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SOMMARIO · lezza che la riflessione è un elemento essenziale nell’apprendimento, ... CEL di lingua tedesca, ... allora titolare del corso di tedesco

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SOMMARIO

Introduzione 5

Christopher Taylor Applicazioni della valenza riflessiva dello European Language Portfolio 11

Federica Gori, Monica Pedrola Neue Wege im Grammatikunterricht – am Beispiel italienischer Universitäten 29

Irene Rogina Zum Begriff metodo Eine terminologische Untersuchung in der italienischsprachigen Fachliteratur des Fremdsprachenunterrichts 43

Irene Rogina Dominio tempo-aspettuale e distribuzione dei tempi nel testo: applicazioni didattiche 59

Stefano Ondelli “Le lingue straniere in Italia” an ongoing debate 85

Nickolas D.G. Komninos Analisi e parafrasi dei composti nominali nella didattica del neerlandese 89

Elisabeth Koenraads Les accents graphiques : première approche pour étudiants italophones 119

Pascale Janot Pour une représentation fonctionnelle de la conjugaison française 149

Sonia Gerolimich, Isabelle Stabarin Eine Unterrichtseinheit zum Thema „Politik aus einem selbst erarbeiteten Skriptum für den Studiengang“ “Scienze Internazionali e Diplomatiche” an der Fakultät für Politikwissenschaft der Universität Triest 169

Sieglinde Kofler

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Sommario 4

El lenguaje descriptivo visual: los elementos kinésicos y el lenguaje de los gestos 195

Alida Ares Uno sguardo alla teoria della traduzione in Cina 219

Wang Fusheng Il Sandhi tonale nella lingua cinese moderna 227

Wang Fusheng

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INTRODUZIONE

Christopher Taylor

Questo volume rappresenta un passo importante nella vita del Centro Linguistico dell’Università di Trieste. In seguito all’apertura dei laboratori del centro, frequentati ormai da più di duemila studenti, ed al consolidamento della gestione dell’insegnamento delle lingue in tutte le facoltà dell’ateneo attraverso le attività didattiche dei collaboratori ed esperti linguistici, la possibilità di pubblicare alcuni articoli elaborati dal personale del Centro e dagli stessi CEL è un ulteriore motivo di soddisfazione per il progresso fatto finora. I vari contributi che hanno dato vita a questo volume verranno qui di seguito brevemente introdotti.

La tecnico linguistico del Centro, Federica Gori, e la contrattista Monica Pedrola aprono il volume con un lavoro sull’applicazione della valenza riflessiva dello European Language Portfolio (ELP). Come sottolineano le autrici, l’ELP si propone come strumento didattico e mezzo di autovalutazione all’interno di un approccio originale, ma nelle Università italiane risulta una pratica finora scarsamente sperimentata. Data la ormai consolidata consapevo-lezza che la riflessione è un elemento essenziale nell’apprendimento, l’uso dell’ELP mira a “rendere visibile il processo d’acquisizione della lingua straniera, aiutando così il discente a maturare la propria capacità di riflettere e di autovalutarsi”. Attraverso un esperimento effettuato nel laboratorio linguistico del CLA con studenti introdotti all’autoapprendimento tramite il software “Tell me More”, è stato possibile analizzare i risultati di un questionario mirato a (1) misurare la loro reazione alla nuova metodologia, (2) constatare il livello percepito di miglioramento e (3) accertare fino a che punto gli studenti si consideravano independent learners. Gori e Pedrola traggono le loro conclusioni e constatano che l’uso del Portfolio da parte degli studenti in questione ha portato ad una maggiore fiducia nelle proprie capacità di apprendimento, mentre la riflessione ed il raggiungimento di una completa autonomia rimangono obiettivi che richiedono tempi più lunghi.

Irene Rogina, CEL di lingua tedesca, presenta due articoli Neue Wege im Grammatikunterricht – am Beispiel italienischer Universitäten e Zum Begriff metodo – Eine terminologische Untersuchung in der italienischsprachigen Fachliteratur des Fremdsprachenunterrichts. Nel primo lavoro spiega come la grammatica è probabilmente da sempre l’argomento più discusso e più controverso all’interno della discussione sugli approcci e sui metodi da adoperare nell’insegnamento e nell’apprendimento delle lingue straniere: al centro dell’attenzione o apparentemente bandita dalle aule, insegnata in modo

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Christopher Taylor 6

deduttivo o induttivo, fine a se stessa o considerata come mezzo, infine amata, sopportata o rifiutata, la grammatica rimane sempre oggetto di discussione tra studiosi, insegnanti e studenti di lingua. L’autrice suggerisce che forse adesso ci troviamo dinanzi ad una vera svolta. L’articolo riassume i risultati di una serie di recenti ricerche riguardanti l’apprendimento linguistico che dimostrano per la prima volta i chiari limiti dell’insegnamento esplicito della grammatica e le conseguenze sulla pratica didattica delle lingue straniere in ambito universitario.

Il secondo lavoro offre un’analisi terminologica di una delle parole chiave della didattica delle lingue straniere, ovvero “metodo”/Methode. L’obiettivo è quello di analizzare e mettere a confronto i vari modi di definire il termine e di delimitarne l’ambito concettuale. Il contributo nasce dalla convinzione che questo termine, molto complesso e molto usato, designi un concetto piuttosto vago e approssimativo. Le continue modifiche e i profondi cambiamenti che la disciplina della didattica delle lingue straniere subisce – e dovrebbe subire, rendono infatti inevitabili revisioni e aggiornamenti terminologici.

Il CEL di lingua italiana, Stefano Ondelli, esamina il dominio tempo-aspettuale e la distribuzione dei tempi nel testo e ne considera le implicazioni didattiche. Come spiega l’autore “la causa dei particolari problemi che i discenti L2 incontrano tradizionalmente nel controllo dell’alternanza dei tempi passati è da ricercare nelle difficoltà di gestire l’opposizione tra aspetto perfettivo e imperfettivo da una parte e aspetto compiuto dall’altra”. Dopo aver illustrato degli ‘esperimenti grammaticali’ (virgolette dell’autore) volti ad attirare l’attenzione degli studenti sull’impiego dei tempi verbali in testi reali nonché a sviluppare gradualmente la competenza testuale, Ondelli riporta l’esempio di una fiaba analizzata in classe con riferimento all’uso dei tempi. Le sue conclusioni sembrano indicare l’utilità del metodo adottato, in quanto si è potuto aggiungere allo studio delle tradizionali categorie formali competenze a livello di sistema linguistico e competenza applicativa.

Il CEL di lingua inglese, Nickolas Komninos, riporta il dibattito sulle lingue straniere in Italia, partendo da un articolo pubblicato dal prof. John Dodds “Le lingue straniere in Italia”. L’autore traccia un quadro della situazione attuale della didattica delle lingue straniere nelle Università italiane. Il suo contributo funge da proposta alle autorità a livello governativo e di ateneo di investire di più (in tutti i sensi) nell’insegnamento delle lingue. Lo scopo di questo rinnovato interesse nel settore ha il duplice obiettivo di aumentare sensibilmente i livelli di competenza degli studenti in accordo con le linee guida stilate dall’Unione Europea, e di dare ai discenti più possibilità di cimentarsi nel futuro mondo di lavoro.

Dalla sezione di lingua neerlandese, la CEL Elisabeth Koenraads presenta un articolo dal titolo Analisi e parafrasi dei composti nominali nella didattica del neerlandese. L’autrice spiega come esercizi di parafrasi dei vari tipi di composti

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Introduzione 7

esistenti nella lingua neerlandese portano ad un’ulteriore comprensione del significato dei composti stessi. In particolare si vede come l’uso delle prepo-sizioni nelle trasformazioni “sostantivo + sostantivo” > “sostantivo + preposi-zione + sostantivo” aiuta lo studente italiano a capire i meccanismi inerenti la costruzione dei composti in neerlandese. L’autrice ha condotto un “esperi-mento” con gli studenti di lingua neerlandese della Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori per misurare i livelli di difficoltà riscontrati nella scelta delle parafrasi e, valutando l’utilità di quest’approccio dal punto di vista didattico, conclude che “l’apprendimento non può che trarne giovamento”.

Per la lingua francese la CEL Pascale Janot offre uno studio su Les accents graphiques: première approche pour étudiants italophones, mentre Sonia Gerolimich e Isabelle Stabarin presentano un articolo Pour una représentation fonctionelle de la conjugaison française. La Janot si concentra inizialmente sui problemi relativi agli accenti grafici, esplorando aspetti come il rapporto etimologia/tipo di parola/tipo di accento, ecc., ed offrendo delle considerazioni diacroniche sull’evoluzione degli accenti all’interno della lingua francese, anche in funzione della riforma dell’ortografia del 1990. Nella seconda parte dell’articolo l’autrice si chiede quali aspetti creino più problemi agli studenti italiani, proponendo una strategia pratica ed una serie di esercizi mirati ad aiutare lo studente nella pratica del francese scritto.

Gerolimich e Stabarin, invece, si focalizzano sulla buona conoscenza delle forme verbali. Le autrici si lamentano dell’approccio seguito da molti dei libri di grammatica francese, considerati poco chiari o poco rigorosi, una carenza questa che viene rilevata anche dai collaboratori delle altre lingue (vedi Rogina in questo volume). Le autrici propongono pertanto una presentazione alternativa del sistema verbale, semplice ed esaustiva, nonché una serie di suggerimenti per l’apprendimento delle coniugazioni. L’approccio adottato è più “funzionale” rispetto alla classificazione tradizionale e dà importanza all’aspetto orale della lingua, il francese parlato, oltre alle necessarie considerazioni morfologiche e sintattiche.

Entrambi i contributi delle collaboratrici di lingua francese prevedono sviluppi futuri e offrono interessanti spunti per la didattica della loro lingua.

La CEL di lingua tedesca, Sieglinde Kofler, ha scritto un articolo dal titolo Eine Unterrichtseinheit zum Thema “Politik” aus einem selbst erarbeiteten Skriptum für den Studiengang “Scienze Internazionali e Diplomatiche” an der Fakultät für Politikwissenschaft der Universität Trieste. Il contributo presenta le linee generali della dispensa predisposta per il lettorato di tedesco a Gorizia, previsto dal Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche (100 ore in totale per il 1° e 2° anno – esami inclusi, e si sofferma in particolare su un’unità didattica di circa 6 ore, inerente la struttura politica di Germania, Austria e Svizzera). L’ideazione di una dispensa che tenesse conto delle poche

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Christopher Taylor 8

ore a disposizione del lettorato e delle particolari esigenze linguistiche degli studenti di questo corso di laurea, è nata nel 2001, in collaborazione con la Prof. Patrizia Mazzadi, allora titolare del corso di tedesco. L’autrice illustra la struttura della dispensa, gli argomenti da svolgere, la suddivisione in capitoli, la progressione grammaticale e il filo conduttore. Viene presentato il corso di laurea (ce ne sono solo due in Italia) per il quale è stata predisposta la dispensa e il delineamento dello Zielgruppe, il gruppo a cui l’insegnamento è rivolto. Seguono delle considerazioni generali sull’insegnamento delle lingue e del tedesco in particolare e infine vengono presentate le scelte operate nella compilazione della dispensa e i relativi punti di forza.

L’intervento della CEL Alida Ares, passata ora all’Università di Trento in qualità di docente a contratto, ci porta nella lingua spagnola con il titolo El lenguaje descriptivo visual: los elementos kinésicos y el lenguaje de los gestos. Il lavoro analizza un’unità didattica basata sull’approccio comunicativo, la quale consiste di una serie di attività ed esercizi diretti a sviluppare la competenza pragmatica degli studenti attraverso l’osservazione degli elementi extralin-guistici e il loro significato. Un brano del romanzo Seta (1996) di Alessandro Baricco all’interno del quale si sviluppa un dialogo a tre, serve come veicolo per lo studio delle modalità semiotiche (parlato, gesti, movimenti, sguardi, ecc.) presenti nella narrazione.

“Last but not least” il volume chiude con due articoli presentati dal CEL di

lingua cinese, Wang Fusheng, che effettua, nel primo lavoro, “uno sguardo alla teoria della traduzione in Cina”. L’autore afferma che lo studio della teoria e metodologia della traduzione, ovvero le “scienze della traduzione” (Gentzler 1998: 54; Nergaard 1995: 5), si sono radicati molto saldamente in Europa e in America. In altre parole lo sviluppo è avvenuto quasi esclusivamente nell’ambito della traduzione culturale e scientifica europea e americana, con scarsa considerazione per le teorie e le pratiche traduttive proprie di altre culture, ad esempio quelle del Medio Oriente, della Regione Indiana e dell’Estremo Oriente. Questo contributo fornisce alcuni cenni sulla storia della teoria e dei metodi della traduzione nel mondo cinese, per individuare sia le analogie con gli studi più recenti del mondo occidentale sia le differenze specifiche dovute o alla diversità linguistico-culturale o a quella dei testi originali oggetto di traduzione. Il secondo articolo di Wang Fusheng riguarda “Il Sandhi tonale nella lingua cinese moderna”. Come sanno molto bene gli studenti di quell’idioma, il cinese è una lingua tonale nella quale si distinguono quattro toni. Ogni ideogramma – unità grafica e semantica minima alla quale corrisponde una sillaba – possiede un suo tono specifico (e, talvolta, anche più di un tono). L’autore spiega come il succedersi delle “sillabe” può portare ad alcune modificazioni tonali per adeguarsi ad un contesto tonale più ampio. Tale

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Introduzione 9

fenomeno viene definito “sandhi tonale”. Il sandhi tonale di una sillaba è influenzato sia dalla sillaba che precede sia da quella che segue. Come spiega Wang, il sandhi tonale rappresenta una seria difficoltà per gli stranieri che studiano il cinese, ed è quindi necessario che essi apprendano correttamente le regole che stanno alla base del cambiamento dei toni.

Christopher Taylor

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APPLICAZIONI DELLA VALENZA RIFLESSIVA DELLO EUROPEAN LANGUAGE PORTFOLIO

Federica Gori, Monica Pedrola1

Nell’anno accademico 2004-05 il Centro Linguistico dell’Università di Trieste ha avviato un esperimento sul Portfolio Europeo delle Lingue utilizzando la traduzione italiana AICLU della versione del CercleS per studenti universitari.

In quest’articolo verranno illustrati alcuni presupposti teorici dell’autovalu-tazione e della riflessione, le fasi iniziali dell’esperimento svolto con un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze della Formazione, e infine, i problemi traduttivi incontrati nella trasposizione del European Language Portfolio (ELP) dall’inglese all’italiano.

1. Presupposti teorici dell’autovalutazione e della riflessione

Come è ormai ben noto a tutti coloro che operano nel campo dell’insegnamento linguistico, l’ELP rappresenta una delle numerose iniziative promosse dal Consiglio d’Europa al fine di attuare i suoi scopi fondamentali. Ideato e presentato nel 1997 in una serie di documenti del Consiglio per la Cooperazione Culturale2, è stato da allora sviluppato, sperimentato ed attivato in quasi tutti i Paesi Membri dell’Unione Europea.

Esso è stato pensato per accompagnare il discente durante tutto l’arco della sua formazione scolastica ed extra-scolastica ed è quindi di sua fondamentale proprietà.

Nell’ambito dell’apprendimento delle lingue straniere, l’ELP propone un

approccio originale all’uso del portfolio come strumento didattico e come modalità di valutazione, che in Italia è una pratica recente rispetto ad altri Paesi europei e non. Tra le varie abilità di studio che tale strumento intende sviluppare vi è la capacità di riflessione e di autovalutazione, che figura tra gli obiettivi principali esplicitamente dichiarati dai promotori dell’ELP 3 . Al fine di comprendere appieno la valenza riflessiva del portfolio in generale, e dell’ELP

1 L’articolo è frutto di una collaborazione tra le due autrici. Tuttavia la dott.ssa

Monica Pedrola ha redatto personalmente la sezione 1, mentre la dott.ssa Federica Gori ha curato le sezioni 2 e 3.

2 Per maggiori dettagli si veda Little (2004a). 3 Lenz P. & Schneider G. (2001).

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Federica Gori, Monica Pedrola 12

in particolare, è opportuno soffermarci brevemente sulla nozione stessa di riflessione, accennando anche al suo legame con l’apprendimento.

1.1. Che cos’è la riflessione

Esiste ormai una nutrita letteratura che documenta la crescente consapevolezza, acquisita da educatori e insegnanti, che la riflessione è un elemento essenziale nell’apprendimento (Moon 2001; Nunes 2004, Lynn and Walsdorf 2001). In linea con tale presupposto, l’ELP è stato pensato in modo tale da rendere visibile il processo d’acquisizione di una lingua straniera, aiutando il discente a maturare la propria capacità di riflettere e di autovalutarsi e a prendere, in base a ciò, decisioni consapevoli e pertinenti al proprio percorso d’apprendimento.

La riflessione è stata definita in molti modi, ognuno dei quali ne ha

evidenziato una componente importante. Little e Perclovà (2001: 45) usano il termine riflessione nel senso di “thinking about something in a conscious and focused way” e sottolineano come, a dispetto di tale definizione apparentemente semplice, essa preveda una serie di attività mentali molto complesse. Implicita nella loro visione è un’idea di riflessione come attività atta alla risoluzione di problemi e come processo di presa di decisioni.

Questi elementi sono evidenti anche nelle definizioni fornite da altri autori. Secondo Moon (2001: 2), ad esempio,

reflection is a form of mental processing – like a form of thinking – that we use to fulfil a purpose or to achieve some anticipated outcome. It is applied to relatively complicated or unstructured ideas for which there is not an obvious solution and is largely based on the further processing of knowledge and understanding and possibly emotions that we already possess (based on Moon 1999).

Altro tratto caratterizzante la riflessione è il cosiddetto distanziamento, enfatizzato in particolare nell’ambito delle teorie di apprendimento esperienziale (Kolb 1984). Il processo riflessivo viene qui qualificato come una sorta di presa di distanza dalle conoscenze possedute, un atto necessario che consente al discente di riflettere sulle esperienze fatte. La riflessione è vista come uno stadio centrale nel processo di apprendimento al punto che l’idea di “learning from experience” viene di fatto intesa con il significato di “learning from reflection on experience” (Dewey 1933, 1938).

L’integrazione tra riflessione ed esperienza è certamente presente nella tassonomia del processo di apprendimento proposta da Little e Perclovà (2001: 45). In base alla loro suddivisione, la riflessione ha luogo in tre momenti differenti: la pianificazione (riflessione prima di un’attività o di un compito da

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Applicazioni della valenza riflessiva dello European Language Portfolio 13

svolgere), il monitoraggio (riflessione durante l’esecuzione dell’attività) e la valutazione (riflessione al termine dell’attività). Capiremo più avanti come il Portfolio coinvolga gli studenti in ognuno di questi tre momenti.

La riflessione sulle esperienze implica una componente metacognitiva. È

questo anzi uno dei modi principali in cui si vengono a creare le giuste condi-zioni per un apprendimento efficace (Moon 2001). I processi metacognitivi sono una forma di conoscenza di sé stessi e richiedono una consapevolezza di ciò che si sa, di come lo si apprende e di come si usano le conoscenze acquisite. La pianificazione, il monitoraggio e l’autovalutazione sono dunque strategie metacognitive che hanno lo scopo di aiutare il discente a portare avanti in maniera autonoma e indipendente il proprio apprendimento.

In quanto legata al senso di sé e similmente a tutte le competenze, la

riflessione non è un fenomeno o un’attività immediata e spontanea, ma si realizza gradualmente. È pertanto possibile individuare diversi livelli di complessità dei processi riflessivi. Secondo Huttunen (1996), ne esistono almeno tre: un livello meccanico, uno pragmatico e uno avanzato. Il primo è caratterizzato da una riflessione minima o nulla ed è semplicemente formato da una lista di attività svolte; al secondo livello, la riflessione viene fatta sullo svolgimento di un’attività; il terzo livello, infine, è tipico di un apprendente autonomo e comporta una capacità di valutare non solo il proprio lavoro e i propri progressi, ma anche l’insegnamento ricevuto.

Da tutto ciò si evince la necessità didattica di insegnare a riflettere,

insegnamento che deve essere sostenuto da una pratica e da un incoraggiamento constanti. Fare della riflessione una componente integrante dell’apprendimento aiuterà il discente a raggiungere l’autonomia.

1.2. La valenza riflessiva del portfolio

Il portfolio sta diventando sempre più un prezioso strumento per favorire un insegnamento costante e strutturato della riflessione. Si è abituati ad associare la parola portfolio al mondo dell’arte e del design (Little e Perclovà 2001: 1); sono infatti queste le discipline che più lungamente ne hanno fatto uso. Oltre al portfolio dell’artista, però, ne esistono altri, ad esempio il portfolio dell’inse-gnante, il portfolio delle abilità lavorative e così via. Nonostante questa varietà di tipi è possibile individuare alcune importanti caratteristiche in comune. Prendendo spunto dall’analisi fatta da Hamp-Lyons e Condon (2000) elenchiamo le principali:

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Federica Gori, Monica Pedrola 14

– il portfolio è una raccolta sistematica di lavori scritti; – esso riflette il percorso d’apprendimento svolto dal discente all’interno di

una specifica disciplina, il suo impegno, il suo progresso, nonché le conoscenze, le abilità e le attitudini acquisite;

– lo coinvolge nel processo di selezione del materiale da includervi e in quella che può essere definita una valutazione posticipata; ciò gli consente di rivedere il proprio lavoro prima di sottoporlo a una valutazione finale da parte di un’autorità esterna;

– richiede di dar prova delle proprie riflessioni; questo può avvenire, ad esempio, attraverso l’inclusione di un saggio espositivo in cui l’autore del portfolio spiega le ragioni e le modalità con cui ha selezionato certi materiali piuttosto che altri e dimostra, al contempo, di essere consapevole del proprio apprendimento;

– la selezione, la valutazione del materiale e la riflessione su di esso fanno del discente un partecipante attivo nell’apprendimento, affrancandolo dalla passività tipica di un insegnamento più tradizionale. Sempre secondo Hamp-Lyons e Condon (ibid: 119), di queste caratteristiche

è proprio la riflessione ad avere maggior valore: essa è ciò che fa di una semplice raccolta documentaristica di scritti un vero e proprio portfolio4. È chiaro infatti dalla lista di caratteristiche sopra esposte che la riflessione è presente durante l’intero sviluppo di un portfolio, connotandolo quindi in maniera determinante.

Se in alcune discipline l’uso didattico del portfolio è una pratica consolidata,

nell’insegnamento delle lingue straniere essa è invece più recente. Gli studi compiuti in questo campo (si veda ad esempio Nunes 2004) hanno non solo confermato il valore e la portata di tale strumento, ma hanno anche fornito importanti indicazioni sulla natura delle riflessioni dello studente di lingue, che tendono a focalizzarsi su ambiti quali la lingua d’arrivo, il processo d’acquisizione, le strategie impiegate nello svolgimento di una determinata attività, gli stili d’apprendimento preferiti, la motivazione, i punti di forza e quelli di debolezza e così via.

Sebbene ci siano anche degli aspetti negativi, come ad esempio il notevole impiego di tempo e di risorse organizzative, le opportunità di riflessione e di

4 La stessa opinione viene espressa da Little a proposito dell’ELP (in Little [ed]: 1):

“[…] the ELP can plausibly claim a valid reporting function only when it has established itself as the preferred tool for promoting reflective language learning in mainstream education”, (online). Reperibile al seguente indirizzo:

http://www.coe.int/T/DG4/Portfolio/documents/ELP%20in%20use%2031%20January%2003.pdf.

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sviluppo dell’auto consapevolezza offerte dal portfolio sembrano diventare sempre più importanti, sia per gli educatori che per i discenti.

1.3. L’ELP come strumento di riflessione

Concepito come strumento complementare al CEF (Common European Framework of Reference), l’ELP offre un approccio innovativo a una didattica delle lingue che enfatizza la riflessione. L’ampio quadro di riferimento fornito dal CEF consente una vasta gamma di applicazioni nell’ambito dell’apprendi-mento delle lingue. Tra queste, l’ELP si incentra sulla valutazione, e in particolar modo sull’autovalutazione.

L’ELP corrisponde parzialmente al portfolio dell’artista (Little e Perclovà

2001: 1). Una delle tre sezioni di cui si compone, il Dossier, offre infatti la possibilità di selezionare il materiale per documentare le competenze acquisite. Oltre a ciò, però, consta di altre due parti che di solito non vengono incluse nel portfolio tipico del mondo dell’arte e del design: il Passaporto delle Lingue e la Biografia Linguistica. Il Passaporto fornisce il quadro delle competenze linguistiche di un discente, in un particolare momento della sua formazione linguistica. Si basa sui sei livelli descritti nel CEF (A1, A2, B1, B2, C1 e C2) e riportati nelle griglie di autovalutazione ed è definito in termini di abilità (comprensione orale, comprensione scritta, scambi conversazionali, produzione orale e produzione scritta). La Biografia, invece, facilita il coinvolgimento dello studente nella pianificazione, nella riflessione e nella valutazione del suo processo d’acquisizione e lo incoraggia anche a definire ciò che è in grado di fare in una lingua straniera.

In fatto di riflessione, è proprio la Biografia ad avere un ruolo cardine, anche

se nelle altre due parti i momenti riflessivi non sono affatto secondari. Le griglie di autovalutazione incluse nel Passaporto rendono possibile individuare il livello di competenza raggiunto in relazione ad ognuna delle cinque abilità e al contempo indicano le capacità richieste per raggiungere il livello successivo. Il Dossier stimola un tipo di riflessione che si manifesta sottoforma di domande del tipo “perché selezionare questo materiale?” ecc.

La Biografia si configura come elemento di raccordo tra queste due parti. Da un lato, infatti, essa consente di registrare e valutare le esperienze di apprendimento e di utilizzazione di una lingua straniera in maniera più precisa rispetto al Passaporto, grazie soprattutto alle liste di controllo per la definizione

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Federica Gori, Monica Pedrola 16

degli obiettivi e per l’autovalutazione che vi sono solitamente accluse 5 . Dall’altro lato, il materiale regolarmente raccolto nel Dossier fornisce un punto di partenza per fissare nuovi obiettivi da raggiungere, che saranno registrati nell’apposita sezione della Biografia.

In tal modo, l’ELP coinvolge gli studenti in ognuno dei tre momenti riflessivi indicati da Little e Perclovà. Stabilire degli obiettivi nella Biografia è infatti una forma di pianificazione; svolgere un’attività richiede di monitorarne l’esecuzione; selezionare il materiale per il dossier, rivedere i propri obiettivi e ampliare, nel Passaporto, il profilo delle proprie abilità linguistiche implica una valutazione conclusiva.

Distinguere in modo netto tra riflessione ed autovalutazione non è sempre

facile (Päkkilä: 8)6, in quanto le due competenze si alimentano reciprocamente. L’autovalutazione è un attività riflessiva; è anzi uno dei risultati inevitabili di una riflessione efficace7. Al contempo, l’autovalutazione alimenta nel discente la capacità metacognitiva. Molti progetti pilota hanno rivelato che l’autovalutazione è spesso percepita come l’aspetto più problematico dell’ELP, non facendo essa tradizionalmente parte dei programmi educativi. Tuttavia, essendo di così fondamentale importanza nell’ELP è ugualmente fondamentale che il discente sia propriamente incoraggiato a svilupparla.

Il modo in cui l’autovalutazione viene concepita e messa in pratica nella

Biografia e nel Passaporto contribuisce in maniera determinante a dare all’ELP il suo carattere di originalità. In netto contrasto con un tipo di valutazione tradizionalmente riferito alla norma, che “colloca l’esito delle prove degli apprendenti in una graduatoria, le valuta e le classifica rispetto a quelle dei loro pari” (Quadro Comune di riferimento Europeo 2002: 225), l’ELP definisce gli obiettivi da raggiungere in termini comportamentali. Definisce cioè quello che un apprendente è in grado di fare in un certo ambito, senza alcun riferimento ad altri. Questo tipo di valutazione fa sì che tutti gli studenti riescano a soddisfare il criterio, pur se in gradi differenti. Secondo Little e Perclovà (2001: 54-5), la differenza principale tra i due tipi di valutazione è il diverso approccio al concetto di “fallimento”. La valutazione riferita alla norma incoraggia nel discente un atteggiamento negativo e ne indebolisce la motivazione; la

5 Si noti che nella versione CercleS dell’ELP, tali liste non sono integrate nella

Biografia, ma compaiono in un’appendice separata. Nella nota introduttiva alla Biografia si esorta però a farvi riferimento.

6 Reperibile sul sito http://culture2.coe.int/portfolio//documents/ELP%20in%20use.pdf

7 Cfr. Little e Perclovà (2001: 5): “[...] self-assessment is one of the inescapable outcomes of effective reflection”.

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Applicazioni della valenza riflessiva dello European Language Portfolio 17

valutazione riferita al criterio, invece, stimola un atteggiamento positivo e lascia sempre, anche nel discente più debole, una sensazione di progresso.

Accanto alla dicotomia “valutazione riferita alla norma/valutazione riferita al

criterio”, è inoltre interessante considerare brevemente la coppia “valutazione sommativa/valutazione formativa”. Solitamente, la valutazione sommativa viene effettuata al termine di un determinato percorso di apprendimento per verificare ciò che il discente ha acquisito. La valutazione formativa, invece, viene effettuata durante l’apprendimento in quanto ha lo scopo di fornire allo studente indicazioni sul proprio percorso e sui propri progressi. L’ELP favorisce entrambi i tipi di valutazione. Lavorando con il Passaporto si compie infatti un’autovalutazione di tipo sommativo, mentre la Biografia e il Dossier hanno una funzione formativa, enfatizzando ciò che Little e Perclovà definiscono “reflective self-evaluation” (2001: 55).

La panoramica sulla vasta portata dell’ELP come strumento di riflessione,

condotta in questa prima sezione, introduce all’analisi che segue. Tenteremo di effettuare un riscontro su quali dei tratti sopra esposti siano effettivamente presenti nell’utilizzo del Portfolio da parte degli studenti. Riscontro che si fa più interessante se si tiene conto dell’originalità del contesto d’applicazione dell’ELP qui considerato: i laboratori di un centro linguistico. Finora l’ELP è stato infatti prevalentemente usato nell’ambito, tradizionale, della classe, in collaborazione tra insegnante e studente. Tuttavia se consideriamo che un apprendimento autonomo delle lingue sembra ormai diventare sempre più imprescindibile dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, non deve stupire l’impiego dell’ELP in questo ambito, che può anzi essere visto come una conseguenza naturale.

2. Un’esperienza di self-access con l’uso delle liste di autovalutazione nella traduzione italiana AICLU della versione CercleS

La versione italiana del Portfolio CercleS è stata la base per il primo esperimento effettuato nel laboratorio linguistico del CLA: si è trattato di un lavoro con un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze della Formazione, che per trenta ore si sono dedicati all’autoapprendimento dell’Inglese con il software TeLL me More (Auralog).

Nel manuale dedicato ai tutor che viene fornito assieme al programma, il TeLL me More viene definito come una soluzione didattica multimediale, che consente di esercitare l’insieme delle competenze e delle conoscenze linguistiche. Il sistema offre la possibilità di creare dei percorsi didattici personalizzati, risorsa che si rivela utile specialmente quando si tratta di gestire

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classi di lingua con studenti di livelli diversi. Esso permette inoltre allo studente di fare degli esercizi, ad esempio su pronuncia e fonetica, supportati da animazioni in 3D e riconoscimento vocale, e corretti dal sistema d’individuazione automatica degli errori di pronuncia o S.E.T.S (Spoken Error Tracking System).

Pregi e difetti dei programmi interattivi vengono illustrati da Porcelli e Dolci (1999: 74-75), che prendono a riferimento “Talk to Me”, un altro programma dell’Auralog, precedente ma molto simile al software usato da noi:

Lo studente viene inserito in una situazione in cui deve interagire con il computer e la videata successiva dipende dalle scelte. Egli può scegliere fra le tre opzioni possibili e viene accompagnato attraverso la situazione. La scelta può essere fatta sia cliccando su uno dei tre enunciati proposti sia pronunciandoli. (...) Interessante è la possibilità di impostare il grado di accettabilità nel riconoscimento della produzione orale, per cui il computer può essere più o meno severo.

A questo proposito è importante anche che lo studente abbia la possibilità di passare all’attività successiva, qualora la pronuncia di una data espressione risulti troppo problematica: ne deriverebbe altrimenti una caduta della motivazione, causata dall’eccessiva difficoltà che egli incontra (ibid: 75).

In base all’esperienza degli studenti del CLA e alla nostra valutazione, possiamo affermare che il programma usato soddisfa una buona parte dei criteri di valutazione dei software individuati da Porcelli e Dolci (1999: 121-124), quali ad esempio: – la facilità d’uso: il software infatti può essere utilizzato più o meno da tutti,

indipendentemente dalle conoscenze informatiche; – i materiali linguistici sono vari, motivanti e la dosatura di materiali scritti,

audio e video, ben bilanciata; – l’interfaccia risulta amichevole, con menù semplici e concisi, con icone

chiare, facili da ricordare. Gli autori prendono in considerazione anche il criterio della dimensione

culturale: nel TeLL me More però gli elementi di cultura e civiltà che distinguono le versioni delle varie lingue sono limitati ad alcuni riferimenti ad una città rappresentativa di uno Stato piuttosto che di un altro.

Le trenta ore da svolgere in laboratorio erano considerate propedeutiche al

corso di lingua vero e proprio, che si focalizzava principalmente sullo sviluppo delle abilità orali. Il programma si è rivelato particolarmente adatto a questo scopo, dal momento che offre varie attività basate sull’ascolto e la ripetizione di fonemi, parole e frasi. Grazie al riconoscimento vocale lo studente ottiene in tempo reale una valutazione della sua riproduzione di suoni nella lingua studiata

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e può “dialogare” all’interno delle varie attività, naturalmente nei limiti che un software permette.

L’attività che ha riportato il più alto tasso di gradimento è stata proprio quella relativa alla pronuncia di fonemi, parole e frasi, come ha rilevato il sondaggio condotto in base al questionario che illustreremo in seguito.

2.1. Percezione delle liste di autovalutazione

Allo scopo di stimolare il senso di responsabilità e la motivazione, abbiamo proposto agli studenti le liste di autovalutazione del Portfolio relative alle abilità di comprensione e produzione orale: l’uso della traduzione italiana ha permesso di utilizzarle anche con studenti principianti o quasi principianti, che nella Fa-coltà di Scienze della Formazione risultano essere piuttosto numerosi. L’autova-lutazione a cui essi giungevano è stato il punto di partenza per la scelta di un adeguato livello di difficoltà tra quelli offerti dal programma (1, 2, 2+, 3 o 3+).

Abbiamo così inserito una parte del Portfolio nel loro processo di apprendimento, al fine di offrire un supporto che permettesse loro di orientarsi meglio nello studio della lingua e di fissare singoli obiettivi precisi, basandosi sulla guida offerta dai descrittori.

Possiamo a questo punto ricollegarci al concetto di self-access. Porcelli e Dolci (1999: 135-136) lo intendono come il luogo utilizzato per l’auto-istruzione, precisando però che non è sufficiente pensarlo solo come un insieme di materiali linguistici messi a disposizione dello studente: esso svolge appieno la sua funzione solamente nel momento in cui diventa un luogo in cui sviluppare autonomia nell’apprendimento linguistico.

Abbiamo riscontrato che pochi studenti avevano già un’idea di cosa fossero i livelli di competenza stabiliti dal Consiglio d’Europa: grazie alle liste di controllo hanno potuto vedere come questi siano strutturati e capire la propria “posizione” rispetto alla classificazione ufficiale.

Lo scopo finale è che ogni studente possa confrontare la propria autovalutazione iniziale con un’autovalutazione fatta in seguito, dopo la conclusione del corso di lingua, per rendersi conto dei progressi a distanza di qualche mese. L’intenzione è infatti quella di introdurre il Portfolio in tutte le sue componenti nell’ambito del loro corso e di confrontare l’autovalutazione con i risultati degli esami. Un confronto in questo senso era già stato affettuato in occasione di un precedente esperimento del CLA8.

Dopo un’attenta analisi abbiamo constatato che una corrispondenza diretta e reciproca tra i descrittori del CercleS e le attività del TeLL me More non è

8 Cfr. gli articoli di Gori e Randaccio in Atti del 3° Convegno Nazionale AICLU,

Trieste, 13-14 giugno 2003.

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sempre realizzabile, in quanto il software si concentra su grammatica, pronuncia, comprensione e composizione di frasi per descrivere varie situazioni, mentre il CEF presuppone un lavoro basato anche su dialogo, interazione, comprensione di articoli, notiziari, film ecc. Quest’ambito di apprendimento più vasto si potrà realizzare successivamente in classe, con il feed-back fornito dall’insegnante.

Bisogna inoltre tener presente che alcuni criteri come ad esempio quelli della correttezza grammaticale, dell’ampiezza e padronanza del lessico e dell’appro-priatezza sociolinguistica ecc., che compaiono in apposite scalette del CEF, non figurano nelle liste del CercleS. Nella nostra versione questi criteri non vengono trattati esplicitamente.

Per molti studenti comunque l’uso delle liste ha rappresentato il primo confronto con una più consapevole riflessione sulla lingua. Siamo partiti dal presupposto che il percorso didattico da tracciare nelle ore di autoapprendi-mento possa diventare dispersivo per loro, laddove la figura dell’insegnante non sia presente. Grazie alle liste di controllo invece essi sono portati a chiarire gli obiettivi del loro corso e a chiedersi quali attività tra quelle offerte dal software gli siano più utili ai fini dell’esame. È infatti proprio in questa fase che la funzione pedagogica del Portfolio acquista maggiore importanza, aiutando lo studente a divenire autonomo.

2.2. Il questionario

Alla fine delle ore di autoapprendimento, gli studenti hanno compilato un questionario, in cui hanno espresso il loro gradimento nei confronti delle diverse attività proposte all’interno del software. Inoltre è stato loro chiesto se percepivano un miglioramento delle abilità linguistiche ottenuto grazie a TeLL me more, e infine se consideravano se stessi degli “independent learners” nell’apprendimento della lingua.

Al momento della redazione di quest’articolo, la raccolta dei questionari è ancora in corso (ne sono stati consegnati 24 su circa 60), ma la tendenza che si può rilevare al momento attuale è positiva: quasi l’80% delle persone pensano che TeLL me more abbia contribuito “abbastanza” a migliorare la loro competenza linguistica scritta; il 25% dice “molto”. Per quanto riguarda la competenza orale ben il 37,5% si dichiara convinto di essere migliorato “molto”, mentre il 58,3% circa dice “abbastanza” e il rimanente 4,2% “poco”.

