71580027 Simone Weil Poesie

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    Simone Weil

    Poesie

    A cura di Roberto Carifi

    Edizione originale: Simone Weil, Pomes 1968 Editions Gallimard

    1993 Casa Editrice Le Lettere, Firenze

    In copertina: Robert Delaunay, Saint-Sverin No. 3 (particolare),1909-10. Guggenheim Museum, New York

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    Indice

    Introduzione. Letica dellabbandono di Roberto Carifi .................................................. 3

    1. La percossa del bello .............................................................................................. 3

    2. Lanima nuda.......................................................................................................... 4

    3. La poesia.................................................................................................................6

    Poesie............................................................................................................................. 9

    A una giovane ricca .................................................................................................. 10

    Versi letti alla merenda di San Carlomagno.............................................................12

    Lampo....................................................................................................................... 15

    Prometeo...................................................................................................................16

    A un giorno............................................................................................................... 18

    Il mare....................................................................................................................... 23

    Necessit ...................................................................................................................24

    Gli astri ..................................................................................................................... 25

    La porta..................................................................................................................... 26

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    Introduzione.Letica dellabbandono

    di Roberto Carifi

    1. La percossa del bello

    Ebrea e cristiana, profonda conoscitrice di Platone e del mondo greco in cui vide lagrande anticipazione del messaggio di Cristo, Simone Weil port su di s il paradossocome cifra di verit, testimonianza di unesistenza interamente votata al bene e allagiustizia1. Difficile sistemare il pensiero della Weil in categorie definite, o comunquetentare un approccio decisamentephilosophisch alla sua opera: frequent il marxismoe ne intu la crisi, aliment il suo cristianesimo di idee eterodosse spesso in contrastocon il mondo cattolico, colse nellebraismo a cui per nascita appartenevalespressione di una sradicatezza che occorre accettare e da cui occorre tuttaviaemanciparsi. Al centro della sua riflessione dove convergono la saggezzaframmentaria di Alain e una costante vocazione mistica condotta fino agli estremi delsacrificio, domina un progetto di liberazione morale e sociale, una sorta diantropologia illuminata dalla consolazione ineffabile della grazia e dal moto

    discendente della salvezza. Di fronte alla dismisura e allo squilibrio provocatidallegemonia della forza che spalanca labisso del malheur, della sventura che puridurre luomo a cosa, Simone Weil non rinuncia a cercare un principio diverso dallaforza che ne limiti leccesso, un principio invisibile, apparentemente irreale ma dotatodi realt in fondo al cuore degli uomini, la giustizia come residua e ineliminabilevocazione al bene che costituisce lessenza stessa dellumano.

    La convinzione che la Weil nutre circa la trascendenza del bene e la sua prossimitalluomo, anche se minacciata e occultata dallombra della sventura, costituisce lacostante etica del suo pensiero, unetica della debolezza2 intesa come limitazione

    delle forze ed esercizio della responsabilit. Anticipando singolarmente alcuni deimaggiori orientamenti del pensiero contemporaneo, a cominciare da Lvinas, SimoneWeil privilegia concetti come obbligo e responsabilit che ancora pi del dirittopossono orientare lagire secondo il bene, lazione che lo persegue necessariamente aprescindere da ogni contenuto giuridico: la nozione di diritto infinitamente piremota dal bene puro. Essa contiene in s bene e male; perch il possesso di un dirittoimplica la possibilit di farne un uso buono o cattivo. Ladempimento di un obbligo

    1

    Sulla vita di Simone Weil in relazione allevolversi del suo pensiero, rimane fondamentale loperadi Gabriella Fiori, Simone Weil: biografia di un pensiero, Garzanti, Milano 1981.2Cfr. A. Dal Lago, Letica della debolezza. Simone Weil e il nichilismo, in AA.VV. Il pensierodebole, a cura di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, Feltrinelli, Milano 1983.

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    invece, sempre e incondizionatamente, un bene sotto qualsiasi riguardo3.Contrapponendosi alla tradizione giuridica e con una posizione lontana dalpersonalismo cattolico di Mounier e Maritain4, la Weil privilegia uneticadellobbligo e della responsabilit, delladesione incondizionata al bene e allagiustizia, sole strade percorribili per guarire la malattia dello sradicamento e

    restituire alluomo la suaprima radice. Radicarsi nel bene, operare alla luce dei suoifondamenti assoluti e agire secondo la prospettiva della giustizia sono gli imperativifondamentali di un pensiero etico capace come pochi di contrastare il nichilismo diquesta epoca, di pensare una nuova soggettivit e una nuova comunit nel segno delbene e della bellezza. Aderire al bello, risvegliati dalla sua platonica percossa,significa per Simone Weil passare attraverso unesperienza di esilio e di dolore, diestremo sradicamento che nella perdita della dimora e nella rottura della continuitspazio-temporale del nostro essere al mondo introduce una conversione, lattenzionee lattesa che nel cuore dellapesanteurorientano lanima verso Dio. Il bene e il bello

    irrompono in noi aprendosi un varco nella ferita poich laccesso alla bellezza, comeha osservato Franco Rella5, significa infatti letteralmente smembramento delleconfigurazioni abituali, per portarsi, per rendersi faccia a faccia con linconciliabile,nellapertura di uno spazio atopico rispetto ai luoghi abituali in cui proteggiamo lenostre convinzioni, le nostre immagini, i nostri saperi, contro il diverso.

