisono un tema di cui non siparla molto e ciò può essere

«Un solo mondo»: SignorUys, la scorsa estate, al«Theaterspektakel» diZurigo, si è esibito con ilsuo nuovo show dal titolo«Elezioni ed erezioni». Ipensieri vanno automatica-mente a Bill e Monica – op-pure noi europei ci siamopersi qualcosa?Pieter-Dirk Uys: Certo chealludo a Bill e Monica, ma an-che Jacob Zuma, il presidente

dell’African National Congress(ANC), non è da meno. I mieispettacoli prendono sempre av-vio da un buon titolo, e questo èdecisamente riuscito. Fa subitoridere, e focalizza due argomentiche all’epoca dell’apartheid mierano preclusi. La democrazial’ho conosciuto solo all’età di 49anni, e di sesso non si parlavamai quando ce ne sarebbe statobisogno. Ho dovuto scopriretutto da solo. Per fortuna che al-

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In bilico sull’orlo dell’abissoLa satira politica è la sua passione. E non c’è autorità che non debba temere lesue battute. Né ai tempi dell’apartheid, tanto meno oggi. Infatti, anche con l’av-vento della democrazia in Sudafrica, gli spettacoli di Pieter-Dirk Uys restanograffianti e di un’impertinenza folgorante. Nell’intervista di Maria Roselli, il«grande vecchio» della satira politica internazionale presenta un’analisi spieta-ta sullo stato della nazione.

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un grosso problema: infatti,l’Aids è la sfida maggioreche il suo paese e l’Africaintera deve affrontare. Cos’èche non sta funzionando?Senza le debite conoscenze, ilsesso è un campo minato. Maproprio perché il sesso è unacosa naturale e fa parte dellaquotidianità, il messaggio dadare è semplice: ognuno do-vrebbe sapere ciò che fa. Infatti,le erezioni portano ad un’unicacosa, al sesso. Per fortuna chepuò essere molto divertente.Ridere è, infatti, un’arma di di-strazione di massa. L’umorismoserve a fare distendere il pub-blico, per sparargli poi la verità,e confrontarlo con tutto ciò chenon vorrebbe sentire. Abbiamo1000 morti di Aids al giorno, equesto lo dobbiamo soprattuttoalla trascuratezza degli ex verticidell’ANC. Thabo Mbeki ci ha

lasciato un’amara eredità, il pro-blema dell’Aids è irresponsabil-mente trascurato. A causa dellasua politica lassista e delle curecontro l’Aids a base di barbabie-tole e patate del suo ministrodella Salute, centinaia di migliaiadi persone dovranno morire.Siamo quasi al genocidio. Macolpa è una parola che ci è ne-gato usare. È un virus. Il virus èvivo perché nessuno ci bada. Senon esistono cure contro l’Aids,a maggior ragione bisognerebbeoccuparsi della prevenzione. Hopresentato il mio programmacontro l’Aids a oltre 1,6 milionidi scolari e studenti. Il mio mes-saggio è semplice: fate domande!Esigete delle risposte! State at-tenti! Dite di no, se non ci sonodei preservativi! Non pensatemai che a voi non possa succe-dere, perché il sesso succede atutti!

Lei, ai tempi dell’apartheid,era un noto oppositore delregime e ciò si rifletteva an-che sui suoi spettacoli.Com’è cambiato adesso ilsuo lavoro?Nel 1994, quando l’apartheid èfinalmente finita, ero sollevato efelice, anche se in un primo mo-mento sembrava che le elezionimi avessero portato via il lavoro.Ma i politici, ancora una volta,mi sono venuti in soccorso.Dopo essermi occupato per dueanni di altri temi, sono tornatoalla musica di sempre: l’incuriadel governo. Questa volta è toc-cato però all’ANC. I politicisono come delle scimmie: più siarrampicano sull’irto camminodelle loro ambizioni, più met-tono in vista le loro chiappe.Certo, l’apartheid era il bersagliomigliore: i buoni contro i cattivi,i bianchi contro i neri. Il mondo

capiva quest’impostazione. Pensoin realtà che l’apartheid rappre-sentasse l’ultima ingiustizia di facile comprensione. O forseavete per caso mai sentito nomi-nare il Darfur, il Myanmar o loZimbabwe?