La domanda finale era posta in questi termini: Ritieni di saperti organizzare autonomamente nello studio delle lingue

(pianificando cioè efficacemente il lavoro, stabilendo i prossimi obiettivi delle tue competenze, selezionando gli argomenti ecc.)? Ti definiresti cioè un “independent learner”?

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Il 58,4% ha risposto “non del tutto / in parte”, mentre il rimanente 41,6% è suddiviso in parti uguali tra chi dice di non essere in grado e chi invece ritiene di sì.

All’interno di una nota posta in fondo al questionario viene prospettata agli studenti l’utilità del Portfolio, in particolare nel caso in cui avessero avuto difficoltà a definirsi autonomi. Abbiamo in questo modo sollevato esplicita-mente la questione dell’autonomia nell’apprendimento e creato un’aspettativa nei confronti dello strumento che verrà proposto loro in classe.

Mettendo il Portfolio a disposizione degli studenti, si vuole infatti offrire un supporto che li aiuti ad organizzare più autonomamente il loro apprendimento.

3. Aspetti traduttivi

Precedentemente, nel corso dell’a.a. 2002-03, il CLA di Trieste aveva condotto il primo esperimento di inserimento del Portfolio nei corsi di lingua utilizzando la versione originale CercleS inglese/francese che era l’unica disponibile in quel momento. Ciò aveva comportato alcuni problemi di comprensione agli studenti principianti o quasi principianti, che, dovendo confrontarsi con un testo comunque lungo e complesso formulato in lingua straniera, erano spesso costretti a ricorrere all’insegnante o a preparare delle traduzioni autogestite. È sorta quindi spontanea, già nell’ambito di questo primo esperimento, l’esigenza di una traduzione, che, come prevede la prassi stabilita dal CercleS, è stata affidata all’Associazione Nazionale di riferimento, che per l’Italia è rappresentata dall’AICLU. Il lavoro è stato organizzato e svolto da un team composto dal prof. Christopher Taylor, dal prof. Maurizio Viezzi (entrambi docenti presso la Scuola Superiore per Traduttori ed Interpreti di Trieste) e dalla dott.ssa Federica Gori (CLA Trieste), con la preziosa consulenza del prof. Peter Brown dell’EAQUALS.

Le fonti adottate, basilari soprattutto per la resa dei descrittori, sono state le seguenti: – il testo della Modern Languages Division di Strasburgo “Quadro comune

europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione” (2002) tradotto in italiano per La Nuova Italia – Oxford da Franca Quartapelle e Daniela Bertocchi;

– la versione svizzera dell’ELP dell’EAQUALS – ALTE nella sua traduzione italiana (validazione n. 06 / 2000). Seppure senza modifiche sostanziali, i descrittori della versione CercleS

sono spesso presentati in forma non perfettamente identica a quella prescritta dalla M.L. Division: in alcuni casi il descrittore corrispondente non era presente nel testo, in altri casi sono stati usati dei sinonimi o delle diverse sfumature di significato, dovute ad esempio all’adattamento al contesto universitario. Quando

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non è stato possibile trasporre la traduzione del CEF direttamente nel Portfolio AICLU, siamo ricorsi piuttosto alla versione dell’EAQUALS o abbiamo trovato eventualmente nuove soluzioni traduttive. Il criterio di base al quale ci siamo attenuti è la preferenza per un linguaggio “user friendly”, in modo da andare incontro a quegli studenti che non hanno familiarità con il linguaggio tecnico proprio delle materie prettamente linguistiche. Questo non ha significato assolutamente una banalizzazione dei concetti, ma semplicemente la ricerca di vie espressive più immediate, laddove si ponesse il problema della scelta tra termini più o meno tecnici. In questo modo abbiamo voluto realizzare un approccio veramente orientato allo studente. I casi che hanno richiesto una scelta sono stati comunque pochi e circoscritti: li analizzeremo in seguito prendendo a modello il caso delle liste di controllo per la comprensione orale.

Come accennato in precedenza si è deciso di non apportare modifiche sostanziali al testo originario CercleS, né di aggiungere alcunché di nostra iniziativa. Ci sarebbe stato altrimenti un allungamento dei tempi dovuto alla necessità di sottoporre il testo, in quanto versione nuova e a sé stante, all’esame del Comitato di validazione dell’ELP.

Procedendo ora con l’analisi dei problemi traduttivi riscontrati nella

trasposizione dall’inglese all’italiano, possiamo prendere come campione i descrittori delle liste relative alle abilità di comprensione orale: in essi si ritova infatti una buona parte dei termini “problematici” che ricorrono più volte nel Portfolio. Di seguito all’indicazione del livello useremo i numeri per fare riferimento ai vari descrittori, nell’ordine in cui essi compaiono. Ove non indicato altrimenti, si tratta delle liste di comprensione orale.

Il LIVELLO A1 presenta un linguaggio molto semplice e lineare, in quanto si riferisce appunto ad abilità “elementari”: ad esempio, il descrittore del CEF “È in grado di comprendere istruzioni che gli/le vengono rivolte parlando lentamente e con attenzione e di seguire indicazioni brevi e semplici” (Consiglio d’Europa 2002: 94) diventa nel nostro caso “Sono in grado di capire semplici istruzioni, indicazioni e osservazioni” (da “I can understand simple instructions, directions and comments” – A1.2 nella versione originale CercleS). Da notare che la condizione che l’interlocutore parli lentamente e chiaramente è contenuta nel descrittore che precede quello qui considerato: talvolta nel CercleS i vari elementi sono distribuiti in maniera diversa rispetto al CEF.

Nei descrittori del LIVELLO A2 compaiono alcuni prestiti dall’inglese (hobby, film – A2.3) che sono stati mantenuti invariati, escludendo l’eventuale suffisso in -s del plurale, così come è di uso comune nel linguaggio quotidiano.

Oltre ai due termini citati si incontrano nel Portfolio anche talk-show (vd. B2.7) ed abstract (Comprensione scritta, C1.1); quest’ultimo è chiaramente

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riferito al contesto universitario e noto per lo meno all’interno di esso. Tutti questi termini sono stati riportati in corsivo.

All’interno del LIVELLO B1 incontriamo l’aggettivo “factual” (B1.2). Al fine di evitare espressioni ridondanti, sembrava preferibile inizialmente tradurre “factual information” solo con ”informazioni”, vista anche la scarsa frequenza d’uso della parola “fattuali” in italiano. Alla fine però, poiché senza “factual” si perde la connotazione di maggior precisione, di dato concreto, abbiamo comunque reso la parola con un termine simile, e cioè “informazioni concrete” o “dettagliate”, come nel descrittore B1.8 della Produzione scritta. Oppure, in un contesto diverso, “factual texts” è diventato “testi concreti” (Comprensione scritta B1.1). Ci siamo in questo caso discostati dalla traduzione del testo di riferimento del CEF, che riporta “informazioni fattuali” (B1.3 p. 97).

Nel descrittore B1.1 si fa riferimento allo “standard dialect”, che in B2.1 compare anche come “standard spoken language”. Ora, l’accezione di lingua standard è tutt’altro che univoca: essa cambia nel tempo ed è problematica da identificare con una varietà di lingua piuttosto che un’altra. Però, sia nel testo di riferimento (B2.1 p. 94) che nella versione dell’EAQUALS (B2.1), è riportata proprio l’espressione “lingua standard” e noi ci siamo attenuti a questa, in quanto sarebbe difficile introdurre nel descrittore distinzioni più sottili.

Nel descrittore 2 del LIVELLO B2 si parla di “native speakers”, che nel testo sul CEF viene tradotto con “parlanti nativi”(p. 95 B2.2), mentre nell’EAQUALS si preferisce rendere quest’espressione con “persone di lingua madre” (vd. Partecipare a una conversazione, C2.1). Poiché però nel linguaggio comune si usa maggiormente “madrelingua”, abbiamo optato per quest’ultima soluzione.

In B2.6 troviamo “campo di specializzazione”, che ricorre molto spesso nelle liste delle cinque abilità: partendo dall’inglese “field” abbiamo aggiunto alle possibili traduzioni (“campo”, “ambito” o “settore”) la denominazione “di specializzazione”, che richiama particolarmente il contesto universitario; basti considerare la recente istituzione delle cosiddette “lauree specialistiche”.

Negli ultimi due livelli, che presuppongono una conoscenza più approfondita della lingua, delle sue caratteristiche e varianti, trova posto la comprensione delle “espressioni idiomatiche e colloquiali” (C1.2) da “idiomatic expressions and colloquialisms”, oppure “colloquiali e regionali” (C2.2) da “colloquialism, regional usage”. In questi casi abbiamo evitato il termine “gergale” preferendo un termine meno tecnico.

La scelta di questo spostamento, seppur lieve, da un linguaggio più tecnico ad uno più colloquiale nel passaggio dal CEF al Portfolio, è giustificato secondo noi dal fatto che il CEF si rivolge agli addetti ai lavori (insegnanti, tutor ecc.) e di conseguenza anche la formulazione dei suoi descrittori deve essere adeguata, mentre nel caso del Portfolio l’interlocutore diretto è lo studente.

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Considerazioni conclusive

Al momento attuale abbiamo portato a termine solamente le fasi iniziali dell’esperimento, svolte nel laboratorio, e non siamo quindi in grado, nell’ambi-to del presente articolo, di tirare le somme includendo il raffronto che si otterrà alla fine del corso di lingua. È possibile tuttavia a questo punto analizzare il caso di alcuni studenti principianti che, riprendendo l’autovalutazione a distanza di un paio di mesi circa, hanno rilevato per mezzo delle liste di controllo i progressi compiuti.

Alcune attività proposte dal primo livello del TeLL me More danno infatti la possibilità di esercitare le competenze linguistiche focalizzate da vari descrittori, tra i quali ad esempio: – sono in grado di capire numeri e prezzi (Comprensione orale A1.6, vedi

Unità “Numbers & Letters”); – sono in grado di capire l’ora e la data (Comprensione orale A1.8, vedi Unità

“Date & Time”); – sono in grado di usare parole ed espressioni semplici per descrivere persone

che conosco (Produzione orale A1.3, vedi Unità “Descriptions”). Possiamo anche considerare la capacità, collocata al livello A2, di capire

parole, espressioni quotidiane, domande ecc. relative a vari ambiti, quali la famiglia, il lavoro, gli hobby, le vacanze, gli acquisti, i pasti ecc. Questa capacità era vista in occasione della prima autovalutazione come uno dei “prossimi obiettivi” da raggiungere ed è divenuta in seguito una competenza acquisita, con una padronanza che può essere piena o limitata, a seconda dei casi. Varie unità del TeLL me More sono incentrate proprio su questi ambiti, si veda ad esempio Everyday actions, At the office, Going on holiday, Window-shopping, The menu.

È interessante osservare che, anche per quanto riguarda l’abilità di produzione orale, molti dei descrittori che nella prima autovalutazione venivano segnalati come “prossimo obiettivo”, sono stati poi indicati come abilità acquisite. Grazie alla possibilità di interagire oralmente con il programma gli studenti hanno quindi guadagnato una certa fiducia nelle loro capacità di espressione.

È da notare che questi progressi sono visibili soprattutto nel caso di studenti principianti che all’inizio non possedevano determinate abilità di base, assimilate poi grazie al programma.

Ciò non significa che l’utilizzo del software da parte degli studenti di livello intermedio abbia avuto un riscontro minore sul loro apprendimento, ma semplicemente che i descrittori CercleS superiori al livello B1 non sono

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rapportabili in maniera altrettanto facile alle singole attività proposte dal software.

Abbiamo constatato dunque che, nonostante il fatto che gli studenti non fossero abituati ad autovalutarsi, tramite l’uso delle liste di controllo la riflessione è avvenuta.

In linea con il principio teorico che prevede di stimolare la riflessione in momenti diversi e significativi del percorso di apprendimento, gli studenti sono stati coinvolti nella compilazione delle liste all’inizio e alla fine dello stesso. Quindi, dalla presa di coscienza degli obiettivi ancora da raggiungere, il ciclo di riflessione ha portato al riconoscimento dei miglioramenti ottenuti.

La domanda contenuta nel questionario relativa al raggiungimento dell’autonomia ha confermato inoltre che la riflessione è da sviluppare nel tempo e che è presente negli studenti il bisogno di essere guidati verso l’autonomia, sia tramite una risorsa come il Portfolio, sia per mezzo dell’aiuto dell’insegnante.

Gettando infine uno sguardo oltre il campo puramente didattico, caratteriz-

zato dalla riflessione e dalla capacità di fissare obiettivi di apprendimento, è fondamentale a nostro avviso, ai fini della motivazione degli studenti, che essi vedano anche le applicazioni ed i possibili vantaggi offerti dall’ELP nell’ambito dell’inserimento professionale. A questo proposito è in corso un dibattito a livello europeo riguardo il possibile utilizzo del documento da parte dei datori di lavoro. Riportiamo qui il parere di Rolf Schärer, in qualità di “general rapporteur” al Seminario sull’ELP in Turchia, organizzato dal Consiglio d’Europa nell’ottobre 2003:

Where ELP is used in controlled projects the feedback is very positive, sometimes from parents as well as learners. However, little is known about the impact of the ELP beyond limited educational contexts, and doubts have been expressed about the face validity and acceptance of the ELP in the world of work. … Although employers are slowly beginning to show an interest in the ELP, it is largely perceived as an educational tool. Its reporting function is hardly known, and its potential benefits in the world of work need to be made more transparent and marketed (Schärer citato da Little 2004b: 6)

Nel corso della stessa riunione si accenna più volte alla possibile creazione di un “passport summary” per studenti adulti (ibid: 189): un gruppo di esperti è stato incaricato di progettare questo documento che consisterà principalmente in una panoramica delle competenze dello studente nella lingua seconda o straniera, rapportate ai livelli del CEF, e in una lista dei certificati posseduti. Questa “sintesi” della componente del Portfolio con funzione di “reporting”

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dovrebbe facilitarne e incoraggiarne l’uso da parte dei datori di lavoro. Joe Sheils, Direttore della Language Policy Division, ha osservato inoltre che il “passport summary” potrebbe giocare un ruolo importante all’interno dei curriculum vitae in formato standard predisposti dall’Unione Europea. Si veda a questo proposito il recente documento Europass Language Passport9.

Possiamo concludere con un commento dello stesso Schärer che, mettendo

in risalto la diffusione del Portfolio in ambiti di apprendimento sempre più vasti, come il tandem learning, le classi bilingui, la preparazione ad esami esterni ecc., paragona il lavoro che si sta svolgendo in Europa sul Portfolio ad un cantiere in costruzione: le fondamenta sono già state gettate e sono buone, in molte aree la costruzione è in corso, ma c’è ancora tanto lavoro da fare (ibid: 6).

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9 Vedi il sito http://europass.cedefop.eu.int/europass/preview.action?locale_id=1

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NEUE WEGE IM GRAMMATIKUNTERRICHT – AM BEISPIEL ITALIENISCHER UNIVERSITÄTEN

Irene Rogina

1. Ausgangslage und Problemstellung

Grammatik hatte und hat im Fremdsprachenunterricht an italienischen Universitäten einen zentralen Stellenwert, den sie im Wandel der Zeit und der Methoden niemals eingebüßt hat. Je intensiver verschiedene Methoden versuchten, ihre Position als tragendes Element des Fremdsprachenlehr-/-lernprozesses in Frage zu stellen, desto mehr schien sie sich zu festigen. Auch dem kommunikativen Ansatz wird gerne der Vorwurf gemacht, dass nicht genügend Regelwissen vermittelt werde, dass man so vom Weg des Erwerbs ‚korrekter‛ Sprache abkomme und fehlerhafte Sprache sich einschleife. Hervorgehoben wird weiters, dass der kommunikative Ansatz zu wenig zum Wissen über Sprache beitrage bzw. eine bewusste und explizite Auseinandersetzung mit der Fremdsprache nicht fördere und daher dem Anspruch des erwachsenen Fremdsprachenlerners auf Sprachreflexion nicht Genüge zu leisten vermöge.1

Neuere methodische Tendenzen zur Förderung kommunikativer Kompetenz finden in den universitären Fremdsprachenunterricht daher zwar durchaus Eingang, aber im Bereich Grammatik wird überwiegend an der ‚alten Schule‛ festgehalten: Progression und Vorgehen nach formalsprachlichen Kategorien, Beschreibung, Darstellung und Erklärung von Sprache durch den Lehrer 2 , Aneignung von Regelwissen und Einüben mit Hilfe von Übungssätzen und Übersetzungen durch den Lerner, mit dem Ziel und der Vorstellung, dass sprachliches Regelwissen irgendwann auch zu Sprachkompetenz im Sinne spontaner Verfügbarkeit sprachlicher Formen führe. 3 Dass diese Rechnung häufig nicht aufgeht, ist allgemein bekannt: Trotz großer Anstrengungen von Lehrer- und Lernerseite bleibt die tatsächliche kommunikative Kompetenz im Vergleich zu Aufwand und Lernjahren oft gering, auch ein Rückgang der Fehlerhäufigkeit ist nicht zu beobachten, ganz im Gegenteil scheinen sich

1 Vgl. zur Geschichte der Methoden in Italien Ponti (1996). 2 Wenn von ‚Lehrern‛ und ‚Lernern‛ u. ä. die Rede ist, so sind natürlich immer auch

‚Lehrerinnen‛ und ‚Lernerinnen‛ gemeint, wobei ‚Lehrer‛, der Einfachheit halber, für Dozenten und Sprachassistenten steht.

3 Zur Bevorzugung von Kenntnissen gegenüber Fertigkeiten vgl. Ponti (2001: 1509).

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gewisse Fehler entgegen das beste Regelwissen und trotz großer Mengen von Übungen nicht ausmerzen zu lassen.4

Die Sprachlehr- und -lernforschung beschäftigt sich ausführlich mit diesen Themen und kann neue Erkenntnisse vorweisen, die hier aufschlussreich und vor allem im Unterrichtsalltag hilfreich sein könnten. Der vorliegende Beitrag widmet sich einigen dieser Arbeiten, die sich mit dem Erwerb von Grammatik beschäftigen, und versucht, einerseits einen Überblick über den aktuellen Stand zu geben, andererseits die Auswirkungen, die eine Umsetzung im unterrichtspraktischen Bereich, insbesondere an italienischen Universitäten, mit sich bringen würden, abzusehen und zur Diskussion zu stellen.

2. Die Kriterien sinnvoller Grammatikarbeit

Diese Arbeit geht davon aus, dass die grundsätzliche Diskussion, ob Fremdsprachenunterricht überhaupt Grammatik braucht, als abgeschlossen gelten und eindeutig mit Ja beantwortet werden kann. Die zentrale Frage lautet daher, wie soll der sinnvolle Umgang mit Grammatik aussehen. Einige übergeordnete Kriterien für die Gestaltung sinnvoller Grammatikarbeit sind wissenschaftlich fundiert und gelten mittlerweile als allgemein akzeptiert. Sie sollen zunächst kurz zusammengefasst werden, da sie den Ausgangspunkt für jede weiterführende Diskussion bilden und das dieser Arbeit zugrunde liegende Grammatikverständnis verdeutlichen:

Grammatikdarstellungen sollten unterschiedliche theoretische Ansätze berücksichtigen und die methodisch-didaktisch geeignetsten übernehmen, ohne Widersprüche zu schaffen; sie sollten dabei auswählen und nur die „hochfrequenten, für die Kommunikation wichtigen und für den Lernenden schwierigen Strukturen auswählen und darstellen“ (Götze 2001: 188); die aufgenommenen Regeln sollten einen weiten Geltungsbereich haben und Sachverhalte terminologisch adäquat darstellen; sie sollten „einfach und kurz, anschaulich und übersichtlich“ (Rall 2001: 886) sein.

Die Beschäftigung mit Grammatik sollten weiters den Lerner ins Zentrum rücken und in verschiedensten Bereichen auf ihn eingehen: auf seine Wünsche, Bedürfnisse und Ziele ebenso wie auf seine Lerntraditionen und seine Muttersprache; sie – und eventuell weitere Fremdsprachen – sollten bei der Darstellung der Fremdsprache mitberücksichtigt werden; eine kontrastive Sprachbetrachtung, verstanden als bewusstes Wahrnehmen von Parallelen und Unterschieden zwischen den Sprachen, ist dem Fremdsprachenerwerb durchaus förderlich (vgl. Rall 2001: 885).

4 Vgl. zu dieser Tendenz Ponti (2001: 1514) und Rogina (2004: 37).

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Die Progression, steil oder flach je nach Zielgruppe, gestaltet sich zyklisch, um möglichst der Entwicklung der Lernersprache gerecht zu werden: vom Bekannten zum Neuen, vom Einfachen zum Komplexen. Induktiv-exploratives Erarbeiten ist dabei einer deduktiv-theoretischen Darbietung vorzuziehen (vgl. Rall 2001: 885); die Arbeitsphase selbst bildet einen wesentlichen Bestandteil des Lernprozesses.

Die Arbeit mit Grammatik sollte schließlich nicht als Selbstzweck betrieben werden, sondern ihrer Rolle im tatsächlichen Sprachgebrauch entsprechend, der eines Mittels, das zu erfolgreicher Kommunikation beiträgt. Und so sollte Grammatik dargestellt werden: nicht abgehoben und aus dem Zusammenhang gelöst, sondern eingebettet in eine kommunikative Situation bzw. einen kommunikativen Kontext. 5 Die übergeordnete Zielformulierung (vgl. dazu Europarat 2001) lautet kommunikative, interkulturelle Kompetenz, weswegen Normentsprechung im formalsprachlichen Bereich nicht mehr im Mittelpunkt steht. Die Ziele, früher automatisch near-nativeness, sind variabel geworden, und können sowohl nach Niveau als auch nach Teilkompetenzen oder Domänen präzisiert werden, wobei Sprachrichtigkeit gegenüber kommunikativem Erfolg eine untergeordnete Rolle einnimmt.6

3. Die grammatische Kompetenz

Als erwiesen gilt heute, dass ein erwachsener Lerner grundsätzlich eine Fremdsprache nicht mehr wie die Muttersprache erwerben kann. Nicht nur weil, wie man lange Zeit angenommen hat, dem Menschen die prinzipielle Fähigkeit natürlichen Spracherwerbs in der Pubertät abhanden kommt (vgl. Götze 1992: 675f.), sondern vor allem weil der natürliche und unreflektierte Spracherwerb durch das Bewusstsein und durch das implizite Wissen um Sprache überlagert wird (vgl. Diehl/Pistorius 2002: 229): Das ‚Denken‛ kann nicht beliebig abgeschaltet werden. Andererseits scheinen aber dennoch Mechanismen im Gehirn wirksam zu sein, die denen des frühkindlichen Spracherwerbs vergleichbar sind und eine Art Substrat von Kompetenzen bilden, das von dauerhafter Wirkung ist:7 Sprache wird in erster Linie durch Hören gespeichert

5 Dies gilt natürlich für grammatische Aspekte beim Fremdsprachenerwerb, nicht

aber für die Art von Sprachbetrachtung, wie sie in Kursen wie Lingua Tedesca ihre Berechtigung hat, in denen Studenten sich auch eine linguistische Grundlage bilden.

6 Vgl. dazu vor allem den Europäischen Referenzrahmen (Europarat 2001). 7 Götze (1992: 675 f.) argumentiert und vergleicht in diesem Zusammenhang mit der

Hypothesenbildung im Erstsprachenerwerb, die, wie auch der Zweitsprachenerwerb, beispielsweise durch Übergeneralisierung, Simplifizierung, Weglassung oder Wortstellungsvarianten gekennzeichnet ist, die seines Erachtens nichts anderes als „kreative Prozesse“ darstellen, die auch im Erwachsenenalter noch stattfinden.

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(vgl. Tschirner 2001: 113), und zwar in kleineren sprachlichen Einheiten, den sogenannten Syntagmen;8 wenn die Menge gespeicherter Syntagmen wächst und die zur Verfügung stehende Kapazität überschreitet, versucht das Gehirn seine Arbeit ökonomischer zu gestalten. Es sucht nach Regularitäten, erstellt implizit Regeln und in der Folge eine gesamte mentale Grammatik, die sich anfangs noch als rudimentär, lückenhaft und damit nicht als normgerecht erweist, aber flexibel und dynamisch ist und sich durch weitere Konfrontation mit Sprache im Sinne eines sinnvollen Input ständig vervollständigt, ausdifferenziert und verbessert.

Demnach wird grammatische Kompetenz, auch produktive grammatische Kompetenz, dadurch erworben, dass Teile von in authentischen Zusammenhängen gehörter Sprache als bedeutungstragende Äußerungseinheiten gespeichert werden. (Tschirner 2001: 113)

So gesehen bliebe dem Menschen also die grundsätzliche Fähigkeit natürlichen Spracherwerbs zumindest teilweise erhalten, was, führt man den Gedankengang konsequent zu Ende, bedeuten würde, dass jeder lenkende Eingriff in die mentalen Prozesse sich hier als überflüssig, wenn nicht sogar unproduktiv und hemmend erweisen könnte. Die beiden gegensätzlichen Kräfte, die eher unbewusst-instinktive und die eher bewusst-reflektierende,9 müssten daher im Fremdsprachenunterricht miteinander in Einklang gebracht werden, und zwar in einer Weise, die wechselseitige Ergänzung, ein natürliches Ineinandergreifen von explizitem und implizitem Wissen sowie dement-sprechenden Vorgehensweisen ermöglicht und keine Behinderung darstellt – das Wie ist auch hier die Schlüsselfrage.

Was die erstere betrifft, das ist bekannt, durch Input, eine breite Konfrontation mit verständlicher Sprache, mit spannender und motivierender Sprache, nützlicher und tatsächlich im Zielland verwendeter Sprache, authentischer und in einen kommunikativen Zusammenhang eingebetteter Sprache, und schließlich intelligenter, sinnvoller und abwechslungreicher Sprache. Der Umgang mit Sprache selbst ist bereits der wesentliche Beitrag zum Lernprozess allgemein sowie zur Bildung einer mentalen Grammatik, da so genügend Material zur Speicherung von Syntagmen bereitgestellt wird.

8 „Syntagmen sind bedeutungstragende, unanalysierte Äußerungseinheiten“

(Tschirner 2001: 112); synonym verwendet werden auch ‚Holophrasen‛, ‚lexikalische Phrasen‛, ‚sprachliche Sequenzen‛ sowie der angloamerikanische Terminus ‚chunks‛.

9 vgl. zu diesen beiden Begriffen Tschirners (2001: 116ff.) „Primär-“ und „Kulturgrammatik“.

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Sprech-, hör-, lese- und schreibgrammatische Kompetenz wird dadurch aufgebaut, dass mündliche und schriftliche Texte produziert, gehört und gelesen werden. (Tschirner 2001: 111)

Die zweitere, die bewusst-reflektierende, die sich – nicht nur, aber überwiegend – beim erwachsenen Lerner einschaltet und wissen und verstehen möchte, wird repräsentiert durch einen ‚didaktischen‛ Eingriff, der den ‚natürlichen‛ Erwerb natürlich nicht stören, sondern unterstützen sollte, der die neue Sprache durchsichtig macht und Zugänge öffnet: Focus on form und allgemeiner language awareness sind hier zentrale Begriffe für eine Vorgangsweise, die die Aufmerksamkeit (nach der inhaltlichen Arbeit) auf die Ausdrucksseite lenkt, damit ein bewusstes Wahrnehmen sprachlicher Formen ermöglicht wird (vgl. Tschirner 2001: 114 und 120): Wie etwas ausgedrückt wird, rückt dabei ins Zentrum. Mehr als um eine Regelformulierung geht es um „Strategien, die grammatische Elemente ins Arbeitsgedächtnis holen“ (Tschirner 2001: 114), um eine Unterstützung also durch das Bewusstsein bei der Speicherung und Verarbeitung von Formen, die sprachlichen Interaktionssituationen entnommen wurden, sowie um die Möglichkeit, Sprache zu reflektieren, mit der eigenen oder anderen Sprachen zu vergleichen, Analogien und Unterschiede zu erkennen. Nichts spricht dann gegen eine Phase der expliziten Erarbeitung von Regularitäten, 10 vor allem wenn dies ein Bedürfnis der Lernenden darstellt, allerdings nicht mit der Vorstellung, dass erst das daraus sich ergebende Regelwissen zu Fremdsprachenwachstum führe:

Grammatische Kompetenz lässt sich nicht dadurch erwerben, dass man grammatische Regeln lernt, anwendet und durch Üben automatisiert. Die systemlinguistischen Regeln sind grundverschieden von den mentalen Regeln, die zu spontan wohlgeformter Sprache führen. Es gibt keinen direkten Weg von metasprachlichem, grammatischem Regelwissen zu grammatischer Kompetenz. (Tschirner 2001: 112)

Eine Verbindung zwischen grammatischem Wissen und grammatischer Kompetenz, zwischen dem deklarativen und dem prozeduralen Bereich wird also heute angezweifelt (vgl. auch Diehl/Pistorius 2002: 226f.), eher ist man vom Gegenteil überzeugt, wie auch der Vergleich mit dem Lenken eines Autos veranschaulichen soll (vgl. Europarat 2001: 23): Wissen, wie ein Motor

10 Tatsächlich unterscheidet Tschirner (2001: 114) folgendermaßen: „Das Lenken der

Aufmerksamkeit auf die Sprache kann nun konkret verstanden werden als ein bewusstes Wahrnehmen der Ausdrucksseite der Sprache, als ein Speichern von klar und deutlich wahrgenommenen Syntagmen, die mit inhaltlichen und situativen Merkmalen der Interaktion, der sie entstammen, reichhaltig verknüpft sind. Er kann aber auch abstrakt verstanden werden als das bewusste Wahrnehmen von Gesetzmäßigkeiten und Regeln.“

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funktioniert, wie das Fahren (Bremsen, Kuppeln, Schalten usw.) technisch abläuft und die Kenntnis der Straßenverkehrsordnung führen nicht automatisch zum Fahren-Können. Erst das Fahren selbst, die zunächst bewusst herbeigeführten Vorgänge, die im Lauf der Zeit automatisiert werden, die Anwendung von Wissen bilden die Fertigkeit des Fahrens aus. Das Wie, die ‚Regeln‛ können dann ‚vergessen‛ werden, tatsächlich läuft die fahrtechnische Seite mit der Zeit wie nebenher, der Fahrer konzentriert sich auf den Straßenverkehr – so wie Lerner sich auf die Kommunikation konzentrieren bzw. sich ungestört der Inhaltsseite widmen können. Aus diesem Vergleich wird auch deutlich, dass Regelwissen zwar nicht automatisch Kompetenz bedeutet, aber unter gewissen Bedingungen von Vorteil bei deren Ausbildung sein kann. Regelwissen erhält seine Rechtfertigung einerseits aus dem Bedürfnis des erwachsenen, denkenden Lerners zu verstehen, andererseits, wenn es zu häufiger und sinnvoller Anwendung führt, also aus der Umsetzung in Fertigkeit. Auf dieser Umsetzung müsste daher das Schwergewicht des Fremdsprachen-erwerbs liegen, und zwar in der konkreten kommunikativen Situation, und nicht nur auf dem sicheren ‚Übungsgelände‛ eines leeren Parkplatzes.

Vorstellbar wäre beispielsweise ein Lernbogen ‚Text-Erarbeitung-Anwendung‛: ‚Text‛ bedeutet zunächst Konfrontation mit fremdsprachlichen Texten im weitesten Sinn, den Input über Hören und Lesen. ‚Erarbeitung‛ betrifft hier, nach der inhaltlichen Auseinandersetzung, dem Verstehensprozess, jene mit der formalen Seite des Textes, die alle grammatischen Bereiche betreffen kann, von der Laut- über die Wort-, Satz- zur Textebene. Sie meint das bewusste Wahrnehmen von Formen zur Speicherung „intakter, authentischer, situierter und semantisierter Wortfolgen (Phrasen, Teilsätzen, Sätzen) mit ‚gefrorener‛, d.h. unanalysierter Grammatik“ (Tschirner 2001: 120), aber auch das „Suchen“, „Ordnen“ und „Systematisieren“ (vgl. Keller/Mariotta 1995: 114) bis hin zur Regelfindung, zu eigenen Regelformulierungen und ihrer Überprüfung. ‚Anwendung‛ fällt bereits in diesen letzten Bereich, denn Überprüfung kann zwar sowohl ein Nachschlagen in Handbüchern, ein Überprüfen an anderen Textbeispielen, aber auch ein Überprüfen in der kommunikativen Situation selbst bedeuten (sowohl im Gespräch als auch in der schriftlichen Textproduktion). Ziel wäre hier also die intensive, direkte und aktive Auseinandersetzung mit Sprache in einem anspruchsvollen und dem Lerner entsprechenden Kontext.

‚Übung‛ rückt gegenüber ‚Anwendung‛ in den Hintergrund, da ‚Übung‛ normalerweise einen (sprachlich) künstlich geschaffenen und stark gesteuerten Bereich mit „geringe[r] Fehlertoleranz“ (Häussermann 1995: 196) darstellt, weil das jeweilige sprachliche Phänomen darin unnatürlich gehäuft auftritt, weswegen Übungen paradoxerweise eine geeignete Fehlerquelle darstellen – und das Gehirn speichert alle Syntagmen, ohne zwischen grammatisch

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Korrektem und Fehlerhaftem zu unterscheiden, wodurch das Risiko entsteht, dass sich eine mentale Grammatik auf der Basis fehlerhafter Sätze bildet, die zu einer „fossilisierten Lernersprache“ führen könnten (vgl. Tschirner 2001: 122); und schließlich auch, weil jeder Lehrer/Lerner die Erfahrung kennt, nach der nicht nach Quantität, sondern nach Qualität aufgenommen wird: Besonderes oder auf irgendeine Weise Bedeutsames, Wichtiges und Nützliches (und daher auch häufig Verwendetes) prägen sich ein und bleiben, das Unbedeutende verschwindet. In der ‚Anwendung‛ wird versucht, sprachlichen Formen authentische Bedeutung zu verleihen, sie als kommunikativ sinnvoll und wichtig darzustellen, aber auch sie zu verknüpfen mit konkretem, auch sinnlichem und persönlichem Erleben, nur so werden und bleiben sie ‚erinnerungswürdig‛.

Die Anwendung kann – unterrichtspraktisch gesehen – in Aufgaben 11 realisiert werden, die sich von Übungen in erster Linie durch ihre Komplexität unterscheiden, die parallel zum Sprachunterricht selbst, Sprache nicht isoliert, sondern im kommunikativen Zusammenhang sehen und darauf abzielen, Probleme sprachlich zu lösen, wobei viele Bereiche der Fremdsprache zur Anwendung gelangen (vom lexikalischen über den grammatischen bis hin zum interkulturellen). Die Aufgabe lässt wesentlich mehr Spielraum als die Übung, sie fordert (und fördert) den Lerner nicht nur als solchen, sondern als Sprach-handelnden in einem kommunikativen und sozio-kulturellen Zusammenhang sowie als Menschen insgesamt. Strategien können beim Lösen von Aufgaben sinnvoll erprobt und angewendet werden, Kompetenzen ausgebildet und trainiert; Weltwissen wird aktiviert, soziale Fertigkeiten treten zu Tage, die Lerner selbst stehen im Mittelpunkt des Lernprozesses, und zwar nicht mehr als ‚Unwissende‛ und Empfangende, sondern sie ergreifen die Initiative und wirken aktiv an der Erreichung ihrer Lernziele mit. Die Aufgabe hat schließlich nicht nur eine einzige, ‚richtige‛ Lösung wie die Übung, sondern viele, denn erst der Lerner verleiht ihr Sinn, seine Persönlichkeit kann darin zum Ausdruck kommen, und damit können auch der individuelle Charakter des Lernprozesses sowie der jeweilige Entwicklungsstand der Lernersprache mitberücksichtigt werden. Die Aufgaben innerhalb der Gruppe können unterschiedlich gestaltet und somit auf einzelne Lerner abgestimmt werden, wodurch sie eine Möglichkeit zu Binnendifferenzierung eröffnen: Dass nicht alle Menschen auf dieselbe Weise lernen und nicht unbedingt dieselben Ziele verfolgen, ist eine rundum bekannte Tatsache; Aufgaben eignen sich, im Unterricht, wenn nicht individuell, so doch nach Kleingruppen zu unterscheiden. Differenzierte Aufträge, Lernzielformulierungen und Lernwege bieten darüber hinaus Anlässe zu anschließender Konfrontation, zu Vergleich und Auseinandersetzung, und somit wiederum Anlässe zu authentischer Kommunikation. So gestaltete

11 Zur Unterscheidung von Aufgabe und Übung vgl. auch Häussermann (1996: 195 ff).

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Vorgangsweisen nehmen Rücksicht auf den individuellen Lerner, indem sie ihm sowohl den nötigen Freiraum als auch den nötigen Zeitraum zur Entwicklung ‚seiner Grammatik‛ zugestehen, sie bieten aber auch reichlich Möglichkeiten zur Produktion, zum sprachlichen Erproben und Handeln.