    2. Lanima nuda

    Assumere il senso di essere in patria mentre si in esilio. Essere radicatinellassenza di luogo6. Il paradossale radicamento cui si allude in questo frammentodi Lombra e la grazia esprime il senso di quella ferita che ci mette nel cuoredelluniverso e che porta luniverso dentro di noi7, indica lo stare presso le coserinunciando a ogni sovranit su di esse, allattaccamento e al possesso che sonoallorigine dellesercizio smisurato della forza. Occorre tradurre in dimora la nostrafragilit, assumerla come misura del nostro abitare e del nostro operare, cos comeDio ha creato rinunciando a se stesso, lasciando essere il mondo attraverso un atto diabdicazione. Il pensiero etico e caritativo di Simone Weil incontra, in una comune

    identit peregrinale, linsegnamento mistico di Meister Eckhart a cui lavvicina3S. Weil,La prima radice, trad. it. di Franco Fortini, SE, Milano 1990, pp. 247-248.4A Maritain Simone Weil rimprovera soprattutto una concezione di Dio nella quale la nozione diobbligo morale subordinata a quella di diritto, per cui Dio ha un diritto sovrano sulle creature.Scrive in proposito la Weil (op. cit., pag. 247): Fortunatamente lautentica ispirazione cristiana stata conservata dalla mistica. Ma al di fuori della mistica pura, lidolatria romana ha insozzato ognicosa. Idolatria, perch il modo delladorazione, non il nome attribuito alloggetto, che distinguelidolatria dalla religione. Se un cristiano adora Dio con una disposizione danimo analoga a quellacon la quale un pagano di Roma rendeva omaggio allimperatore, anche quel cristiano un idolatra.

    La concezione romana di Dio sopravvive tuttoggi, anche in intelligenze come quella di Maritain. 5Cfr. F. Rella,Lenigma della bellezza, Feltrinelli, Milano 1991, pp. 143-145.6S. Weil,Lombra e la grazia, trad. it. di Franco Fortini, Rusconi, Milano 1985, pag. 51.7F. Rella, op. cit., pag. 148.

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    litineranza attraverso il nulla e la povert, il destino del pensatore come homo viatorche avverte la mancanza come gioia e pienezza. Per ambedue vale la definizione diatleta della piet che san Basilio dava del cristiano sottolineando la lotta che nellacarit e nellamore non d nulla per acquisito, nulla per posseduto poich, secondo leparole di san Girolamo, non sufficiente abbandonare ci che nostro, se non

    abbandoniamo anche noi stessi. La dimensione atletica evocata nella lotta per ilbene (Noi siamo degli atleti, dice santAmbrogio) presuppone la nudit inermecontrapposta alla nudit del male; ancora secondo san Gregorio gli spiriti del malenon posseggono nulla di proprio in questo mondo. dunque nudi che dobbiamolottare con degli esseri nudi. Perch se un uomo vestito lotta contro un uomo nudo, presto gettato a terra, in quanto offre degli appigli. E cosa sono infatti tutti i beniterreni, se non una sorta di rivestimento del corpo? Chi dunque si appresta acombattere contro il demonio, getti via i suoi abiti per non soccombere. Al di ldella povert francescana evocata in questa omelia, interessa sottolineare che il male

    ha gi vinto dove la nudit e la spoliazione cedono il posto alla perseveranza dellIoin se stesso; viceversa operare secondo il bene significa abbandonare la centralit delproprio Io e dei suoi contenuti finiti, agire nel distacco e nellabbandono. Il distaccocome Stimmung, disposizione a donare, a lasciar essere nellaccezione che Heideggerd dellessente come concesso, elargito da unapertura, da un abbandono, da unaGelassenheit, un tratto comune tanto a Eckhart quanto a Simone Weil e circoscriveil luogo di un pensiero vulnerabile, di una domanda pietosa e senza perch (loohne warum della mistica tedesca, da Eckhart ad Angelo Silesio, alla rosa senzaperch diIl pellegrino cherubico). Si tratta di un contegno verso le cose e le opereche rende luomo, secondo Eckhart, puro e in pace, che lo separa dai contenutifiniti e lo spinge ad agire senza utilitarismi, a partire dal fondo dellanima, nellanobilt interiore e nellesercizio della virt. Riprendendo la distinzione, gi presentenelle Enneadi di Plotino e passata in san Paolo e in Agostino, tra psyche epneuma,tra lio psicologico oberato dai contenuti e la superiore realt spirituale, Eckhartindica in essa il terreno della verit e della carit contrapposto alla logica forte eutilitaria. Mentre la psyche sempre compromessa con la carne e con il possesso il

    pneuma annienta lIo psicologico consentendo laccesso al castello dellanima(Grunt der Sle), nellabisso dellanima e nella scintilla della ragione che non sa pinulla dei contrari, per la quale la verit non n questo n quello ma la coincidentia