Cosa ha significato la fine dell’apartheid per i sudafricani?Con la fine dell’apartheid hapreso avvio un nuovo incubo.Adesso il fronte non divide piùtra bianchi e neri, bensì fra ric-chi e poveri. Libertà di parola?Sì, c’è l’abbiamo, ma si parlapoco. La gente ha paura diesprimere critiche perché po-trebbe perdere i favori del go-verno. Bugie e corruzione sisono nuovamente impossessatedella nostra vita quotidiana.Mbeki ha creato dal nulla unanuova casta: in soli 17 anni, i

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suoi fedelissimi sono mutati dadetenuti a miliardari. Siamosconsolati di fronte al cresceredel solco che separa i ricchi daipoveri, ma a diciassette anni dal-l’avvento della democrazia nonpossiamo certo attribuire lacolpa all’apartheid. Ai tempi delregime non osavo più sperare,temevo una carneficina e l’olo-causto della vendetta. Per for-tuna ci furono risparmiati.Nelson Mandela ci ha dato lapossibilità di realizzare il nostrosogno. Con la sua politica delperdono, l’ANC si è dimostratamoralmente superiore. Ma ogginon esiste più nessuna superio-rità morale, rischiamo di infos-sarci nella palude di una politicabecera e onnipresente. L’aria èmolto pesante. In fin dei conti,ridere sulla sorte di politici cor-rotti è più efficace dell’uso diproiettili e bombe.

E nella vita quotidiana checosa è cambiato?Soprattutto i rapporti tra le per-sone. Ma le persone che comeme hanno più di sessanta anninon sono veramente in grado dicambiare: i bianchi proseguonoa trattare diversamente i neri equesti continuano a scusarsi d’e-sistere. I giovani invece sono in-traprendenti, pieni di rabbia eambizioni. Il nostro vero futurosono i bambini. Quelli nati dopoil 1994 non sanno nemmenocosa fosse l’apartheid, e ciò èbene così. Ma il mio lavoro con-siste nel ricordare alle personeda dove proveniamo, per poter

celebrare dove stiamo appro-dando. Siamo ancora in bilicosull’orlo dell’abisso. Se conti-nuiamo a dipendere dai politici,precipiteremo tutti. È la gentecomune a dover prendere inmano le cose e i politici do-vranno seguirci.

Quali sono, oltre all’Aids, legrandi sfide che il Sudafricadovrà affrontare?Le elezioni del 2009 saranno de-terminanti. Dobbiamo andaretutti a votare. Il pericolo di di-ventare uno Stato monopartiticonon è mai stato così reale. Laformazione è un bene raro. Lostesso vale per gli alloggi. Il tra-sporto pubblico è fatiscente.Mbeki ha puntato unicamentesull’economia e su una manciatadi settori, quali esteri, finanza,difesa e turismo, che hanno per-messo a lui e alla sua casta di ar-ricchirsi. Gli altri settori giac-ciono nel caos. Dobbiamoricominciare da zero, su tutti ilivelli: nei comuni, nelle pro-vince e a livello statale. La crimi-nalità è fuori controllo. La nostrapolizia deve essere formata e pa-gata, e la gente deve imparare arispettare la legge. La corruzioneva denunciata. Oggi, tanto percapirci, ANC sta per «A NiceCheque». È intollerabile! Unaripulita nei ranghi dell’ANC èd’obbligo!

Esiste un tema o un perso-naggio tabù al quale il caba-rettista Uys non osa avvici-narsi?

La cultura stimola l’integrazione(dds) Le nazioni della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe(SADC) vivono una crescente integrazione sociale e economica.Questo processo comporta tuttavia anche la nascita di tensioni so-ciali e xenofobia. Le belle arti e la cultura possono contribuire a le-nire pregiudizi e accrescere l’accettazione della diversità culturale,sia all’interno del proprio paese, sia rispetto a altri paesi. Nell’ambitodella politica di sviluppo la cultura può contribuire a cristallizzare legrandi sfide di una regione quali l’Aids, la formazione e la povertà.Per questo motivo la DSC sostiene, dal 1998, attraverso l’Ufficio dicoordinamento di Pro Helvetia in Sudafrica, il Programma culturaleper l’Africa australe. Mentre in una prima fase al centro del pro-gramma vi era lo scambio culturale tra la Svizzera e l’Africa del Sud,oggi si pone l’accento viepiù sullo scambio culturale tra le differentinazioni della SADC quali Sudafrica, Mozambico, Angola, Zimbabwe,Botswana e Namibia.