Fremdsprachenlerner sind immer Einzelgänger […]. Grammatikerwerb findet immer in individuellen Köpfen statt. […] Individuelle grammatische Kompetenz ist prozessorientiert und spontan einsetzbar. (Tschirner 2001: 123)

4. Die Erwerbssequenzen

Spricht man also einerseits von individuellen Spracherwerbsrhythmen und einer notwendigen Differenzierung des Unterrichts nach Lerntyp, Lerngeschwindigkeit, Lernvergangenheit etc., so scheint sich andererseits auch das Gegenteil immer mehr zu bestätigen: Das Phänomen der Interimssprache wird bereits seit längerem untersucht und damit einhergehend das Phänomen grammatischer Zwischenstadien, die überwunden werden, wenn der Lernprozess fortgeführt wird, sich aber auch fossilisieren können, wenn dies unterbleibt (vgl. Kasper 1995: 263ff.). Einen wichtigen Schritt auf diesem Gebiet stellen in Genf unter frankophonen Lernern durchgeführte Studien (vgl. Diehl 2000) dar, die nun belegen, dass der Sprachlernprozess im grammatischen Bereich tatsächlich überindividuelle Züge aufzuweisen hat, was wiederum auf die oben erwähnte primär ausgebildete Kompetenz, auf einen vom Bewusstsein losgelösten Bereich verweisen würde, der selbständig Wissen strukturiert und organisiert, und zwar nach einem eigenen Zeitplan:

Vielmehr verfahren L2-Lerner ähnlich wie Kinder beim Muttersprachenerwerb, d.h., sie erschließen die L2-Regeln aus dem Input in einer bestimmten, überindividuellen Reihenfolge und in einem individuell variierenden Rhythmus, die beide gegen unterrichtliche Steuerung weitgehend immun sind. (Diehl/Pistorius 2002: 227)

Bestimmte grammatische Phänomene können also, diesen Studien zufolge, erst ab einem gewissen Zeitpunkt bzw. in einer festgelegten Abfolge tatsächlich erworben werden, davor können sie zwar als explizites Regelwissen vorhanden sein, nicht aber dem spontanen Sprachgebrauch zur Verfügung stehen. Auch Diehl und Pistorius (2002: 226 f) gehen davon aus, dass zwischen deklarativem und prozeduralem Wissen kaum ein Zusammenhang besteht, dass also prozedurales Wissen nicht übertragbar ist und vom Lerner individuell aufgebaut werden muss. Die einzelnen Phasen, die die Lerner dabei durchlaufen, bestehen aus dem oben beschriebenen Sammeln und Speichern von Syntagmen ohne

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Berücksichtigung grammatischer Merkmale, aus dem Ordnen und Untersuchen auf mögliche Regularitäten hin, und schließlich dem eigentlichen Erwerb, wenn die Lernersprache beginnt, sich mit den Normen der Zielsprache zu decken. Die Übergänge sind natürlich fließend, und die Lerner durchlaufen viele Zwischenstadien, in denen sie sich schrittweise der Zielsprache annähern:

Der Erwerb der L2-Grammatik lässt sich somit beschreiben als ein allmähliches Herantasten an die Norm, in der Weise, dass anfänglich drastisch vereinfachte „Lernerregeln“ zunehmend ausdifferenziert werden. (Diehl/Pistorius 2002: 227)

Wie genau nun die überindividuellen Erwerbssequenzen, die die dritte Phase betreffen, verlaufen, ist noch Objekt von Untersuchungen, ebenso wie die Frage, welche grammatischen Bereiche sie tatsächlich betreffen. So scheinen sie in einigen Bereichen (Verbalflexion, Kasussystem, Verbstellung; vgl. Diehl/Pistorius 2002: 227)12 wirksamer zu sein als in anderen (Genus, Numerus; vgl. Diehl/Pistorius 2002: 227). Einzelne Tendenzen zeichnen sich jetzt schon klar ab und würden, sollten sie in der grammatischen Progression berücksichtigt werden, entscheidende Veränderungen erforderlich machen. Die Inversion beispielsweise, die im Sprachgebrauch häufig auftaucht und im Unterricht normalerweise früh thematisiert wird, kann den Studien zufolge erst in einer späten Phase erworben werden (Diehl et al. 2000: 364). Auch für den Kasuserwerb wäre ein äußerst langer Zeitraum erforderlich, und demnach für die Adjektivflexion, deren Erwerb erst beginnen kann, wenn der erstere abgeschlossen ist (vgl. Diehl/Pistorius 2002: 227). Neben einer veränderten Progression würden die „Akzeptanz von längeren Assimilationsphasen“ (Diehl/Pistorius 2002: 229) sowie „Evaluationsverfahren, in denen nicht nur die Ergebnisse, sondern auch die Fortschritte der Lerner beachtet werden“ (Diehl/Pistorius 2002: 227) unerlässlich – die Auswirkungen auf die Unterrichtspraxis, die eine weitere Bestätigung dieser Erkenntnisse nach sich ziehen würden, wären weitreichend.

Die Lernprogression könnte die Erwerbssequenzen berücksichtigen, denn Grammatikvermittlung „gegen den Strich“, d.h. gegenläufig zur natürlichen Progression, kann bestenfalls kurzfristige Trainingserfolge verbuchen, niemals aber den effektiven Erwerb in seiner Reihenfolge tangieren. (Diehl/Pistorius 2002: 227f)

12 Diese und die folgenden Aussagen beziehen sich auf die Gruppe frankophoner

Lerner; Parallelen zu italienischsprachigen Lernern sind wahrscheinlich, aber bisher noch nicht belegt.

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Progressionsbestimmend blieben wie bisher thematisch-inhaltliche Bereiche, entsprechende Sprechintentionen oder ‚Rollen‛ sowie die dafür erforderlichen sprachlichen Mittel. Wo möglich, träten grammatische Themenbereiche explizit entsprechend der natürlichen Abfolge auf, wo dies nicht möglich ist, etwa weil ein Phänomen besonders häufig auftritt, so könnte es durchaus thematisiert, eventuell auch zur Speicherung als chunk angeboten werden oder einfach rezeptiv zur Verfügung stehen. Vorsicht wäre im Bereich der Produktion angesagt: Sollte es da nicht zur Verfügung stehen, was sehr wahrscheinlich ist, wäre dies nur als momentanes Defizit zu interpretieren, als Symptom dafür, dass die Erarbeitung der mentalen Grammatik sowie der Lernersprache insgesamt noch nicht so weit fortgeschritten ist. Die spontane Beherrschung ‚vor der Zeit‛ erzwingen zu wollen, scheint ein hoffnungsloses Unterfangen zu sein und bestenfalls zu Bewältigungsstrategien zu führen, die das eigentliche Problem jedoch nur umgehen und dazu führen, dass Sprache vor jeder Äußerung einer Art ‚mathematischen Berechnung‛ unterzogen wird, was einer freien Äußerung alles andere als förderlich ist.

Wird diese Vorgangsweise akzeptiert, führt sie automatisch zu einer neuen Fehlersicht, und in der Folge zur Veränderung der Lernkontrolle und somit der Beurteilung des Lernfortschrittes.

Das generelle, undifferenzierte Fehlerverbot im Fremdsprachenunterricht dürfte weitgehend für die Blockierung des Erwerbsprozesses bei vielen Schülern verantwortlich sein. (Diehl/Pistorius 2002: 228)

Der Fehler ist kein ‚Mangel‛ mehr, kein Zeichen von fehlendem Engagement oder gar Unfähigkeit, sondern lediglich Zeichen des jeweiligen Sprachstandes: Tatsächlich kann er über noch nicht normgerechte Elemente sozusagen diagnostiziert werden. Präzisiert werden muss, dass die Entwicklung der Lernersprache zumeist nicht linear abläuft, dass also mit Stillständen oder sogar ‚Rückfällen‛ gerechnet werden muss. Da auch die Geschwindigkeit dieses Prozesses individuell unterschiedlich ist, stellen die üblichen Sprachprüfungen kein geringes Problem dar. Sie versuchen, entsprechend der traditionellen Sichtweise, zu überprüfen, ob das gelernt wurde, was gelehrt wurde. Kann der Lerner dies unter Beweis stellen, ist die Beurteilung positiv, entspricht seine Sprachproduktion hingegen nicht der Norm, wird dies als ‚negativ‛ eingestuft, wobei für alle Lerner (einer Lerngruppe) möglichst dieselben Kriterien zu gelten haben. So betrachtet erscheint der Misserfolg fast vorprogrammiert, außer Lerner entwickeln zu diesem Zweck ausgefeilte Fehlervermeidungs- 13 bzw. Testbearbeitungsstrategien, die zwar funktionieren, aber nichts über ihre

13 Die deutsche Sprache eignet sich außerdem gut für Zufallstreffer: Unter den

Endungen -e, -er, -en ist die Wahrscheinlichkeit hoch, dass eine passt.

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kommunikative Kompetenz aussagen: So kann es trotz fehlender Sprachkompetenz zu positiven Beurteilungen kommen, natürlich nur wenn die Testmodalitäten dies erlauben.

Als Alternative böte sich, statt einer Leistungskontrolle mit (‚guter‛ oder ‚schlechter‛) Note eine ständige individuelle Sprachstandskontrolle (ohne Benotung). Zielsetzungen in Form eines Sprachniveaus (A1-C2) oder in Form von Deskriptoren (vgl. Europarat 2001) könnten dabei durchaus vorgegeben werden, die Erreichung eines Ziels könnte im weitesten Sinn lernergerecht erfolgen: Nach der Feststellung des Ausgangsniveaus würde in Zusammenarbeit mit den Lehrern Lernziele festgelegt und ein Lernplan erstellt. Darin würde vereinbart, in welcher Zeit, wie und mit welchen Mitteln der Lerner das Ziel zu erreichen gedenkt. Viele Wege stünden dabei offen, der Lerner könnte selbst bestimmen, welche der angebotenen Lehrveranstaltungen er besuchen möchte, er kann selbständig kleine Lerngruppen organisieren, oder auch alleine Themenbereiche mit den vielen, auch multimedialen und mittlerweile in den Sprachzentren zur Verfügung stehenden Mitteln vertiefen. In regelmäßigen Zeitabständen träfe er seine Studienkollegen, Lehrer oder Betreuer, um sich über den Fortgang auszutauschen und möglicherweise auf dem Lernweg auftretende Probleme zu diskutieren (und so auch dem eventuellen Problem einer zu starken ‚Individualisierung‛ entgegenzuwirken).

Wie hieraus bereits ersichtlich wird, stellt dieser Wandel hohe Anforderungen an die Selbständigkeit der Lerner, macht aber auch ein Umdenken der Lehrer und der Institutionen unabdingbar. Die Arbeit mit dem Sprachenportfolio in normalen Sprachkursen sowie in experimentellen autonomen Lerngruppen, die beide an der Universität Triest bereits erprobt werden, könnte in diesem Bereich eine große Hilfe für beide Seiten darstellen. Sie fördert nicht nur die Eigenverantwortung für den Lernprozess, sondern stellt auch Mittel zur Sprach- und Lernreflexion sowie zur Selbstkontrolle des Lernfortschrittes zur Verfügung. Auch aus Lehrersicht könnte das Portfolio ein geeignetes Werkzeug darstellen, gemeinsam Zielvorstellungen zu formulieren und ihre Erreichung zu überprüfen.

Der große Unterschied zur aktuellen Situation wäre, dass am Ende des Studiums beim sprachpraktischen Teil des Faches Lingua Tedesca keine Note stünde, sondern ein Sprachniveau, das letztendlich mehr über Fremdsprachen-kenntnisse aussagt als eine Note, ergänzt durch das Portfolio, in dem der detaillierte Lernweg einsehbar wird. Vom methodischen Gesichtspunkt scheint diese Lösung nicht nur aussagekräftiger, sondern auch motivierender, aus lernstrategischer Sicht lohnender und dem erwachsenen und selbständigen Lerner entsprechender.

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5. Schlussgedanken

Eine der methodisch-didaktischen Konsequenzen der momentanen Forschungs-lage wäre die generelle Betonung der Konfrontation mit Sprache: Durch Hören-Sprechen-Lesen-Schreiben sowie durch kommunikative Interaktion bilden Lerner die entsprechenden Kompetenzen bzw. Teilkompetenzen aus. Wenn nun auch grammatische Kompetenz im wesentlichen auf den Umgang mit Sprache zurückzuführen ist, so wäre dieser gleichzeitig Ziel und Unterrichtsprinzip. Allgemein viel sinnvolle Sprache in möglichst authentischen Kommunikations-situationen in und außerhalb der Kurse würde so zur kontinuierlichen Ausbildung einer mentalen Grammatik beitragen.

Eine Intensivierung der rezeptiven Seite vor allem zu Beginn des Sprachlernprozesses könnte hier von Nutzen sein. Der Fertigkeit ‚Hören‛ käme in diesem Zusammenhang zentrale Bedeutung zu: Die Vorrangstellung gehörter Texte würde zu einem Grundprinzip des Fremdsprachenunterrichts, wobei neben der Inhaltsseite auch der Ausdrucksseite Aufmerksamkeit gewidmet würde. Neben dem Hören kann dann das Sprechen an Bedeutung gewinnen, und zwar ‚unzensiertes‛ Sprechen mit rein kommunikativen Zielen nicht nur mit dem Lehrer, sondern vor allem unter den Lernern und in weiteren Situationen, wie sie beispielsweise durch Tandems mit Erasmus-Studenten entstehen können. Lesen und Schreiben hingegen eignen sich dann zur weiteren Sprach-reflexion, da die Sprache fixiert auftritt, wodurch ein langsameres, ruhigeres und konzentrierteres Betrachten ermöglicht wird.

Ein wesentliches Charakteristikum bildet durchwegs die Sprach-aufmerksamkeit (vgl. Portmann 2003): Das Lenken des Blickes auf die Ausdrucksseite, das bewusste Wahrnehmen von Formen, auch aus kontrastiver Perspektive, erleichtert den Prozess der Verarbeitung: „Die Strategie des Wissenstransfers ist strukturell in der menschlichen Kognition verankert“ (Diehl/Pistorius 2002: 229) und kann und soll nicht verhindert werden. Sie wäre als Chance zu werten und nicht als Hindernis: Positiver Transfer könnte dadurch gefördert werden, dass Parallelen und Unterschiede zur Muttersprache und zu anderen Fremdsprachen bewusst erkannt und reflektiert werden.

Nicht nur, Transfer im weitesten Sinn würde auch bedeuten, dass Lerner allgemein Wissen und vor allem strategisches Wissen sowie Wissen über das Lernen selbst mobilisieren, um den Lernprozess zu unterstützen. Hierin läge eine weitere Aufgabe des Fremdsprachenunterrichts: Das Lernen selbst wird thematisiert, die Lerner beschäftigen sich nicht mehr nur mit Lerninhalten, sondern auch mit Lerntechniken. Sie werden so zu selbstständigen Lernern, die wissen, wie sie eine Sprache auf effiziente Weise lernen, sie werden fähig, aus einem reichhaltigen Angebot verschiedener Lernwege den für sie geeignetsten auszuwählen und so auf eine life-long-learning vorbereitet. Auch der veränderte

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Umgang mit Grammatik müsste daher, neben anderen Aspekten des Lernens, im Unterricht angesprochen werden. Denn nicht nur Lehrer, auch Lerner, und zwar vor allem erwachsene Lerner, die zudem eine akademische Bildungsgang durchlaufen, schätzen immer noch die (vermeintliche) Sicherheit eines vollständigen Paradigmas oder einer Regel zum Auswendiglernen. Dass es sich hierbei um eine Illusion handelt, ist mehr als wahrscheinlich, die Lerner sollten Kenntnis davon bekommen sowie Alternativen, um die neue Lernsituation zu meistern.

Dass expliziter Grammatikunterricht damit nicht verschwinden würde, sei nochmals betont: Er würde Formen der Sprachreflexion annehmen, wobei auch hier autonomiefördernde Vorgehensweisen Vorrang hätten. Sollte man sich darüber hinaus, da der Wunsch nach Erklärung, Verstehen und Klarheit bei Universitätsstudenten oft besonders ausgeprägt ist und daher auch nicht übergangen werden kann, mit Grammatik als systemlinguistischer Beschreibung der Sprache beschäftigen, so sollte sie Tschirner (2001: 119) zufolge „als Metawissen und Strategiewissen gelehrt und gelernt [werden], allerdings rein rezeptiv, d.h. ohne dass produktive Regeln gegeben werden und ohne dass sie produktiv geübt werden“. Je besser ausgebildet Lernkapazität und Abstraktionsfähigkeit sind, je geschulter der Umgang mit Sprache (und Metasprache), desto eher kann dieser Blick auf Grammatik, der eine steilere Progression erlaubt, auch mit dem Erwerb grammatischer Kompetenz verknüpft werden. Sprachaufmerksamkeit, kontrastives, mehrsprachiges, induktiv-exploratives Arbeiten, das Thematisieren des Lernprozesses und somit ein sinnvoller Umgang mit Grammatik könnten durchaus als Ersatz für altbekannte Muster dienen, denn:

Die kognitive Wende hat stattgefunden. Allerdings anders, als dies immer noch in vielen Beiträgen zur Rolle der Grammatik im Fremdsprachenunterricht thematisiert wird. Es handelt sich hier nämlich nicht um eine Rückkehr zum altbewährten Grammatikunterricht mit neueren kreativen und autonomiefördernden Methoden, sondern um ein neues sprachlerntheoretisches Erkenntnisinteresse, das auch eine neue Art von Grammatikunterricht fordert. (Tschirner 2001: 124)

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ZUM BEGRIFF METODO EINE TERMINOLOGISCHE UNTERSUCHUNG IN DER ITALIENISCHSPRACHIGEN FACHLITERATUR DES

FREMDSPRACHENUNTERRICHTS

Irene Rogina

1. Gegenstand und Korpus

Die vorliegende Arbeit beschäftigt sich mit dem Begriff metodo in einer Auswahl italienischsprachiger Fachliteratur für Methodik und Didaktik des Fremdsprachenunterrichts und setzt sich eine Untersuchung des Definitions-verhaltens sowie einen Vergleich zur Situation in deutschsprachigen Arbeiten zum Ziel. 1 Es handelt sich um einen häufig verwendeten Grundbegriff des Fachbereiches, der in seiner Komplexität breit angelegt und daher schwer eingrenzbar ist. Auch die entscheidenden Veränderungen der letzten Jahre im Fach selbst machen eine ständige Thematisierung und neue Festlegung des Begriffes in den einzelnen Arbeiten notwendig. Probleme entstehen weiters durch seine Verwendung auf verschiedenen Ebenen des Fachgebietes sowie mit unterschiedlichen Bedeutungsumfängen, was, wie die Arbeit zu veranschaulichen versucht, zu einem uneinheitlichen Begriffsbild führt.

Der Beitrag beschäftigt sich zunächst mit der Gliederung des Fachbereiches der Fremdsprachendidaktik und geht dann auf den Begriff metodo über, wobei die verschiedenen Definitionsmodi untersucht werden. Er geht dabei den Fragen nach, ob/wie definiert wird und ob/wie auf den Begriffsumfang, die Überschneidung und die Abgrenzung gegenüber nahen Begriffen eingegangen wird. Angeschnitten werden dabei Parallelen und Unterschiede zur deutsch-sprachigen Literatur.2

Das Korpus 3 besteht aus einer Auswahl von Standardwerken der italienischen glottodidattica 4 und stellt natürlich keinerlei Anspruch auf Vollständigkeit.

1 Eine gekürzte und veränderte Version der vorliegenden Arbeit ist bereits in der

Zeitschrift “Babylonia” (Rogina 2005) erschienen, vgl. zum deutschsprachigen Bereich auch Rogina (2006).

2 Die Hinweise auf die deutschsprachige Fachliteratur beschränken sich auf eine repräsentative Auswahl: Henrici (2001), Heuer (1995), Jung (2001), Neuner (1995), Neuner/Hunfeld (1993).

3 Die vollständigen Angaben sind in der Bibliographie am Ende der Arbeit zu finden.

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– Balboni (1999): Dizionario di glottodidattica – Ciliberti (1994): Manuale di glottodidattica – Freddi (1994): Glottodidattica: Fondamenti, metodi e tecniche – Piva (2000): Metodi in glottodidattica – Porcelli (1994): Principi di glottodidattica – Serra-Borneto (1998): Introduzione zu C’era una volta il metodo

2. Gliederung des Fachgebietes

Als repräsentative Beispiele für eine Gliederung des Bereiches seien Porcelli (1994: 43) und Balboni (1999: 47) genannt: Porcellis (1994: 43) synthetische Darstellung – er beruft sich hier seinerseits auf Balboni (1992: 7) –, geht von den vier hierarchisch angeordneten Ebenen “teorie” - “approccio” - “metodo” - “tecnica” aus, wobei eine Ebene aus der anderen hervorgeht und sich die Bereiche nach unten hin fortschreitend konkretisieren. Eine Interaktion erfolgt erstens zwischen den verschiedenen, nicht näher definierten “teorie” (sie stehen außerhalb der übrigen drei Bereiche, die die glottodidattica betreffen) und “approccio”, zweitens zwischen “approccio” - “metodo” - “tecnica”. “Approccio” bildet also das Bindeglied zwischen einem außerhalb der glottodidattica stehenden theoretischen und den konkreteren Bereichen der Methoden und Verfahren.5 Leicht verändert finden wir diese Auffassung in Balbonis (1999: 47) Dizionario di glottodidattica wieder:

La glottodidattica dunque si configura come una scienza pratica ed interdisciplinare al cui interno si individuano una componente teorica (mirante a conoscere il meccanismo dell’acquisizione linguistica, al fine di derivarne degli approcci [>]) ed una componente operativa, spesso detta “glottodidassi”, che porta alla definizione di metodi [>] e alla selezione delle tecniche [>] e delle tecnologie [>] adeguate.

Die Theorie ist jetzt ein Bestandteil der glottodidattica und versteht sich als Spracherwerbsforschung. Ihr wird eine “componente operativa” gegenüber-gestellt, die sich der Unterrichtspraxis annähert und in der wir “metodi”, “tecniche” und “tecnologie” gleichgestellt finden. Im übrigen Korpus finden wir

4 Glottodidattica ist ebenfalls ein komplexer Begriff, auf den in der vorliegenden

Arbeit nicht näher eingegangen werden kann. Als “disciplina che ha per oggetto l’insegnamento-apprendimento delle lingue” (Freddi 1994: 1) wird er hier ‘Sprachdidaktik’ bzw. ‘Fremdsprachendidaktik’ gleichgesetzt (vgl. dazu auch Bausch/Christ/Krumm 1995: 19)

5 Die Arbeit setzt metodo und ‘Methode’, approccio und ‘Ansatz’, tecnica und ‘Verfahren’ gleich, wobei auf die Übersetzungsproblematik aus räumlichen Gründen nicht näher eingegangen werden kann.

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Zum Begriff metodo 45

ähnliche Gliederungsarten auch bei Ciliberti (1994: 18), die mit “approccio” - “design” - procedimenti” Richards und Rodgers (1986) zitiert und bei Piva (2000: 175), deren Begriffsbestimmung, wie wir sehen werden, implizit eine Dreiergliederung enthält.

Amerikanische Arbeiten haben allgemein – in deutsch- wie in italienischsprachigen Fachtexten – Vorbildcharakter, ein ergänzendes Wort erscheint daher angebracht: In Richards’ und Rodgers’ (1986: 28) Darstellung ist “method” den drei gleichgestellten Elementen “approach” - “design” - “procedure” übergeordnet. “Approach” versteht sich als eher wissenschaftlich-theoretischer Bereich (z.B. Sprachforschung, Sprachlehr-/-lernforschung), “design” betrifft Ziele, Auswahl und Anordnung der Inhalte, Lehr- und Lernaktivitäten, Lehrer- und Lernerrollen sowie Unterrichtsmittel, “procedure” schließlich meint Unterrichtsverfahren und -techniken. Bemerkenswert sind einerseits die übergeordnete Stellung von “method” auf einer Ebene, wo sonst der gesamte Fachbereich gemeint ist, andererseits die Neben- und nicht Unterordnung von “approach/design/procedure”, was, kurz gesagt, einer Gleichstellung von Theorie und Praxis gleichkommt. Üblicherweise nimmt “method” – wie in den oben genannten Modellen – eher den Platz von “design” ein, so auch bei Anthony (1963), der “approach” - “method” - “technique” vorschlägt, ebenso wie Heuer (1995: 485) von “allgemeinen Unterrichtsansätzen und Zugängen (approaches)”, dann von “Methoden” und schließlich von “Unterrichtstechniken” spricht. Die daraus resultierenden unterschiedlichen Sichtweisen findet man in der deutschsprachigen Literatur als Unterscheidung ‘Methode im engeren/weiteren Sinn’ wieder (vgl. Neuner 1995: 180), im italienischsprachigen Korpus wird sie nicht näher thematisiert.

Wie sich hier bereits abzeichnet, ist die Gliederung des Fachbereiches nur ungefähr umrissen. Erkenntlich wird lediglich, dass es einerseits einen wissenschaftlich-theoretischen Bereich (Sprach-, -erwerbsforschung, Lehr- und Lernforschung usw.) gibt, der sich damit beschäftigt, Erkenntnisse zu liefern, die sich im unterrichtspraktischen Bereich, also bei der Entscheidung des Wie, Was, Wann und in welcher Reihenfolge niederschlagen sollen. Die Übergänge sind fließend, und approccio stellt eine Art Pufferzone zwischen den beiden Bereichen dar, er fungiert als Bindeglied, als allgemein formulierter Ansatz und Zugang, der sich in metodo bzw. methodischen Prinzipien weiter konkretisiert und schließlich in einzelnen Verfahrensweisen Form annimmt. Wie breit dabei jeder einzelne Begriff – und damit auch metodo – angelegt ist, bleibt, wie wir sehen werden, Ansichtssache. Der Gliederungsmodus ist durchwegs hierarchisch von oben nach unten, von der Theorie zur Praxis, wobei die Theorie durch approccio zwar umfassend in die Unterrichtspraxis hineinwirkt, aber zu den einzelnen, darin unterscheidbaren Ebenen und Faktoren keinen direkt Zugang hat, wie dies etwa in Neuners (1995: 181) Modell der Fall ist: In

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dieser eher konzentrisch angelegten Darstellung sind die Ebenen und Bereiche den jeweiligen Bezugswissenschaften nebengeordnet, wodurch die Wechselbeziehung von Theorie und Praxis und die prinzipielle wissenschaftliche Begründung aller Ebenen zum Ausdruck kommen.

3. metodo/ ‘Methode’: Definitionsverhalten

Vorausgeschickt sei, das sich alle sechs Arbeiten im Korpus – wenn auch auf unterschiedliche Weise – mit dem Terminus beschäftigen, wobei Balboni (1999: 64) allerdings nicht eigentlich definiert, sondern den Begriff lediglich approccio unterordnet: “È la realizzazione di un approccio [>] in termini di procedure didattiche e di modelli operativi [>].”6 Globale Definitionen, wie sie auch in deutschsprachigen Texten üblich sind, finden wir bei Piva (2000: 175), Freddi (1994: 8, 162) und Porcelli (1994: 41 ff); Ciliberti (1994: 18 f), Porcelli (1994: 41 ff) und Serra Borneto (1998: 17) widmen sich der Mehrdeutigkeit des Begriffes und der Abgrenzungsproblematik, Ciliberti (1994: 18 f) und Porcelli (1994: 41 ff) treffen auch eine Entscheidung hinsichtlich des Bedeutungs-umfangs.

Die in der globalen Definition üblicherweise gestellte Frage ‘Was ist eine Methode?’ wird unterschiedlich beantwortet: Wo man in deutschsprachigen Texten semantische Zuordnungen wie “Konzeption” (Jung 2001: 136), “Ansätze, Verfahren”, “Handlungsmuster” (Neuner 1995: 180) u. ä. findet, ist bei Piva (2000: 175) von “teorie dell’insegnamento” und bei Freddi (1994: 162) von “impianto didattico”, von “lucida costruzione geometrica (e filosofica) di un Descartes” (1994: 8) bzw. “un quadro esaustivo di interventi didattici scientificamente prospettati, condotti e verificati” (1994: 8) sowie bei Porcelli (1994: 41) von “una strategia di intervento glottodidattico” die Rede. Ersichtlich wird, dass sich bereits durch die Wortwahl wie ‘Ansatz’, ‘Verfahren’, teorie die Ebenen des Fachbereiches vermischen bzw. durch Umschreibungen, die sich eher an der Theorie oder der Unterrichtspraxis orientieren, zumindest verschieben. 6 Balboni (1999: 66) präzisiert in seinem Verweis, was unter “modelli operativi” zu

verstehen ist: Sie ermöglichen die praktische Umsetzung von “approccio” und “metodo” und “riguardano il ‘cosa’ e il ‘come’ dell’educazione linguistica”, wobei er unter dem inhaltlichen Aspekt “il programma”, “i vari tipi di syllabus” (Auflistung von Inhalten und Teilzielen) und “il curricolo” (Ausbildungsprofil, übergeordnete Ziele und spezifische Inhalte) nennt und unter dem methodischen “il modello maieutico”, “la lezione”, “l’unità didattica” und “l’autoapprendimento”. Die nicht näher erläuterten “procedure didattiche” können wohl ‘Verfahren’ gleichgesetzt werden. Ein Zweifel bleibt allerdings, da Balboni (1992: 7) bei der oben erwähnten Gliederung des Fachgebietes auf der Ebene der ‘Verfahren’ von “tecnica” spricht.

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Zum Begriff metodo 47

Die Frage ‘Wozu dient eine Methode?’ und damit eine Angabe des Zweckes, der sich Jung (2001: 136), Heuer (1995: 484) und Neuner (1995: 180)7 widmen, scheint hier nur bei Porcelli (1994: 41) auf: Sie diene sowohl als “strumento interpretativo di una realtà molto complessa e pluristratificata” als auch als “strumento di un operare didattico cosciente e ben fondato”, wobei eine ‘weitere’ und eine ‘engere’ Sichtweise zu erkennen sind.

Die Kollokation innerhalb des Fachbereiches und eine daraus resultierende Eingrenzung des Begriffsumfanges stehen in enger Verbindung zur Mehrdeutigkeit und damit zur uneinheitlichen Verwendung des Begriffes, aber auch zu ‘Kompetenzen’, die dadurch verliehen werden:8 Je nach Reichweite des Begriffes erweitert oder verengt sich auch der Aufgabenbereich bzw. verändert sich das Schwergewicht des Aufgabenbereiches. So spricht Piva (2000: 175) von “linee di intervento didattico che vanno dalla individuazione dei contenuti alla scelta delle tecniche, a quella dei materiali, alla condotta dell’insegnante nella classe” und vermittelt so eine weite Sichtweise, die die Auswahl der Inhalte sowie der Verfahren umfasst. Ciliberti (1994: 18f.) geht zunächst auf die Problematik der Ebenen ein: Methoden können ihrer Ansicht nach “in base alle tecniche, o espedienti, che propongono per la soluzione di problemi immediati” definiert werden oder “in base a teorie generali dell’apprendimento” oder aber “in base a teorie linguistiche”. (Als Beispiele nennt sie jeweils “silent way”, “metodo diretto, o l’approccio naturale” und “approccio comunicativo”9.) Die drei genannten Punkte verweisen auf die dahinter stehenden Ebenen einerseits der Verfahren, andererseits der Sprachlernforschung sowie der Sprach-

7 Eine Methode diene “zum Lehren und Lernen einer Fremdsprache” (Jung 2001:

136), zur “Vermittlung der Fremdsprache” und der “mit ihr verknüpften Kultur und Literatur” (Heuer 1995: 484) sowie dazu, “das unterrichtspraktische Handeln des Lehrers zu leiten, das sich auf den auswählend gliedernden und stufenden Umgang mit verschiedenen Arten von Lehrgegenständen in der sprachlichen Interaktion mit Schülern bezieht und das Ziel verfolgt, bestimmte Lerninhalte möglichst anwendungsbereit und dauerhaft zu vermitteln” (Neuner 1995: 180).

8 Besonders in der deutschsprachigen Literatur stößt man häufig auf diese ‘Kompetenzfrage’, die sich vor allem aus der Abgrenzung zwischen Methodik und Didaktik ergibt (vgl. Jung 2001: 146f; Henrici 2001: 841f; Neuner 1995: 180ff; Neuner/Hunfeld 1993: 14) und, wie wir sehen werden, in der italienischsprachigen Literatur wesentlich weniger Gewicht hat. Es geht dabei um die prinzipielle Nachordnung von Methodik gegenüber Didaktik sowie darum, dass Didaktik sich eher mit Inhalten, der Frage nach dem Was, und Methodik mit Verfahren und somit der Frage nach dem Wie beschäftige.

9 Ciliberti (1994: 18) führt hier den kommunikativen Ansatz auf die Sprechakttheorie zurück, “da cui derivano le funzioni da includere nel sillabo e che forniscono la denominazione all’approccio, detto, appunto, funzionale”.

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wissenschaft. Dann widmet sie sich ausführlich den Arbeiten von Richards (1984) und Brumfit (1991)10 und schließt:

In questo libro si cercherà di tener conto delle raccomandazioni di Brumfit. Se si parlerà di “metodo”, lo si farà in senso molto poco specifico e, soprattutto, senza implicare in alcun modo la scientificità o la sperimentabilità dell’approccio o del tipo di insegnamento in questione.

Ciliberti entscheidet sich also für einen sehr breiten Bedeutungsumfang des Begriffes – tatsächlich verwendet sie metodo und approccio hier synonym –, der vor allem nicht die Wissenschaftlichkeit der jeweiligen ‘Methode’ hinterfragt, was, wie wir sehen werden, eine allgemein zu beobachtende Tendenz darstellt.

Auch Porcelli (1994: 41) widmet sich der Mehrdeutigkeit des Methoden-begriffes, auch er nennt drei, allerdings völlig andere Verwendungsmodi des Terminus: 1. “un particolare insieme di materiali didattici integrati che costituiscono un corso di lingue straniere”, wobei wohl die Tendenz angesprochen wird, methodisch-didaktischen Entwürfen (oder was als solche eingestuft werden soll bzw. sollte), den Namen ihres Urhebers zu geben (vgl. Neuner 1995: 180); 2. “una modalità operativa nella presentazione dei contenuti del corso”, was sich der ‘Methode im engeren Sinn’ annähert und 3. ‘Methode im weiteren Sinn’ bzw. “una strategia globale di intervento glottodidattico che basandosi su dati pedagogici, psicologici e linguistici, tende ad armonizzarli e a dar loro una coerenza di discorso.” Porcelli (1994: 41) präzisiert, dass er den Begriff in dieser letzteren Bedeutung verwendet.

Zwei weitere Phänomene charakterisieren das Definitionsverhalten in der italienischsprachigen Literatur, die in der deutschsprachigen nicht oder nur unter veränderten Vorzeichen auftreten: Die Frage nach der Wissenschaftlichkeit sowie die Frage ‘Wie ist eine Methode?’, also nach den Kennzeichen, die metodo ausmachen und somit von nahen Begriffen abgrenzen. Die erstere führt in den theoretischen Bereich, also zur Unterscheidung von metodologia und didattica (siehe Punkt 5). Bei der Beantwortung der zweiteren verwendet Piva die Attribute “unitarie, coerenti e rigorose”, Freddi (1994: 162) spricht von “impianto didattico complesso – peraltro mai avutosi nel corso della storia – in cui mète, obiettivi, sequenze, tecniche e verifiche si richiamano e si integrano in 10 Richards (1984: 8) liefere, so Ciliberti (1994: 18), eine “definizione standard” des

Terminus, mit dem man sich auf “una filosofia dell’insegnamento linguistico contenente un insieme di procedimenti basati su delle premesse teoriche relative alla natura del linguaggio e/o dell’apprendimento linguistico” (Ciliberti 1994: 18) beziehe. Brumfit (1991: 135) hingegen ziehe die Nützlichkeit des Methoden-begriffes überhaupt in Zweifel. Vor allem die neueren Methoden seien eher als “costellazioni di tecniche che non come metodi” (Ciliberti 1994: 18) einzustufen. Als Beispiel wird der kommunikative Ansatz genannt, der nichts Neues bringe, sondern nur alte Elemente neu kombiniere.

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una cornice di compiutezza, di coerenza e di efficacia”, Balboni (1999: 65) meint, “Un metodo non è ‘buono’ o ‘sbagliato’, ‘vecchio’ o ‘moderno’, è semplicemente coerente o incoerente con le premesse dell’approccio che esso tende a mettere in pratica”. Es soll also in erster Linie ein in sich stimmiges und abgerundetes System erstellt werden, Aspekte der Einheitlichkeit, der Kohärenz, der Abgeschlossenheit sowie der Rigorosität stehen im Zentrum, sie werden sowohl auf die übergeordneten Prinzipien als auch die Unterrichtspraxis bezogen. Diesen Ansprüchen von metodo begegnet man im deutschsprachigen Bereich eher für die Vergangenheit, während heute der Wunsch nach Offenheit, Vielfalt und Flexibilität stärker im Vordergrund steht und explizit formuliert wird (vgl. Henrici 2001: 851). Im Korpus stößt man auf keine Unterscheidung zwischen einer älteren oder neueren Auffassung des Begriffes, präsentiert wird eher die ältere mit besonderem Hinweis auf die prinzipiell schwierige Realisierbarkeit von metodo.11 Dies signalisieren auch Ausdrücke wie “tendono a presentarsi” (Piva 2000: 175) und “dovrebbe consistere” (Freddi 1994: 8), die kein ‘Sein’, sondern ein ‘Soll-Sein’ des Begriffes bezeichnen, einen idealen Zustand, den es, Freddis oben zitierter Ansicht nach, jedoch niemals gegeben hat.12 Serra Borneto (1998: 17) widmet sich diesem Aspekt am ausführlichsten, wobei hier die Verbindung zwischen Definition, Auffassung des Begriffsumfanges bzw. älterem/neuerem Begriffsbild und den inhaltlichen Themen der Fremdsprachendidaktik besonders deutlich hergestellt wird. Er betitelt den Abschnitt über den Terminus “Contro il metodo”, wobei er “contro un sistema rigido di regole che prescrivono ‘come bisogna insegnare’” meint und sich vorerst auf eine Tendenz der 70er Jahre bezieht. Auch er äußert sich zunächst zur Problematik der Begriffsfestlegung: Es sei bis heute nicht gelungen, eine “definizione standard di che cosa sia un metodo nell’insegnamento delle lingue straniere” (Serra Borneto 1998: 17) zu finden und metodo gegenüber approccio, procedure und tecniche abzugrenzen. Er präzisiert daher, “non è nostra intenzione avventurarci in tentativi di delimitazione terminologica al riguardo” (Serra Borneto 1998: 17). Dennoch grenzt er dann den Begriff ein auf “qualcosa di più di una tecnica o di una strategia di insegnamento”, da er auf eine “teoria dell’insegnamento”, auf eine

11 Hinzugefügt werden muss, dass neuere Elemente immer wieder Eingang in dieses

ältere Bild finden: Als Beispiel sei die Lernperspektive genannt, die im Ausdruck insegnamento/apprendimento allgemein in die Literatur aufgenommen wurde.

12 In den deutschsprachigen Arbeiten überwiegen Verben, die Identität signalisieren: “Die Auffassungen darüber, was eine Unterrichtsmethode ist, das heißt welchen Bedeutungsumfang, welche Reichweite sie hat, […] was mit Methode genau gemeint ist.” (Henrici 2001: 841) “Unterrichtsmethoden werden verstanden als […]” (Heuer 1995: 484) “Für den Fremdsprachenunterricht ist Methode […]” (Jung 2001: 136) “Unter dem Begriff werden […] zusammengefaßt” (Neuner 1995: 180) “‘Methode’ im weiteren Sinn umfaßt […]” (Neuner/Hunfeld 1993: 14).

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“visione o una vera e propria teoria della lingua” und schließlich auf “una serie di ipotesi sull’apprendente e sulla natura dell’apprendimento” Bezug nehme (Serra Borneto 1998: 18). Er vertritt weiters die Ansicht, metodo “implica un insieme di assunzioni implicite o esplicite che ne fanno una sorta di sistema di riferimento per l’insegnante” (Serra Borneto 1998: 18).