    oppositorum, la totale compenetrazione dello spirito con se stesso8. Il distacco, laAbgeschiedenheit come congedo dai contenuti rompe lio psicologico e operalapertura verso lanima nuda dove lo spirito dimora in pace, unito alla caraeternit (Sermoni tedeschi). In Simone Weil, nella sua riflessione attorno al distaccolatente in tutta la sua opera e resa esplicita in un capitolo decisivo di Lombra e lagrazia, troviamo unintonazione sicuramente vicina a quella della meditazioneeckhartiana. Intanto una analoga rottura della sostanzialit dellIo, che nella Weilrichiama lo smembramento operato dalla scossa del bello; e inoltre la stessa misura,la stessa giustizia etica e razionale erede del mondo classico e cavalleresco, la

    8Per ulteriori approfondimenti della nozione eckhartiana di distacco si veda Marco Vannini,Meister Eckhart e il fondo dellanima, Citt nuova, Roma 1991.

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    medesima scelta dello spirituale come luogo della carit e dellamore, del pensieroche non afferra, non piega ma accosta le cose nellarmonia e nella grazia, nelladisciplina arcana della fede e dellabbandono. Al moto ascendente del durchdringeneckhartiano, culmine del distacco che ha stretta parentela con la afairesis di Plotino edi Dionigi e con la apex mentis di san Bonaventura, corrisponde in Simone Weil lo

    sradicamento che solleva dallombra, dalla pesanteur e volge lanima tutta interaverso Dio. Il distacco dai beni materiali la cui pericolosit consiste soprattutto,secondo unintuizione di origine paolina, nel mostrarsi mischiati a beni spirituali,realizza la libert dello spirito dal finito e dal contingente, dallattaccamento chenasce nella sovranit immaginaria sul mondo9. Come in Eckhart, ma anche inSpinoza, lerrore dellintelletto consiste nellaffidarsi alla propria insufficienza, aldifetto che lo spinge a confondere il contingente con il reale, nellincapacit disollevarsi alla contemplazione sub specie aeternitatis dove la libert il senso stessodel necessario: Lattaccamento non altro che linsufficienza nel sentimento della

    realt

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    . Ma il distacco dal contingente e la concordanza con la necessitcostituiscono la cifra caratteristica del particolare amor fati che spinge Simone Weil acercare nellinfelicit e nel malheuril viatico per la consolazione. Il cammino versola luce passa attraverso il declino e lumiliazione, la ripetizione dellesperienzachenotica della croce, il rifiuto di evacuarla dal mondo e la vocazione a portarsi nelcuore, come un amante esiliato dal proprio bene, lamore infelice di Dio.

    3. La poesia

    Lopera poetica di Simone Weil accompagna, con la sua esigua e discretapresenza, levolversi del suo pensiero11. Per quanto costituisca una componenteapparentemente poco rilevante, marginale rispetto alla produzione complessiva dellaWeil, essa fa in realt da contrappunto alla sua meditazione, quasi ne rappresentauneco indispensabile. Unidentica energia debole e trasparente, unanaloga esigenzaetica sostiene la forza di movimento che Valry riconobbe ad esempio nelpoemetto Prometeo, e la tesa vertigine di un pensiero formatosi sotto la disciplinasevera del dtachement, del vuoto che dovr praticare dentro di s chi intenda

    testimoniare la verit. Amare la verit sta scritto in Lombra e la grazia12 significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte. La verit sta dalla partedella morte. Vuoto e distacco, esercizio alla morte che richiama lamato Platone maanche, come si visto, la Gelassenheitdi Eckhart e la catara endura, fanno di Simone

    9Weil, op. cit., pag. 26.10Ivi, pag. 28.11Si tratta di un gruppo di poesie, scritte e pi volte rielaborate in un arco di tempo che vadalladolescenza di Simone Weil ai primi anni 40. I Vers lus au goter de la Saint-Charlemagne

    furono composti nel gennaio del 1926, A une jeune fille riche risale probabilmente agli anni delliceo, clairfu scritta nel 29; il poemetto Promthe del 37, mentre la prima versione di A unjour del 38. Tra il 41 e il 42 furono composteLes Astres,La Mer,Ncessit, eLa porte.12S. Weil,Lombra e la grazia, cit., pag. 25.

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    Weil un raro esempio di vita e di pensiero bagnati nel sangue del sacrificio, illuminatida un lume assoluto e terribile, da una gioia dolente e sventurata. La radicalit di unpensiero abitato dallorizzonte cupo della gravit colpevole e dalla prossimit dellagrazia conferisce anche alle poesie lo scatto di una parola testimoniale, pronunciatanel cuore di un amore che non prende e si nutre della rinuncia. Le poesie di Simone