La religione è l’ultima frontieradella satira. È universalmentenoto che chi osa fare delle bat-tute sulla religione, ci lascia lepenne. Ma nessun personaggiosta al di sopra della satira, nem-meno Mandela. Per fortuna, luiè sempre il primo a ridere. ■

(Tradotto dall’ inglese)

Pieter-Dirk Uys, cabarettistaspecializzato in satira politica, ha scritto oltre 30 pièce teatrali,pubblicato 15 libri e girato 30 film. Uys è diventato una celebrità internazionale dopo essersi calato nei panni della signorina Evita Bezuidenhout, la donna bianca più famosa delSudafrica. Rossetto sulle labbra,e ampi abiti fiorati da signora,Uys ha portato in giro per ilSudafrica la versione realisticadel nuovo apartheid sanitario,mettendo a nudo, per bocca di Bezuidenhout, la censura el'insabbiamento governativo deidati relativi alla vera entità delproblema Aids.

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Friburgo e Nyon, due appun-tamenti da non perdere ( jls) Due importanti manifesta-zioni cinematografiche sono inpreparazione in Svizzera roman-da. Il Festival internazionale delfilm di Friburgo (FIFF) avràluogo dal 14 al 21 marzo. Uncentinaio di film, provenientiprevalentemente da Asia, Africae America latina, saranno incompetizione. Accanto alla ma-nifestazione principale, il FIFFpropone numerosi temi panora-mici: fra gli altri, sull’India esulla Nigeria, paese che produceoltre 200 film all’anno.Considerato che saranno in scenaanche film girati a Hollywood, a Friburgo avremo dunque rappresentate le tre maggiori industrie cinematografiche delmondo. A Nyon il Festival internazio-nale Visions du Réel si terrà dal23 al 29 aprile 2009.All’appuntamento sono attesetre personalità di talento chehanno reinventato il cosiddettocinéma du réel: il realizzatore kazako Serguey Dvortsevoy, cosìcome la coppia di cineasti liba-nesi Joana Hadjithomas e KhalilJoreige. Nella selezione in pro-gramma figurano l’opera dellaregista video nuovayorkeseSusan Mogul e saranno tematiz-zati i venti anni dal crollo delmuro di Berlino.Festival international de films deFribourg, dal 14 al 21 marzo; informazioni: www.fiff.ch. Visionsdu Réel, dal 23 al 29 aprile; informazioni: www.visionsdureel.ch

Immagini che hanno com-

mosso il mondo

A cadenza biennale il servizioFilms pour un seul monde pre-senta, nell’ambito delle Giornatedel film Nord/Sud, film partico-larmente adatti alla formazionee all’insegnamento che propon-gono una prospettiva globale del mondo. Nel programma troviamo 13 film d’attualità che

trattano variegate tematiche. Ilprogramma pone tra l’altro l’accento sull’Anno dei dirittiumani promosso dall’ONU: i due film consacrati al tema de-scrivono le condizioni di lavoroin seno ad una multinazionale ela vita quotidiana dei sans-papiersin Svizzera. Nelle due serate delfestival si può andare alla sco-perta di cortometraggi che siprestano bene quale punto dipartenza di approfondimenti.Inoltre il programma proponedue prime: «Das blaue Gold»parla del crescente conflitto di interessi nella regione diMarrakesh (Marocco) a causadell’aumentato bisogno di ac-qua; la pellicola «Der Traumvom Hotel» racconta invece ilritorno in patria di un senega-lese che sogna di realizzare unsuo albergo.Filmtage Nord/Süd: 24 e 25 feb-braio presso l’Alta scuola pedagogica(PH) di San Gallo; 3 e 4 marzoPH Zurigo; 11 e 12 marzoRomero Haus, Lucerna; 17 e 18marzo Museum der Kulturen,Basilea; 24 e 25 marzo PH Berna;a fine ottobre a Thusis nell’ambitodel «Weltfilmtage». Ulteriori infor-mazioni: www.filmeeinewelt.ch