Ed è proprio questo carattere sistematico e tendenzialmente rigido che è stato messo in discussione, anche perché ciascun metodo enfatizza solo alcuni aspetti della didattica e dell’apprendimento a scapito degli altri. Il preteso carattere generale, globale, del metodo – è stato detto – è fondato su un’illusione, un’illusione di compattezza e unità nella didattica. (Serra Borneto 1998: 18)

Charakteristisch sind folgende Aspekte: Die vorsichtige Wortwahl, was die Wissenschaftlichkeit von metodo betrifft – so ist von “visione” die Rede, von “ipotesi” und “assunzioni” (Serra Borneto 1998: 18) und nicht von wissenschaftlich untermauerten Konzepten; weiters einerseits die Entscheidung, sich der terminologischen Problematik nicht zu widmen, andererseits die Begründung dafür, die Serra Borneto (1998) in einer allgemeinen Tendenz der neueren Fachdidaktik selbst findet, nämlich in dem Verzicht auf die Suche nach einer einzigen, global gültigen Methode (sowohl der obengenannte Titel des Abschnittes als auch des Buches selbst – C’era una volta il metodo – sind klare Hinweise darauf). Wie schon Freddi (1994) und Piva (2000) verweist Serra Borneto (1998: 18) auf “compattezza e unità”, wobei auch er feststellt, dass es sich dabei um eine “illusione” handle und somit um einen unerreichbaren, idealen Zustand.

Kennzeichnend ist also der Rückgriff auf ein älteres Begriffsbild, im ‘engeren’ oder ‘weiteren’ Sinn, ohne dadurch explizit Aufgabenbereiche abzugrenzen. Da dieses mit Abgeschlossenheit, Rigidität und globaler Gültigkeit in Verbindung gebracht wird, gilt es als überholt, und man tendiert daher dazu, mit dem vermittelten Inhalt auch den Terminus selbst zu verwerfen statt ihn eines Bedeutungswandels zu unterziehen, wie es meist in deutschsprachigen Beispielen geschieht. Keine der untersuchten Definitionen unterscheidet ausdrücklich zwischen metodo im klassischen Sinn und den heute viel verwendeten ‘übergeordneten Richtlinien’, ‘methodisch-didaktischen Prinzipien’ sowie ‘Optionen’ bzw. den “opzioni metodologiche”, wie sie auch der Europarat im Quadro comune di riferimento per le lingue (2002: 174f) vorschlägt. Der Terminus selbst wird als nicht mehr verwendbar dargestellt, und es ergibt sich daher die Frage, wodurch er ersetzt wird bzw. wodurch der neue, veränderte begriffliche Inhalt terminologisch dargestellt wird: Die erste Wahl fällt dabei sicherlich auf approccio.

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4. approccio/ ‘Ansatz’ versus metodo/ ‘Methode’

Der Ursprung des Begriffes approccio ist in amerikanischen Konzepten zu suchen, (vgl. hierzu beispielsweise die Gliederung Cilibertis (1994: 18)), er hat einen Bedeutungswandel durchgemacht, der – wie wir sehen werden – keineswegs abgeschlossen ist und findet mittlerweile eine so breite Verwendung, dass eine genauere Betrachtung lohnend erscheint.

Piva (2000: 175) stellt die Beziehung metodo/approccio einfach dar, indem sie approccio im Sinne eines übergeordneten Prinzips, eines allgemeinen Zugangs (wie im Deutschen üblicherweise formuliert wird), der metodo prägt, versteht:

In altri termini, ciascun metodo è caratterizzato da un approccio teorico, che pone diversamente l’accento sulle variabili del processo di insegnamento-apprendimento: la varietà di approcci dipende dai paradigmi teorici di riferimento, rispetto ai quali i metodi tendono a presentarsi come dei modelli applicativi.

Auch Freddi (1994: 162) verfährt ähnlich – er spricht von einer Art ‘primären Charakterisierung’ durch approccio – und endet mit dem Entschluss, die beiden Begriffe aus Gründen der Einfachheit im Lauf der Arbeit nicht zu unterscheiden:

[…] l’approccio rinvia, invece, alla caratterizzazione primaria di un insegnamento-apprendimento, al “leitmotif” [sic!] che lo distingue dagli altri, ed è in questo senso che si parla di approccio orale, approccio comunicativo, approccio nozionale-funzionale, approccio umanistico ecc. Nel corso di questo capitolo, così come abbiamo fatto in quelli precedenti, useremo approccio per metodo e viceversa, ignorando la consuetudine di questi anni di chiamare “metodo” il corso di LS [lingua straniera] dell’autore x oppure dell’editore y. Si tratta di un’opzione terminologica avente lo scopo di semplificare il quadro.13

Auch Balboni (1999: 5) verweist auf den übergeordneten Charakter von approccio und bezeichnet ihn als “filosofia di fondo”. Er teilt ihm aber auch eine entscheidende Rolle bei der Bewertung und Auswahl von Erkenntnissen

13 Die Anmerkung “ignorando la consuetudine di questi anni di chiamare ‘metodo’ il

corso di LS [lingua straniera] dell’autore x oppure dell’editore y” wird nicht näher erläutert. Es stimmt zwar, dass es in der Vergangenheit die Tendenz gab, methodisch-didaktischen Entwürfen (oder was als solche eingestuft werden wollte) oder Publikationen den Namen ihres Urhebers zu geben und sie als ‘Methoden’ oder ‘Methodiken’ zu bezeichnen (vgl. Neuner 1995: 180), aber der Zusammenhang zur Unterscheidung ‘metodo’ / ‘approccio’ wird nicht ganz klar.

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aus den Bezugswissenschaften sowie bei der Festlegung – vermutlich übergeordneter – Lehrziele zu:

L’approccio valuta e seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento, e li riorganizza secondo i parametri propri della glottodidattica, individuando le mete e gli obiettivi dell’insegnamento linguistico. Un approccio genera uno o più metodi [>] per mezzo dei quali i suoi principi generali vengono applicati all’insegnamento. Nella storia della glottodidattica alcuni approcci sono stati definiti “metodi”.

Approccio entwirft Balboni (1999) zufolge auch Methoden und nähert sich somit der deutschen ‘Methodik’ stark an. Im letzten Satz schließlich wird die Verwendung von metodo für approccio angesprochen, aber nicht näher erläutert. 14 Auch hier handelt es sich um eine ‘ältere’ Auffassung: Die Verwendung von approccio/‘Ansatz’ signalisierte vor allem in der Vergangenheit mangelnde Wissenschaftlichkeit, Vollständigkeit oder Allgemeingültigkeit und wurde aufgrund dieser negativen Konnotation von den jeweiligen Vertretern vermieden und durch metodo/‘Methode’ ersetzt. Bei der heutigen Verwendung von approccio/‘Ansatz’ handelt es sich hingegen um eine erwünschte und bewusste Entscheidung: Um der veränderten methodisch-didaktischen Situation besser gerecht zu werden, entlehnt man den Begriff der übergeordneten Ebene und versucht so, die Offenheit und Flexibilität neuerer Konzepte zu charakterisieren. Mit Unwissenschaftlichkeit wird er üblicherweise aus heutiger Sicht nicht mehr in Verbindung gebracht.

Sowohl Freddi (1994: 8) als auch Porcelli (1994: 42) sprechen diese Problematik an, wenn sie den Begriff gegenüber metodo abgrenzen. Beide erwähnen, dass seit einigen Jahrzehnten approccio der Vorzug gegeben werde. Als Begründung führt Porcelli (1994: 42) an, er werde als “più ‘flessibile’ e meno rigido” empfunden, und fährt fort:

La dicotomia metodo/approccio ci conduce direttamente ai nodi cruciali della glottodidattica: quanto può essere vincolante un’indicazione di carattere metodologico? Quali garanzie ci sono che un metodo ‘funzioni’? Sulla base di che cosa è lecito affermare la validità di un certo metodo? R. Lado parlava esplicitamente di un scientific approach che, seguito rigorosamente, sarebbe stato in grado di garantire il massimo successo ad un programma di insegnamento linguistico.

14 Tatsächlich erweist sich die Benennung von einzelnen ‘Methoden’ alles andere als

einfach und einheitlich, wobei das Deutsche eine noch breitere Auswahl bietet: Man denke nur an “Kommunikativer Ansatz” (Jung 2001), “Kommunikative Didaktik” (Neuner/Hunfeld 1993), “Kommunikative Methode” (Henrici 2001) und “Kommunikative Didaktik und Methodik” (Neuner 1995).

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Zum Begriff metodo 53

Porcelli gelangt von der terminologischen Abgrenzungsproblematik zu inhaltlichen Fragen des Methodenbegriffs sowie zu Fragen der wissenschaftlichen Untermauerung einer Methode, wobei auf scientific approach im Weiteren nicht näher eingegangen wird – die Vermischung der Ebenen und Bereiche ist unübersehbar. Freddi (1994: 8) bringt Abgeschlossenheit und Komplexität des Methodenbegriffs ins Spiel – “un quadro a dir poco ambizioso per le scarse conoscenze a nostra disposizione” gegenüber einem approccio, der “più modesto e consapevole” sei. Auch er geht also davon aus, dass die Wissenschaft prinzipiell nicht im Stande sei, funktionierende, in sich geschlossene und allgemein gültige Methodenkonzepte zu entwerfen, ohne – im Sinne eines neueren Begriffsbildes – hinzuzufügen, dass dies heute auch kein Ziel mehr darstellt. Die deutschsprachige Fachliteratur hingegen streicht eher die Sinnlosigkeit eines solchen Unterfangens heraus, der Anspruch auf Wissenschaftlichkeit an und für sich wird deswegen aber nicht in Frage gestellt, wobei er allerdings nicht als Erfolgsgarantie missverstanden werden darf. So beispielsweise Heuer (1995: 484 f):

Fremdsprachendidaktik und Sprachlehrforschung erhalten den Auftrag, die bestmöglichen methodischen Verfahren zu entwickeln. Das Konzept einer einzigen optimalen Methode ist jedoch viel zu rigide, als daß es auf die große Variationsbreite der Fremdsprachenlerner und der unterschiedlichen Sprachlernziele Rücksicht nehmen könnte.

Wissenschaftliche Untermauerung und Flexibilität von ‘Methode’ stellen hier also keinen Widerspruch dar, denn für jede Situation, jeden Lerner, jedes Ziel können methodische Lösungen gefunden werden, die zwar unterschiedlich, aber dennoch wissenschaftlich fundiert sind.

5. Begriffliches Umfeld

Im begrifflichen Umfeld finden wir im Italienischen metodologia15, wohingegen der deutschen Sprache ‘Methodologie’ und ‘Methodik’ zur Verfügung stehen. Insgesamt gesehen wird aber von diesen Möglichkeiten begrifflicher Distinktion nur wenig Gebrauch gemacht. ‘Methodik’ bezeichnet eigentlich die Wissenschaft, die sich mit ‘Methoden’ im Sinn von Lehr-/Lernkonzepten und ihrem Entwurf auseinandersetzt (vgl. Jung 2001: 146 f). Sie bildet das Bindeglied zwischen den affinen Wissenschaften, der Didaktik und der ‘Methode’ selbst, eine Funktion, die, wie wir gesehen haben, im Italienischen approccio zugeschrieben wird.

15 Mit den entsprechenden Adjektiven metodologico (metodico findet in diesem

Zusammenhang keine Verwendung) sowie ‘methodologisch’ und ‘methodisch’.

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Auch metodo/metodologia werden oft synonym verwendet (vgl. Ponti 1996: 11), obwohl ‘Methodologie’/metodologia sich eigentlich wiederum eine Stufe über ‘Methodik’ befindet, da sie sich mit den wissenschaftlichen Vorgehensweisen beschäftigt: Die unterschiedlichen Ebenen werden dadurch kaum berücksichtigt. Auch das Korpus geht auf eine Unterscheidung nicht näher ein: Freddi (1994: 8) benennt den Abschnitt zur Begriffsbestimmung zwar “Come. Metodologie e tecniche d’insegnamento”, grenzt dann aber nicht ab, ebenso wie Porcelli (1994: 41), der “Metodo, metodi e metodologia” betitelt.

Viel Aufmerksamkeit widmet man in der deutschsprachigen Literatur der Abgrenzung von ‘Methodik’/‘Didaktik’. Es herrscht Konsens, dass die beiden Begriffe und damit die Ebenen sowie die Kompetenzbereiche ineinander übergehen bzw. durch die (uneinheitliche) Verwendung der Termini selbst verwischen. Einig ist man sich außerdem, dass ‘Methodik’ ‘Didaktik’ untergeordnet sei, was Neuner (1995: 181) damit erklärt, dass die Verbindung von ‘Didaktik’ zu den Wissenschaften leichter nachvollziehbar sei, während ‘Methodik’ durch die Nähe zu ‘Methode’, “die als subjektiv und apodiktisch, als ‘vorwissenschaftliche Rezeptologie’ […] kritisiert wird […]” (Neuner 1995: 181) im Laufe der Entstehung der verschiedenen Ebenen des Fachbereiches im letzten Jahrhundert eher einen Prestigeverlust erlitten habe. Im Italienischen finden wir hierzu keine Entsprechung, eine Parallele wird nur dadurch sichtbar, dass Wissenschaftlichkeit ein kontroverses Thema darstellt. Ciliberti (1994: 18) verwendet “metodo” ausdrücklich ohne jeden Anspruch auf “scientificità” oder “sperimentabilità”, Freddi (1994: 8) spricht von “quadro a dir poco ambizioso”, wenn davon die Rede ist, dass “interventi didattici scientificamente prospettati, condotti e verificati” sein sollten. Und dennoch versteht sich glottodidattica als “scienza dell’educazione linguistica” (Balboni 1999: 47) und metodo/ metodologia sind ihre Teilbereiche. Auch der Hinweis, dass approccio die “filosofia di fondo” bilde (Balboni 1999: 5) und Methoden entwerfe, müsste eigentlich automatisch dazu führen, dass auch ein wissenschaftliches Fundament vorhanden ist, wie bei Porcelli (1994: 43), der von “dati pedagogici, psicologici e linguistici” spricht. Balbonis (zit. nach Porcelli 1994: 43) grafische Darstellung der Ebenen sagt genau das: “approccio” wird “fondatezza scientifica” zugeordnet und “metodo” “adeguatezza all’approccio” und “tecnica” schließlich “adeguatezza alle sovraordinate”.

Was didattica betrifft, so beschäftigt sich im Korpus niemand mit einer Definition oder Abgrenzung zu metodologia, wahrscheinlich auch, weil die Problematik anders gelagert ist als im Deutschen: Wie bereits erwähnt, gibt es im Italienischen keine ‘Methodik’ und metodologia gegenüber didattica stellt – zumindest oberflächlich gesehen – ein geringeres Problem dar. Entspricht glottodidattica in etwa ‘Sprachdidaktik’, so haben hingegen didattica und ‘Didaktik’ nur begrenzt ein identisches Bedeutungsfeld, und zwar was den

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Zum Begriff metodo 55

Bereich ‘Wissenschaft vom Lehren und Lernen’ betrifft. Didattica umfasst außerdem noch den gesamten Bereich der ‘Unterrichtstätigkeit’ im Gegensatz beispielsweise zu ricerca/‘Forschungstätigkeit’. Vor allem seine adjektivische Form didattico, die häufig ‘Unterricht-’ bzw. ‘Lehr-’ entspricht und daher sowohl ‘methodisch’ als auch ‘didaktisch’ bedeuten kann, kann zu Unklarheiten führen.16

Betrachten wir schließlich das Definitionsverhalten aus dieser Perspektive nochmals, so erkennt man nun deutlich die Auswirkungen der undeutlichen Abgrenzung der Ebenen im Inhaltsbereich: Die Vorsicht auf der Ausdrucksebene, die, wie wir gesehen haben, in den Definitionen allgemein spürbar ist, scheint von der Angst herzurühren, nicht mehr den ‘alten Fehler’ zu begehen und versuchen zu wollen, alle Lerner und Lernsituationen in ein global gültiges methodisches Schema zu pressen. 17 Einmal ist also von methodologischen Aspekten die Rede, also von wissenschaftlichen Verfahrens-weisen, die zu empirisch begründeten methodischen Konzepten führen sollen; ein andermal ist der Aspekt ein methodischer, der also schon die Inhaltsebene betrifft, die einem ständigen Wandel unterzogen war und ist, da sie abhängig von übergeordneten gesellschaftlichen und soziokulturellen Voraussetzungen ist und von der Entwicklung der affinen Wissenschaften, die durch ständige neue Erkenntnisse zu Veränderung methodischer Vorstellungen führt. Kurz gesagt ist ein möglichst hoher Grad an Wissenschaftlichkeit18 ein Anspruch, der im Lauf der Zeit bestehen bleibt, auch wenn neue Erkenntnisse die ‘Methoden’ ständig verändern. Letztendlich ist auch die Entwicklung von der Suche nach der ‘besten Methode’ hin zu einer Vielfalt methodischer Optionen, aus denen

16 Ponti (1996: 11) führt Unklarheiten in diesem Bereich vor allem auf Vermischung

der Ebenen in den ministeriellen Richtlinien sowie die mangelnde Berufsausbildung zurück, Bausch/Christ/Krumm (1995: 19) hingegen auch auf die glottodidattica selbst: “Die bereits oben angesprochene ‘unstrukturierte Vielseitigkeit’ der glottodidaktischen Situation in Italien spiegelt sich zusätzlich noch darin wider, daß auf nationaler Ebene von glottodidattica die Rede ist, in konkreten Bereichen sich jedoch unterschiedliche, im strengen Sinne nicht miteinander kompatible und meist vor Ort zufällig entstandene Begrifflichkeiten seit längerem etabliert haben (so z. B. in Florenz: Didattica dell’insegnamento delle lingue moderne; in Bari, Pisa und Verona: Didattica delle lingue moderne; in Venedig: Metodologia didattica delle lingue straniere). Eine Tendenz zur Systematisierung dieser Vielfalt ist nicht in Sicht.”

17 Vor allem Serra Borneto (1998: 17 f) betont diesen Aspekt. 18 Von ‘möglichst hohem Grad’ muss die Rede sein, denn ‘Methodik’ und ‘Didaktik’

haben tatsächlich Bereiche, die wissenschaftlich noch nicht ausreichend untersucht wurden und oft auch ‘schwer zugänglich’ sind: Wie sehr und wie beeinflusst die Lehrerpersönlichkeit den Fremdsprachenunterricht? Warum sind subjektive Theorien im Lehrverhalten oft stabil gegen methodische Neuerungen? (vgl. Krumm 1995: 477) – um nur zwei Beispiele zu nennen.

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eklektisch je nach Zielgruppe, Lernsituation und Lernzielen auszuwählen ist, nichts anderes als ein Ergebnis wissenschaftlicher Fortschritte (und hat damit eine wissenschaftliche Begründung).

7. Fazit

Die in deutschsprachigen Texten viel diskutierte mangelnde Abgrenzung der Ebenen und somit der Begriffe wird im vorliegenden Korpus kaum thematisiert. Die Betonung liegt hier auf der Inhaltsseite: Man tendiert zur Definition dessen, was metodo im klassischen Sinn darstellt. Da diese Auffassung als überholt gilt, würden der Begriff ebenso wie seine Bestimmung überflüssig. Bei der Entscheidung zwischen einem Bedeutungswandel des ‘alten’ Begriffes – und einer daraus resultierenden Distinktion älteres/neueres Begriffsbild – und der Schaffung eines neuen, der der veränderten Situation gerecht werden soll, fällt die Wahl auf Zweiteres: Approccio wird vorgeschlagen, wobei nicht bedacht wird, dass er eigentlich als Fachterminus bereits belegt ist, wodurch wiederum eine Unterscheidung notwendig würde. Er findet dennoch großen Zuspruch, da er Offenheit signalisiert und die Konnotation mangelnder Wissenschaftlichkeit kein Problem darstellt, im Gegenteil wird dieser Anspruch bewusst zurückgewiesen, wodurch Inhalts- und Ausdrucksseite verschwimmen. Im Deutschen versucht man hingegen, ein neues Methodenbild festzulegen, der Terminus wächst mit der Entwicklung des Faches sozusagen mit, was eine Suche nach neuen Begrifflichkeiten, die die veränderte Situation präziser bezeichnen, nicht ausschließt. Was allerdings den Anspruch auf Wissen-schaftlichkeit betrifft, so wird er als Grundsatz nicht in Zweifel gestellt und bildet eine conditio sine qua non. Die Abgrenzungsproblematik besteht in beiden Sprachen weiterhin: Sie führt von der terminologischen Diskussion zur methodologischen, zur methodisch-didaktischen, und somit immer wieder zurück zu den inhaltlich kontroversen Themen des Faches. So betrachtet kann die Auseinandersetzung mit der Ausdrucksseite durchaus positive Auswirkungen auf das Fach selbst haben, ebenso wie sich die Vermischung der Ebenen dann als fruchtbar erweisen kann, wenn sie als interdisziplinärer Austausch verstanden wird. Sprachen stellen nicht nur im Alltag sondern auch in den Wissenschaften die ihnen eigene Realität dar, die über die Form erschlossen und analysiert werden und so durchaus zur gegenseitigen Bereicherung beitragen kann.

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Zum Begriff metodo 57

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DOMINIO TEMPO-ASPETTUALE E DISTRIBUZIONE DEI TEMPI NEL TESTO: APPLICAZIONI DIDATTICHE

Stefano Ondelli

Grammaire – L’apprendre aux enfants dès le plus bas âge comme étant une chose claire et facile.

Flaubert - Dictionnaire des idées reçues

Il presente contributo è inteso a rendere conto di alcuni aspetti legati alla didattica dei tempi verbali del passato dell’indicativo nell’ambito delle esercitazioni di lingua italiana per gli studenti di madrelingua straniera del corso di laurea triennale in interpretazione e traduzione della SSLMIT di Trieste. La causa dei particolari problemi che i discenti L2 incontrano tradizionalmente nel controllo dell’alternanza dei tempi passati è da ricercare nelle difficoltà nel gestire l’opposizione tra aspetto perfettivo e imperfettivo da una parte e aspetto compiuto e aoristico dall’altra. Un tentativo di dirimere la questione può essere affidato a un approccio che combini il modello più “grammaticale” proposto da Bertinetto (1986) e quello più marcatamente “stilistico” di Weinrich (1978) nell’applicazione pratica a generi testuali letterari e non letterari.1

Il sistema verbale rappresenta, insieme a quello dei pronomi, un ambito della

morfologia dell’italiano particolarmente articolato e ricco di forme. Non è un caso, in effetti, che esso risulti essere uno dei sottosistemi morfologici maggiormente investiti dai processi di ristandardizzazione da tempo oggetto dell’attenzione degli studiosi.2 Inoltre, a queste “pesantezza” e sovrabbondanza

1 Nel prosieguo del testo verrà adottata, con adattamenti minimi, la terminologia che

compare in Bertinetto 1986, con le relative abbreviazioni: MA-momento dell’avvenimento; ME-momento dell’enunciazione; MR-momento di riferimento; LT-localizzatore temporale; PRE-presente indicativo; PFC-perfetto composto indicativo (passato prossimo); PFS-perfetto semplice indicativo (passato remoto); IPF-imperfetto indicativo; PPF-piuccheperfetto indicativo (trapassato prossimo); FT-futuro semplice indicativo; CDC-condizionale composto.

2 Nella letteratura degli ultimi vent’anni, le osservazioni in proposito sono particolarmente numerose, a partire dalla proposta di Sabatini (1985), che individua l’etichetta di “italiano dell’uso medio”. Ci limitiamo a menzionare la panoramica di ampio respiro sul repertorio sociolinguistico dell’italiano contemporaneo offerta in Berruto 1987 e la sistematizzazione dei fenomeni che riguardano la variazione diamesica contenuta in Berretta 1994 (sul sistema verbale e pronominale in special modo, si veda il paragrafo 5.1). Nello specifico del sottosistema verbale, si vedano Berretta 1992 e 1993, in particolare il paragrafo 3.2.

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si aggiunge un’ulteriore fonte di difficoltà, data dalla compresenza e opposizione reciproca di forme le cui distinzione e definizione funzionali risultano alquanto sfuggenti anche per la comunità dei parlanti nativi. È il caso della selezione di congiuntivo o indicativo in talune proposizioni subordinate, o dell’alternanza tra perfetto semplice e perfetto composto (Cortelazzo 1997: 199). Tali complessità e opacità non possono non avere delle conseguenze in ambito didattico, sì che quello della selezione del tempo e del modo verbale è da più parti considerato problema spinoso, in particolar modo al momento della correzione di elaborati scritti. Il pericolo per l’insegnante è quello di affidarsi a valutazioni in gran parte impressionistiche o al richiamo a supposti principi stilistici la cui incontrovertibilità risulta non di rado dubbia (come, per es., la necessità di operare una scelta tra perfetto semplice e composto e di attenervisi in maniera costante nel corso del testo). Rispetto a tali incertezze, molti insegnanti dimostrano una certa consapevolezza, se non preoccupazione, dal momento che il verbo viene giustamente visto come elemento centrale tra le risorse atte a garantire la riuscita della costruzione del testo e la sua articolazione in un tutto coeso (Bagioli-Deon 1986: 61).3

Se è dunque lecito affermare tout court che, dal punto di vista della didattica, quello verbale costituisce un ambito caratterizzato da notevole importanza e non poche difficoltà di gestione, tanto più ci si può attendere che considerazioni analoghe risultino valide anche per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda.4 Per esempio, gli informanti sottoposti ad autovalutazione da Vedovelli (1990: 189 e segg.) individuano nel sistema verbale e, al suo interno, nella temporalità, una delle difficoltà principali dell’apprendimento dell’italiano, e anche la grammatica di Fogarasi (1984) indica nella complessità del sistema verbale uno degli scogli principali per gli stranieri. Tale complessità è confermata durante i primi stadi dell’apprendimento, quando l’impiego di una sorta di foreigner talk è caratterizzato dalla presenza di forme non flesse e dalla sovraestensione dell’infinito (Schwarze 1990: 327). Il problema del controllo delle risorse morfologiche rispecchia ovviamente l’elaborazione delle strategie di espressione di temporalità, aspetto e modalità. Per quanto concerne lo sviluppo di interlingue nel processo di acquisizione dell’italiano L2,

3 Anche in GISCEL Veneto 1995 si sottolinea come gli interventi correttivi degli

insegnanti risultino spesso inappropriati, soprattutto per la mancanza di una giustificazione esauriente. Il problema non è di poco conto alla luce delle difficoltà insite in questo ambito, che continua a essere caratterizzato dalla necessità di condurre indagini mirate: “è nota la difficoltà degli studenti a dominare, in un testo proprio, la fitta rete dei tempi verbali; ma forse sono meno note, perché meno indagate, le difficoltà a capire i criteri che regolano l’uso dei tempi nei testi scritti da altri” (ibid.: 150).

4 Giacalone Ramat (1993: 369) sottolinea la centralità del verbo, in quanto nucleo della predicazione, anche nella didattica dell’italiano L2.

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semplificando al massimo, la sequenza base di apprendimento sembra essere la seguente (Giacalone Ramat 1993: 369):

presente > (aux) + part. pass. > imperfetto > futuro > condizionale > congiuntivo.5

A partire dalla raccolta di contributi proposti in Giacalone Ramat 1986, negli ultimi vent’anni la ricerca nel campo dell’italiano L2 ha costituito l’oggetto di notevole interesse, in gran parte risultante dalle mutate condizioni sociali del Paese, per la prima volta oggi alle prese con flussi migratori in arrivo di cui occorre iniziare a tenere conto anche a livello del sistema scolastico.6 Tuttavia è necessario sottolineare che la maggior parte degli studi disponibili riguarda in particolare l’apprendimento spontaneo o per lo meno scarsamente “istituziona-lizzato” di lavoratori immigrati, e poco si presta a un confronto con il caso che ci interessa. Ciò detto, questi studi risultano innegabilmente utili per individuare nel sistema verbale un’area problematica per l’apprendimento della lingua e stabilire al suo interno gli ambiti caratterizzati dalle maggiori difficoltà per quanto concerne il controllo delle strutture.

Venendo all’oggetto del presente contributo, occorre rilevare che gli studenti

stranieri che si iscrivono alla SSLMIT presentano un profilo che li contraddistingue nettamente dai soggetti considerati nelle ricerche ricordate sopra. Innanzitutto hanno superato un esame teso a stabilire che la loro conoscenza della lingua italiana è sufficiente a seguire corsi universitari. Per quanto una certa variazione sia inevitabile, il livello è in media sicuramente

5 A questo proposito, Banfi (1993) offe un interessante excursus sugli studi

disponibili relativi all’apprendimento del sistema verbale, con i relativi commenti sull’influenza di L1 (tedesco e inglese) in termini di morfologia e distinzione aspettuale. Si vedano anche le osservazioni contenute in Berretta 1995 e le tabelle proposte da Vedovelli (2002: 168-170), che riassumono i risultati delle ricerche condotte nell’ambito del “Progetto Pavia”. La marca morfologica dell’imperfettività nel passato compare in uno stadio relativamente avanzato, successivamente alla semplice opposizione tra presente/passato compiuto, mentre è interessante notare come il PFS risulti del tutto assente.

6 Da una prospettiva più marcatamente testuale, gli studi in questo settore si sono occupati del ruolo centrale svolto dal verbo nella strutturazione di testi narrativi (Lo Duca 1999), in particolare per quanto concerne la selezione di opzioni meno marcate in senso aspettuale, l’eliminazione delle sequenze descrittive e commentative dalla narrazione e l’alternanza di sfondo e primo piano. Si confrontino anche i risultati che emergono in Orletti 1995, secondo i quali i parlanti L2 si sforzerebbero di mantenere sia strutture di foregrounding, sia di backgrounding, ricorrendo anche a strategie non-verbali.

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alto7, e per di più destinato a innalzarsi velocemente nel corso del primo anno di studi (al termine del quale sono state realizzate le esercitazioni che ci accingiamo a descrivere). In effetti, gli studenti non solo si trovano a vivere in un contesto italofono, ma il corso di laurea che affrontano li spinge a concentrarsi esplicitamente sul confronto interlinguistico, rafforzando quella competenza metalinguistica di cui è presumibile siano già parzialmente dotati, almeno a livello intuitivo. Si deve infatti considerare che, nella maggior parte dei casi, l’esame di ammissione al triennio finisce per accertare la conoscenza dell’italiano non solo L2, ma anche di un’altra lingua straniera. Le prove di traduzione avvengono da e verso l’inglese, il francese o il tedesco, che solo nella minoranza dei casi possono corrispondere alla lingua madre dei candidati.

Alla luce di tale profilo, due sono gli ordini di problemi che si palesano in sede didattica. In primis, emergono le inevitabili lacune e incertezze che caratterizzano chi non ha ancora completato il percorso di apprendimento di una lingua straniera (ammesso che di completamento si possa mai parlare). Per esemplificare, in concreto lo studente può essere consapevole dell’opposizione fra IPF e perfetti, ma si imbatterà spesso e volentieri in casi – non necessariamente marginali e talvolta fonte di una certa frustrazione – in cui tale distinzione si fa labile e viene confusa anche in virtù dell’influenza della lingua madre o delle altre lingue di studio. In secondo luogo, raramente gli studenti dispongono in partenza di un apparato metalinguistico adeguato a sistematizzare le scelte che possono essere dettate dall’intuizione. In altre parole, oltre al problema di quando usare un dato tempo verbale piuttosto che un altro, sorge anche la necessità di spiegare consapevolmente perché una soluzione risulti, se non patentemente corretta, almeno preferibile.

Un ulteriore fattore da considerare è dato dalla combinazione linguistica dei singoli discenti. Come si è detto, per quanto si possa dare per accertata una certa competenza in italiano e in almeno una delle tre lingue di ammissione, la lingua madre può variare. In genere tra gli iscritti domina nettamente il gruppo slavo (repubbliche ex-jugoslave, in special modo croati e sloveni, ma anche cechi e slovacchi). Il secondo gruppo è rappresentato dalle lingue germaniche (tedescofoni e anglofoni sopra tutti, con qualche sporadico rappresentante delle lingue scandinave), mentre meno numeroso è il gruppo neolatino (qualche francese, rari ispanofoni e parlanti portoghese, sia europei che brasiliani). Per il resto non si hanno gruppi numericamente significativi, ma singoli rappresentanti greci, albanesi, finlandesi, cinesi e di altre nazionalità. Ovviamente, questa eterogeneità rappresenta una complicazione non di poco conto. È infatti innegabile che la gestione del dominio tempo-aspettuale dell’italiano risenta 7 Approssimativamente, la competenza di chi supera l’esame di lingua italiana si

attesta al livello C (Proficient user) del Common European Framework of Reference for Languages.

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delle caratteristiche della L1 degli apprendenti. Per limitarci ai tempi del passato dell’indicativo, si consideri l’assenza dell’omologo dell’IPF nelle lingue germaniche o la diversa alternanza dei due perfetti in seno alle lingue romanze.8

8 Sul fatto che le lingue romanze si trovino in condizioni differenti per quanto

riguarda l’opposizione PFC-PFS, cfr. Squartini-Bertinetto 2000: 406. La diversa L1 degli apprendenti determina variazioni nella velocità e nell’ordine di acquisizione di certi tratti. Per esempio, come è intuitivo attendersi, l’IPF compare precocemente nell’interlingua degli ispanofoni (cfr. Schmid 1994: 192), anche se, nell’esperienza di chi scrive, può sorgere qualche resistenza nel recepimento di alcuni valori modali, per es. laddove l’IPF può rappresentare un’alterativa al congiuntivo. Non sembrano invece sorgere particolari problemi in relazione al sottosfruttamento del PFS (più vivo in spagnolo) in mancanza di input esterni dalle varietà settentrionali dell’italiano; piuttosto l’unico problema è dato dalla selezione del corretto ausiliare per il PFC. Sugli errori di parlanti inglesi e tedeschi con i verbi del passato in italiano cfr. Giacalone Ramat 1993: 376 nota 20. Per es., nello studio condotto da Bernini (1990: 167), data la non-distintività di Präteritum e Perfekt, una parlante adulta tedesca opta per il PFC, appunto perché più comune, come forma volta a coprire anche l’ambito dell’IPF. Gli apprendenti inglesi mostrerebbero invece maggiore consapevolezza, anche se rivelano scarsa sistematicità gli usi modali, che iniziano a emergere in stadi di apprendimento più avanzati. Per quanto concerne il dettaglio nel confronto con l’inglese si rimanda a Bertinetto 1992, ma anche il completissimo studio sui tempi dell’indicativo in Bertinetto 1986 è disseminato di rimandi all’inglese, soprattutto per quanto concerne la distinzione aspettuale tra Present Perfect e Simple Past (più netta rispetto a quella che intercorre tra PFC e PFS) e la mancata morfologizzazione dell’IPF, che conduce alla selezione di risorse diverse per rendere gli aspetti progressivo e abituale.

Per rimanere alla composizione della popolazione studentesca della SSLMIT, di altra natura sono i problemi che riguardano le lingue slave, poiché in questo caso si aggiungono difficoltà di ordine terminologico. Miklič (1992: 192) nota che la distinzione tra IPF e PFC non corrisponde a quella tra verbi perfettivi (dovršniki) e imperfettivi (nedovršniki) in sloveno. Le lingue romanze, infatti, tendono a morfologizzare esplicitamente la coppia “referenza temporale/aspetto”, relegando al lessico la categoria dell’azione, mentre le lingue slave non segnalano l’aspetto: “while the notions of temporal reference and aspect (although ultimately of semantic nature) are primarily anchored to the inflectional specifications available in each language, actionality is essentially rooted in lexicon. Thus, the last category normally lacks an overt morphological marking, but it may have one. This is typically the case with the verbal lexicon of the Slavic languages, where the manifestation of the basic opposition “Perfective/Imperfective” (fundamentally ascribable, as we will show, to the category of actionality, rather than aspect proper) belongs, in most cases, to the domain of derivative morphology” (Bertinetto-Delfitto 2000: 190; cfr. in particolare il paragrafo 4). Per ovviare alla confusione, si potrebbe distinguere tra terminative/non terminative per l’aspetto e bounded/unbounded per l’azione. Queste osservazioni valgono soprattutto per il russo, mentre le altre lingue slave si troverebbero in stadi diversi dello sviluppo che conduce alla fusione dei valori azionale e aspettuale. Fanno eccezione bulgaro e macedone, che mantengono un sistema molto complesso e ricco di sfumature.

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In virtù delle considerazioni svolte sopra, sembra imprescindibile che, nella formazione di un futuro traduttore o interprete, venga concesso ampio spazio all’elaborazione di modelli teorici che consentano di pervenire a una gestione più consapevole delle risorse linguistiche a disposizione. Per tornare alla questione che ci interessa, un percorso didattico esauriente non può limitarsi a esaudire bisogni comunicativi immediati, né a impartire nozioni meramente formali. Piuttosto che passare semplicemente dalle forme e dai nomi dei verbi al loro uso, sarebbe utile sviluppare negli studenti la consapevolezza di concetti quali tempo, aspetto, azione e modalità, e inquadrarli in una prospettiva che risulti il più efficace possibile per chi è destinato a lavorare su esempi concreti di realizzazioni testuali. A questo scopo può essere utile dedicare spazio a una breve disamina di corsi e grammatiche di lingua italiana per stranieri, con il duplice obiettivo di delineare un quadro ipotetico delle conoscenze pregresse degli studenti che iniziano il percorso universitario e nel contempo identificare un possibile ventaglio di strumenti didattici di supporto da utilizzare per lo studio individuale.

Alle osservazioni sui difetti e le lacune che tradizionalmente hanno

caratterizzato le grammatiche scolastiche9, nella letteratura non corrisponde un interesse paragonabile per i contenuti di grammatiche e corsi di italiano come lingua seconda.10 Nella presunzione che molte delle conclusioni che riguardano i testi per parlanti nativi siano valide anche per gli omologhi destinati agli stranieri, limitiamo il nostro breve excursus alla trattazione dei tempi passati dell’indicativo, con particolare riferimento alla presenza di indicazioni metaliguistiche esplicite.

Accanto a testi in cui schemi e compendi grammaticali risultano del tutto assenti, e che verosimilmente lasciano ampio spazio all’integrazione da parte dell’insegnante sulla base delle letture e degli esercizi proposti (per es. Bettoni-Vicentini 1986, Marmini-Vicentini 1986, Navile 1994), solo alcune delle grammatiche più datate (per es. Battaglia-Varsi 1978, Battaglia 1981 e 1974; quest’ultimo esempio sorprende poiché, trattandosi di una grammatica esplicitamente dedicata agli ispanofoni, sarebbe stato lecito attendersi una prospettiva più marcatamente contrastiva) si limitano ad offrire approcci meramente formali. Laddove invece sono presenti delucidazioni più o meno estese a proposito degli ambiti d’impiego dei tempi, in genere, mentre il PFC viene introdotto semplicemente come tempo del passato, maggiore attenzione è dedicata all’IPF, evidentemente percepito come uno dei punti problematici

9 Per un’illustrazione completa del dibattito in Italia, cfr. Lo Duca 2003 cap. 4. 10 Sull’accoglimento dei tratti nel neostandard in grammatiche e corsi di lingua italiana

per stranieri, cfr. Benucci 1992.