    Weil, nellapparente fragilit di un linguaggio la cui forza comunicativa risiedenellattenzione piuttosto che nel progetto, in quella esigenza di verit che JoBousquet defin poesia della fede13, vanno lette come parte integrante di unairripetibile esperienza di santit, di appartenenza a ci che muore, di felice adesioneallabbandono e al vuoto. Somigliare a Dio crocifisso14; basterebbe questoenunciato per comprendere la necessit di misurare la propria identit sulla debolezzae sulla lacerazione, di destinarsi allo sradicamento che poi fondamento e radice.Alla luce dellumilt che bagna lesperienza umana e la innalza, nella coscienza delmalheur, alla contemplazione di colui che la Verit in persona15, la poesia della

    Weil impone un ascolto che non faccia violenza alla parola, a quanto essa comunicacon la stessa semplicit della lode e della preghiera. I temi pi ricorrenti sono quelliche fanno parte, in generale, della riflessione di Simone Weil. La pesanteurin primoluogo, lombra e la gravit che spingono verso il basso (si veda, ad esempio, A ungiorno), la dismisura che lesercizio della forza introduce nellequilibriorappresentato dalla bilancia e dalla necessit. Lopposizione tra pesanteur e grce,dove la prima richiama la sventura che Blanchot definisce lestremo grado delladisattenzione16, un enigma che pi ancora dellangoscia dichiara il limite chepermette di assumere la giusta prospettiva sulla condizione umana17, corrisponde aquella tra limitato e illimitato, tra misura e dismisura, tra lo squilibrio imposto dallaforza e la geometria della giustizia e delletica presente soprattutto nel pensiero diPlatone: Senso del famoso passaggio del Gorgia sulla geometria (Tudimentichi...). Nella natura delle cose non possibile alcuno sviluppo illimitato; ilmondo riposa interamente sulla misura e lequilibrio (da qui leguaglianzageometrica), e lo stesso accade nella citt. Ogni ambizione dismisura18. Gli esseriincatenati alla terra, la chair souiller, gli sguardi miserabili, i corpi ridotti a unamassa di carne paisse sono immagini dellapesanteure della sventura, di ci che mosso dalla violenza delle forze esterne19, sottomesso alla forza che ha il potere ditrasformare gli uomini in cose20 turbando e snaturando lordine umano. La

    distruzione dellarmonia provoca labbandono al caso ed espone alla sventura: Talecastigo, di un rigore geometrico, che punisce automaticamente labuso della forza, fu

    13Cfr. Jo Bousquet-Simone Weil,Lettere della guerra, La Locusta, Vicenza 1988, pag. 23.14S. Weil,Lombra e la grazia, cit., pag. 98.15Cos si esprime la Weil in una lettera a Bousquet del 12 maggio 42 (cfr.Lettere della guerra, cit.,pag. 40).16M. Blanchot,Linfinito intrattenimento, Einaudi, Torino 1977, pag. 164.17Ivi, pag. 161.18

    S. Weil, Quaderni, vol. I, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1982, pag. 261.19S. Weil, LIliade poema delle forze, in La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano1974, pag. 33.20Ibidem.

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    il primo oggetto della meditazione dei Greci [...]. Forse, proprio questa nozione grecasussiste, sotto il nome di kharma, in paesi dOriente impregnati di buddhismo; malOccidente lha perduta e non ha neppur pi, in nessuna delle sue lingue, parola chela esprima; le idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare lacondotta della vita, non hanno pi che un impegno servile nella tecnica21. Ma le

    figure che incarnano la sventura, che toccano il fondo della desolazione, fannoesperienza dellillusione e dellerrore, scoprono dentro di s la possibile aperturaverso il paese reale, verso la grazia che libera dalla miseria. La caduta nellasventura, che termini come forza, gravit, pesanteuresplicitano nei suoi caratteri dirottura di un ordine, deviazione che fa precipitare e declinare verso il bassoprovocando un effetto di degradazione22, non separabile dalla gioia, dallattenzionee dallattesa che intenzionano allamore divino: Io sono convinta che la sventura daun lato, e dallaltro la gioia come adesione pura e totale alla perfetta bellezza,implicando entrambe la perdita dellesistenza personale, siano le uniche due chiavi

    per mezzo delle quali ci possibile entrare nel paese puro, il paese respirabile; ilpaese reale23. Poich lamore divino si raggiunge toccando il fondo dellasventura24, attraverso lo sfinimento e la sofferenza, il platonico dolore digerminazione dellanima a cui spuntano le ali25 che si spalanca, come nei versi diLa

    porta, Lo spazio immenso nel vuoto e nella luce che purifica gli occhi quasiciechi sotto la polvere.

    21Ivi, pag. 23.22Basta poco, una semplice deviazione, perch si determini questo processo: indirizzare il propriopensiero alla sventura facile quanto persuadere un cane non addestrato a entrare nel fuoco e farsi

    carbonizzare (Lettere della guerra, cit., pag. 35).23Op. cit., pag. 45.24Ibidem.25S. Weil,Dio in Platone, inLa Grecia e le intuizioni precristiane, cit., pag. 100.

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    Poesie

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    A una giovane ricca

    Climene, col tempo vedr nel tuo incantoSgorgare di giorno in giorno il dono delle lacrime.Ancora la tua bellezza unarmatura dorgoglio;Lo scorrere dei giorni la ridurr in cenere;Nessuno ti vedr discendere, splendente,Nel buio della bara, fiera, la maschera calata.