Due volte SudafricaÈ da poco apparso un doppioDVD con due opere cinemato-

grafiche sudafricane: «Zulu LoveLetter» e «Fools» di RamadanSuleman. Il primo film narra diThandi, una giornalista arrestataai tempi del regime dell’apar-theid. In prigione mette almondo la figlia Mangi, una pic-cola disabile che poi, nel prosie-guo della vita, soffrirà a causadello sconvolgente passato di suamadre, finendo per rivolgere ilsuo affetto alla nonna che la introduce alla tradizionale artezulu del ricamo con le perline. Il secondo film si svolge, sul fi-nire degli anni ’80, in quel diCharleston, una township ad estdi Johannesburg. Tutti sanno cheil maestro Zamani ha violentatouna delle sue allieve, tuttavia ri-muovono l’avvenimento, inquanto il maestro è una personadi rispetto. Su incarico del suodirettore scolastico, egli vende ibiglietti d’ingresso per la gior-nata in cui si celebra la festa na-zionale, in ricordo della vittoriadei boeri contro gli zulu. E inqualità di insegnante di storiadeve spiegare ai suoi allievi neriperché essi dovrebbero festeg-giare questo evento storico checelebra la sconfitta dei loro ante-nati.«Zulu Love Letters & Fools» è undoppio DVD pubblicato dall’Editoretrigon-film. Sottotitoli in inglese,francese e tedesco. Per ordinazioni einformazioni: 056 430 12 30 oppure: www.trigon-film.org

BiopirateriaIl film «The Bushman’s Secret»accompagna uno degli ultimiguaritori tradizionali deiKhomani San nel deserto delKalahari, in Sudafrica. È qui checresce il cactus Hoodia, il cuiestratto inibisce l’appetito. Va dasé che le multinazionali farma-ceutiche hanno intravisto la possibilità di forti guadagni. Ilquesito in merito alla protezionedella biodiversità e la questionedei diritti sulle risorse biologi-che è dunque di cruciale impor-

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chitarra, keybord e percussioniche danno alle canzoni un’in-confondibile patina, per multi-formi e straordinari momentid’ascolto.Various: «Best Of Folk Music FromLatvia» (ARC Music/Be-Bop)

Un contrappunto che fa tendenza(er) Lignee percussioni beatsaprono la strada. Inserti ditromba pongono singolari ac-centi mariachi, e gli oscillantisuoni del violino tracciano me-lodie o disegnano, con i battentisuoni della tuba, il basso swing.È questo il linguaggio musicaleespresso dal gruppo cult cubanoMadera Limpia. Ad esso, i dueartisti principali della band, ilpoeta del quotidiano, rapper ecantante, Yasel González Rivera,ed il suo compagno GeraldThomas Collymore, aggiungonola componente lirica in linguaspagnola, con un tocco di criticasociale, ma comunque intrigantee presentata con un timbro vocale accattivante ed energico.Nel fare ciò passano abilmentedal rap, al reggae, al dancehall, alson ed all’arcaico changui, suonie ritmi della provincia di

Guantanamo. Nella località dallostesso nome, accanto al famige-rato campo di prigionia militareUsa è stato creato questo trasci-nante Hiphop-Flow, un contrap-punto che fa tendenza all’elo-quente suono dei Buena VistaSocial Club.Madera Limpia: «La Corona» (outhere rec-Indigo/Musikvertrieb)

Donna nera, bimbo chiaro (bf ) Zakes Mda, l’autore al qualeabbiamo affidato per quest’annola nostra «Carta bianca» (vedi apagina 29) attraversa con la suaopera-chiave, «La Madonna diExcelsior», 30 anni di storia sud-africana. È nel cuore della pro-vincia sudafricana Free State che sorge il villaggio boero diExcelsior. Rigide leggi di sepa-razione razziale garantiscono ildominio della minoranza bianca.Ma nessuna legge può impedireche alcuni notabili venganocontagiati dalle febbre del proi-bito: in segreto, si incontrano ilsindaco, il parroco, il macellaioed il poliziotto con giovanidonne nere in un fienile.Quando poi le donne, una dopol’altra, mettono al mondo bam-bini dalla pelle chiara, si scopre il mistero, e l’assopita cittadina sirisveglia sotto l’abbagliante lucedei riflettori mediatici mondiali.Un quarto di secolo più tardi, ilregime dell’apartheid è solo unricordo, e Zakes Mda si mettealla ricerca, in quel di Excelsior,delle persone coinvolte e deiloro segreti. Al centro degli avvenimenti, era stata allora lagiovane nera Niki, con i suoidue figli, uno da padre di pellenera, l’altro, figlio di un bianco.Mda racconta la sua storia, che è contemporaneamente la storiadel suo paese, avvincente, colo-rita e conciliante.«La Madonna di Excelsior»,Edizioni E/O 2006