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dell’italiano.11 Di quest’ultimo si tende a sottolineare eccessivamente il concetto di durata dell’evento, che va a sovrapporsi e confondersi con quello di imperfettività o incompiutezza (solo talvolta si evidenzia che l’uso dell’IPF non è connesso alla durata dell’evento descritto, come in META 1992). Alle tradizionali accezioni di PRE nel passato (ieri a quest’ora dormivo), simultaneità di due azioni (Maria leggeva e Mario suonava il piano), evento visto nel suo svolgimento (leggevo, quando è suonato il campanello), iterazione (a Trieste andavo spesso al cinema; ma non sempre se ne sottolinea l’indeterminatezza), possono aggiungersi gli usi modali: molto comuni l’IPF di cortesia (volevo un etto di prosciutto) e ipotetico dell’irrealtà (se venivi alla festa ti divertivi), meno quello potenziale (dovevi dirmelo subito!) e imminenziale (per poco non finivo sotto l’autobus), rare le menzioni degli impieghi onirico (nel sogno aprivi la porta ed entravi in casa) e ludico (facciamo che io ero il principe e venivo a salvarti). Raro anche il riferimento all’accezione narrativa (alle 12.30 il sospettato entrava in banca ed estraeva una pistola) e all’uso come FT nel passato (ha detto che veniva), evidentemente percepito come substandard.

Occorre ricordare che, ovviamente, trattandosi di corsi di lingua spesso destinati anche a principianti, molto di rado la riflessione grammaticale scende nel dettaglio. Tuttavia, emergono ulteriori tentativi di specificare gli impieghi dell’IPF a prescindere dalla prospettiva assunta dal parlante circa la costituzione interna dell’evento narrato. Si procede, per così dire, a un approccio più distribuzionale o estensionale, in ragione del quale si afferma che l’IPF viene impiegato precipuamente nella resa di states of mind, health, physical conditions (Andreis 1982: 109). Si sottolinea come questo tempo palesi la tendenza a comparire in descrizioni e circostanze secondarie che fungono da sfondo (setting e scene) ad una successione di eventi espressi dai perfetti (cfr. Ciulla 2002 e in particolare Lymbery 1996, che spiega come l’italiano, a differenza dell’inglese, abbia due tempi passati, uno specializzato per le azioni completate e uno destinato a definire il setting in cui queste avvengono).12

11 Sull’apprendimento dell’imperfetto, cfr. Bernini 1990: 157, che appunto ricorda le

difficoltà legate alla polifunzionalità in senso aspettuale, temporale e modale. Terzo tempo ad emergere dopo PRE e participio passato, nell’apprendimento compare innanzitutto in enunciati indipendenti con valore di sfondo, preferibilmente all’inizio o alla fine di una sequenza narrativa, e solo in un secondo momento l’uso si estende a frasi secondarie.

12 Non mancano distinzioni estemporanee per le quali è arduo trovare giustificazione. Per es. in Ciulla 2002 si individua una sorta di impiego proprio dei flash-back in contesti del tipo: Dov’eri nella notte tra il 3 e il 4 novembre? In Andreis 1982 si sostiene invece che un impiego ricorrente dell’IPF sarebbe rivenibile in costrutti impersonali del tipo: era ora che, era necessario che, era peggio del previsto.

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Di norma, come ci si può attendere, l’IPF viene definito in opposizione al PFC, il tempo preposto alla resa di eventi completati e aventi occorrenza unica (semelfattività), visualizzabili in sequenza sulla catena temporale e aventi carattere dinamico. Che sia il PFC a fungere da pietra di paragone è giustificabile in base al semplice fatto che si tratta del primo tempo del passato a essere reso disponibile al discente ed è giocoforza presentato come modello unico della perfettività nel momento in cui viene introdotto l’IPF. Inoltre, in alcuni corsi per principianti, il PFS non compare del tutto (per es. Ciulla 2002 e META 1992, in cui si accenna alla sua esistenza e si rimanda al secondo livello in META 1993). Ne consegue che del PFC si evidenzia esclusivamente il valore perfettivo, in quanto passato riguardante azioni completate tout court, senza ulteriori spiegazioni. Maggiori dettagli compaiono quando invece viene contrapposto esplicitamente al PFS o se il corso di italiano è destinato ad anglofoni, nel qual caso si sottolinea che, a prescindere dalle analogie formali, il PFC non corrisponde al present perfect (Andreis 1982, Lymbery 1996). Oltre ai valori di compiutezza e semelfattività, il PFC viene allora inquadrato in termini di rilevanza o prossimità psicologica e cronologica rispetto al ME e di norma si evidenzia che la mera distanza temporale non rappresenta un fattore discriminante, in virtù di esempi del tipo: sono nato nel 1971 vs Kafka nacque nel 1883. Di converso, il PFS si configura come il tempo utilizzato per riferirsi a un evento concluso definitivamente, privo di ogni legame con il ME, percepito dal parlante come psicologicamente lontano. Il fatto che il PFS sia introdotto tardi nel corso o sia destinato agli advanced learners, ben dopo gli altri tempi del passato, indica implicitamente che si tratta di una risorsa sottosfruttata e marcata per formalità del registro. In genere, se le osservazioni grammaticali non si limitano a menzionare il principio della distanza psicologica (la scelta più comune), il commento più frequente è che si tratta del tempo tipico delle narrazioni, soprattutto in testi letterari, e dei resoconti storici.13 Piuttosto rari risultano eventuali riferimenti espliciti alla variazione diamesica, mentre leggermente più comune è il richiamo alla contrapposizione dei due perfetti in diatopia.14

13 “[It] is the typical tense of a report or narrative passage, while the perfect is more

easily associated with a description. The past definite [cioè: PFS] is also the usual tense of historical reports of events. It is often linked to a date, hour, month, year day, age, or to certain expressions indicating a specific moment […]” (Andreis 1982: 130).

14 Fa eccezione il testo di Bozzone Costa (1995), che affronta in maniera sintetica ma dettagliata gli aspetti grammaticali presentati nelle varie unità didattiche. Qui ci si concentra non solo sulla differenza tra il concetto di perfettività e imperfettività, ma ci si sforza di distinguere tra PFC e PFS non ricorrendo solamente all’idea generica di distanza/prossimità psicologica. Il PFS viene presentato all’incirca come una variante stilistica del PFC, dominante nella narrazione scritta formale e nella

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Il materiale didattico esaminato permette di trarre le seguenti conclusioni. Il PFC è il primo tempo del passato che viene proposto agli studenti, conforme-mente alla sequenza che caratterizza anche l’apprendimento spontaneo. Le sue condizioni d’uso emergono per mezzo del contrasto con l’IPF, cui viene dedicata notevole attenzione, mentre non altrettanto frequente né esteso è il confronto esplicito con il PFS, che anzi può risultare assente in quanto quest’ultimo è risorsa destinata all’uso formale, scritto e letterario, e dunque accessibile solo ai parlanti esperti. Ad ogni modo, e non potrebbe essere altrimenti, anche nei corsi di livello più avanzato la riflessione metalinguistica risulta ridotta al minimo e raro è il ricorso a nozioni quali aspetto o azione verbale, che comunque tendono ad essere confuse.

Diversa è ovviamente la situazione se si considerano le grammatiche mirate ad una descrizione più esauriente della lingua italiana. Si tratta di testi che possono essere considerati “per stranieri” solo per il fatto di essere redatti in una lingua diversa dall’italiano e/o di essere almeno in parte caratterizzati da un impianto contrastivo. Degli esempi consultati, solamente la peraltro ottima grammatica di Lepschy e Lepschy (1981), pur dedicando un esauriente paragrafo all’uso dei tempi del passato dell’indicativo, non tratta esplicitamente della categoria dell’aspetto verbale. Questa viene invece affrontata negli altri testi, particolarmente quando si tratta di distinguere tra IPF e perfetti, e ad essa si aggiungono nozioni riconducibili alla terminologia di Weinrich nella distinzione tra sfondo e primo piano. 15 Risulta invece sempre problematico inquadrare l’opposizione PFC-PFS, precisata in base alla distanza psicologica (e non temporale) dell’evento e alla variazione diatopica. In particolare è il PFS a essere definito in virtù della sua appartenenza all’universo scritto e delle tipologie testuali di cui sarebbe tipico (testi narrativi, resoconti storici). Ne consegue che in generale si ottiene un quadro approssimativo della distribuzione dei perfetti in base alla rispettiva dominanza di alcuni tipi testuali mentre, per quanto concerne la loro compresenza, l’unica nozione, inevitabilmente vaga, cui il discente può riferirsi è quella di prossimità psicologica.16

rievocazione storica, in testi generalmente caratterizzati dall’alta frequenza dei pronomi di terza persona, laddove il PFC è destinato alla narrazione orale o scritta informale.

15 Cfr. soprattutto Schwarze 1995, ma anche scene e setting, foregrounding e backgrounding in Proudfoot-Cardo 1997 e Maiden-Robustelli 2000. Lo spazio dedicato all’IPF non può sorprendere, trattandosi di grammatiche destinate a parlanti lingue germaniche.

16 È interessante notare che anche Proudfoot-Cardo 1997 (tra l’altro esplicitamente debitore di Salvi-Vanelli 1992) e Schwarze 1995, ovvero i due testi che più si occupano della sistemazione terminologica del problema dell’aspetto, dedicano ampio spazio alle differenze che intercorrono tra perfettivo e imperfettivo, con riferimenti anche espliciti all’opposizione di sfondo/primo piano, mentre tendono a

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Passando alle grammatiche italiane, almeno a quelle di più facile consul-tazione o destinate ai licei, e che comunque possono essere considerate accessi-bili agli studenti della SSLMIT, forse è da rivedere almeno in parte l’annota-zione di Lo Duca (2003: 202) secondo la quale le grammatiche scolastiche spesso e volentieri non hanno tenuto conto della categoria dell’aspetto. In realtà, se è vero che i testi più tradizionali tacciono sull’argomento (per es. Dardano-Trifone 1989) o propongono una sistemazione che confonde tra aspetto e azione, o risulta incompleta 17 , oggi sono disponibili proposte esaurienti in questo senso (Salvi-Vanelli 1992; Tavoni 1999, Salvi-Vanelli 2004), che possono offrire un valido supporto per permettere agli studenti di elaborare un armamentario teorico adatto a consolidare la propria competenza metalinguistica. Ciononostante, è indubbio che, nel contempo, nel corso delle esercitazioni sia necessario fornire strumenti di supporto che permettano di rafforzare le nozioni di base cui gli studenti possono accedere individualmente, e ci sembra che tale compito sia svolto in maniera più efficace integrando lo studio delle strutture sintattiche con un approccio che preveda l’analisi di realizzazioni testuali concrete.

Per fare un esempio, abbiamo visto che di norma le grammatiche per stranieri dedicano notevole spazio all’opposizione aspettuale più marcata del sistema verbale, cioè quella tra perfettivo e imperfettivo. Gli studenti sono invariabilmente coscienti della presenza di un “terzo tempo” del passato ed in un primo momento, con l’aiuto della grammatica, il docente si dovrà preoccupare di porre rimedio all’eventuale confusione tra il valore semantico portato dalla morfologia verbale e il contenuto semantico dell’elemento lessicale. Sottolineando la differenza tra aspetto e azione, sarà possibile quindi liberare gli studenti dalla falsa convinzione – come si è visto, spesso non smentita dalle grammatiche – che l’impiego dell’IPF sia legato alla durata dell’evento descritto. Analogamente, sottolineando l’imprescindibile indetermi-natezza circa la conclusione dell’evento, sarà possibile specificare più in dettaglio “regole” quali quella che prescrive l’IPF per indicare nel passato la ripetizione di un’azione (vero, ma solo se numericamente indeterminata: A Londra andavo spesso al pub vs A Londra sono andato al pub (solo) tre volte) o l’occorrenza di eventi simultanei (mentre la sequenzialità dei perfetti è il prodotto di un’implicatura e va correlata alla nostra conoscenza del mondo, come è semplice dimostrare: ieri ho mangiato e bevuto tutto il giorno).18 Inoltre,

glissare sull’opposizione tra aspetto compiuto e aoristo e, di conseguenza, dalla prospettiva riconducibile a Weinrich si espunge l’opposizione racconto-commento.

17 Per es. Sabatini 1984 e Trifone-Palermo 2000. Interessante notare la proposta di Altieri Biagi (1991) circa il concetto di “aspetto semantico”, che sembra corrispondere a quella che Bertinetto (1986) definisce “azione”.

18 Cfr. Comrie 1985: 25-26.

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troppo spesso le grammatiche non riescono a cogliere ed evidenziare il valore convenzionale di certe scelte operate in ottica testuale. Per fare un esempio, una volta accettato il valore di semelfattività dei perfetti, contrapposto all’indefinitezza dei confini temporali dell’IPF, può capitare che gli studenti si chiedano perché il classico incipit delle fiabe (C’era una volta…) preveda l’IPF, quando evidentemente l’evento raccontato deve considerarsi episodio passato, concluso e distante temporalmente e psicologicamente, per di più accompagnato da una specificazione temporale (una volta), tratto che le grammatiche spesso associano alla comparsa del PFS, tra l’altro generalmente definito come il tempo dominante dei racconti di fantasia. La domanda potrebbe sembrare ingenua, visto l’evidente valore di sfondo che in genere caratterizza le prime fasi del racconto, se non fosse che l’italiano, nella sua storia, ha conosciuto abitudini e convenzioni affatto diverse. 19 In altri termini, è necessario far capire agli studenti che la categoria dell’aspetto determina “regole” che possono risultare meno rigide di quelle vigenti in altri ambiti della morfologia. Se la scelta tra singolare e plurale è praticamente obbligata dal co-testo (con la parziale eccezione delle concordanze ad sensum), quella tra imperfettivo e perfettivo lascia maggiore libertà. Lo studente deve imparare a non meravigliarsi se, alla domanda “devo usare l’IPF o il PFS?”, si sente rispondere “dipende” (prospettiva peraltro piuttosto frustrante quando si è alla ricerca di certezze linguistiche) perché entrambe le opzioni possono essere aperte, purché si sia coscienti di quale sarà l’effetto sortito in termini semantici e, last but not least, quale scelta sia la meno deviante rispetto a una tacita norma legata a considerazioni testuali e stilistiche. Iniziare una fiaba con tanto e tanto tempo fa un re regnò su un paese lontano non può essere considerato un “errore grammaticale” ed è dunque un’opzione possibile, anche se regnò, oltre ad avere un significato diverso, è statisticamente meno probabile di regnava, non si conforma ai canoni del genere fiabesco e probabilmente comporterà una serie di scelte successive a cascata in relazione alle sequenza dei tempi verbali del testo.

Un altro problema riguarda l’opposizione tra i due perfetti, su cui i corsi di lingua e certe grammatiche tendono a glissare. Come si è già avuto modo di ricordare, si tratta di una questione piuttosto confusa anche agli occhi dei parlanti nativi, confusione che deriva proprio dalla parziale sovrapposizione tra 19 Il fenomeno è stato studiato in dettaglio da Ambrosini (1960) e fa pensare che

l’italiano antico operasse una distinzione su base aspettuale più rigida di quanto non avvenga oggi. In particolare, si contrapponevano sistematicamente una visione “d’insieme” dell’evento nella sua completezza e una visione che prevedeva la sua inclusione imperfettiva in un quadro temporale definito. Tale distinzione poteva avvenire anche in enunciati contigui e riguardare costrutti attributivi esprimenti proprietà caratteristiche di un individuo o un luogo; per es. “Maestro Antonio da Ferrara fu un valentissimo uomo quasi poeta, e avea dell’uomo di corte; ma molto era vizioso e peccatore” (Novellino).

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PFC e PFS. Se è facile parlare di “metafora aspettuale” per l’impiego dell’IPF in accezione narrativa (e ogni parlante sa riconoscere gli usi “devianti”), più difficile risulta applicare la medesima strategia ai casi in cui la marca morfologica della compiutezza va a invadere la collocazione sintattica dell’aoristo.20 A parte i rari casi in cui il co-testo immediato impone la scelta21, stabilire dei confini precisi tra i due perfetti in italiano è compito arduo in virtù dalla ben nota avanzata del PFC a coprire gli ambiti d’uso del PFS e del variare del comportamento della popolazione in diatopia. Come se non bastasse, questa situazione già sfumata viene resa ancora più confusa e cangiante dall’incrocio con le diverse tipologie testuali.22

Per rendere conto di tali problemi, ai fini didattici può essere utile affrontare l’analisi di realizzazioni testuali effettive, che permettano agli studenti di applicare concretamente gli strumenti analitici di cui dispongono. Dopotutto, se la disamina dei tempi verbali rende obbligatorio il ricorso al contesto per giungere a una definizione chiara dei fenomeni (si pensi alla semplice differenza che intercorre in termini azionali tra scoppiare e scoppiare di gioia), sembra opportuno ampliare la prospettiva adottata alle tendenze distributive in seno a

20 Sembra insomma lecito parlare di neutralizzazione; cfr. Lindstedt 2000 par. 4:

“When a perfect can be used as a narrative text […], it has ceased to be a perfect”. Ciò sarebbe avvenuto nel tedesco meridionale, nei dialetti italiani settentrionali, nel sardo e nella varietà parlata del francese, tanto che il perfetto composto stricto sensu sarebbe diventata una “maritime category”, presente nelle lingue del perimetro del continente europeo. La dizione “metafora aspettuale” è stata proposta da Berrettoni (1972) e ripresa da Bertinetto (1997: 135-136): “se assumiamo che la metafora consista essenzialmente, nella sua manifestazione più tipica, nell’inserimento di una parola (o sintagma) in un contesto semanticamente ‘controdeterminato’, apparirà chiaro che tale nozione può essere facilmente ampliata, fino a includere analoghe violazioni delle attese che si registrano in ambiti diversi da quelli lessicali”. L’impiego “metaforico” dell’IPF prevede appunto l’inserimento di un tempo il cui valore di base è imperfettivo in un contesto perfettivizzante.

21 Si vedano, per esempio, l’incompatibilità dell’avverbiale “da X tempo” con il PFS, o la diversa accezione assunta da “già” in concomitanza con un aoristo o un perfetto compiuto (Bertinetto 1986: 196 sgg.).

22 Cfr. in Squartini-Bertinetto 2000: 422 la tabella in cui si riporta distribuzione dei due perfetti nelle lingue romanze in base ai tipi testuali e (ibid.: 423) la tabella sulla variazione interna in diatopia in italiano: “The general conclusion that seems to emerge from this [sic] data is the following. The communis opinio that Northern Italian speakers tend to extend the CP [Compound Past] to all contexts turns out to be true to a very large extent, although in semi-formal situations (such as the completion of a questionnaire) the SP [Simple Past] occurs relatively often in narrative contexts. As to Southerners, in the type of situation considered, they dramatically diverge from Northerners, but also from Central speakers. It should be noted, though, that this is merely a probabilistic tendency, rather than a sharp contrast of grammaticality. In actual usage, a fair amount of variability is to be observed, at least in the less characteristic contexts” (ibid.: 426).

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testi interi. In base a tale scelta, durante il primo anno agli studenti del corso di lingua italiana vengono proposti gli strumenti teorici che troveranno applicazione nell’analisi dei testi, strumenti che qui riassumiamo per sommi capi.

La prima importante distinzione per introdurre il dominio tempo-aspettuale

secondo la proposta di Bertinetto (1986) è quella tra tempo fisico, che misura la successione degli eventi nel mondo esterno, e tempo linguistico, che invece mette in relazione gli eventi mediante segni linguistici che definiscono l’idea di prima, durante e dopo. Le categorie necessarie per definire il dominio tempo-aspettuale comprendono il momento dell’enunciazione, cioè il momento in cui viene prodotto l’enunciato; il momento dell’avvenimento, cioè l’intervallo o l’istante in cui ha luogo l’evento predicato dal verbo; il momento di riferimento, ovvero il momento in cui l’evento che si è prodotto viene considerato ancora rilevante dal locutore. Quest’ultimo strumento, imprescindibile nei tempi composti, ha natura evidentemente aspettuale e si differenzia dal localizzatore temporale, che si limita a specificare il punto in cui l’evento si verifica sulla catena temporale. In base al riferimento temporale, gli eventi possono venire localizzati deitticamente rispetto al ME o anaforicamente rispetto a opportuni altri punti temporali.23

L’aspetto tiene conto della particolare prospettiva da cui il locutore considera l’evento nel suo svolgimento. La distinzione fondamentale riguarda gli aspetti perfettivo (che si riferisce ad eventi determinati temporalmente, caratterizzati da semelfattività o iterazione determinata e, per implicatura, collocabili in sequenza sull’asse temporale) e imperfettivo (che impone l’indeterminatezza della conclusione dell’evento e la possibilità di individuare un istante di focalizzazione al suo interno). Dall’aspetto va tenuta distinta l’azione o azionalità (ted. Aktionsart) verbale, che definisce la natura dell’evento descritto in base a un certo numero di proprietà semantiche, a partire dall’opposizione durativo vs non durativo. A differenza delle categorie di riferimento temporale e aspetto, che sono principalmente correlate alle risorse morfologiche accessibili a ogni singola lingua, le prerogative azionali vanno rapportate principalmente agli elementi lessicali, opportunamente inquadrati in contesti che permettano di definirne il valore specifico.

Emerge chiaramente come la nozione di tempo verbale (quella a cui Weinrich applica l’etichetta di Tempus) si prospetti come la concrezione morfologica di entrambe le categorie di aspetto e riferimento temporale. I tempi

23 A titolo di esempio, riportiamo la rappresentazione di un PPF: Alle 4 (MR), Maria

aveva già fatto la spesa (MA). L’enunciato ci informa che l’evento (MA) si è prodotto nel passato (dunque prima del ME) anteriormente a un punto stabilito (MR), senza che però venga specificato esattamente quando sull’asse temporale.

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che si manifestano concretamente in ciascuna lingua rappresentano la grammaticalizzazione delle opzioni teoricamente disponibili a tali due livelli, opzioni che possono risultare neutralizzate in parte o in toto. Per questo può avvenire che certi valori temporali e aspettuali risultino nettamente distinti in una data lingua, ma inestricabilmente confusi in un’altra. Nonostante l’inevitabile complessità, che va certamente superata in classe, l’approccio di Bertinetto è certamente un utile strumento per avvicinare gli studenti all’articolazione interna del sistema dei tempi dell’indicativo in italiano, soprattutto laddove tradizionalmente vengono individuati i problemi maggiori. Così, come già ricordato, sarà possibile sottolineare la contiguità, ma nel contempo anche la sostanziale differenza, tra l’idea di durata dell’evento (categoria azionale) e l’impiego dell’IPF, nei suoi usi standard precipuamente votato all’espressione della categoria aspettuale dell’imperfettività. Analoga-mente, trattando dei perfetti, ci si potrà liberare dei concetti di prossimità e distanza temporale, nel contempo cercando di limitare l’aleatorietà della rilevanza psicologica per mezzo della nozione di MR.

Va da sé che gli strumenti offerti da Bertinetto sono mezzi analitici estremamente potenti ma che necessitano di essere integrati nella pratica didattica. Come si è avuto modo di vedere, pur nella relativa consapevolezza delle variazioni semantiche imposte dalla selezione di un tempo perfettivo o imperfettivo, non sempre lo studente riesce a risolvere le proprie incertezze quando si trova a scrivere testi, né individua con facilità i principi che stanno alla base delle scelte operate in seno agli esempi in cui ha modo di imbattersi.24 In questo senso può risultare utile rifarsi alla proposta di Weinrich (1978). Per lo studioso tedesco un segno linguistico mantiene la sua validità nel testo fino a quando non compare un altro segno a invalidarlo. Alcuni segni, e i verbi in particolare, dimostrano una certa ostinazione, cioè un’alta ricorrenza in seno ai testi che risultano da essi dominati. In particolare, i tempi verbali tenderebbero a raggrupparsi in due sottoinsiemi dominanti: quello dei tempi commentativi (PRE, PFC e FT) e quello dei tempi narrativi (IPF/PFS, PPF, CDC), i quali risultano rafforzati da altri segni linguistici (per es. i pronomi personali di prima persona nel primo caso e di terza persona nel secondo; emerge l’opposizione tra histoire e discours tracciata da Benveniste), a individuare due tipologie testuali di base. I due gruppi di tempi influenzano il ricevente e modellano l’accoglienza del testo secondo l’atteggiamento linguistico del locutore. Questo può essere di tensione se dominano i tempi del commento o di distacco e distensione nel caso dei tempi narrativi. Attorno a questi due nuclei Weinrich raggruppa numerosi

24 Bagioli e Deon (1986: 65) menzionano l’effetto deleterio di esercizi grammaticali

privi di contesto. Effettivamente, emergono casi in cui si chiede di coniugare i verbi all’IPF o al PFC in contesti che possono ammettere entrambe le soluzioni, per lo sconforto degli studenti alla ricerca costante di una regola certa.

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generi testuali in base alla dominanza temporale per cui, per es., un discorso diretto, un dialogo drammatico o un saggio filosofico apparterrebbero ai testi commentativi, mentre una novella, una leggenda o un racconto storico configurerebbero esempi di testi narrativi. Per rendere conto della compresenza di PFS e IPF nei testi narrativi, laddove nei testi commentativi compare solo il PRE, viene introdotto il concetto di rilievo narrativo. L’IPF presiederebbe alla costituzione dello sfondo (e alla determinazione di un ritmo narrativo lento) su cui sono innestati gli eventi narrati che il PFS spinge in primo piano.

Come noto, il linguista tedesco nega decisamente l’importanza della nozione di aspetto verbale, sostenendo che la scelta del tempo dipende esclusivamente dal valore posizionale nel testo. L’assunto di Weinrich mostra i suoi limiti proprio quando egli si sforza di rendere conto degli aspetti più evidenti della messa in rilievo nella novellistica (Weinrich 1978: cap. 5). L’identificazione dell’imparfait de rupture (ibid.: 147) e anche la presenza di questo tempo alla conclusione della cornice narrativa, come il riferimento al sistema metaforico temporale (cap. 8), indicano che i valori modali e aspettuali sono in qualche modo necessari per distinguere tra tipi di impiego della medesima realizzazione morfologica che percepiamo come diversi anche nelle medesime posizioni testuali. Effettivamente, l’approccio di Weinrich è stato criticato apertamente, tra gli altri, da Bertinetto, che lo considera più “un testo di stilistica che non una dissertazione grammaticale in senso stretto” (1986: 356), ne sottolinea la confusione tra aspetto e azione del verbo (1997: 82) e fa notare come nella distribuzione dei tempi nel testo sia da individuare un effetto, piuttosto che la causa, delle loro prerogative semantiche e sintattiche. Inoltre, come si è ricordato sopra, in italiano il PFC rappresenta un’alternativa al PFS, quindi l’opposizione tra racconto e commento viene in qualche modo messa in crisi. Di ciò è consapevole Lo Duca (2003: 203 nota 15 e anche p. 206 e segg.), la quale tuttavia sostiene che ciò non implica che il modello di Weinrich sia da rigettare in toto, ma che debba essere integrato e reso più completo. Sono proprio le nozioni di riferimento temporale, azione e aspetto che, nel caso del PRE, permettono di definire il valore di ogni occorrenza: perfettivo o imperfettivo, storico/narrativo o deittico. Analogamente, sarà possibile distinguere quando l’IPF e il PFC mantengono i propri valori fondamentali e quando invece subiscono uno spostamento verso l’aoristo, e quindi procedere all’individua-zione di sfondo e primo piano e alla classificazione del testo (narrativo o commentativo).

Le esercitazioni svolte al termine del primo anno del corso di lingua italiana

presso la SSLMIT si proponevano due obiettivi. In prima battuta, si intendeva attirare l’attenzione degli studenti sull’impiego dei tempi verbali in testi reali, che non fossero selezionati e adattati al fine di illustrare un preciso fenomeno

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grammaticale. In secondo luogo, le attività erano volte a muovere i primi passi verso lo sviluppo di una competenza testuale, da approfondire ulteriormente negli anni successivi. La dicotomia offerta da Weinrich può essere infatti considerata un primo tentativo di classificazione dei testi, sovrapponibile alla molteplicità delle realizzazioni che, in base a una tassonomia più dettagliata, risultano distinguibili in generi testuali.25

Gli studenti sono stati divisi in gruppi, ciascuno dei quali libero di scegliere un tipo di testo, commentativo o narrativo. La scelta è caduta su generi diversi quali la fiaba, il racconto breve, il testo teatrale, il libretto d’opera, l’articolo giornalistico di cronaca, l’articolo di fondo, il saggio di linguistica. Si è verificata una certa preferenza per i testi letterari e le fiabe, probabilmente a seguito dell’esposizione agli esempi tratti dallo studio condotto da Weinrich e per la maggiore regolarità palesata da testi sottoposti a vincoli riconducibili a una codificazione più marcata, se non addirittura sclerotizzata. I membri di ciascun gruppo hanno condotto l’analisi in collaborazione, al di fuori dell’orario delle lezioni, avendo la possibilità di interpellare il docente per esporre eventuali dubbi. Infine i risultati sono stati sottoposti al vaglio dell’intera classe, tentando inoltre di giungere a conclusioni generalmente valide per quei gruppi che si erano occupati del medesimo genere testuale. Per ragioni di spazio, e a scopo meramente illustrativo, riportiamo per intero una delle fiabe analizzate, riassumendo il risultato del dibattito in classe:

1 2 3 4

LA PRINCIPESSA SUL PISELLO C’era una volta un bel principe che desiderava sposare una principessa.

Aveva viaggiato in lungo e in largo per trovarne una ed aveva conosciuto moltissime persone, tra le quali anche un buon numero di principesse. Il guaio era che in ogni principessa c’era qualcosa che non andava e dopo parecchi

25 Non è questo il luogo per dilungarsi sull’argomento. Va comunque ricordato come

da più parti si lamenti la mancanza di unità terminologica nel settore (Mortara Garavelli 1988). A seconda degli autori, l’etichetta “tipo di testo” fa riferimento a modalità d’uso della lingua (per es., il testo giornalistico o pubblicitario), contenuti (testo politico, scientifico), funzioni pragmaticamente intese (testo narrativo, argomentativo, ecc.), realizzazioni strutturali o di genere (la fiaba), variazioni in diamesia (testi orali vs testi scritti) o altri fattori relativi al contesto enunciativo (monologhi, dialoghi). Evidentemente, dietro ad ogni tassonomia ci sono assunti teorici diversi, per cui non solo cambia l’oggetto della classificazione, ma anche, variando i criteri che stanno alla base della stessa, variano le classi e le categorie individuate e, di conseguenza, gli elementi assegnati a ciascuna di esse. Inoltre, molto è lasciato all’esperienza, al senso comune e alle nomenclature tradizionali. Come è stato giustamente notato, il problema non è tassonomico ma tipologico: non si tratta tanto di riempire le caselle di una griglia, quanto di riuscire a descrivere in maniera esauriente le realizzazioni testuali in base a una serie di caratteri individuati in precedenza.

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5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38

mesi il principe se ne tornò a casa dicendo ai suoi genitori: – Non sono riuscito a trovare una principessa da sposare.

Una notte, non molto tempo dopo il suo ritorno, sul palazzo si abbatté un terribile temporale. Lampi che balenavano, tuoni che assordavano, e pioggia a catinelle. Il principe e i suoi udirono bussare al portone principale. – Chi mai può esserci in giro con un tale temporale? – si chiesero.

Una fanciulla tutta tremante stava sulla porta. L’acqua le correva giù per i capelli e sul viso ed il vestito era bagnato fradicio.

– Entrate – gridò il re – Entrate e diteci chi siete. – Sono una p-pr-principessa – Rispose battendo i denti – Stavo cercando il

palazzo del re quando mi ha sorpreso il temporale – Non aveva proprio per niente l’aria di una principessa, ma la regina sorridendo disse fra sé: – Credo di poter scoprire se è una principessa o no.

Mentre la fanciulla faceva un bagno caldo, la regina andò a preparare la camera ed ordinò a due cameriere di frugare tutto il palazzo in cerca di materassi e trapunte. Mise un pisello secco sotto il primo materasso e poi via via uno sull’altro tutti gli altri materassi e trapunte furono accatastati: in totale ben venti materassi furono messi sopra il pisello. Poi la regina ordinò alle cameriere di mettere venti trapunte di piuma sopra i materassi. Quando la fanciulla entrò nella stanza trovò un letto così alto che dovette arrampicarsi su una scala per arrivare a coricarsi.

La mattina seguente il re e la regina chiesero alla fanciulla se avesse dormito bene.

– Mi dispiace dirlo – rispose lei – ma ho passato una pessima notte. C’era una gobbetta dura nel letto e non ho fatto che dimenarmi e rigirarmi per tutta la notte. Adesso sono tutta piena di lividi blu.

La regina fu soddisfatta: soltanto una vera principessa avrebbe potuto sentire un pisello attraverso venti materassi e venti trapunte.

Corse quindi ad avvertire il principe che la loro graziosa ospite era sicuramente una vera principessa da sposare.

Il principe sposò la principessa e vissero felici e contenti per molti anni. Quanto al pisello, esso venne conservato in una teca di vetro nel museo

cittadino e la gente osservandolo diceva: – Questa sì che è proprio una bella storia, la storia della principessa sul pisello.

La fiaba contiene 53 voci verbali di modo indicativo, di cui 8 PRE, 4 PFC,

16 IPF, 2 PPF, e 23 PFS. Si tratta senza dubbio di un testo dominato dai tempi del gruppo narrativo, tanto più che le occorrenze di tempi commentativi si concentrano nelle parti dialogate.

L’IPF dell’incipit tipico delle fiabe (C’era una volta) provvede a definire lo sfondo della vicenda. La scelta è anche giustificata dai canoni di genere: un attacco come:

Tanto e tanto tempo fa, in un luogo lontano, visse un principe. Egli desiderava sposare una principessa.

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risulta meno accettabile per convenzione, anche se non può essere considerato agrammaticale. 26 I PPF che seguono forniscono l’antefatto alla vicenda, un impiego tipico di questo tempo verbale, soprattutto se compare in proposizioni principali. Insieme agli IPF successivi i PPF (righe 2-4), contribuiscono a conferire una funzione “descrittiva” all’inizio del racconto, rallentandone il ritmo e dando l’impressione di una certa iterazione degli eventi, peraltro rafforzata da espressioni quali in lungo e in largo, moltissime persone, ogni principessa. Se invece di un testo scritto si fosse trattato di una pellicola cinematografica, le immagini avrebbero illustrato un paesaggio in campo lungo, possibilmente con dissolvenze incrociate a indicare il carattere passato e l’iterazione degli eventi descritti (nei termini di Weinrich, si ha una “retrospezione”).27

Con la comparsa del PFS (r. 5) la storia ha effettivamente inizio. Sempre nell’ipotetica versione cinematografica, si ha l’entrata in scena del protagonista, cui segue una transizione temporale (in un contesto narrativo compare un tempo commentativo quale il PFC). Il lettore viene così invitato a cambiare prospettiva, passando dal sistema di riferimento temporale del narratore a quello dei personaggi. In questo senso si spiega la comparsa di un altro PFS (r. 7) a descrivere un fenomeno atmosferico. La scelta del tempo verbale è significativa anche nel confronto con gli IPF che seguono (r. 8) i quali, come riportato in quasi tutte le grammatiche, ben si prestano alla resa di condizioni meteorolo-giche e descrizioni ambientali. Tuttavia, ci troviamo nel momento clou della storia: la selezione di un trasformativo irreversibile (si abbatté) e l’indicazione temporale singolativa (una notte) servono a sottolineare la svolta che si sta

26 L’impiego di un PFC risulterebbe invece più accettabile in presenza di altri elementi

che possano giustificare la prossimità psicologica dell’evento, del tipo: tanto tempo fa qui è vissuto un principe.

27 A prescindere dalla validità delle tesi esposte da Simone (2000), il costante riferi-mento, da parte degli studenti, a sequenze cinematografiche o immagini pittoriche conferma le valutazioni stilistiche che tradizionalmente riguardano la comparsa dell’IPF nelle narrazioni, soprattuto quando esso assume accezione narrativa. In Grevisse 1986: 1291 si riporta la formula di Brunetière che descrive l’IPF pittoresco, di chiusura e di apertura: “Cest un procédé de peintre [...]. L’imparfait, ici, sert à prolonger la durée de l’action exprimé per le verbe, et l’immobilise en quelque sorte sous les yeux du lecteur”. Anche l’etichetta di imparfait de cinéma in Schena 1989: 60 indica come l’imparfait historique ottenga un effetto paragonabile alle riprese in primo piano e al rallentatore. Cfr. anche Darbelnet 1975: 7: “La prose française contemporaine en [dell’IPF narrativo] fournit de nombreaux exemples que l’on peut expliquer en les comparant à l’emploi du gros plan au cinéma, la vision de l’auteur en s’attardant sur une action sans que la durée de celle en soit pour autant augmentée. Il est non moins évident que le passé simple de la narration romanesque eût convenu également, mais l’effet n’eût pas été le même. L’auteur a voulu éclairer cette action différemment en préférant l’imparfait.”

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compiendo. Si tratta del punto d’attacco a partire dal quale la sequenza degli eventi avanza quasi inesorabilmente e subisce un’accelerazione decisa dalla riga 18 alla riga 25, quando la regina predispone la sua prova (sottolineata dagli avverbiali che scandiscono le varie fasi dell’escamotage: ed, e poi, poi, quando, fino alla mattina seguente), mentre la presunta principessa viene relegata, ignara, sullo sfondo per mezzo di un IPF (r. 18).

Per il resto, i PFS si limitano ai verbi di parola e di percezione attribuiti ai personaggi (rr. 9, 10, 13, 14, 16, 26, 28), mentre i dialoghi sono regolarmente dominati da tempi commentativi. A questo proposito si può sottolineare come il PFC alla riga 29 sia giustificato in base alla compiutezza dell’evento descritto nella sua globalità, nonostante esso si riferisca all’iterazione dei movimenti della principessa, che non è riuscita a prendere sonno. La conseguenza di una notte insonne (per tutta la notte) viene naturalmente percepita come saliente dalla povera ragazza (Adesso sono tutta piena di lividi blu).

Anche la conclusione della vicenda viene segnalata da un impiego significativo dei tempi verbali (r. 31). Benché di norma alle descrizioni di stati psicologici venga associato l’IPF, in questo caso la selezione del PFS permette la visualizzazione dinamica del risultato della prova e nulla si frappone alla consequenziale conclusione della storia (due PFS alla riga 35). La chiusa riconduce il lettore dal mondo narrato (PFS e IPF rr. 36-37) al mondo commentato, e la compresenza del PRE e del deittico incapsulatore (questa sì che è proprio una bella storia) fa intersecare l’orizzonte deittico dei personaggi con quello del lettore.