    A qual promesso destino, nel tuo fiore fugace,Scendi? Quale destino? Che fredda miseria

    Verr a serrarti il cuore fino al grido?Niente si lever per salvare tanta grazia;Il cielo rimane muto mentre un giorno cancellaI tratti puri, il dolce carnato che vide brillare.

    Un giorno pu impallidirti il viso, straziartili fianco per la fame; un brivido mordereLa tua fragile carne abituata al calore profondo;Un giorno, e saresti uno spettro nella ronda

    Che senza tregua, stanca, per la prigione del mondoCorre, corre, spinta nel ventre dalla fame.

    Come bestia braccata di notte per le secche,Dove trovare ormai la tua mano nobile e fine,Il portamento, la fronte, la tua bocca dalla piega altera?Lacqua brilla. Tremi? Perch lo sguardo vuoto?Fermati, carne livida, gi troppo morta per morire,Mucchio di stracci abbandonato nel grigio mattino!

    Apre la fabbrica. Andrai a soffrire alla catena?Rinuncia al gesto lento della tua grazia regale.Presto. Pi presto. Andiamo! Presto, pi presto. VaiA sera, lo sguardo spento, le ginocchia rotte, vinta,Senza parola; sulla tua bocca umida e pallida si leggaDura obbedienza allordine nel disperato sforzo.

    Andrai, di sera, nella citt rumorosa,Per pochi soldi ti farai sporcare la carne schiava,

    La carne morta, mutata in pietra dalla fame?Essa non freme se una mano la sfiora;

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    N si ritrae, ti impedito il sussulto,Il pianto un lusso a cui si aspira invano.

    Ma tu sorridi. Per te son favole le sventure.Calma, estranea alla sorte di sorelle infelici,

    Mai doni loro un benevolo sguardo.Tu puoi, a occhi chiusi, dispensare elemosine;Anche il tuo sonno puro da questi fantasmi cupiPassano chiari i tuoi giorni al riparo di mura.

    Mucchi di carta, pi duri duna muraglia,Ti proteggono. Se bruceranno, il tuo cuore, le viscereSaranno preda di colpi che infrangono lessere intero.Ma quella carta ti soffoca, nasconde terra e cielo,

    Nasconde i mortali e Dio. Esci dalla tua serra,Nuda e tremante al vento dun gelato universo.

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    Versi letti alla merendadi San Carlomagno

    Liceo Enrico IV (30 gennaio 1926)

    Sento dei canti, grida, richiami e risa;Chi sono questi ragazzi dallaria cos gioiosa?Quando per noi il destino si fa sempre pi cupo,Che luce questa che vedo nei loro occhi?Gli uni sono fanciulli, gli altri gi quasi adulti,Ma dalla stessa gioia le fronti illuminate;

    Che paradisi vedono, spenti solo a nominarli?Che cosa sognano, nel nostro turbamento?

    Forse le imprese future?

    Dolce giovinezza, illuminataDal chiaro sguardo del mattino,Di anno in anno avanziIncontro al destino.Gli occhi levati al cielo puro,

    Senza veli vai verso il futuro;Cammini fra le luci,Sguardo aperto e mani vuote,Incontro a splendide auroreChe si alzano sulle citt.

    Ebbra di saggia ebbrezza,Bevi aria pura, candida e chiara;Credi di udire un messaggio divino

    In questo silenzio colmo di lampi;Senza profumi e sogni,Disdegni i fiori troppo fugaci,Vai nella pace del risveglio,Pestando la neve inviolataE vedi soltanto nella valleI giuochi liberi del sole.

    Vai, forte, innocente e pura,Con una spada nella mano;Credi che il luccicho di unarmaturaSignoreggi sotto il sole divino;

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    Libero e improvviso come un miracolo,Il tuo puro sguardo un oracoloPer i pi adulti troppo ansiosiChe si domandano, senza risposta,Quale destino promettono gli astri

    A questi giovani silenziosi.

    Perch tragico e cupo il destino presente;Il pane talvolta manca al cittadino;Il popolo, stanco di lotte politiche,Si irrita e trema e gi rumoreggia.Lontano la nostra terra vede, in guerre cupe.Combattere soldati ancora quasi infanti;Qui dure ansie rendono austero lo sguardo;

    Che possono mai sognare, in simili miserie,Questi ragazzi trionfanti?

    Forse, come in un sogno, si vedono davantiPassar lImperatore di cui si festeggia il nome;Vedono braccia alzate stramazzare senza tregua,Sentono colpi sordi pi belli dei cannoni.Simpugnavano allora Durlindana e Gioiosa;Lampi di spade scintillavano al sole;Senza posa passavano, truppa vittoriosa,Eretti sui loro cavalli, in una gioia orgogliosa,

    I cavalieri dal limpido sguardo.

    Lottano, eroi, arditamente, nel corpo a corpo,La spada insanguinata, ma il cuore sempre puro;In cielo langelo sorride al soldato che lo chiama,E combatte il guerriero, pi ardente e sicuro;Per Dio si lotta, e per la dolce Francia;Intorno al cavaliere morente, a mani giunte,

    Vengono, bel coro danzante, le tre divine vergini,La Carit, la Fede, la candida Speranza,

    Gli svelano il destino.