Promuovere la piccola impresa(bf ) Fino a nove anni fa, Naoko

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tanza. Infatti, nessuno ha maisollecitato l’approvazione deiKhomani San, e la battaglia per i loro diritti assume toni semprepiù aspri. Un film che trattadella protezione della biodiver-sità e del potere discrezionalesulle risorse: un’opera alla quale,in Brasile, è stato assegnato ilpremio della giuria dell’Ama-zonas Film Festival.«The Bushman’s Secret» di RehadDesai, Sudafrica/Australia/Ger-mania 2006. Documentario, 63’,DVD, afrikaans-englisch (v.o.), sele-zione della lingua: tedesco, francese(parzialmente sottotitolato); a partiredai 16 anni di età;noleggio e ven-dita Fondazione Educazione eSviluppo: tel.: 031 389 20 21,[email protected] informazioni: Filme füreine Welt, tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

Volo pindarico musicale(er) Nato in Algeria, il produt-tore e compositore franceseHector Zazou è morto nelloscorso autunno. Il mago delsuono soleva sorvolare ogni bar-riera musicale e il suo compo-sito paesaggio di toni toccavaquei confini tra la tradizionalemusica popolare e le vibrazionidella musica elettronica odierna.Di lui è presentata postuma unamagistrale selezione che si avvi-

cina ai timbri Swara, con ele-menti e suoni della scala musi-cale tipica della musica indiana.Armonicamente oscillanti, si riflettono qui i suoni dell’oudarabo, del violino, del liuto, dellachitarra-slide e del flauto, regi-strati a Bombay da quattrostraordinari strumentisti indianie uzbeki. A ciò si aggiungono leispirate tracce sonore del trom-bettista norvegese Nils PetterMolvaer, del flautista spagnoloCarlos Nuñez e del violinistaungherese Zoltan Lantos. Condelicati e sottili accenti elettro-nici è Hector Zazou a perfezio-nare questo tappeto sonoro, por-tandolo ad essere un maestosoed introspettivo punto d’incon-tro di spirituali voli musicali.Hector Zazou & Swara: «In TheHouse Of Mirrors» (Crammed-Indigo/Musikvertrieb)

Una vivente cultura del canto(er) Le dainas appartengono didiritto all’identità culturale e alla coscienza etnica del popololettone; questi canti popolari rispecchiano infatti appieno l’a-nima dei lettoni. Questo generedi canto tramandato, perlopiùbrevi testi di quattro righe conun piede poetico basato sulledue sillabe (trocheo), rappresentala spina dorsale letteraria dei let-toni. Nella poesia e nella musica si vasul quotidiano: dalla culla allabara, dal mito al rituale. Unacultura musicale rimasta dapper-tutto viva, com’è ora dimostratoda un Who's Who della musicapopolare lettone, rappresentatoda un album accuratamente rac-colto e corredato da un bookletpieno di informazioni. Vi siascoltano avvincenti voci fem-minili e gutturali voci d’uomo.Principalmente, però, virtuosisuoni, talvolta contaminati darock e jazz, di strumenti quali ilkokle (simile alla cetra), flauti,mandolini, cornamuse, accor-deon, scacciapensieri, così come

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Felder-Kuzu lavorava nel settoredei mercati finanziari. Poi, levenne all’orecchio la possibilitàdi combattere la povertà conmaggiore efficienza tramite pic-coli crediti professionali. Ne fucosì entusiasta da lasciare il suolavoro nel settore bancario e, daallora, è passata a fornire consu-lenze a fondazioni che operanoin tutto il mondo, oltre a tenerespecifiche conferenze nel campodegli investimenti di microfi-nanza e microfranchising. E pro-prio di ciò tratta il suo secondolibro «Kleiner Einsatz, grosseWirkung». In esso, NaokoFelder-Kuzo – che vive inSvizzera – elabora le sue espe-rienze, descrive concreti esempie li confronta con le più recentitendenze. A queste apparten-gono ad esempio gli interventidi microfranchising che si indi-rizzano a persone incapaci diportare avanti una propria ideacommerciale, ma che posseg-gono tuttavia capacità imprendi-toriali che gli permettono dioperare con un modello com-

merciale già sperimentato.Accanato alla casistica corredatada fotografie che illustra le variepossibilità di assegnazione inno-vativa di crediti, il libro colpisceper la sua ricca panoramica nel-l’appendice, nella quale non soloè indicata una approfondita bi-bliografia, bensì anche preziosicontatti, indirizzi Internet e diorganizzazioni utili.«Kleiner Einsatz, grosse Wirkung»di Naoko Felder-Kuzu, VerlagRüffer & Rub 2008, ottenibile solo in tedesco