A voler tirare le somme di questa breve illustrazione degli “esperimenti

grammaticali” condotti alla SSLMIT di Trieste, è bene evidenziare che l’esempio riportato, selezionato per l’appunto per motivi di spazio, si caratterizza per la marcata schematicità e la regolarità della distribuzione dei tempi passati. Testi più lunghi e compositi hanno senza dubbio presentato un tasso di variazione più elevato e, da parte degli studenti, hanno richiesto un impegno maggiore ai fini della sistematizzazione. D’altro canto, proprio la consapevolezza di questa variabilità era uno dei risultati che il percorso didattico considerato si proponeva. Tale percorso permette di andare oltre le categorie meramente formali e di attingere a classificazioni nozionali più profonde.

Una conseguenza è che risulta più efficace l’analisi contrastiva dell’italiano in relazione alle diverse L1 ed eventuali altre lingue di studio dei discenti. Differenze e analogie rintracciabili a livello morfologico e sintattico emergono anche dalla contrapposizione di co-testi diversi: è in questo senso che l’approccio testuale adottato conduce a una visione d’insieme dei fenomeni trattati più completa e facilita il confronto interlinguistico. Accanto al rafforzamento delle conoscenze “di sistema” (intese come langue) e

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all’elaborazione di strumenti adatti alla riflessione grammaticale esplicita, lavorare su esempi concreti significa anche sviluppare un tipo di competenza “applicativa” (intesa come parole) di cui futuri professionisti, principalmente impegnati in attività che possono essere lascamente raggruppate sotto l’etichetta di “elaborazione testi”, non possono fare a meno.

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“LE LINGUE STRANIERE IN ITALIA” AN ONGOING DEBATE

Nickolas D.G. Komninos

In his article, “Le lingue straniere in Italia”, in the January 2006 edition of LANG Matters, Prof. John Dodds eloquently and concisely presents the situation faced by university students in Italy regarding the EU language policy for graduates. He correctly identifies two areas that need attention: the need to substitute the students’ notion of luck with regard to reaching sought-after language competence levels with the idea that the dedicated application of a studied methodology and student motivation can and will bring the student to those levels. The second area is the need for a national policy that would apply a studied methodology supporting the teaching of foreign languages from kindergarten all the way up to the second university cycle.

Prof. Dodds also correctly states that the university system would work better if the schools took responsibility for bringing the students up to a B1/2 level. However, this line of argument attributes an unfair share of responsibility for the present state of foreign language teaching in Italian universities to pre-university education. This certainly plays a significant role in poor linguistic performance by university students, but there are a number of factors at university level that in my experience are important contributory causes.

In Italian universities the teaching and assessment of foreign languages, especially outside the language faculties, are often perceived by students and non-language teaching staff alike as an unwelcome obstacle to the completion of the study course, to be disposed of as quickly and painlessly as possible, with the consequence that it has not received the attention it deserves. I would like to take as an example the teaching of maths and English in Trieste University where I teach in the faculties of Engineering, Architecture, Science and Pharmacy. There is a marked difference in the importance assigned to maths, both by the students and the university policy makers (heads of department, heads of faculties, directors of studies etc.), compared to foreign languages. Why should this be so? At first glance, in the technical faculties (science, engineering, pharmacy, economics and architecture) maths would indeed seem to be more important than English or French. However, should the policy maker consider that a large percentage of the key texts in the courses are in English, that the international journals are predominantly in English or French, and that an increasingly globalised labour market means that work after graduation is ever more likely to be at an international level, then the importance of foreign

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languages as a subject to be taught and learnt in every faculty would become more apparent to him. Furthermore, the learning of foreign languages can be a demonstration of open-mindedness, tolerance, inquisitiveness, precision and memory which are all qualities of the utmost importance when studying and looking for a job. At least this is the opinion of the European education policy makers, since they have made languages and not maths (or any other subject for that matter) compulsory at all universities and in every university faculty.

Primarily it is the university’s attitude to foreign language teaching which shapes the students’ attitude and motivation. Many non-language faculties have opted to place foreign languages in credit category F and to have them taught only in the first, introductory year of study in the first cycle. The credit categories are A (foundation), B (core), C (related subjects) D (optional) E (final exam) F (other). This F categorisation also emphasizes the non-academic, practical aspect of foreign language teaching, since the other ways of obtaining category F credits are through work-experience, attendance at conferences and seminars and/or group project work. Another aspect of importance is the character of the category F exam. It is that it is not given a mark, it is a pass/fail exam, whereas ‘academic’ subjects are given a mark out of 30, which counts towards the final degree mark. This automatically de-motivates the student from achieving better results and following a more complete preparation for foreign languages, as there is no recognition between a bare pass and a distinction pass which clearly puts foreign languages at a disadvantage compared to other first-year subjects.

We must remember that the first cycle at university lasts three years and with the second cycle another two are added. This is a five year period of study in which significant achievements could be made in a foreign language. By limiting foreign language teaching to the first year the faculties communicate their lack of interest in any serious attempt to develop language skills. It takes on average about 150-200 hours’ study to get from one level of the CEF to another, so students who are not already prepared need around 400 to 600 hours to reach B1 or B2. Undoubtedly, if, as Prof. Dodds states, the students were to come from school with a B1/B2 level, this situation would not present itself and the universities could then use the foreign language courses to bring students up to the top levels, C1/2, or to focus on the specialist language of their discipline. But problems would remain: on the one hand, if language teaching continued to be restricted to the first year, with category F credits and mere pass/fail marks, there would still be too little time, and not enough motivation, to bring the students up from B to C; on the other, research has shown (Clapham IELTS research) that there is little value in providing field specific language classes or assessment for first year university students who probably do not have the conceptual or linguistic knowledge in their mother tongues for that level of

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specialisation. Furthermore, students coming from other systems might not yet have reached B1/2 in their schools, like those Italian students who start university having finished school before the mid 1990’s.

As things stand, there are a few practical solutions which might go some way to improving the present situation. Since the 1970’s the Italian universities have been investing in language centres, language laboratories, independent learner technologies, self-access software, self-assessment testing, etc. This is in line with EU language policies that have researched, developed and produced tools like Dialang and the European Language Portfolio. In Trieste, for instance, there are two new language laboratories with 50 computers installed with costly FirstClass, Perception and Tell Me More software. Language teachers could promote the students’ study in the same way that the Italian university system promotes other subjects, by emphasising independent learning. Through an orientation meeting the students could be introduced to all the tools the university has at its disposal for language development i.e. the language labs, audio/video/DVD libraries, computer aided learning, independent learning technologies, Dialang, ELP, self-assessment strategies, teaching etc. In this way all students would have the chance to reach a realistic target of a field specific B2/C1 in 3 years, within the period of the university degree, and in line with EU policy.

A change in attitude by the university policy makers towards foreign language teaching might manifest itself in one or more of the following ways: by creating a compulsory foreign language university entrance exam which would ensure that all students who start university are at a B1 level; by making foreign languages a category A, B, C, D or E credit course and placing the final exam in the third year with a mark out of 30, which would count towards the final degree assessment; by offering timetabled lessons in all three years of the first cycle, with the first two years devoted to bringing the student to a general English level of B2/C1 (depending on the students’ entrance level), and the third year devoted to field specific language preparation; by developing recognised assessment methods with certification (if necessary in collaboration with already existing examination bodies) so students can leave university with valid and internationally recognised documentation testifying to their linguistic competence in a specific field.

There would of course be the need to increase the number of credits and the number of teaching hours, as well as their distribution and organisation, with university teachers working with the students over a 3-year period and not the six to nine months they presently have. Secondary school teachers would have to bring their leavers to a B1+ level in all the four skills. The real increase in investment by the universities would be in the field of assessment. There would be the need to develop entrance exams, placement tests and field specific

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assessment. This final field specific assessment needs to be backed up by certification that would be recognised outside the Italian university system. In this area universities would need to train personnel and get the necessary recognition through affiliation with already existing examination bodies or through the process of official recognition. This process has already been initiated in some universities, as can be seen with the conditional affiliation of Venice University with the Trinity examination board, and the development of the computerised Cerclu exam by a group of Italian universities. Universities should also learn from the experience of the University of Siena, which found that simply using Cambridge exams was too costly. This policy must not be isolated to individual faculties in some universities but must be adopted on a national level, as Prof. Dodds highlights in his article: “The real challenge for the teaching of foreign languages in Italy is the need to learn how to apply a system …”

With this approach Italian secondary schools would still be required to prepare their students to the B1+ level that Prof. Dodds requests of them, adhering to a national policy that would span the whole education programme. The advantage of this approach would be that it would also help define the aims and importance of foreign languages at university level. In this way it would have a far more positive influence on pre-university preparation with an eye to what would be expected at university. It would also eliminate the problem of overseas or mature students finding themselves at university needing to achieve 400 hours of language competence in only 6 to 9 months. Students would also graduate in a more advantageous position on the job market as they would have not only an increased foreign language competence in their discipline, but also recognised certification to prove it. Only by creating the right policy and context for the teaching of one foreign language at university can we begin to deal with the prospect of teaching two foreign languages. The positive aspect is that the second language should be much easier to deal with due to the experience gained and structures already created originating from the first.

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ANALISI E PARAFRASI DEI COMPOSTI NOMINALI NELLA DIDATTICA DEL NEERLANDESE

Elisabeth Koenraads

1. Introduzione

Il neerlandese al pari delle altre lingue germaniche, è ricco di composti. Con questo nome si indica il gruppo alquanto eterogeneo di parole che risultano dall’unione di due o più elementi lessicalmente autonomi. La complessità semantica dei composti è dovuta alla presenza di diverse categorie grammaticali nel processo formativo e alle molteplici relazioni che intercorrono tra i componenti. Di conseguenza lo studente che si accinge a imparare il neerlandese, trova difficoltà nella comprensione e nella produzione dei composti, specialmente se la sua madre lingua, come nel caso dell’italiano, conosce delle restrizioni per quanto riguarda il processo composizionale.

Il presente articolo intende illustrare come, durante l’analisi di un testo, la parafrasi del composto con utilizzo degli elementi singoli che lo compongono1, costituisce uno strumento didattico adatto a individuarne il significato e le relazioni grammaticali esistenti tra le parti. Il secondo paragrafo contiene l’esposizione dei composti neerlandesi con speciale riguardo alla loro formazione e al significato, seguito da un breve raffronto con i composti italiani. Tale confronto può essere utile per comprendere le difficoltà e gli errori degli studenti.

L’approccio analitico costringe inoltre lo studente a far uso delle preposizioni, considerato che i composti sostantivo+sostantivo (S+S) indicanti una relazione di dipendenza possono essere parafrasati dal sintagma preposizionale, ‘S+preposizione+S’ (Haeseryn et al. 1997: 686), laddove i composti formati da un elemento verbale + sostantivo (V+S) si rendono prevalentemente con una proposizione relativa contenente una congiunzione e una preposizione.

La discussione delle preposizioni nel terzo paragrafo si situa all’interno della teoria della linguistica cognitiva che considera le esperienze primarie dell’uomo

1 La parafrasi non deve essere confusa con la descrizione del significato nei dizionari;

generalmente quest’ultima è più lunga e non sempre contiene i singoli componenti: bloedtranfusie ‘sangue+trasfusione’ = het overbrengen van bloed van de ene mens in de aderen van de andere mens (il trasporto di sangue da una persona nelle vene di un’altra persona).

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come fonte delle sue rappresentazioni mentali che vengono successivamente tradotte in espressioni linguistiche. È indubbio che queste esperienze riguardano prima di tutto il corpo umano, la sua posizione nello spazio e l’interazione con l’ambiente circostante. Da qui la rilevanza delle preposizioni di riferimento spaziale, la cui applicazione è simile in molte lingue. Il paragrafo si conclude con un accenno all’avverbio pronominale relativo neerlandese, esito della contrazione di un avverbio e di una preposizione, che funge da congiunzione.

Il quarto paragrafo contiene i risultati di un piccolo esperimento riguardante la parafrasi dei composti, condotto tra gli studenti del terzo e del quarto anno; esperimento che per la sua brevità e per il numero esiguo dei partecipanti non ha valore statistico, ma che dà spunto ad alcune osservazioni interessanti. L’articolo si conclude (§ 5) con il commento ai dati dell’esperimento.

Per ragioni di spazio l’esposizione non prende in considerazione tutti i composti esistenti nel neerlandese, ma solo i più frequenti, ossia i composti nominali formati da sostantivo + sostantivo (S+S), numerale + sostantivo (N+S) e verbo + sostantivo (V+S). Viene pure tralasciato il problema, per gli stessi olandesi molto spinoso, del fonema epentetico2 e della posizione dell’accento. Per ultimo, ci preme sottolineare che l’analisi concerne unicamente i composti il cui significato è letterale e deducibile dalle parti che lo compongono, anche se questo criterio non è così limpido come può sembrare a prima vista (cfr. § 2.2).

2. I composti

L’operazione morfologica della composizione è presente in tutte le lingue indoeuropee, anche se la produttività e la frequenza sono diverse per ogni singola lingua. Lingue antiche come il sanscrito, il greco e il latino offrono composti e non a caso la terminologia ancora oggi usata impiega per la tipologia dei composti i nomi provenienti dalla grammatica indiana. Oggigiorno il gruppo linguistico che ne fa l’uso maggiore è quello germanico, mentre i composti occupano nelle lingue romanze moderne uno spazio più ristretto, dovuto a una minore produttività e a delle limitazioni nella formazione. La sproporzione tra i composti germanici e quelli romanzi si nota nelle traduzioni, dove i primi vengono spesso tradotti con delle parafrasi (Mealing 1990: 185; Paggio & Ørsnes 1993: 130 e 145). Chiunque si accinge a studiare il tedesco o il neerlandese rimane all’inizio sbalordito di fronte a delle parole di una lunghezza eccessiva. In questi casi si tratta ovviamente di un ostacolo visivo dovuto all’univerbazione grafica; l’inglese che scrive i propri composti con gli elementi staccati dà un’impressione meno ostica.

2 L’ultima riforma dello spelling (2005) ha introdotto nuove regole riguardanti

l’inserzione del fonema epentetico.

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Il composto è formato da due elementi semanticamente autonomi (XY)3 che si fondono in una unità lessicale nuova, sentita come un’unica parola sotto il profilo sintattico, semantico e anche prosodico.

I composti subordinativi si distinguono da quelli coordinativi; nei primi si riscontra una relazione di subordinazione tra le parti, per questo possono essere parafrasati con un sintagma preposizionale, slakkenhuis ‘lumaca+casa’ = huis van een slak ‘casa di una lumaca’ (conchiglia della chiocciola); nei secondi i due elementi, pur uniti, mantengono la propria autonomia e sono solo giustapposti, bombrief ‘bomba+lettera’ (pacco bomba) o per dare un esempio in italiano, prete-operaio4. Il composto coordinativo denota una cosa o persona che è sia X sia Y 5 . I composti coordinativi sono sempre formati da elementi appartenenti alla stessa categoria grammaticale, e proprio per l’autonomia di ogni membro non si può parlare di relazioni tra le parti; per questa ragione i composti coordinativi rimangono fuori della presente analisi.

Nei composti subordinativi uno dei componenti, chiamato ‘testa’ o ‘determinatum’, trasmette le proprie proprietà semantiche e sintattiche alla nuova formazione (Oniga 1992: 105; Booij 1992: 38); in altre parole la testa potrebbe sostituire grammaticalmente la parola composta. Il significato della testa viene ulteriormente specificato o determinato dagli altri componenti che hanno la funzione di ‘determinatore’ (Den Boon 2001: 45).

Strettamente legato al significato è la distinzione tra endocentricità e esocentricità. Si considerano endocentrici i composti con un elemento che funziona da testa, esocentrici quelli che sono senza testa. Il composto huisdeur ‘casa+porta’ (porta di casa) è di conseguenza endocentrico, perché l’elemento deur (porta) ne costituisce la testa e l’altro elemento huis (casa) la specifica, mentre spleetoog ‘fessura+occhio’ è esocentrico. La vera testa di quest’ultimo composto, la persona che ha gli occhi a mandorla, si trova fuori della parola. Spesso questo tipo di composto6 assume un significato metaforico; in questo caso si tratta della denominazione peggiorativa per una persona di origine 3 Non si considerano quindi i suffissi e i prefissi, che possono aggiungersi a un

composto. In alcuni casi un elemento autonomo può perdere, a causa dell’uso ripetitivo, il significato originale prendendo delle caratteristiche suffissali; le grammatiche olandesi portano come esempio la parola boer (contadino) che come secondo elemento nel composto indica ormai solo chi esercita un certo mestiere: groenteboer (fruttivendolo) visboer (pescivendolo) (cfr. Haeseryn et al. 1997: 682; Booij & Van Santen 1995: 111).

4 Si nota la mancata univerbazione grafica in italiano, sebbene si trovino pure composti coordinativi resi con una parola, cassapanca così come parole senza trattino, studente lavoratore.

5 Serianni (1988: 665) raggruppa tutti i composti sotto la denominazione ‘composti coordinativi, in quanto fondati sulla coordinazione dei componenti’.

6 Il termine indiano per questo tipo di composto è bahuvrihi, che significa ‘(chi) ha molto riso’; il possessore non è identificabile in nessuno dei due componenti.

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asiatica, comparabile all’italiano ‘muso giallo’. I composti coordinativi sono sempre esocentrici, perché privi di testa. Nelle lingue antiche la maggior parte dei composti era esocentrica; solo nelle lingue moderne si riscontra un maggior numero di composti endocentrici, imputabile al fatto che solo questi ultimi sono produttivi (Oniga 1992: 108).

2.1. La formazione del composto neerlandese

Nei composti neerlandesi produttivi l’elemento a destra funge sempre da testa, cosicché avremo melkchocolade ‘latte+cioccolata’ (cioccolata a latte) verso chocolademelk ‘cioccolata+latte’ che indica la bevanda fatta di latte e cacao. La testa determina il genere e il plurale della parola composta: de fiets (la bicicletta)7 → de kinderfiets ‘bambino+bicicletta’ (la bicicletta da bambino), het huis (la casa) → het stadhuis ‘città+casa’ (il municipio), de kinderfietsen (le biciclette da bambino) e de stadhuizen (i municipi).

La testa del composto può essere formata da un sostantivo, da un aggettivo, da un avverbio o da un verbo. Gli elementi che concorrono insieme con la testa a costituire il composto, i determinatori, possono essere sostantivi, numerali, aggettivi, avverbi e temi verbali.

Limitandosi ai composti nominali oggetto di questo articolo, cioè quelli formati da sostantivo + sostantivo (S+S), numerale + sostantivo (N+S) e verbo + sostantivo (V+S), va osservato che: 1) il sostantivo a sinistra può aver forma singolare o plurale8; l’ultimo caso si

riscontra per i pluralia tantum, per i sostantivi dal significato diverso secondo il numero o quando l’elemento a destra, la testa, richiede un determinatore al plurale: Alpenreis ‘Alpi+viaggio’ (viaggio nelle Alpi), goederentransport ‘merci+trasporto’ (trasporto merci) 9 , dakenzee ‘tetti+ mare’ (un mare di tetti) (Booij 1992: 44);

2) i numerali fanno frequentemente parte di composti di tre elementi: tweepersoonskamer ‘due+persone+camera’ (camera doppia);

3) l’elemento verbale è considerato il tema del verbo10: slaapkamer ‘dormi+ camera’ (camera da letto). I composti nominali neerlandesi devono la loro alta frequenza ai seguenti

fattori:

7 de è l’articolo determinativo che accompagna i sostantivi maschili e femminili

singolari e tutti i plurali; het accompagna il sostantivo neutro singolare. 8 Sono anche ammesse le parole derivate tramite affissazione. 9 Il sostantivo singolare ha significato di ‘bene’, il plurale di ‘merci’. 10 cfr. § 2.3 per la discussione sulla natura dell’elemento verbale.

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1) la ricorsività: i composti, in particolar modo quelli S+S, possono a loro volta concorrere a formare nuovi composti (Oniga 1992: 110; Den Boon 2001: 106), handdoekenrekschroevendoosje ‘mano+teli+stenditoio+viti+scatolina’ (scatolina per le viti dello stenditoio per gli asciugamani). Com’è prevedibile la frequenza sarà inversamente proporzionale al numero dei componenti del composto;

2) l’alta produttività: in continuazione vengono coniate nuove composizioni11, come per esempio wensmoeder ‘desiderio+madre’ (donna desiderosa a diventare madre che non essendo in grado di procreare, fa ricorso ai metodi di fertilizzazione assistita).

2.2. Il significato del composto

Quando si parla di significato letterale, si intende dire che il composto è analizzabile nelle sue parti, che cioè il significato originale dei componenti confluisce in quello della parola nuova. Il concetto di significato letterale è tuttavia alquanto nebuloso, non solo per i composti, ma anche per le singole parole, perché il lessico è di natura polisemica. A ciò si aggiunge che gli elementi che concorrono alla composizione appartengono spesso al lessico di base della lingua, condizione che di per sé porta a un’alta polisemia. Va inoltre aggiunto che i composti possono avere significati diversi secondo il contesto o la conoscenza del mondo che il parlante ha, come si osserva nei seguenti esempi: hondenbak ‘cani+recipiente’ (ciotola per cani) verso kattenbak ‘gatti+recipiente’ (lettiera per gatti). Anche un singolo composto può avere diversi significati, come dimostrano Kay & Zimmer (1990: 239-240) che forniscono della parola inglese finger cup ‘dito+tazza’ quattro interpretazioni12. È quindi meglio definire il concetto di significato letterale in modo negativo escludendo dall’analisi i composti dal significato metaforico, come schildersezel ‘pittore+asino’ (cavalletto).

Il significato del composto, oltre che dai significati propri dei singoli componenti, dipende dal tipo di relazione che intercorre tra la testa Y, e gli altri elementi X. Dettagliata risulta l’analisi delle relazioni produttive eseguita da Den Boon (2001: 45-56)13 che si elenca di seguito; ogni tipo di relazione è esemplificata da un composto S+S e da uno V+S;

11 L’alta produttività e la ricorsività si deducono dall’assenza di molti composti nei

dizionari. 12 Si pensa anche ai composti coniati per l’occasione, cfr. per un bell’esempio Motsch

(1992: 76). 13 cfr. anche Haeseryn et al. (1997: 686).

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1) la relazione soggettiva. X esprime il soggetto di Y: botbreuk ‘osso+frattura’ (frattura ossea), nei composti V+S il soggetto è espresso da Y: waakhond ‘vigila+cane’ (cane da guardia);

2) la relazione oggettiva. X esprime l’oggetto di Y: terreurbestrijding ‘terrorismo+lotta’ (lotta al terrorismo), nei composti V+S l’oggetto è espresso da Y: stoofpeer ‘stufa+pera’ (pera da cuocere). Si tratta di un tipo di composto molto produttivo;

3) la relazione di luogo. X esprime il luogo di Y: tuinpad ‘giardino+sentiero’ (vialetto); nei composti V+S il luogo è espresso da Y: eetkamer ‘mangia+camera’ (sala da pranzo). Anche questo tipo è molto produttivo;

4) la relazione temporale. X esprime il momento o il periodo di Y: ochtendgymnastiek ‘mattina+ginnastica’ (ginnastica mattutina); nei composti V+S il tempo è espresso da Y: wasdag ‘lava+giorno’ (giorno del bucato);

5) la relazione finale. X esprime lo scopo di Y: afscheidingsbeweging ‘separa-zione+movimento’ (movimento separatista), leestafel ‘leggi+tavolo’ (tavolo di lettura);

6) la relazione causale. X esprime la causa di Y: verstikkingsdood ‘asfis-sia+morte’ (morte per asfissia), vliegramp ‘vola+disastro’ (disastro aereo);

7) la relazione strumentale. X esprime lo strumento o il mezzo con cui ha luogo Y: busreis ‘autobus+viaggio’ (viaggio in autobus); nei composti V+S lo strumento è espresso da Y: snoeischaar ‘pota+forbici’ (potatoio);

8) la relazione possessiva. X esprime il tutto di cui Y costituisce una parte: paardenpoot ‘cavalli+zampa’ (zampa di cavallo) o X esprime una parte del tutto Y: krentenbrood ‘uvette+pane’ (pane con le uvette). Si tratta di una struttura altamente produttiva che riguarda solo i composti S+S;

9) la relazione comparativa. X esprime l’oggetto cui Y somiglia: kikvorsman ‘rana+uomo’ (sommozzatore)14. Le relazioni semantiche tra i componenti possono essere interpretate

secondo il contesto, le nostre cognizioni della realtà e il nostro punto di vista, come dimostra l’esempio tratto da Booij & Van Santen (1995: 110) con la testa mes (coltello), kaasmes ‘formaggio+coltello’ (coltello da formaggio), kartelmes ‘dentello+coltello’ (coltello a lama dentellata), slagersmes ‘macellaio+coltello’ (coltello da macellaio), keukenmes ‘cucina+coltello’ (coltello da cucina), che indicano rispettivamente una relazione finale, possessiva, strumentale e di luogo.

Alcuni autori (Haeseryn et al. 1997: 693-694) sottolineano come nei composti V+S il sostantivo può assumere un ruolo attivo o passivo. Nei composti con relazione soggettiva, Y ha sempre significato attivo, dekhengst 14 Haeseryn et al. (1997: 688) osservano che i composti contenenti una identità

apparente si accostano a quelli coordinativi.

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Analisi e parafrasi dei composti nominali nella didattica ... 93

‘copri+stallone’ (cavallo da monta), sleepboot ‘traina+barca’ (rimorchiatore); in quelli con relazione finale o strumentale Y ha significato passivo, droogbloemen ‘secco+fiori’ (fiori secchi), smeermiddel ‘ingrassa+mezzo’ (lubrificante). Nei casi di composti con relazione strumentale non è raro l’inserimento dell’oggetto: aardappelschilmesje ‘patata+pela+coltello’ (pelapatate).

I composti numerale + sostantivo (N+S) si formano sia col numerale cardinale sia con quello ordinale: duizendpoot ‘mille+zampa’ (millepiedi), éénsgezinwoning ‘una+famiglia+abitazione’ (villetta unifamiliare), driekamerflat ‘tre+stanza+appartamento’ (tricamere), derdejaarsstudent ‘terzo+anno+studente’ (studente del terzo anno). Si differenziano dagli altri composti per le seguenti caratteristiche: 1) sono spesso composti da tre elementi, di cui i primi due formano un

costituente nominale: tweepersoonskamer ‘due+persona+camera’ (camera doppia), vijfdeursauto ‘cinque+porta+vettura’ (una cinque porte). La produttività per questi composti a tre elementi è alta;

2) il costituente nominale non è grammaticalmente autonomo, come si deduce dagli esempi sopracitati: tweepersoon e vijfdeur non sono combinazioni accettate nella lingua neerlandese, in quanto il sostantivo è privo della desinenza del plurale; le forme corrette sono twee personen e vijf deuren15. In altri composti si trova tuttavia il sostantivo al plurale: Driekoningenfeest ‘tre+re+festa’ (Epifania). Il problema non si pone logicamente per il numerale ‘uno’: éénrichtingverkeer ‘una+direzione+traffico’ (traffico a senso unico);

3) i composti costituiti da due elementi vengono frequentemente considerati esocentrici16, in quanto l’elemento numerico X è da considerarsi l’esito della riduzione di una costituente nominale più lunga: tweespraak ‘due+linguaggio’ (dialogo) deve essere parafrasato come una conversazione cui partecipano due persone, driehoek ‘tre+angolo’ (triangolo) come ‘figura con tre angoli’17.

4) la relazione per i composti a due elementi è di norma quella possessiva: driehoek ‘tre+angolo’ = figuur met drie hoeken (figura con tre angoli), duizendpoot ‘mille+zampa’ = insect met duizend poten (insetto con dieci zampe) (Haeseryn et al. 1997: 689).

15 Booij (1992: 45) osserva a tal proposito che in primo luogo anche parole non

esistenti, ma di struttura possibile, possono far parte di un composto e che in secondo luogo l’uso del plurale per i sostantivi preceduti da numerale è ridondante.

16 La grammatica sanscrita considerava i composti N+S, chiamati dvigu, endocentrici, ma già all’inizio del sec. XIX, i linguisti si resero conto che il loro significato era più complesso perché non denotano un numero di oggetti singoli, ma un nuovo concetto (Clackson 2002: 165).

17 cfr. Motsch (1992: 73) per gli esempi in tedesco.

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2.3. Formazione e significato dei composti italiani

Una breve esposizione della formazione e dei significati dei composti italiani è utile per comprendere le difficoltà degli studenti nell’interpretare quelli neerlandesi. Come si è osservato precedentemente (§ 2), nel latino si riscontravano dei composti, specialmente esocentrici, anche se il processo era caratterizzato da una bassa produttività a causa della rigidità delle regole per la formazione e dell’assenza di ricorsività (Oniga 1992: 108). L’elemento a destra costituiva la testa. È interessante notare che l’ordine all’interno dei composti rispecchia l’ordine delle parole della lingua in questione. Con eccezione dei residui storici, i composti sono soggetti alle regole sintattiche così come qualsiasi altra proposizione18. Il latino con ordine SOV ha composti OV e la testa a destra (Oniga 1992: 104).

L’italiano si discosta quindi dal latino sotto alcuni aspetti dovuti all’evoluzione della sintassi nel passaggio dal latino all’italiano. Nella lingua italiana moderna i composti endocentrici prevalgono su quelli esocentrici19 e la testa del composto è formata dall’elemento a sinistra. I composti con la testa a destra provengono dal latino e non sono produttivi. Nei composti aggettivo+sostantivo troviamo per esempio due tipi che riflettono la diversa sintassi delle lingue: altopiano (Ag+N) con ordine latino e camposanto (N+Ag) con ordine italiano (Scalise 1992: 175).

Siccome la maggior parte dei composti italiani ha la testa a sinistra, le forme flesse si pongono tra le due parti del composto: capostazione → capistazione; ci sono molto eccezioni a questa regola, principalmente dovute al fatto che molti composti non vengono più sentiti come tali, per questo il plurale di pomodoro può essere pomidoro, la forma grammaticalmente più corretta, ma anche pomodori o, più sporadicamente, pomidori (Scalise 1992: 188-189). Per altri composti la fusione tra i due elementi è cosi lenta che si flettono tutte e due le parole come in ossobuco → ossibuchi. L’inserimento di elementi diversi dalle desinenze come in pomodoro e capodanno, è raro e riscontrabile solo nei nomi propri come Bevilacqua, o nei composti non produttivi come vaevieni20. Si tratta di composti non-produttivi che esprimono apertamente la relazione tra gli elementi. In neerlandese nessun inserimento, tranne quello del fonema epentetico, è possibile nei composti subordinativi. 18 Per nomi di autori che hanno studiato la comparazione tra ordine nei composti e

sintassi cfr. Clackson (2002: 163). 19 Oniga (1992: 108) rileva come questa inversione di tendenza è da situare nei periodi

più recenti delle lingue romanze. 20 Il dizionario dello Zingarelli non dà l’univerbazione grafica, ma scrive va e vieni.

Nota Serianni (1988: 663) che i composti italiani non richiedono sempre l’univerbazione grafica; importante è che sono sentite come un’unità sintattica e semantica.

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Le possibilità di formazione sono più limitate in italiano che in neerlandese, in quanto solo i composti con un sostantivo o, più sporadicamente, un aggettivo come testa sono produttivi. Le uniche categorie grammaticali che si combinano con la testa sono i sostantivi, singolari o plurali, e il tema verbale21: cartapecora, pescecane, cavatappi, portabandiera. Gli altri composti italiani, come gentildonna (Ag+S), toccasana (V+V), sopralluogo (Av+S), non sono produttivi.

Sulla natura dell’elemento verbale non c’è accordo tra gli studiosi; alcuni optano per la terza persona singolare dell’indicativo, altri per l’imperativo singolare affermativo22; la prima ipotesi si scontra con la flessione dei verbi della seconda e della terza coniugazione che hanno ‘e’ e non ‘i’ nella terza persona singolare, ‘egli spreme’ verso lo spremilimoni. La seconda ipotesi incontra difficoltà semantiche e pragmatiche, perché molti composti non si caratterizzano per una connotazione imperativa. Vogel & Napoli (1995: 370) identificano l’elemento verbale come il tema formato dalla radice e la vocale tematica23.

Al pari di quella neerlandese, anche la grammatica italiana distingue tra composti subordinativi e coordinativi da una parte e tra composti endocentrici e esocentrici dall’altra parte. Capostazione e cassaforte costituiscono esempi di composti subordinativi endocentrici, caffelatte e cassapanca di composti coordinativi. Esocentrici sono i composti con la testa situata fuori della struttura; appartengono a questo gruppo, oltre ai composti che formano un sostantivo con due elementi verbali come bagnasciuga, andirivieni, molti altri composti come purosangue, senzatetto. Considerato che i due membri del composto costituiscono l’oggetto di possesso di un soggetto esterno al composto stesso, ci si trova di fronte a esempi classici di bahuvrihi e quindi di composti esocentrici24 in cui il sostantivo costituisce l’argomento del verbo (Vogel & Napoli 1995: 367). Nei composti V+S come portalettere la relazione è quasi sempre di oggetto. Sono rari e non produttivi i composti con relazione di soggetto come batticuore. Ciò dimostra che la valenza del verbo è più limitata nella composizione che nella sintassi (Scalise 1992: 191). Il tipo di composto V+S è quello più produttivo in italiano e quello più assimilabile ai composti neerlandesi. Le altre relazioni si trovano nei composti S+S, come per esempio la relazione strumentale in agopuntura o quella finale/di luogo in angolocottura.

21 Solo per indicare i colori si trova (Ag+S): verde bottiglia, giallo canarino (Scalise

1992: 176). I composti (Ag+Ag): dolceamaro, verdeazzuro sono composti coordinativi.

22 cfr. per la problematica e i nomi degli studiosi, Vogel & Napoli (1995: 367) e Scalise (1992: 192).

23 Anche in neerlandese si parla di stam (tema). 24 cfr. la discussione nel § 2.2.

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Dopo questa breve esposizione delle similitudini e delle differenze tra i composti neerlandesi e quelli italiani, si spera che risulti chiaro come l’analisi e la parafrasi dei composti sia strumento utile allo studente per comprenderne il significato. I composti possono essere parafrasati tramite un sintagma preposizionale o una proposizione relativa esplicita o finale implicita. Si vedano i prossimi esempi: winterweer ‘inverno+tempo’ = weer in de winter ‘tempo nell’inverno’ (tempo invernale), muizenstaart ‘topi+coda’ = staart van een muis (coda di un topo), boskabouter ‘bosco+gnomo’ = kabouter die in het bos woont (gnomo che abita nel bosco), leestafel ‘leggi+tavolo’= tafel om aan te lezen (tavolo a cui leggere).

3. Le preposizioni

La preposizione (PP) ha la funzione di instaurare una relazione tra due costituenti sintattici della frase; nei composti S+S tale relazione sarà tra due sostantivi, in quelli V+S tra il tema verbale e il sostantivo. Nelle lingue SVO, come il neerlandese e l’italiano, la PP si pone tra i due costituenti partecipanti alla relazione25: het huis van mijn moeder (la casa di mia madre), de bloemen in de vaas (i fiori nel vaso), Jan en Piet (Gianni e Pietro). Nella lingua neerlandese si riscontrano le medesime PP in posizione posposta con i verbi di moto: Hij liep de tuin in (Entrò nel giardino)26. Questa frase si distingue quindi da Hij liep in de tuin (Camminò nel giardino)27. Le posposizioni, essendo legate ai verbi di moto, non sono presenti nelle parafrasi dei composti, nelle quali le PP esprimono una relazione statica (Raedts 2000: 12)28.

Interessante per l’analisi e fonte di molti errori per gli stranieri è invece l’uso obbligatorio del cosiddetto avverbio pronominale relativo nelle proposizioni relative contenenti un sostantivo non-umano e una PP. Si tratta di una contrazione dell’avverbio waar (dove), tramutazione della congiunzione relativa, e di una PP; la forma di alcune PP cambia nella formazione dell’avverbio pronominale, Ik drink uit een glas (Bevo da un bicchiere) → Het glas waaruit ik drink (Il bicchiere da cui bevo), Ik schrijf met de pen (Scrivo con

25 Le lingue SOV, come il giapponese o l’ungherese, sono più ricche di posposizioni. 26 cfr. Ross (2000: capitolo 1) e Koenraads (2003: capitolo 4.1). 27 Quando una proposizione contiene un verbo di moto e un sintagma preposizionale,

l’ambiguità è frequente (Taylor 1993: 161); così la proposizione Hij sprong op de muur (Saltò sul muro) ha due significati come la traduzione in italiano.

28 È degno di nota che alcuni autori raggruppano le PP con gli avverbi e le congiunzioni. Ciò è dovuto a ragioni storiche, in quanto molte PP traggono origine da avverbi; tuttora la stessa parola può avere funzione di preposizione, di avverbio e qualche volta, specialmente nell’inglese e nel tedesco, anche di congiunzione (Durrell-Bree 1993: 315).

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la penna) → De pen waarmee ik schrijf (La penna con cui scrivo), con modifica della PP met in mee. La contrazione in avverbio pronominale non ha luogo con i sostantivi umani, Het meisje met wie ik samenwoon (La ragazza con cui abito).

Accanto alle PP semplici vengono usate nella definizione dei composti nei dizionari le locuzioni preposizionali: unità semantiche singole, formate da due sintagmi preposizionali intorno ad un nome (Beccaria 1996: 571), come per esempio ten behoeve van (in favore di), door middel van (per mezzo di).

L’attenzione per la semantica preposizionale è abbastanza recente 29 . La mancanza di interesse nel passato era dovuta al fatto che le PP venivano viste unicamente nella loro funzione relazionale, l’attenzione era quindi simile a quella per la flessione30. Solo con l’avvento della linguistica cognitiva si è cominciato a indagare profondamente sulla semantica delle PP facendo sì che esse vengano considerate delle unità semantiche che interagiscono con il contenuto lessicale della frase31. Si è già sottolineato nell’introduzione come le esperienze dell’uomo con il proprio corpo e con lo spazio circostante costitui-scono la base della sua cognizione, la quale si traduce in espressioni lingui-stiche. Il significato delle PP di riferimento spaziale può di conseguenza essere ritenuto quello più basilare, più profondo, quello che si usa per primo, basti pensare al linguaggio infantile, e quello più simile nelle varie lingue32; si tratta, in altre parole, del significato prototipico di una PP. Solo successivamente, attraverso un processo metaforico, le stesse PP vengono usate per indicare altre relazioni, come per esempio il tempo e la causa, dando luogo alla polisemia, che fa sì che ogni PP abbia diversi significati 33 . La polisemia delle PP è cognitivamente motivata in quanto i vari significati si trovano legati gli uni agli altri in una rete con il significato prototipico di stato in luogo al centro di cui si estendono metaforicamente i significati astratti (Radden 1998: 274; Rudzka-Ostyn 1988: 537)). Da ciò segue che l’individuazione del significato prototipico della PP (§ 3.1) è indubbiamente utile per comprendere i significati derivati e per la comparazione linguistica.