    Intanto i suoi pari lo riportano alla terra,Dolce terra di Francia dove riposer il suo corpo!...Poi tornano a combattere; e di nuovo la guerraTuona, si rivaleggia per vendicarlo.Si aggiunge morto al morto; senza tregua nuovi feriti,

    Colpiti dalla spada, si aggiungono ai feriti;Poi, ormai insensibili ai colpi della spada,Si alzano a colpire, ebbri, a colpire

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    Finch si stancano le braccia.

    E il giovane ardente che pensa a CarlomagnoVuole, a sua volta, combattere, lottare e morire;Marciare, marciare allinfinito per valli e monti,

    Al seguito di un capo, senza voler fuggire.Un sangue giovane gli brucia nelle vene ardentiSparso; non sa che son passati i tempiChe luomo colpiva laltro, la mano sanguinanteE senza fine alimentava lebbrezza bruciante

    Di crani fracassati!

    Ora il giovane non pu pi, in guerra,Saziare il suo bisogno dazione e di lotta;

    I soldati doggi combattono lotta severa Senza spada, nel fango, senza poter colpire.Ma se non pu sognare identico cammino,Se non pu sognare dimitar quei soldati,Non si affligga! piuttosto ascoltiSorgere in s una voce pi forte del dubbio

    Che lo chiama ad altre lotte.

    Sono passati i tempi che luomo fantasticavaDinebriarsi invano di vane azioni;Nostro destino combattere in lotte senza tregua,Pi belle delle lotte tra le nazioni.Compito nostro dominare il mondo;Stringendo luniverso nelle forti mani,Stabilire il diritto, la pace feconda,Ovunque imporre la nostra impronta fonda

    Sulle cose e il destino!

    Dunque partite, giovani, nellardore della vostra et,

    Partite, forti e virili, per cos belle lotte;Con due grandi virt, Pazienza e Coraggio,Siate su tutto vincitori, perfino sulla morte.Piuttosto che Carlomagno invocate la santaChe per il suo gran cuore sconfisse anche la morte;Tanto che la invocava il Francese impauritoQuando la vide, senza minaccia e pianto,

    Vegliare sulla Citt dormiente!

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    Lampo

    Che il cielo puro mi mandi sul viso Questo cielo spazzato da lunghe nubi Un vento cos forte, profumato di gioia,Che tutto nasca, mondato dai sogni:

    Per me nasceranno le umane cittChe un soffio puro ha pulito da brume,I tetti, i passi, i gridi, i cento lumi,Rumori umani, quanto consuma il tempo.

    Nasceranno i mari, londeggiante barca,Il colpo di remo e i fuochi della notte;Nasceranno i campi, il giavellotto lanciato;Nasceranno le sere, stella che a stella segue.

    Nasceranno il lampo e le ginocchia chine,Lombra, lurto alle svolte della miniera;Nasceranno le mani, i duri metalli rotti,

    Il ferro morso nellurlo della macchina.Il mondo nato; fallo durare, vento, nel tuo soffio!Ma esso muore coperto di fumo.Mera nato in uno squarcioDi pallido cielo verde tra le nubi.

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    Prometeo

    Un animale smarrito e solo,Morso nel ventre da un rovello incessanteChe lo fa correre, tremante di stanchezza,Per fuggire la fame che solo morendo sfugge;In cerca della vita per oscure selve;Cieco quando la notte manda le sue ombre;Colpito nel cuore della roccia da freddo mortale;Pronto allaccoppiamento in casuali strette;Preda di di, dei loro oltraggi che lo fanno urlare.

    Tale saresti, uomo, senza Prometeo.

    Fuoco che crei e distruggi, o fiamma artista!Erede dei bagliori del tramonto!Laurora sale al cuore di luttuosa sera;II dolce focolare unisce le mani; il campoHa preso il posto dei riarsi rovi.Duro metallo sgorga nelle colate,li ferro si piega ardente e al martello cede.

    Colma lanima un lume sotto un tetto.Come un frutto matura il pane nella fiamma.Quanto vi am, per farvi un tale dono!

    Vi dette ruota e leva. O meraviglia!Il destino si piega al lieve peso delle mani.Il bisogno teme la mano che di lontano vegliaSulle leve, signora delle strade.O venti marini sconfitti da una vela!O terra aperta al vomere, sanguinante e nuda!Abisso dove discende una lampada tremante!Il ferro corre, morde, afferra, distende e trita,Docile e duro. Le braccia portano la loro preda,Il pesante universo che d sangue e lo beve.

    Fu Prometeo artefice dei riti e del tempio,Magico cerchio per trattenere gli diLontani dal mondo; cos luomo contempla,Solo e muto, la sorte, la morte e i cieli.

    Egli cre linguaggio e segni.Vanno attraverso il tempo parole alate

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Per monti e valli a muovere cuori e braccia.Lanima parla con s e cerca di capirsi.Cielo, terra e mare tacciono per sentireDue amici, due amanti che si parlano piano.