Energia e clima (bf ) Il commercio dei diritti diemissione può influire positiva-mente sul problema dei gas a effetto serra? Cos’è la giustiziadelle risorse? È utopico pensareche sia possibile una svolta nellaproduzione e nell’utilizzo dell’e-nergia? Quali sono gli effettiglobali del surriscaldamento terrestre? La rivista di riflessione«Widerspruch» pone nel suonuovo numero domande sco-

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Beat Felber (bf)

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa: Vogt-Schild Druck AG,Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previa consultazione della redazione e citazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale ovest,3003 BernaE-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

860192226

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 53 000

Copertina: Calcutta, India ;G.M.B. Akash/Panos/Strates

ISSN 1661-1683

mode sul tema energia e clima.E come sempre, noti autori eautrici riflettono su tesi decisa-mente stimolanti. Meritevoli dinota sono tra gli altri gli avvin-centi esempi riportati da AchimBrunnengräber, Kristina Dietz eSimon Wolf che pongono sottola lente d’ingrandimento la poli-tica dell’Ecuador. Paese che hadeciso di rinunciare allo sfrutta-mento delle sue riserve di petro-lio nel caso in cui riceva una re-lativa compensazione finanziaria.Interessante è anche l’interventodi Rita Schäfer che riflette alfemminile sulle possibilità ed ilimiti di un’economia durevolein Africa.«Widerspruch 54; Energie undKlima», in libreria o pressoWiderspruch, casella postale,Zurigo; tel./fax 044 273 03 02;www.widerspruch.ch

Duello fra giganti ( jls) Chi sarà mai, fra la Cina el’India, a vincere la competi-zione nei settori dello sviluppo e della crescita economica? Inun suo recente saggio, GilbertÉtienne si dedica ad un’analisicomparata dei due giganti asia-tici, che egli conosce a fondoper averli visitati e studiati già apartire dagli anni ’50. Professoreonorario presso l’Istituto di altistudi internazionali e dello svi-luppo di Ginevra (IHEID),Gilbert Étienne analizza le loroevoluzioni negli ultimi 50 anni,il loro spettacolare decollo eco-nomico in seno a contesti na-zionali molto diversi, così comele loro future sfide. La Cina e

l’India sono intente a provocaregrossi cambiamenti a livello pla-netario. Ciononostante, nonsono poche le incertezze chepesano sul loro futuro: la situa-zione politica in Cina, le proble-matiche ambientali, le carenzedell’agricoltura, le infrastruttureprecarie in India, le palesi ingiu-stizie sociali e la corruzione.Gilbert Étienne: «Chine-Inde. LaGrande compétition», edizioniDunod, Parigi, 2007

DFAE: esperti a disposizioneDesiderate un’informazione diprima mano sulla politica esterasvizzera? Relatori e relatrici delDipartimento Federale degliAffari Esteri (DFAE) sono a disposizione di classi scolastiche, associazioni ed istituzioni perconferenze e discussioni sui nu-merosi temi della politica estera.Il servizio è gratuito, ma può es-sere fornito soltanto all’internodei confini nazionali; inoltre, dovranno presenziare almeno 30 partecipanti per ogni eventoprogrammato. Ulteriori informazioni: Servizioconferenze DFAE, Servizio infor-mazioni, Palazzo federale ovest,3003 Berna; tel. 031 322 31 53 o031 322 35 80; fax 031 324 9047/48; e-mail: [email protected]

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Nella prossima edizione:

L’Africa occidentale dispone di un enorme potenziale. Le popolazioni di questa regione si conoscono a vicenda da molti anni, sono mobili e il commercio varca le frontiere internazionali. Inoltre, negli ultimi tempi, la regione si è cautamente stabilizzata. Ciononostante restano enormisfide da superare, tra le quali spiccano lo sviluppo rurale e ladisoccupazione.

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