Prima di elencare il significato prototipico delle PP di stato in luogo e i significati che ne derivano si ritiene utile spiegare i tre parametri usati da Hawkins (1993) per individuare il prototipo, in quanto questo schema è stato

29 cfr. l’introduzione di Zelinsky-Wibbelt (1993). 30 Il problema non era del tutto ignorato; Venneman, in un articolo del 1957, si chiede

già se le PP di stato in luogo voor (davanti) e achter (dietro) abbiano ‘een gevoelsinhoud’ (un contenuto di senso) e Weijnen (1965) si propone di esaminare i significati non-dimensionali delle locuzioni preposizionali. Questi lavori non contengono però delle analisi sistematiche.

31 cfr. introduzione di Feigenbaum & Kurzon (2002). 32 Non a caso la maggior parte degli studi sono dedicati alle PP di riferimento spaziale. 33 Le PP formano un gruppo lessicale altamente polisemico (Taylor 1993: 152; Van

Langendonck 1974: 2).

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usato anche da Raedts (2000) per il suo studio comparativo delle PP in neerlandese e in dieci altre lingue indoeuropee. A questo proposito si introducono qui di seguito le nozioni di trajector e di landmark.

La linguistica cognitiva mette l’accento sulla soggettività dell’osservazione umana, cosicché in presenza di due oggetti l’interpretazione del significato della visione complessiva sarà diversa secondo la rilevanza attribuita all’uno o all’altro oggetto. Sembra infatti che l’uomo non sia portato a non distinguere tra ciò che è in primo piano e ciò che sta sullo sfondo, anche se la decisione selettiva è del tutto soggettiva. La relazione che la PP esprime è quindi asimmetrica nel senso che un oggetto viene focalizzato come più rilevante rispetto a un altro (Taylor 1993: 153). Langacker (1998: 10/1) dà il termine di trajector (TR) all’elemento in primo piano e quello di landmark (LM) allo sfondo34. A questo punto è facile capire come nella relazione instaurata da una PP tra due oggetti l’uno è visto come TR e l’altro come LM; nella frase De kat zit onder de tafel (Il gatto è sotto il tavolo) il gatto costituisce TR e il tavolo LM, ma nella frase De tafel staat in de kamer (Il tavolo sta nella stanza) è il tavolo a essere TR.

Il primo parametro di Hawkins è di natura relazionale e distingue la situazione di contatto (COINCIDENZA) tra due oggetti da quella di distacco (SEPARAZIONE)35. La COINCIDENZA è totale o parziale; la SEPARAZIONE è del tipo circolare quando si ha una distanza radiale tra TR e LM.

Il secondo parametro è quello delle configurazioni che TR può assumere; si distinguono l’AREA, intesa come la dimensione su cui si espande TR e l’eventuale PERCORSO. Si denomina la configurazione INDETERMINATO quando la dimensione di TR non riveste importanza.

Il terzo parametro dà le configurazioni per LM e prevede oltre la configurazione INDETERMINATO, una configurazione tridimensionale 3 DIM o MEDIUM e una bidimensionale 2 DIM o SUPERFICIE36. Quest’ultima, chiamata ‘zona attiva’, è intesa come quella parte di LM che instaura una relazione con TR.

3.1. Il significato prototipico delle preposizioni neerlandesi

In questo paragrafo vengono date le PP presenti nelle parafrasi dei composti nominali neerlandesi con il loro significato prototipico di riferimento spaziale seguito dai significati derivati. L’analisi si ispira al lavoro di Raedts (2000), a

34 Nella terminologia italiana sono usati anche il termine ‘timone’ (TR) e ‘faro’ (LM). 35 Nella linguistica cognitiva si usano le maiuscole per esprimere i concetti. 36 Rudzka-Ostyn (1988) raggruppa nel suo articolo le PP inglesi secondo le

caratteristiche del proprio LM.

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cui si sono aggiunte nozioni tratte da altri testi che fanno qualche accenno al neerlandese37.

In - il significato prototipico di contenimento richiede TR

INDETERMINATO, LM costituito da un oggetto tridimensionale (3DIM) 38 e COINCIDENZA totale: Het boek ligt in de kast (Il libro è dentro l’armadio), de juwelen in de doos (i gioielli nella scatola). La COINCIDENZA può anche essere parziale, in quel caso si richiede che LM sia un oggetto 3DIM con lati relativamente alti39 come nelle seguenti proposizioni: de melk in het glas (il latte nel bicchiere), de rozen in de vaas (le rose nel vaso).

Significati periferici di stato in luogo si riscontrano quando LM è bidimensionale (2DIM), Ze heeft sproeten in haar gezicht (Ha delle lentiggine sulla faccia), De kinderen staan in de cirkel (I bambini stanno nel cerchio disegnato per terra).

Il più noto uso metaforico delle preposizioni di riferimento spaziale riguarda l’asse temporale40 ; se ci prefiguriamo lo scorrere del tempo lungo un asse orizzontale, risulta evidente che ad esso si possono applicare le coordinate spaziali41. Il significato prototipico di contenimento della PP in viene trasferita allo spazio temporale dove la PP indica un avvenimento indeterminato (TR) situato all’interno di una parte delimitata dell’asse temporale (LM), De Berlijnse muur viel in 1989 (Il muro di Berlino cadde nel 1989). La COINCIDENZA è totale42. L’uso temporale di in richiede un sostantivo che si riferisce ad un lasso di tempo divisibile in parti ricorrenti, come per esempio anni o mesi.

In temporale è, in modo non prototipico, usata per esprimere la misura del tempo; in quel caso indica il periodo necessario per compiere l’azione: Hij liep de 100 meter in 10 seconde (Corse i 100 metri in 10 secondi)43.

Op - Il significato prototipico della PP op prevede TR INDETERMINATO e LM 2DIM 44 di cui una parte, la zona attiva, funge da supporto 45 con

37 La maggior parte degli studi è dedicata alle PP inglesi. 38 Rudzka-Ostyn (1988) dà il nome di MEDIUM a LM tridimensionale; per i diversi tipi

di MEDIUM in neerlandese cfr. Cuykens (1993: 45-49). 39 L’elemento semantico COINCIDENZA non ha dei tratti netti cfr. Cuykens (1993: 61). 40 L’uso di PP di stato in luogo per indicare la categoria astratta del tempo è comune a

molte lingue (Van Langendonck 1974: 10). 41 Siccome l’asse del tempo è considerato unidimensionale e unidirezionale, le PP che

indicano l’asse spaziale verticale ‘sopra/sotto’ o quello laterale ‘a sinistra/a destra’ non hanno equivalenti nell’indicazione del tempo (Raedts 2000: 27).

42 Si riscontrano anche preposizioni con coincidenza parziale: In 1995 woonde Jan in Australië. (Nel 1995 Gianni abitava in Australia.); non è detto che Gianni abitava solo in quell’anno in Australia.

43 cfr. anche Durrell-Bree (1993: 300) che nota lo stesso fenomeno per l’inglese.

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conseguente COINCIDENZA tra TR e zona attiva: De krant ligt op tafel (Il giornale è sopra il tavolo). Al LM spetta il compito di delimitare lo spazio in cui si trova TR facilitandone l’individuazione (Raedts 2000: 20)46; si confrontino le due proposizioni: De krant ligt in de auto (Il giornale si trova dentro l’automobile) verso De krant ligt op de achterbank (Il giornale si trova sul sedile posteriore). 47 Oltre che di supporto la COINCIDENZA può essere di aderenza: Er zit een vlieg op de muur (C’è una mosca sulla parete).

La soprannominata facilità di identificazione si nota nell’uso temporale di op, quando situa l’avvenimento in un punto preciso dell’asse temporale, facilmente identificabile perché simultanea all’azione. Condizione necessaria è che il sostantivo temporale esprime un’unità autonoma in una serie: Op de derde dag van onze skivakantie brak hij zijn been (Nel terzo giorno della nostra settimana bianca egli ruppe la sua gamba). I significati non-prototipici non richiedono sempre la simultaneità; nei casi di un’azione autonoma op può esprimere il seguito: Op mijn teken begin je te rennen (Ad un mio segno cominci a correre).

La differenza tra oggetti facilmente individuabili, perché appoggiati sopra una superficie, relazione espressa da op, e oggetti sparsi tra loro, relazione espressa da in, viene notata anche da Van Langendonck (1974) nel suo studio sulle suddette PP, analizzate dal punto di vista della grammatica del caso. L’autore distingue a questo proposito, sia per l’uso di stato in luogo che per quello temporale, i tratti [± isol] presumendo che l’isolamento corrisponda a facilità d’individuazione. L’isolamento può essere geografico, architettonico o socioculturale. Nomi di entità isolate, come le isole48 o i pianeti richiedono op, mentre quelli di paesi, di province e di città si combinano con in: op Sicilië (in Sicilia), op Mars (su Marte), in Italië (in Italia), in Amsterdam (ad Amsterdam).

44 Proposizioni con TR 1DIM come Greenwich ligt op de nulmeridiaan (Greenwich si

trova sul meridiano zero) sono rare. 45 Rudzka-Ostyn (1988: 531) individua il LM come SURFACE ‘superficie’. 46 La rilevanza cognitiva di op per accentuare la reperibilità si ritrova anche nell’uso

del prefisso op nei verbi composti: opzeggen (recitare a voce alta) (Dirven 1990: 271).

47 Il dubbio sull’uso corretto può torturare anche un parlante madrelingua neerlandese, come si deduce dall’intervista con lo scrittore Tim Krabbé (NRC.Handelsblad, Web- en Weekeditie voor het buitenland, 3 agosto 2004): Ik schrijf ‘er stonden geen schaatskrassen op het ijs’, en dan denk ik ineens, zou het niet ‘schaatskrassen in het ijs’ moeten zijn? (Scrivo ‘non si vedevano segni di pattini sul ghiaccio’, e poi mi viene improvvisamente a pensare, non dovrebbe essere ‘segni di pattini nel ghiaccio’?).

48 Isole molte grandi sentite come nazioni perdono in una certa misura la connotazione di isolamento, che spiega la preferenza per in: in Engeland (in Inghilterra), in Japan (in Giappone).

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L’aspetto isolato geografico si nota con le entità, come colline o montagne, op de heuvel (sulla collina), op de berg (sulla montagna); quello architettonico e/o socioculturale particolarmente con i nomi di edifici: op de toren (sulla torre), op het kasteel (nel castello) verso in het huis (nella casa), in het restaurant (nel ristorante). La divisione non è però netta e si riscontrano differenze non facilmente spiegabili come in de kerk (in chiesa) ma op school (a scuola). Il contesto influisce inoltre sull’uso dell’una o dell’altra PP, come dimostrano i seguenti esempi tratti da Van Langendonck (1974: 32): Er werd schoonmaak gehouden in het paleis (Venne fatto pulizia nel palazzo) verso De ambasadeur werd ontvangen op het paleis (L’ambasciatore fu ricevuto nel palazzo).

Il medesimo schema si applica alle PP temporali, anche se la differenza risulta frequentemente neutralizzata per la categoria non-produttiva delle denominazioni del tempo49. Nell’uso temporale la PP può inoltre essere assente, come d’altronde anche in italiano: (op) de tweede dag ... ((nel) Il secondo giorno ...)). Si nota tuttavia che quando si vuole sottolineare un preciso momento ben isolato, la preferenza viene accordata a op, Op eerste Paasdag gaan we naar de kerk (Il (primo) giorno di Pasqua andiamo in chiesa)50.

voor - la PP voor è stata raramente oggetto di studi; forse perché in inglese,

come in italiano, c’è stata una divaricazione tra la PP di stato in luogo in front of e gli altri usi espressi da for. Per quanto riguarda i parametri, TR e LM sono INDETERMINATI, la relazione è di SEPARAZIONE e concerne l’asse davanti/dietro, De directeur staat voor zijn bureau (Il direttore sta in piedi davanti alla sua scrivania).

Come preposizione temporale voor indica un momento o periodo sull’asse temporale precedente ad un altro, Voor de vakantie wil ik dit tentamen doen (Prima delle vacanze voglio far questo esame).

Nei significati derivati la PP è legata alla causalità nelle sue varie espressioni, e alla finalità: Hij vecht voor zijn land (Egli combatte per il suo paese), Zij kookte voor haar plezier (Cucinava per divertimento), Hij is gearresteerd voor diefstal van een auto (È stato arrestato per il furto di un’automobile), Dit boek is voor jou (Questo libro è per te). L’estensione metaforica causale e finale rimanda all’asse davanti/dietro perché le cause stanno dietro l’azione, e i propositi e i beneficiari davanti a noi (Radden 1998: 49 Van Langendonck (1974: 33) discerne tra: 1) sostantivi che indicano una durata o

processo temporale come uur (ora), maand (mese); 2) sostantivi che implicano una durata come vergadering (riunione), wedstrijd (gara); 3) sostantivi che indicano un punto preciso nel tempo come seconde (secondo), moment (momento); 4) sostantivi che implicano un punto preciso nel tempo come ontploffing (esplosione), blikseminslag (fulminazione). I gruppi 1) e 3) non sono produttivi.

50 Nelle festività di Pasqua si distinguono due giorni di festa, corrispondenti all’italiano ‘Pasqua e Pasquetta’; lo stesso dicasi per Natale e Pentecoste.

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285). La connotazione propositiva è insita in una proposizione come Ik ga voor een paar dagen naar Zwitserland (Vado in Svizzera per alcuni giorni) verso Ik ga een paar dagen naar Zwitserland. (Vado alcuni giorni in Svizzera), frase che esprime solo un complemento temporale (Durrell-Bree 1993: 315).

Già Venneman (1957: 87) nota come la PP di stato in luogo voor ha una connotazione positiva di apertura e comunicazione verso il mondo, al contrario di achter (dietro). Si confrontino le due frasi: Zij staat voor de deur (Sta davanti alla porta) verso Zij staat achter de deur (Sta dietro la porta); la prima comunica la disponibilità al dialogo, la seconda dà un senso di non-disponibilità e di segretezza. I medesimi tratti positivi si riscontrano quando voor esprime la disponibilità ad agire al posto di qualcun’altro, Ik zal het wel voor je doen (Lo farò al posto tuo).

I diversi significati di voor rendono molte frasi ambigue come, Ik ben bang voor Piet (Ho paura di Pietro/Ho paura per Pietro), Ik stem voor jou (Voto per te/Voto al posto tuo) (Weijnen 1965: 141).

om - il significato prototipico di om richiede che TR sia un soggetto multiplo

(AREA) e LM INDETERMINATO. La relazione tra i due elementi è costituita da una SEPARAZIONE completa radiale con la premessa che la distanza tra TR e LM non sia troppo grande, De kinderen zaten om het kampvuur (I ragazzi erano seduti intorno al falò). Si notano tuttavia varie deviazioni: così la SEPARAZIONE radiale è qualche volta parziale: We zitten om de haard (Siamo seduti intorno al camino); altre volte si trova al posto della SEPARAZIONE radiale una COINCIDENZA radiale: Zij droeg een ketting om haar hals (Portò una collana intorno al collo).

L’uso temporale di om e gli altri usi derivati non hanno caratteristiche in comune con il prototipo (Raedts 200: 39). Om temporale è simile a op e indica contemporaneità tra i due elementi; si usa con le indicazioni delle ore, Jan komt vanavond om negen uur (Gianni viene stasera alle nove). Come misura del tempo fa sporadicamente riferimento al percorrere di un cerchio temporale, nel senso di ‘ogni volta dopo una cosa’: Hij werkt om de andere dag (Lavora un giorno su due).

Frequente è l’uso causale di om: Hij deed het alleen maar om de eer (L’ha fatto solo per l’onore). Om ha valore finale in frasi come Zij riep om hulp (Chiamò soccorso), mentre davanti a un infinito non viene considerata PP quanto particella modale dal valore finale; qui si nomina perché riscontrabile nella parafrasi dei composti V+S: een leesboek = een boek om in te lezen (un libro da leggere).

door - door non possiede significato prototipico di stato in luogo, perché

essendo legata al PERCORSO (Taylor 1993: 155), esprime un moto. Richiede LM

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3DIM, il quale, più che come un contenitore, è concepito come un’area o una sostanza limitata percorsa dall’inizio fino alla fine da TR (Rudzka-Ostyn 1988: 530-531), De trein reed door de tunnel (Il treno attraversò il tunnel).

Come PP temporale door rispecchia il significato spaziale in quanto indica l’attraversamento di un periodo, door de week (durante la settimana).

Metaforicamente il percorso, inteso come un’azione avente una provenienza, può assumere aspetto causale; da ciò deriva probabilmente il significato di ‘per via di’, ‘attraverso’: Door de rook zie ik niets meer (A causa del fumo non vedo più niente), Door hard te werken zul je je doel bereiken (Lavorando sodo, riuscirai a raggiungere il tuo scopo). L’alta frequenza di door è inoltre dovuta al suo uso nelle proposizioni passive dove forma insieme con il sostantivo il sintagma preposizionale che indica l’agente, Mijn afspraak is bevestigd door de secretaresse (L’appuntamento mi è stato confermato dalla segretaria).

met - la PP met non ha un significato prototipico di riferimento spaziale, ma

indica accompagnamento51. TR e LM sono INDETERMINATI; la relazione implica qualche volta SEPARAZIONE a patto che i due elementi rimangano nella reciproca vicinanza, Elke avond gaat hij wandelen met de hond (Ogni sera va a passeggiare con il cane). Altre volte si osserva COINCIDENZA, con speciale riferimento a miscelature, strumenti o dotazioni: Zij drinkt water met wijn (Beve acqua con vino), Hij slaat met een hamer (Batte con un martello), Hij at een broodje met kaas (Mangiò un panino con il formaggio). La relazione di dotazione è simile a quella di possesso e di maniera (Radden 1998: 279): een man met een baard (un uomo con la barba), Hij antwoordde met een glimlach (Rispose con un sorriso). Nelle proposizioni come Ze lag in bed met griep (Era a letto con l’influenza) le circostanze accompagnano metaforicamente la persona.

L’uso temporale di met, piuttosto raro, esprime contemporaneità e accompagnamento. Si riscontra con sostantivi che si riferiscono a festività, Met Kerstmis komt mijn oma (A Natale viene mia nonna). Uso specifico, limitato all’ora, riguarda l’enunciazione dei tempi relativi, Met een uurtje ben ik terug (In un’ora sono di ritorno).

van - nell’uso prototipico TR e LM sono INDETERMINATI. La relazione tra

TR e LM è di distacco (SEPARAZIONE): partendo da una COINCIDENZA tra essi, TR si allontana da LM. La PP combina il luogo di origine con il percorso: Hij komt van het platteland (Viene dalla campagna), eieren van de boerderij (uova dalla fattoria).

Il medesimo significato di distacco si trova nell’uso temporale della PP: van dag tot dag (di giorno in giorno).

51 Rudska-Ostyn (1988: 541) parla di instrumental trajector, TR strumentale.

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L’origine può dare luogo a diversi significati oltre a quello di luogo di provenienza, di cui alcuni concreti e altri più astratti, che fanno di van una PP caratterizzata da un’alta frequenza e da estesa polisemia. È sufficiente pensare per esempio alle materie prime, al proprietario di un bene o a un gruppo di appartenenza: een armband van goud (un braccialetto d’oro), de fiets van Karel (la bicicletta di Carlo), Hij is de grootste van de kinderen (È il più grande dei figli).

Van viene inoltre usata per esprimere relazioni causali e strumentali: sterven van de honger (morire di fame)52, Van dat geld kon hij een auto kopen (Con quei soldi si è potuto comprare una macchina). Frequente è l’uso di van per esprimere l’autore o l’oggetto di un’opera: een roman van Mulisch (un romanzo di Mulisch), het sprookje van Sneeuwwitje (la favola di Biancaneve).

Dall’analisi sono state escluse la PP di moto da luogo uit e la preposizione di vicinanza bij, entrambi frequenti, ma assenti nelle parafrasi dei composti nominali.

4. Due esperimenti

4.1. I modelli semantici sottostanti i composti nominali

Dopo aver descritto i significati prototipici di alcuni PP neerlandesi, si procede ora all’analisi della loro presenza nei modelli semantici sottostanti i composti caratterizzati dalle diverse relazioni (cfr. §2.2 e Den Boon 2001: 46-56). Nei composti S+S l’elemento X funge da attributo o determinatore alla testa Y; il composto corrisponde quindi al modello ‘Y+PP+X’; i composti V+S possono essere parafrasati con un predicato verbale: ‘Y+subordinata relativa col verbo X’ (Haeseryn et al. 1997: 693).

Composti con: 1) relazione soggettiva: la parafrasi dei composti S+S riflette il modello

semantico ‘Y van X’ (‘Y di X’), botbreuk ‘osso+frattura’= breuk van een bot (frattura di un osso); i composti V+S danno luogo alla proposizione relativa ‘Y die X verricht’ (‘Y che fa X’), waakhond ‘vigila+cane’ = hond die waakt (cane che fa la guardia);

2) relazione oggettiva: la parafrasi dei composti S+S riflette il modello semantico ‘Y van X’ (‘Y di X’): terreurbestrijding ‘terrorismo+lotta’ = bestrijding van terreur (lotta di terrore); per i composti V+S ci sono due possibilità, o una proposizione relativa con verbo alla voce passiva ‘Y die X wordt’ (‘Y che viene X’) o una proposizione finale implicita ‘Y om te X’

52 Si osservi la differenza tra Hij rilde in de kou (Tremava nel freddo) versus Hij rilde

van de kou (Tremava dal freddo) (cfr. Radden 1998: 281) per lo stesso esempio in inglese.

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(‘Y da X’), stoofpeer ‘stufa+pera’ = peer die gestoofd wordt (pera che viene cotta), peer om te stoven (pera da cuocere);

3) relazione di luogo: la parafrasi dei composti S+S riflette il modello semantico ‘Y op/in de door X genoemde plaats’ (‘Y sul/nel posto nominato da X’), tuinpad ‘giardino+sentiero’ = pad in de tuin (sentiero nel giardino); per i composti V+S l’elemento verbale si tramuta in una subordinata relativa introdotta da una congiunzione o dall’avverbio avverbiale, slaapkamer ‘dormi+camera’ = kamer waarin men slaapt (camera in cui si dorme);

4) relazione temporale: la parafrasi dei composti S+S riflette il modello semantico ‘Y op/in de door X genoemde tijdruimte’ (‘Y allo/nello spazio temporale indicato da X’), ochtendgymnastiek ‘mattina+ginnastica’ = gymnastiek in de ochtend (ginnastica nella mattina); come per la parafrasi locale, anche quella temporale dei composti V+S contiene una congiunzione o un avverbio pronominale, wasdag ‘lava+giorno’ = dag waarop men wast (giorno in cui si fa il bucato);

5) relazione finale: la parafrasi dei composti S+S riflette i modelli semantici ‘Y ten behoeve van X’ (‘Y a favore di X’), ‘Y gericht op X’ (‘Y indirizzato a X’), ‘Y bestemd voor X’ (‘Y destinato a X’), afscheidingsbeweging ‘separazione+movimento’ = beweging gericht op afscheiding (movimento mirato alla separazione). I modelli semantici contengono delle locuzioni preposizionali che sono delle specificazioni della PP voor nel suo significato finale. I composti V+S vengono parafrasati con una proposizione finale implicita con la particella om con o senza preposizione, leestafel ‘leggi+tavolo’ = een tafel om (aan) te lezen (un tavolo per/a cui leggere);

6) relazione causale: sia i composti S+S che quelli V+S rispecchiano i seguenti modelli semantici: ‘Y door X’ (‘Y da X’), ‘Y tengevolge van X’ (‘Y come conseguenza di X’), verstikkingsdood ‘asfissia+morte’ = dood door verstikking (morte per asfissia), vliegramp ‘vola+disastro’ = ramp door vliegen (disastro a causa del volare);

7) relazione strumentale: la parafrasi dei composti S+S riflette i modelli semantici ‘Y door middel van X’ (‘Y per mezzo di X’) e ‘Y met X’ (‘Y con X’), busreis ‘autobus+viaggio’= reis met bussen (viaggio con autobus); i composti V+S sono parafrasabili con sostantivo seguito da frase relativa introdotta da un avverbio pronominale, snoeischaar ‘pota+forbici’= schaar waarmee men snoeit (forbice con cui si pota);

8) relazione possessiva: a seconda del tipo di relazione si individuano il modello semantico: ‘Y van X’ (‘Y di X’), paardenpoot ‘cavalli+zampa’ = poot van een paard (zampa di un cavallo) o quello ‘Y bestaande uit X’ (‘Y consistente di X’) o ‘Y met X’ (‘Y con X’), krentenbrood ‘uvette+pane’ = brood met krenten (pane con uvette);

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9) relazione comparativa: il modello semantico sottostante è ‘op een X lijkende Y’ (‘Y che somiglia a X’) o ‘X-achtige Y’ (‘Y specie di X’) parafrasabile con un sostantivo seguito da una frase relativa, aapmens ‘scimmia+uomo’ = persoon die lijkt op een aap (persona che somiglia a una scimmia).

Dalla descrizione dei modelli semantici si deduce che le parafrasi dei composti nominali dovrebbero contenere le seguenti PP semplici: in, op, voor, om, door, met e van. Ci si aspetta inoltre di incontrare degli avverbi pronominali relativi nella parafrasi dei composti V+S.

I significati di in e op sono per le relazioni di stato in luogo e di tempo prototipici. La PP voor nei composti caratterizzati da una relazione finale ha significato non-prototipico. Om si trova solo come particella finale nelle proposizioni implicite, anche se il suo uso nel significato prototipico non è da escludere per parafrasare dei composti contenenti oggetti di forma rotonda. Nei modelli semantici door indica la causa o lo strumento, ambedue significati non prototipici. Prototipico è invece il significato di met nella relazione strumentale. Tre modelli contengono la preposizione van; il significato prototipico che fa riferimento all’origine si trova soltanto nella relazione possessiva.

Nel prossimo paragrafo si esaminano i risultati di due esperimenti durante i quali un gruppo di studenti avevano il compito di parafrasare dei composti nominali; interessante sarà vedere se le PP sono state usate in modo corretto e se si nota a questo proposito differenza tra l’uso delle preposizioni dal significato prototipico e quello delle altre.

4.2. La parafrasi dei composti nominali S+S, N+S, V+S

Ad un gruppo ristretto di studenti del terzo e del quarto anno53 sono state sottoposte, in due turni e in due date diverse, due liste con composti nominali neerlandesi (vedi Appendice). La prima lista conteneva 20 composti S+S, la seconda 15 composti V+S e 5 N+S; di quest’ultimi 3 erano formati da 3 elementi (cfr. § 2.2). Compito degli studenti era di dare la parafrasi in neerlandese con l’utilizzo degli elementi presenti nel composto. Gli studenti non erano a conoscenza dello scopo dell’esperimento.

La seguente esposizione dei risultati si concentra sull’uso delle preposizioni e degli avverbi pronominali tralasciando tutti gli altri errori sia di natura lessicale, morfologica e sintattica, sia quelli legati allo spelling.

53 Tutte e due le volte si sono presentati 6 studenti per il test; in totale hanno

partecipato 10 persone, perché alcuni studenti si sono presentati per entrambe le prove.

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I composti sono stati divisi in S+S, N+S e V+S e per facilitarne il commento si è deciso di illustrare i risultati secondo la relazione tra gli elementi (cfr. § 2.2 e § 4.1). Va osservato che in alcuni composti si può individuare più di una relazione, come in politiehond ‘cane+polizia’ (cane poliziotto), la cui relazione può essere intesa come strumentale, ma anche come possessiva; pur essendo la prima relazione quella principale, la seconda, quando usata nella parafrasi dagli studenti, non è stata ritenuta sbagliata. Tutte le relazioni discusse nei paragrafi precedenti sono presenti, sia nei S+S sia nei V+S, con eccezione di quella comparativa. 1) Composti con relazione soggettiva. La parafrasi dei composti S+S non ha

mostrato degli errori, in quanto quasi tutti gli studenti hanno usato un sintagma preposizionale con van: ministerraad ‘ministri+consiglio’ = raad van ministers (consiglio dei ministri). Uno si è servito di una subordinata relativa introdotta dall’avverbio pronominale: een raad waarin de ministers zitten (un consiglio in cui siedono i ministri). I risultati per la parafrasi dei composti V+S sono meno univoci, perché la presenza dell’elemento verbale fa sì che, nella parafrasi, al sostantivo può seguire sia una subordinata relativa esplicita sia una finale implicita. Nella parafrasi dei 3 composti V+S si trovano 11 proposizioni relative con congiunzione semplice dat/die (che), 2 con proposizione subordinata finale implicita con om. Tutte queste soluzioni sono corrette. Dei 5 studenti che danno una parafrasi con l’avverbio nominale, 3 lo usano in modo esatto, discussiegroep ‘discussione+gruppo’ = groep waarin wordt gediscussieerd (gruppo in cui si discute); 2 lo sbagliano usando solo la prima parte avverbiale waar, senza l’aggiunto della preposizione richiesta, overlegorgaan ‘consulta+organo’ = *orgaan waar men overlegt (organo dove si consulta).

2) Composti con relazione oggettiva. I risultati, simili a quelli per i composti con relazione soggettiva, contengono una maggioranza di parafrasi corrette per i composti S+S con van: bloedtransfusie ‘sangue+trasfusione’ = een transfusie van bloed (una trasfusione di sangue). Solo un composto ha dato luogo a risposte divergenti, quasi sempre erronee: allochtonenstop ‘immigranti+stop’, inteso come blocco all’accesso degli immigranti; gli studenti hanno lasciato in bianco lo spazio per la parafrasi (2) o usato le PP van (1), voor (2), voor/tegen (pro/contro)(1). La soluzione esatta sarebbe stata una locuzione preposizionale con significato di ‘per quanto concerne’. Il composto V+S è stato parafrasato correttamente con il sostantivo seguito da una subordinata relativa (5) o da una subordinata finale implicita (1), braadvlees ‘stufa+carne’ = vlees om te braden (carne da stufare).

3) Composti con relazione di luogo. Con eccezione di due parafrasi del tutto sbagliate, i composti S+S sono stati resi con le PP di stato in luogo in e op, anche se non sempre usate in modo corretto. Wegverkeer ‘strada+traffico’

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viene parafrasato 3 volte come verkeer op de weg (traffico sulla strada) e una volta con *verkeer in de weg (traffico nella strada); la PP in non si usa in combinazione con un LM SUPERFICIE come ‘strada’ (cfr. § 3.1). L’altro composto S+S, luchtvervoer ‘aria+trasporto’, è reso 5 volte con in, e solo una volta con door, het vervoer dat door de lucht wordt gedaan (il trasporto che viene attuato attraverso l’aria), che potrebbe essere una parafrasi più precisa di ‘trasporto aereo’.

Per parafrasare i 2 composti V+S quasi tutti gli studenti hanno usato una proposizione relativa con la congiunzione semplice (1) o con l’avverbio pronominale (2): vergadertafel ‘riunione+tavolo’ = tafel die in vergaderingen gebruikt wordt (tavolo che viene usato nelle riunioni), tafel waaraan mensen vergaderen (tavolo a cui la gente tiene riunioni). Grammaticalmente non corrette sono invece le 5 parafrasi che contengono l’avverbio waar come congiunzione, *tafel waar een vergadering plaatsvindt (tavolo dove ha luogo una riunione), le 3 parafrasi con om + infinito sprovviste di PP e le proposizioni relative con l’avverbio pronominale sbagliato (1)54.

Il composto N+S tweepersoonsbed ‘due+persone+letto’ è caratterizzato da una relazione sia finale sia di luogo; chi ha individuato la relazione finale (4) ha giustamente usato la PP voor, een bed voor twee personen (un letto per due persone). Solo uno studente ha considerato più rilevante la relazione di luogo preferendo una subordinata relativa introdotta dall’avverbio pronominale waarin, een bed waarin twee personen kunnen slapen (un letto in cui possono dormire due persone); uno studente ha parafrasato usando un avverbio pronominale sbagliato.

4) Composti con relazione temporale. Dei 4 composti S+S solo la parafrasi di

uno ha creato problemi, sempre a causa dell’avverbio pronominale, vragenuurtje ‘domande+oretta’ parafrasato 3 volte con una subordinata relativa introdotta dall’avverbio pronominale corretta waarin, 2 volte dall’ avverbio sbagliato waarop, mentre uno studente ha usato la congiunzione temporale wanneer ‘durante’, soluzione grammaticalmente dubbia: ?het uur wanneer het mogelijk is vragen te stellen (l’ora in cui è possibile porre delle domande). Nella lista 2 composti potevano essere interpretati come aventi una relazione finale: zomerjurk ‘estate+vestito’ e jaarabonnement ‘anno + abbonamento’; non stupisce quindi di trovare nelle parafrasi accanto alle PP

54 Interessante è l’uso di waarom inteso come ‘intorno al quale’; lo studente ha

parafrasato ‘tafel waarom de mensen zitten om een vergadering te doen’ (tavolo perché le persone siedono per fare una riunione), perché nella formazione dell’avverbio pronominale la PP om si trasforma in waaromheen, mentre la parola waarom ha il significato dell’avverbio interrogativo ‘perché’.

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in (4) e tijdens (durante) (1) anche la PP voor (2), een abonnement dat geldt voor een jaar (un abbonamento valido per un anno). La medesima combinazione di relazione temporale/finale si trova nel composto N+S vijfjarenplan ‘cinque+anni+piano’ parafrasato 3 volte con voor, plan dat geldt voor vijf jaren (piano che è valido per cinque anni).

È degno di nota che solo per i composti con relazione temporale, come avondcursus ‘sera+corso’, gli studenti hanno fatto ricorso, accanto alla parafrasi più scontata een cursus die in de avond plaatsvindt (un corso che ha luogo nella sera) (2), a dei sinonimi per le PP temporali in/op: een cursus die gedurende de avond plaatsvindt (un corso che ha luogo durante la sera), een cursus die je tijdens de avond doet (un corso che fai durante la sera), de cursus die (‘s) avonds plaatsvindt (il corso che ha luogo la sera)55.

Il composto V+S non ha posto problemi, anche se la metà degli studenti ha usato la congiunzione temporale wanneer (quando): jachtseizoen ‘caccia+stagione’ = het seizoen wanneer je kan jagen (la stagione quando puoi cacciare).

5) Composti con relazione finale. Tralasciando i composti che potevano essere identificati anche con un’altra relazione si contavano 5 composti S+S con la sola relazione finale; numero alto giustificato dal fatto che la formazione di questo composto in neerlandese è altamente produttiva. Delle 30 soluzioni meno della metà (12) hanno usato le PP finali voor o tot (per): verdedigingslinie ‘difesa+linea’ = een linie die tot verdediging dient (una linea che serve per la difesa); 8 hanno usato correttamente una proposizione relativa con congiunzione semplice, 2 una subordinata finale implicita con om, mentre 8 studenti hanno dato una parafrasi con la PP sbagliata.

Il composto N+S tienrittenkaart ‘dieci+corse+carta’ è stato analizzato da diversi punti di vista (relazione finale, possessiva e strumentale) e quindi parafrasato con diverse PP che però hanno sempre dato una frase grammaticalmente accettabile: een kaart die voor tien ritten geldt (un biglietto che vale per dieci corse), een kaart met tien ritten (un biglietto con dieci corse).

I 7 composti V+S erano più facili da parafrasare, in quanto si poteva far ricorso alla particella finale om seguito dall’infinito: bakolie ‘friggi+olio’ = olie die gebruikt wordt om te bakken (olio che viene usato per friggere) o olie om te bakken (olio per friggere). Chi ha visto la relazione strumentale o locale, forse quelle più rilevanti, in questo composto ha dato la parafrasi con l’avverbio pronominale corretto, de olie waarmee/in iets gebakken wordt (l’olio con cui viene fritto qualcosa).

55 L’avverbio corretto usato come riferimento a un’azione abituale o ripetuta è 's

avonds.

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A quest’ultimo proposito si nota che nella parafrasi con la proposizione subordinata finale implicita, om+infinito, l’inserimento della PP mee/in sarebbe stato grammaticalmente più bello: olie om mee/in te bakken (olio con cui friggere); il medesimo discorso vale per la parola tekenpotlood ‘dise-gno+matita’ che tutti hanno parafrasato con potlood om te tekenen (matita per disegnare) e nessuno con potlood om mee te tekenen (matita con cui disegnare) perdendo la connotazione strumentale della matita56.

6) Composti con relazione causale. I due composti S+S, geluidsoverlast ‘rumore+disturbo’ (inquinamento acustico) e waterschade ‘acqua+danno’ (danno causato dall’acqua) sono stati parafrasati correttamente con l’aiuto della PP door (7) o con una proposizione relativa, waterschade ‘acqua+danno’ = de schade die water kan veroorzaken (il danno che l’acqua può causare). Le parafrasi errate sono state quattro, come per esempio *schade op het water (danno sull’acqua).

L’analisi del composto V+S è risultata più complessa; nessuno ha usato una parafrasi con door, 3 hanno usato la preposizione in, come per programmeerfout ‘programma+errore’ = fout in het programmeren (sbaglio nel programmare); gli altri 3 hanno sbagliato.

7) Composti con relazione strumentale. Per il composto S+S politiebewaking ‘polizia+guardia’ la proporzione è di 3 risposte corrette con door con o senza proposizione relativa, bewaking door de politie (guardia (fatta) dalla polizia) e 2 parafrasi con PP sbagliata; uno studente ha creato un nuovo composto contravvenendo all’obbligo di usare i singoli membri nella parafrasi, de bewakingsdienst van de politie (il servizio di guardia della polizia). Più vario risulta il panorama per il composto politiehond ‘cane+polizia’, che è anche stato inteso come avente una relazione finale; a seconda della prospettiva tutte le varie parafrasi sono state ritenute corrette: een hond die met de politie werkt (un cane che lavora con la polizia), een hond die door de politie wordt gebruikt (un cane che viene usato dalla polizia), de hond die de politie helpt (il cane che aiuta la polizia), een hond die werkt voor de politie (un cane che lavora per la polizia). I composti N+S e V+S potevano tutti essere interpretati come composti con una relazione sia strumentale sia finale; si è già osservati come questi ultimi sono stati parafrasati con una proposizione esplicita finale o implicita con om.

8) Composti con relazione possessiva. Con un’unica eccezione le parafrasi dei composti, prevalentemente N+S (cfr. § 2.2), sono corrette, in quanto contengono la PP met o una proposizione relativa: vierkant ‘quattro+lati’ =

56 La difficoltà nell’uso delle PP porta spesso a tralasciarle, come si è già notato a

proposito degli avverbi pronominali. Nelle parafrasi si trova tuttavia anche un caso di inserimento non richiesto di una PP: stoplicht ‘ferma+luce’ (semaforo) = licht die in het verkeer stopt (luce che nel traffico ferma).