    Ancora pi luminoso fu il dono dei numeri.Fantasmi e demoni dileguano morendo.Sa scacciare le ombre la voce che conta. calmo e trasparente perfino luragano.Ogni stella ha il suo posto nella profondit del cielo;Non mente mai quando parla alla vela.Atto si aggiunge ad atto; nessuna cosa sola;Tutto si corrisponde sulla giusta bilancia.Nascono canti puri come il silenzio.

    Talvolta si schiude il sudario del tempo.Grazie a lui lalba una gioia immortale.Ma un destino funesto lo tiene piegato.Il ferro lo inchioda alla roccia; la fronte trema;E mentre pende crocifisso, in luiEntra il dolore freddo come lama.Ore, stagioni, secoli gli divorano lanima,Di giorno in giorno gli si strugge il cuore.Invano gli si torce il corpo sotto la stretta;Listante fuggendo sperde il suo pianto al vento;Solo, senza pi nome, carne preda di sventura.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    A un giorno

    Spunta il giorno dalle brumeOltre le cime dei monti.Luniverso si libera dai sogni;Che appaia! Dmoni addio!Quando la luce pallida e gelataPenetra lanima, dimprovviso traversataDai suoi raggi laceranti,Dal filo derba, esile, rabbrividito,Salga un silenzio sterminato

    E si mescoli ai deserti trasparenti!

    Come potrebbe il cuore non spezzarsiSe limprovvisa e dolce scossa del mattinoDissipa lombra dellinfinito agitarsiIn dubbi, rimorsi, paura del destino?La grazia lo ferisce; sanguinaDavanti alla pianura dove lacqua stendeUna coltre di nebbia delicata

    Sul ramo spoglio e tremante.Sullala sospesa ed esitante,Laria da un debole lampo inondata.

    Giorno che nasci, colmo di rugiada,Cos chiaro nellanima e nei cieli,Tutto questo splendore che si posaOvunque come una carezzaLimpido a noi sar di tenerezza.La sera che laria fluida ha traversatoNe colmer lumido prato.Ma prima ancora che la notte scenda,E in mezzo a noi calma si stenda,O giorno, come sarai sporcato!

    *

    Ogni minuto, giorno che trascorri!Quando fugge con un volo muto

    Dietro di s lascia una vergognaChe raccoglie listante nascente.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

    19/26

    Ovunque una bocca appena spalancataDun fiato viene a offuscareI giorni e le dolci stagioniDi chi fino a ieri visse senza piantoEd ora ha soltanto ansie,

    Vana fatica, miseria e prigioni.

    Che forza stordisce i destinatiA cui loro, il ferro, la sorte, le leggiSchiacciano anni interiNello spazio angusto di una voce!Quando da labbra altereCadono sulle folle prigioniereParole che il tempo fa pesanti,

    Lora crolla e incenerisce,Una luce le palpebre colpisce,Separata dagli istanti.

    Perch ferisci con la tua auroraGli occhi dei vinti, giorno morto appena nato?Essi son stanchi di vedere ancoraUn sole che brilla condannato.Il giorno morto lungo assai per un vivente.Lalba comanda di seguirne amaramenteSenza esitare la corsa spaventosa.Il cuore, le ginocchia vengono a mancare.Pertanto eretti necessario andareL dove lanima non osa.

    Mille volte mille anime deserteSalutano il giorno gi perduto.Quelle migliaia di giorni inertiSono un misero giocattolo venduto.

    Chi si trastulla, da fantasie abitato,Lo sguardo perso nel fondo delle et,Ignora che il giorno appena nato.Lalba e la sera sono soltanto erroreSe come una spada non penetra nel cuoreUna breve pace luminosa.

    Ciechi, ammucchiano e confondonoPassato, presente e avvenire,

    Qualunque cosa facciano non sanno,Nella loro fame di giorni e di anni,Trovare la misura che li appaghi.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    La loro mano crede, raggrinzita nellombra,Di trattenere i secoli infelici.Invano lasse dei cieli giusto.Giorno fragile e sacro, giorno augusto,Giorno, per loro non sei nato ancora.

    Per chi, ahim, nascesti?Questi giovani esseri prostrati,Volevi bagnarli dauroraNei campi non ancora arati?I volti ingrigiti dal fango,Lontano da mani ad essi soli attente,Sono alla terra incatenati,La bocca aperta senza preghiera,

    Locchio insensibile alla luce,Privi del loro diritto ai giorni.

    Altri, nudi, sono coperti dalle gocceDellalba in mezzo a delle strade.Verso i passanti nella viaTesero le loro vuote mani.Come terra diventano pesantiLe ossa che ha rosicchiato la miseria,Che nessuna terra ha mai nutrito.E altri, quanti giacciono ancora...I giorni passati impediscono a loroDi vederti, giorno che gli sorridi.

    La pietra, giorno senza forza,Tu non potrai traversarla.Un muro ti sottrae a chi ti ama;E muri di piombo peserannoFino alla notte sopra i petti.

    Dal greve tumulto delle officine,Dai mercati di carne da infangare,Dal fondo di prigioni immutabili,Salgono sguardi miserabili.Qual raggio mai li bagner?

    Tutto serrato sulla folla oscura,Il tremito scuote le membra incatenate.Per i destini sottomessi allingiuria,

    Per le forti tensioni umiliate,Come ingrigisce la limpida pianura!Anche dentro al tepore della brezza,

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Perfino in cammino in mezzo al campo,Lobbrobrio e lo stupore amaroInterdiranno cielo e terraTutto quel giorno al giorno sorridente.

    Ma pi di notte grava la specieChe brulica dentro le cittDi esseri dalla carne ottusaIl cui spirito dorme sotto i lumi.Solo la folgore li scuoteQuando a distruggere e annientareSu loro cade e li trapassa.Questo giorno felice appena nato,Nessuno lavr conosciuto

    Quando il suo corso sar ormai cessato?*

    Debole sorriso luccicante di lacrime,Esordio di un giorno in mezzo ai giorni,Vieni, afferraci, libera dalle ansie,Ascendi, illumina, accendi, accorri!La tua fiamma slitta di ora in ora;La tua ala dun quieto lampo sfioraUno per uno i pallidi paesi.Laria in fiore sulle tue tracce.Che una volta per i lenti spaziSi assista al tuo sgorgare!

    Che lalba richiami con angelico cantoUn cuore limpido e dimprovviso mutoAlla notizia dellincantoChe si sparge nellaria palpitante.

    Il lungo giorno sia per lui il pattoChe senza fine lega lanima perfettaAlla bilancia insita nei cieli.O lungo giorno che avido berr,Trascorri e colmalo di un vuotoChe lo renda identico agli di.Invano tramonter sulla pianuraQuesta sera la suprema luce.

    Invano il cielo muovendosi trascinaLe ore serene in altri luoghi.Questo giorno di celeste silenzio

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Dona per sempre al mondo immensoUno spirito colmo damore,Anche se il suo momento si avvicinaE se la sorte cieca stabilisceChe sia per lui lultimo giorno.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Il mare

    Mare docile al freno, sottomesso in silenzio,Mare sparso, flutti per sempre incatenati,Massa offerta al cielo, specchio dobbedienza;Vi tesse ogni notte nuove piegheLa lontana potenza degli astri.

    Quando il mattino colma lintero spazioLo accoglie rendendo la luce in dono.Un lampo leggero si posa in superficie.

    Si stende in attesa e senza desiderioSotto il giorno che cresce, risplende e dilegua.

    Di riflessi serali luccicher improvvisaLala sospesa tra il cielo e lacqua.I flutti oscillanti e fermi,Dove ogni goccia sale e ridiscende,Restano in basso per sovrano decreto.

    Bilancia dai segreti bracci dacqua trasparenteTrova in s la misura, e schiuma, e ferro,Giustizia invisibile per ogni barca errante.Sullo scafo un filo azzurro traccia rapportiSenza errore alcuno nella riga apparente.

    Mare immenso, sii propizio agli infelici mortali,Stretti ai tuoi bordi, persi sul tuo deserto.A colui che affonda parla prima che muoia.Entra nellanima, o nostro fratello mare;Donale la purezza delle tue acque giuste.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Necessit

    La ruota dei giorni dal cielo deserto si volgeIn silenzio agli sguardi mortali,Gola aperta quaggi, dove ogni ora inghiotteGridi cos supplicanti e crudeli;

    Tutti gli astri lenti nei passi della loro danza,Unica danza immobile, lampo muto dallalto,Informi malgrado noi, senza nome o cadenza,Troppo perfetti, senza mancanza alcuna;

    La nostra collera vana a quei sospesi.Si calma la nostra sete se ci spezzate i cuori.In desideri e grida la loro ruota ci trascina;I nostri signori splendenti furono sempre vincitori.

    Strappate le carni, catene di luce pura.Inchiodati senza un grido alla fissit del Nord,Lanima nuda esposta ad ogni piaga,

    Noi vogliamo obbedirvi fino alla morte.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    Gli astri

    Astri di fuoco che la notte abitate cieli lontani,Astri muti che nelleterno gelo ciechi volteggiate,Voi strappate ai nostri cuori i giorni trascorsiE nel domani senza il nostro consenso ci gettate,Noi piangiamo e le nostre grida verso di voi son vane.Vi seguiremo, se occorre, le braccia incatenate,Gli occhi rivolti al vostro puro scintillio dolente.Al vostro sguardo ogni dolore niente.Noi vacilliamo in silenzio sul nostro cammino.

    E l, si spalanca nel cuore il loro fuoco divino.

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  • 7/29/2019 71580027 Simone Weil Poesie

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    La porta

    Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.

    Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.Se occorre labbatteremo coi nostri colpi.Incalziamo e spingiamo, ma la barriera troppo forte.

    Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.Guardiamo la porta; chiusa, intransitabile.Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

    La porta davanti a noi; a che serve desiderare?Meglio sarebbe andare senza pi speranza.Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.

    La porta aprendosi liber tanto silenzioChe nessun fiore apparve, n i verzieri;Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luceApparve dimprovviso da parte a parte, colm il cuore,Lav gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.