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een figuur die vier kanten heeft (una figura che ha quattro lati) o een vorm met vier kanten (una forma con quattro lati)57.

5. Commento e conclusione

Dai risultati dei due esperimenti è evidente come la difficoltà di parafrasi che si esprime nella scelta sbagliata della PP dipenda in gran misura dal tipo di relazione che intercorre tra i membri del composto. A tal proposito si possono fare le seguenti osservazioni: 1) le parafrasi dei composti S+S in cui la PP mantiene il suo significato

prototipico, come per esempio nei composti con relazione di luogo o strumentale, risultano essere più facili. Anche l’uso delle PP temporali, che hanno significati facilmente riducibili a quelli prototipici (cfr. § 3.1) non ha creato problemi. Più il significato diventa astratto allontanandosi da quello prototipico, più errori si trovano nell’uso, come per esempio per i composti con relazione finale e causale;

2) la formazione e l’uso degli avverbi pronominali costituiscono un ostacolo; solo alcuni studenti padroneggiano questa parte della grammatica;

3) nei composti V+S, parafrasati da una proposizione finale implicita viene tralasciata frequentemente la PP;

4) con eccezione delle parafrasi per i composti con relazione temporale, si nota una povertà di linguaggio che si esprime nella mancanza di locuzioni preposizionali e di sinonimi per le PP semplici. La non disponibilità di locuzioni preposizionali impedisce la parafrasi corretta di alcuni composti come allochtonenstop ‘immigrati+blocco’ = een stop met betrekking tot allochtonen (un blocco per quanto riguarda gli immigrati);

5) la preponderanza della PP van nelle parafrasi errate; si ha l’impressione che chi non comprende il significato del composto o chi non sa quale PP usare opti automaticamente per van.

La spiegazione degli errori soprannominati si trova parzialmente facendo la comparazione con l’italiano: 1) l’uso delle PP dal significato prototipico è simile in molte lingue

indoeuropee; Hawkins (1993: 338) suppone l’esistenza di una struttura cognitiva universale per le PP di riferimento spaziale; tale struttura è presente al livello cognitivo, ma viene realizzata semanticamente solo

57 È degno di nota che gli studenti hanno inserito il sostantivo implicito ‘figura’ o

‘forma’; come osservato in §. 2.2 i composti N+S vengono da molti autori intesi come esocentrici.

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parzialmente in ogni singola lingua58; più le lingue sono tipologicamente simili, come l’italiano e il neerlandese, più ci sarà concordanza nell’uso;

2) l’italiano non fa uso di avverbi pronominali; 3) nei casi esaminati è la PP strumentale a essere tralasciata; è tuttavia degno di

nota che il neerlandese ricorre in genere più frequentemente alle PP rispetto all’italiano a causa della massiccia presenza di verbi che richiedono un complemento preposizionale59;

4) la povertà di linguaggio espressa dalla mancanza di sinonimi non trova la sua spiegazione nell’italiano, lingua ricca di preposizioni e locuzioni preposizionali, ma nella padronanza non ottimale del neerlandese;

5) anche in italiano la preposizione ‘di’ è quella più usata; da uno studio sulla traduzione di composti danesi, altra lingua germanica, si deduce che la maggior parte dei composti si rendono in italiano con S+di+S: antennesystem ‘antenne+sistema’ = sistema di antenne (Paggio & Ørsnes 1993: 148)60.

Dall’esposizione della complessità dei composti neerlandesi e dell’analisi cognitiva del significato prototipico delle preposizioni risulta auspicabile l’adozione della parafrasi come strumento nella didattica della lingua neerlandese. I due esperimenti hanno dimostrato che gli studenti trovano ancora difficoltà nella comprensione dei composti e nell’uso corretto delle PP. Il compito di parafrasare dei composti sollecita lo studente ad analizzare il rapporto grammaticale e semantico tra le parti che li costituiscono affinché ne deducano il significato corretto; correlato all’esercizio dell’uso delle PP l’apprendimento non può che trarne giovamento.

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58 Hawkins (1993: 338) distingue a profilable structure (la struttura delineabile) da a

profiled structure (la struttura delineata). 59 cfr. Ross (2000: cap. 6). 60 Composti con relazione possessiva sono traducibili anche con S+a+S; quelli in cui il

determinante ha funzione attributiva con S+Adj (Paggio & Ørsnes 1993: 150).

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Analisi e parafrasi dei composti nominali nella didattica ... 113

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Elisabeth Koenraads 114

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Analisi e parafrasi dei composti nominali nella didattica ... 115

Appendice

S+S

1. allochtonenstop 2. avondcursus 3. belastingdienst 4. bloedtranfusie 5. feestdag 6. geluidsoverlast 7. jaarabonnement 8. luchtvervoer 9. milieuplanning 10. ministerraad

11. personenauto, 12. politiebewaking 13. politiehond 14. schoolbestuur 15. toiletpapier 16. verdedigingslinie 17. vragenuurtje 18. waterschade 19. wegverkeer 20. zomerjurk

V+N

1. bakolie 2. behandeltafel 3. discussiegroep 4. huursubsidie 5. jachtseizoen 6. overlegorgaan 7. parkeergarage 8. programmeerfout

9. scheermes 10. stoplicht 11. tekenpotlood 12. vergadertafel 13. vergrootglas 14. wasmachine 15. stoofpeer

N+S

1. driewieler 2. tienrittenkaart 3. tweepersoonsbed

4. vierkant 5. vijfjarenplan

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LES ACCENTS GRAPHIQUES : PREMIÈRE APPROCHE POUR ÉTUDIANTS ITALOPHONES

Pascale Janot

1. Des étudiants demandeurs 1er cours : 2 heures

Le parcours didactique que nous proposons ici entend faire part d’une expérience en classe que nous avons développée durant l’année universitaire 2003-2004, avec des étudiants de la première année de l’Ecole Supérieure de Langues modernes pour Interprètes et Traducteurs de Trieste (SSLMIT) ayant choisi le français comme l’une des langues principales de leur cursus. Le groupe de travail sur lequel nous appliquons notre didactique sur les accents graphiques de la langue française (accent aigu, accent grave) est en fait assez bien délimité, même si la situation psychologique est, en apparence du moins, au départ plutôt défavorable.

Il s’agit en effet d’étudiants de langue maternelle italienne dont le niveau linguistique est intermédiaire faible. Après avoir été préalablement soumis à un test1 , il s’avère en effet qu’ils ne maîtrisent pas ou très mal les structures morphosyntaxiques et morphophonologiques de base de la langue. Les étudiants proviennent de régions différentes, ont des parcours scolaires tout aussi variés et des années d’étude du français qui s’étalent de un à cinq, voire huit ans de français.

La première année que nous allons passer ensemble va essentiellement être centrée sur la pratique de la langue écrite et notre premier objectif va être de reprendre et retravailler, du moins dans un premier temps, les structures

1 Les étudiants sélectionnés au concours d’admission de l’Ecole sont, en langue

française, au nombre de 69. Viennent s’ajouter au groupe quelques étudiants d’autres années (une petite dizaine) ayant choisi le français comme troisième langue. Tous constituent le groupe de I année de français auquel on fait passer un test de langue (qui consiste en une épreuve écrite – 20 phrases à compléter, aux difficultés progressives – et une épreuve de phonétique – exercices de discrimination de certains sons) pour que soient constitués les groupes de niveau de lectorat, qui s’articulent comme suit :

DÉBUTANTS (non compris dans le groupe et, bien évidemment, non soumis au test) INTERMÉDIAIRES B (faibles) INTERMÉDIAIRES A (moins faibles) AVANCÉS

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Pascale Janot 118

morphosyntaxiques et morphonologiques de base2. Nous allons préparer les étudiants à l’épreuve de dictée. Nos cours prévoient avec ce groupe deux heures par semaine, ce même groupe disposant de deux heures supplémentaires avec un autre collègue3 qui leur enseigne la grammaire et les prépare à l’épreuve de compréhension écrite vs production écrite et à la production orale sur des thèmes d’actualité. Ces quatre heures (les nôtres et celles du collègue) sont coordonnées. En effet, les thématiques (tant grammaticales que civilisation-nelles) autour desquelles s’organise le lectorat de notre collègue sont reprises par nous constituant des lignes directrices et, pour ce qui est par exemple des thèmes d’actualité, un substrat lexical exploitable également pour l’apprentissage de l’écrit.

Bien entendu, le test de niveau nous a déjà permis de nous faire une idée sur les lacunes des étudiants et de constituer un « cadre d’intervention »4. Nous profitons toutefois de la première heure de cours pour demander aux étudiants de noter sur une feuille de papier les points de langue qui leur posent réellement problème et sur lesquels ils estiment devoir revenir5. Sur une liste assez bigarrée de problématiques6, nous sommes frappée de constater que les apprenants (12 2 Nos cours visent à préparer les étudiants aux épreuves écrites du lectorat qui font

partie intégrante de l’examen final de langue française. Autrement dit, les étudiants doivent d’abord passer les épreuves écrites auxquelles les lectorats les ont préparés pour pouvoir ensuite se présenter aux épreuves orales de langue française correspondant aux modules des professeurs de langue. Ces épreuves de lectorat, qui concernent tout le groupe de I année, consistent en une dictée, en une compréhension écrite et production écrite (expression d’une opinion sur un thème d’actualité) et en un oral (sur la civilisation et l’actualité de la France). Les contenus grammaticaux, dictés par le livre de grammaire qui est au programme (Riegel M., Pellat J-C., Rioul R., 2001, Grammaire méthodique du français, Paris, PUF), ne font pas l’objet d’une épreuve spécifique mais constituent la substance fondamentale autour de laquelle s’articulent les lectorats (pratique et réemploi des notions).

3 Ce lectorat fonctionne avec tout le groupe de I année (les 69 étudiants). En outre, nous mettons à la disposition de tout le groupe une heure hebdommadaire de soutien grammatical, facultative.

4 Axé sur le programme de grammaire (Riegel) de cette I année, il s’agit d’un cadre référentiel grammatical de base. Il correspond aux notions qui ne sont pas assimilées et qui constituent à la fois le point de départ de l’apprentissage et un ensemble de contenus que les étudiants doivent travailler, consolider et assimiler, sans lesquels on considère qu’ils n’ont pas, au terme de la I année, le niveau adéquat.

5 Le groupe intermédiaire B est constitué de 22 étudiants. Nous recueillons ce jour-là 15 petits papiers.

6 Nous reportons la liste des points que les étudiants ont notés en respectant leur formulation (un classement par niveau linguistique – morphologie grammaticale, lexicale, etc., s’avère difficile). Elle ne se veut pas scientifique. En effet notre « enquête » est très ponctuelle, improvisée presque, et part d’une question très générale que nous avons formulée oralement. Les réponses des étudiants ne sont donc pas guidées par un vrai questionnaire et sont formulées dans un métalangage

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Les accents graphiques 119

sur 15) placent unanimement en première position les accents graphiques. Ce petit exercice s’avère difficile pour eux – ils ne sont visiblement pas habitués à ce qu’on leur demande sur quoi ils voudraient travailler –, beaucoup hésitent assez longtemps avant d’écrire quelque chose. Nous comprenons qu’auto-évaluer ses difficultés linguistiques et les formuler de façon synthétique, qui plus est en quelques minutes, n’est pas chose simple. Néanmoins, les accents apparaissent spontanément, après quelques minutes de réflexion.

Ces résultats, que nous avons « épluchés » ensemble, imposent en quelque sorte une prise en compte du problème « accents », d’autant que parmi les points notés sur les feuilles de papier, la phonétique et la prononciation tiennent une grande place (sons, sons vocaliques, e muet, le-les, ce-ces) et semblent occasionner des problèmes de compréhension. Le lien est facile – et déjà connu – entre ces deux aspects de la langue. Nous saisissons que derrière le mot « accents » se concentrent et s’entrechoquent un certain nombre de facteurs d’ordres différents (lexical, grammatical et phonétique) dont les étudiants n’ont peut-être pas conscience – ou du moins ne semblent-ils pas être à même de les verbaliser clairement – et que commencer notre parcours par les accents graphiques peut sans aucun doute être l’occasion de remettre certaines choses en place. Notre choix est ultérieurement confirmé dès lors que nous tentons d’évaluer, avec les apprenants, leur degré de (mé !)connaissance (pré-requis), des accents graphiques. La séance des petits papiers leur a permis de faire part de leurs désirs, ils se sont présentés, ont dévoilé leurs problèmes et s’expriment plus librement. Une conversation s’engage autour du thème en question où l’on découvre bien vite que leur demande est en fait le fruit d’une profonde méconnaissance du phénomène et donc presque une revendication pour enfin apprendre de quoi il retourne.

Nous traçons trois colonnes au tableau et demandons aux étudiants d’intervenir 7:

souvent peu précis. Elles donnent néanmoins un aperçu assez immédiat de ce qui les fragilise (encore) à un moment précis de leur apprentissage. Nous reportons donc la liste telle qu’elle s’est présentée à nous et indiquons pour chaque problématique le nombre d’étudiants (par ordre décroissant) l’ayant mentionnée (la barre oblique signifie « relatif à ») : accents (12), sons (6), temps verbaux (4), accord des verbes (4), accord/singulier-pluriel (4), accord adjectifs (3), compréhension des mots/liaison, e muet (3), article partitif (3), transcription des sons vocaliques (2), prononciation/le-les, ce-ces (2), vocabulaire (2), terminaison des mots (1), transcription des verbes (1), orthographe (1), concordance (1), articles/de-des, le-les, un-une (1), consonnes doubles (1), pronoms compléments (1), genre (1), période hypothétique (1).

7 Ce travail au tableau risque d’avoir un impact frustrant et négatif sur les étudiants. Il les place brusquement, en effet, face à leurs lacunes ce qui, dès le premier cours, peut être mal vécu et les décourager plus qu’ils ne le sont déjà. Il est donc opportun d’instaurer un climat de confiance et de leur expliquer que cet « exercice » n’a pas

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Pascale Janot 120

– configuration (que signifie pour vous le mot « accent » et comment les accents se matérialisent-ils graphiquement, quel est leur « aspect physique » ?) ;

– fonctions (les accents ont-ils une ou plusieurs fonctions, à quoi servent-ils, quel/s rôle/s jouent-ils dans le paysage orthographique français ?) ;

– fonctionnements : (comment fonctionnent-ils, sont-ils soumis à des règles d’écriture ou d’un autre ordre ?) Les réponses que nous recueillons et que nous avons écrites au tableau sont

bigarrées voire farfelues et révèlent une situation de départ relativement complexe : Configuration :

[Réponse attendue8 : signe graphique placé sur des voyelles (a, e, i, o, u) pour en déterminer la prononciation. Fondamentalement, il y a en français trois accents graphiques appelés aigu, grave et circonflexe. On les trace au tableau.]

Nous relevons, sur ce premier point, que l’acception du mot est loin d’être claire. Pour un bon nombre en effet « accent » signifie, comme en italien9,

pour but de les ridiculiser mais de prendre conscience tous ensemble de leurs problèmes réels sur la base desquels il va être possible de construire une intervention didactique. En général, une atmosphère détendue suffit à leur faire capter ces intentions.

8 Par « réponse attendue » nous entendons les notions de base attendues. 9 Un travail préliminaire sur l’italien, même s’il n’est pas simple, n’est peut-être pas

inutile ne serait-ce que pour démontrer aux apprenants que la « matière » qui les handicape en français est présente dans leur langue :

- l’acception de l’accento/gli accenti en italien renvoie à la notion d’accent tonique, à un phénomène d’ordre phonologique que l’étudiant interprète souvent en terme d’intensité ; confusion entre accentazione ≠ accentuazione ≠ accentuation ;

- la notion d’accent graphique est parfois tout aussi vague en italien qu’en français. Elle renvoie à l’accent grave (qui marque l’accent tonique) sur les voyelles finales città, darò, tabù, etc., l’accent sur la syllabe accentuée ayant disparu, sauf pour distinguer certains homographes comme par exemple sùbito ≠ subìto, prìncipi ≠ princìpi ou àncora ≠ ancòra. Encore qu’on ne visualise plus ces différences que dans les dictionnaires. Le repérage de l’accent aigu (placé sur le e) s’avère d’emblée plus difficile, pour ne pas parler de sa fonction : demander quel accent on place sur perché, poiché, con sé et né te né io, les réponses seront extrêmement bigarrées (perche, perchè, perché ; ne, nè, né) ;

- il émergera alors un autre problème, qui n’est pas des moindres pour la problématique que nous devons traiter : la distinction entre /e/ et /ε/ que de nombreux italophones ne réalisent plus et, par conséquent, ne perçoivent plus, indépendamment du « marquage » : pour beaucoup, en effet, il est difficile de déterminer si tel e avec accent grave, accent aigu ou sans accent du tout (è ≠ e) est ouvert ou fermé, la tendance étant généralement à l’ouverture.

Ce travail de réflexion sur la langue italienne, qui n’est toutefois pas obligatoire, n’a pas pour objectif de mettre les étudiants en difficulté (l’enseignant s’appliquera à rendre cette séance la plus agréable et ludique possible) mais de les rassurer en leur

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Les accents graphiques 121

« accent tonique » attribuant ainsi à l’accent français une fonction rythmique, marquant l’intensité d’une voyelle. Presque tous savent que les accents se placent sur les voyelles « comme e surtout » (ce que nous trouvons malicieusement très intéressant) mais ont souvent du mal à les identifier et à les nommer correctement (ils confondent par exemple l’accent grave avec l’accent aigu et vice versa). Fonctions :

[Réponse attendue : les accents servent à marquer le timbre et donc à distinguer certaines voyelles (/e/ ≠ /ε/ → é ≠ è ; /o/ ≠ /ç/ → o ≠ ô, etc.) mais également à distinguer les homographes, avec ou sans fonction phonétique (boite ≠ boîte ; cote ≠ côte) – ils servent donc à distinguer des sons vocaliques et des mots – l’accent circonflexe peut apporter des informations historiques sur certains mots (fenêtre / fenestre)]

Si la fonction diacritique a généralement été saisie, elle se traduit le plus souvent et le plus banalement par une distinction d’ordre graphique (é ≠ è) et ne correspond pas spontanément à une distinction d’ordre phonologique. Dans les cas où la corrélation lettre accentuée/voyelle ouverte-fermée se vérifie, les apprenants font preuve de très grosses difficultés dès lors qu’il s’agit d’attribuer à tel ou tel accent un effet d’ouverture ou de fermeture de la voyelle qu’il chapeaute. Fonctionnements :

[Réponse attendue : une voyelle accentuée peut correspondre, mais pas toujours, à la transcription d’une voyelle orale ouverte ou fermée – la typologie de l’accent est souvent tributaire du type de syllabe dans laquelle la voyelle apparaît]

La corrélation son/voyelle graphique accentuée est, la plupart du temps, ignorée ou n’est pas spontanément exprimée ; quant au rapport voyelle accentuée/structure syllabique, il résulte totalement méconnu de tous les étudiants.

A la fin de ces deux premières heures de cours, nous constatons que les

accents font partie – est-ce vraiment une découverte ? – de ces zones de la langue inextricables, obscures que les apprenants, au bout de plusieurs années d’études, ont relégué parmi les difficultés les plus insurmontables de la langue française. La preuve en est que leurs connaissances sont souvent restées très parcellaires voire erronées et que leur désarroi est grand face à un problème qui paraît à jamais irrésolu.

faisant comprendre que la matière « accents » sur laquelle ils doivent travailler en français est déjà là dans leur langue. Au terme de ce travail, la fonction diacritique devrait être plus évidente.

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Pascale Janot 122

La deuxième phase de travail que nous venons de décrire a donc pour objectif principal de faire le point, certes, mais surtout de rassurer les étudiants en leur faisant comprendre qu’il ont affaire à un système de la langue régulier dans son ensemble répondant à des règles de fonctionnement. Nous n’aurions aucune raison de nous attarder sur ce point s’il ne révélait des incertitudes de différents types qui se répercutent, à notre sens, sur d’autres aspects de la langue et qu’il est utile de combler dès à présent. Ce qui émerge des trois colonnes du tableau est la base sur laquelle nous allons tenter de mettre en place des stratégies visant à réorienter, recanaliser notre public demandeur, malgré lui, sur une problématique qui vaut la peine d’être approfondie.

2. Les notions essentielles 2e cours : 2 heures

Cette deuxième phase va consister à isoler un certain nombre de notions sans lesquelles, compte tenu des pré-requis (minimum) et des caractéristiques des apprenants (leur italophonie notamment), le travail pratique sur les accents ne peut, à nos yeux, être mené à bien.

Pour mettre au point une méthodologie et un parcours didactique nous procédons en deux temps. Tout d’abord, nous nous interrogeons sur ce qu’un destinataire italophone (« la typologie du groupe ») peut avoir de spécifique dans sa manière d’aborder et d’affronter la problématique des accents et dans les difficultés qu’il rencontre et exprime. Nous déterminons, en sommant ce qui ressort des tests linguistiques, des petits papiers et du travail au tableau, que pour les apprenants italophones le problème de l’accent graphique se double d’une complication que les apprenants francophones ne connaissent pas : la discrimination et la reconnaissance des sons vocaliques. Avant même de décider quelle forme graphique attribuer à la voyelle, il leur faut déterminer de quelle voyelle il s’agit et dès que la voyelle est (ou croit être reconnue) il leur faut décider quel signe graphique placer sur la voyelle. Confondre et être confondus par les accents est de toute façon ce que francophones et italophones ont de commun mais pour des raisons de base, semble-t-il, différentes. Dans un enseignement traditionnel de la langue française, l’idéal serait que l’oral et l’écrit soient envisagés non pas parallèlement (ils ne se rencontreraient jamais !) mais convergemment. Dans cette optique, un enseignement et un apprentissage des spécificités phonologiques du français (des sons vocaliques par exemple) pose tôt ou tard le problème de la transcription et du rôle des accents graphiques. Vice versa, la présence des voyelles accentuées pose tôt ou tard le problème du son qui correspond. Nous ne voulons pas mettre en cause la qualité de l’enseignement que les étudiants ont reçu avant d’arriver à l’université. Toutefois, la situation qui s’offre à nous montre clairement qu’une pratique

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Les accents graphiques 123

convergente, progressive et constante, des deux compétences n’a pas eu lieu10. Faire le choix, comme le font certains enseignants, de ne jamais aborder les accents ou de toujours les renvoyer à plus tard – ce qui revient à ne jamais les affronter vraiment – c’est, selon nous, ôter à l’étudiant la possibilité d’accéder à une zone fondamentale de la sphère morphophonologique de la langue française, c’est lui ôter, dès le début de son apprentissage, une occasion d’apprendre à raisonner sur le rapport oral/écrit, c’est faire abstraction de son état d’italophone, minimiser les facteurs qui généralement viennent compliquer son parcours et qui handicapent sa progression. Bref, c’est essaimer des zones d’ombre qu’il risque de ne plus pouvoir explorer. Ce n’est sûrement pas un hasard si parallèlement aux accents se trouvent mentionnés – nous l’avons déjà fait remarquer – des problèmes de prononciation et de compréhension liés aux sons /e/, /ε/ et /´/. Le lien entre ces deux difficultés n’est peut-être pas toujours senti par les étudiants, mais comment ne pas les mettre en rapport ? Et comment ne pas associer certains points d’achoppement grammaticaux récurrents tels que la différence entre le et les, de et des, entre j’étais et j’ai été, je finis et j’ai fini à la carence d’un travail approfondi sur la discrimination, la prononciation et la transcription de ces sons. Nous croyons fortement qu’aborder ces sons avec des italophones, dès le début de l’apprentissage (/´/ n’existant pas en italien, il n’est pas entendu ou est assimilé à /e/) et à travers la problématique du e+accent peut être un bon investissement. Cela permet à la fois de travailler les sons vocaliques réputés comme difficiles et leur transcription en e+accent ou e-accent. Nous croyons en outre, étant donné la situation de départ, qu’il n’est pas utile d’affronter tous les accents et toutes les voyelles accentuées d’un coup. L’accent circonflexe, par exemple, qui est sans aucun doute le plus irrégulier, le plus « lexical »11, peut être abordé dans un deuxième temps, une fois en tout cas que les fonctionnements des accents aigu et grave seront acquis. Nous

10 Il est intéressant (et navrant) de constater que bien souvent même dans les groupes

de niveau avancé, constitués d’étudiants ayant un bon, voire très bon niveau linguistique, des lacunes perdurent sur les accents graphiques.

11 Il peut faire l’objet d’un travail spécifique, en relation aussi avec l’accent grave, sur les homographes par exemple. Voir à ce sujet l’article de Tournier M. « A quoi sert l’accent circonflexe » in Mots, n°28, pp. 101-107 et Catach N., 1991, L’orthographe en débat, Paris, Nathan, pp. 115-124.

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Pascale Janot 124

choisissons ainsi de cibler notre travail sur les sons /e/ et /ε/12 et leurs graphies e+accent grave et aigu et e-accent13.

C’est dans ce lien oral/écrit que va s’inscrire toute notre approche

didactique. Nous allons isoler un certain nombre de notions fondamentales qui sont issues de ce même lien et qui font intervenir des corrélations très étroites que l’on peut schématiser comme suit14 :

son vocalique ⇔ e + accent/e – accent ⇔ syllabe graphique ⇒ mot

Il s’agit d’expliquer et de faire comprendre à l’apprenant que la langue française possède des voyelles orales ouvertes et fermées (notion de timbre vocalique), /e/ et /ε/, pouvant être transcrites par la lettre e + accent aigu (é) ou accent grave (è). Ainsi, selon que l’on place un accent aigu ou un accent grave sur la lettre e, le timbre de la voyelle (ouverture ou fermeture) change. Ces deux accents ont donc une fonction diacritique (notion de distinction) dans le sens où ils permettent de marquer la différence graphique entre une voyelle orale fermée (/e/ = é) et une voyelle orale ouverte (/ε/ = è) ; vice versa, telle voyelle graphique accentuée é correspond à un son vocalique oral fermé /e/ et telle voyelle graphique accentuée è correspond à un son vocalique ouvert /ε/. La transcription de ces deux sons vocaliques en é ou è est largement tributaire de la structure de la syllabe (notion de syllabe graphique) dans laquelle ces deux lettres apparaissent. Autrement dit, l’accent aigu apparaît sur e en syllabe graphique ouverte (qui se termine par une voyelle), au début ou à l’intérieur d’un mot → été, aérer, médecin, rééduquer et en syllabe finale ouverte → beauté, été, etc. Il sera donc question de découpage syllabique avec lequel les apprenants vont devoir se familiariser (a-é-rer, mé-de-cin, ré-é-du-quer, beau-té, é-té). L’accent grave apparaît en syllabe graphique ouverte à l’intérieur d’un mot → chère, gèle, mère (lorsque la voyelle de la syllabe suivante est un e caduc) ou en syllabe graphique fermée (se terminant par une consonne), à la fin

12 Il est nécessaire que les apprenants s’habituent à manier les sons par le biais de

l’alphabet phonétique puisque l’on va travailler sur les manières dont les sons se matérialisent graphiquement. A tel son (symbole phonétique) correspond telle graphie (lettre de l’alphabet latin). Très peu d’étudiants connaissent l’API facilement repérable dans les dictionnaires monolingues (Petit Robert p. XXIII).

13 Il s’agit de rétablir un rapport à l’oral, au son qui n’a jamais existé ou très peu. Cela suppose une sorte de rééducation de l’oreille et de l’appareil articulatoire pour pouvoir ensuite se recentrer sur l’écrit (la voyelle accentuée), qui ne doit plus être compromis, source de confusion et d’incompréhension mais qui doit devenir transparent, la matérialisation, la substance du son.

14 Que nous pouvons inscrire sous les titres des trois colonnes : configuration, fonctions, fonctionnements.

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Les accents graphiques 125

d’un mot devant un s → après, procès, succès, etc., (chè-re, mè-re, gè-le, a-près, pro-cès, suc-cès).

Cependant, nous trouvons aussi les sons /e/ et /ε/ transcrits avec la lettre e non accentuée (notion d’accent 0). Il est extrêmement important de signaler et d’accoutumer les apprenants aux graphies qui ne prévoient pas l’emploi d’un signe auxiliaire tout simplement parce que le contexte syllabique (lettre e associée à une consonne ou suivie de deux consonnes n’appartenant pas à la même syllabe) suffit à déterminer le son de la voyelle en question. Cet aspect est souvent obscur et ne manque pas de provoquer hésitations et incompréhensions (souvent, en effet, les apprenants ont tendance à placer cet accent redondant qui n’a pas lieu d’être). En d’autres termes, on ne met pas d’accent sur le e (= /e/) à la fin d’un mot devant t (et) r (parler), z (vous mangez), d (pied), f (clef) ni sur le e (= /ε/) à la fin d’un mot devant t (projet), r (cher), f (chef), l (partiel) en syllabe fermée, donc, que la consonne finale soit prononcée ou pas. On ne met pas d’accent sur le e (= /ε/) en syllabe graphique fermée lorsque la syllabe qui suit commence par une consonne → j’ap-pel-le, es-sen-tiel, é-lec-tri-ci-té, res-pec-ti-ve-ment ni devant un x → e-xem-ple, e-xer-ci-ce15, ex-tré-mis-te.

Il nous semble important d’introduire également la notion de variation. Ce terme recouvre pour nous deux acceptions : il signifie tout d’abord « changement » de l’accent lorsque des phénomènes morpholexicaux (dérivation) ou morphogrammaticaux (flexion) provoquent une transformation de l’accent ; ainsi un é pourra se transformer en è ou vice versa dans certains dérivés (collège → collégien) ou dans certaines formes verbales (pos-sé-der → je pos-sè-de). Il signifie en outre « ajout » d’un accent dès lors que les mêmes phénomènes supposent qu’un e-accent se transforme en e+accent (élever → élévation) ou (complet → complète ; geler → il gèle). Cette notion, avant d’être introduite, suppose que les notions précédentes soient comprises et assimilées au risque d’être vécue comme une irrégularité. Ainsi faudra-t-il faire en sorte que la variation soit entendue (variation de son) et que sa matérialisation graphique soit analysable par l’apprenant (contexte syllabique).

Voilà donc autant d’aspects (notions) constituant un cadre théorique minimal

en dehors duquel une approche du phénomène « accents » nous semblerait bancale. Notre groupe, rappelons-le, n’est pas débutant. Ces connaissances quant aux accents graphiques sont plus qu’hésitantes et il règne une grande confusion mentale. Il faut donc éviter, dans l’objectif qui consiste à réorienter totalement l’approche des étudiants et à « réinjecter » les notions 15 Selon la norme, ce découpage syllabique n’est pas possible. Nous le hasardons (en

nous basant sur la syllabation orale) pour aider les étudiants à le visualiser et associer le x à une double consonne (e+x = eC+CV). Voir Goose G., Grevisse M., 1993, Le bon usage, Paris-Louvain-la-Neuve, Duculot, § 20, p 31.

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Pascale Janot 126

susmentionnées, à ne pas embrouiller outre mesure une situation déjà bien compromise. Pour ce faire, il nous faut donc trouver un champ d’application familier qui permette d’introduire et de travailler toutes les notions, qui soit déjà familière aux étudiants, qui leur livre tous ces aspects fondamentaux, qu’ils pourront surtout élaborer et appliquer par la suite, dans d’autres champs. Il nous semble que les verbes du I groupe, notamment ceux que l’on considère comme des cas particuliers (posséder, lever, appeler) peuvent constituer un bon point de départ.

3. Les phases de travail

Cette troisième partie présente la progression didactique de notre travail sur les accents graphiques, les typologies des activités et des exercices proposés aux étudiants pour qu’il puissent pratiquer et assimiler les notions. Nous prévoyons d’y consacrer 6 heures de cours minimum, le rythme dépendant bien sûr du rendement des étudiants. Nous voulons dire par là que ce que nous présentons est calibré pour six heures mais que tout peut être ultérieurement dilaté à partir du moment où l’on juge nécessaire de s’arrêter sur tel ou tel aspect.

Nous choisissons de travailler sur les verbes du I groupe pour une double raison. Premièrement, ils vont nous permettre d’introduire progressivement les notions fondamentales sur les accents. Deuxièmement, le groupe verbal faisant partie du programme de grammaire de la I année, nous allons pouvoir aborder également les temps et les conjugaisons de base (nous nous contenterons ici du présent de l’indicatif).

Toute la pratique va se développer, autant que faire se peut, autour du rapport oral/écrit – écrit/oral et à travers la mise en place de fiches d’activités et d’exercices prévoyant presque toujours l’interface enseignant/étudiant. La dictée, qui est notre objectif final, sera considérée comme telle. Elle ne constituera pas, en effet, notre point de départ et notre activité-support principale mais nous servira d’exercice de vérification de l’orthographe et de compréhension. Nous donnons à voir ici les activités et exercices de préparation à une dictée finale, les fiches étant commentées ci-après et placées en annexe (format apprenant) de l’article.

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Les accents graphiques 127

3.1. Articulation et discrimination des sons /e/, /ε/ et /´/ 3e cours : 2 heures

FICHE N°1

a. Présentation Impossible d’aborder les accents sans prévoir des travaux spécifiques sur les sons /e/, /ε/ et /´/ pouvant, dans un premier temps, permettre aux étudiants de les articuler et de les différencier puis, dans un second temps, de les transcrire. Nous avons vu combien ceci peut créer de difficultés chez les apprenants italophones. Ce qui suppose donc, avant même d’aborder le problème de la graphie, de mettre en place quelques séances de phonétique (articulation et discrimination), de travailler dans un rapport son/son (son/symbole phonétique) pour pouvoir affronter ensuite le rapport son/graphie (son/lettre accentuée). b. Contenus Le son /´/

Nous entendons par /´/ ce qui correspond bien sûr, en terme graphique, à e sans accent, appelé plus généralement e muet ou e caduc. Cette voyelle (son et graphie) est souvent une laissée-pour-compte. Puisqu’elle correspond en effet à quelque chose qui tend à disparaître à l’oral mais qui reste tout de même à l’écrit, on a généralement tendance à la laisser tomber (sic). Cependant, les étudiants italophones, trompés par la lettre e qui, dans leur langue, correspond à un seul son et qui sert à transcrire les trois sons vocaliques en français (/e/, /ε/ et /´/), s’ils n’ont pas été sensibilisés, finissent, accent ou pas accent, par amalgamer les trois sons en français. Combien de fois avons-nous entendu, par exemple, cette phrase interrogative « Excusez-moi, musée avec deux e /e/ ? » extrêmement révélatrice de cet amalgame et de la non distinction de deux graphies clairement différentes, correspondant à deux sons tout aussi différents.

C’est ainsi que réintroduire les trois voyelles à travers les trois symboles phonétiques « graphiquement » différents permet de visualiser le /´/ comme quelque chose de distinct de /e/ et /ε/, comme une autre voyelle s’opposant aux deux autres. L’alphabet phonétique fait ici l’effet d’un capteur d’attention. L’étudiant qui, souvent, à ce stade de l’apprentissage, découvre les signes phonétiques pour la première fois, visualise le symbole et (re)découvre les sons comme trois entités différentes. Il est à notre avis très important que le /´/ soit reconnu comme une voyelle à part entière. Cela peut supposer, si tel n’était pas le cas pour une majorité d’étudiants, de traiter ce son distinctement par rapport aux deux autres, dans un premier temps du moins, pour qu’ils s’habituent à l’articuler et à l’entendre.

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Les sons /e/ et /ε/ Le travail sur ces deux voyelles permet de pratiquer la notion de timbre

vocalique qui peut apparaître, au yeux de bon nombre d’étudiants comme étant encore moins évidente que la différence /´/ - /E/. Nous avons vu que les apprenants ne sont pas plus sensibles à cette distinction dans leur langue16. Il faut donc faire en sorte que leur oreille s’habitue à cette différence à travers un certain nombre d’exercices ciblés. Nous pourrons constater que la première difficulté est articulatoire avant d’être discriminatoire. Tandis que le /´/ a des caractéristiques articulatoires que les étudiants arrivent à fixer assez rapidement (ouverture réduite des lèvres, aperture réduite de la cavité buccale, bout de la langue contre les dents du bas, parties latérales de la langue contre les dents du haut), la différence entre /e/ et /ε/ tient presque uniquement dans l’aperture buccale qui est difficile à mémoriser, à fixer, surtout pour /e/. Les verbes

Les verbes du Ier groupe sont en général réputés pour être beaucoup plus familiers et plus faciles car ils sont réguliers. Il peuvent constituer un « matériau » de base plutôt rassurant pour engager une série de travaux sur un aspect difficile de la langue. Certes, les types de verbes du Ier groupe que nous allons choisir pour construire nos exercices ne sont simples qu’en apparence. Cependant, notre expérience nous a enseigné qu’ils ne créent a priori aucune réticence. Au contraire, les aborder à travers le filtre des accents permet, à ce qu’il paraît, de mieux comprendre et mémoriser leurs mécanismes. c. Déroulement Cette première fiche s’articule en deux temps : articulation et discrimination des sons vocaliques /´/, /e/ et /ε/.

Exercices d’articulation des sons : travailler à partir de structures simples et courantes (mots monosyllabiques ou syntagmes courts) que les étudiants comprennent sans difficulté, afin que leur attention se focalise sur le son et non sur le sens.

Exercices de discrimination : /´/ ≠ /e/, /´/ ≠ /ε/, /e/ ≠ /ε/ et /´/ ≠ /e/ ≠ /ε/. Tout ce qui est prononcé n’est jamais écrit. Tout se passe de l’oral à l’oral. Les coupes latérales de l’appareil phonatoire permettent à l’étudiant de

visualiser les caractéristiques articulatoires des sons de même que les bouches leur permettent de visualiser la position des lèvres au moment de l’articulation du son. Il est, à notre avis, extrêmement utile de faire sentir comment fonctionnent « physiquement » ces sons vocaliques17. On peut travailler avec un 16 Voir note n°9 p. 121. 17 Ce qui est valable, d’ailleurs, pour tous les sons qui posent problème.

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Les accents graphiques 129

petit miroir, par exemple, pour que les apprenants impriment dans leur mémoire la position des lèvres pour chaque son vocalique. On sensibilisera sur les aspects suivants : /´/ : voyelle grave, moyennement tendue, labiale.18 /e/ : voyelle aiguë, tendue et non labiale. /ε/ : voyelle aiguë, relâchée, non labiale

I. Ecoutez et répétez les mots que vous entendez.

1. Pour faire prendre conscience des traits articulatoires des voyelles, nous préconisons de faire écouter et répéter des mots monosyllabiques à l’intérieur desquels les sons, ne subissant aucune influence intersyllabique, sont plus nets. /´/ : me, ne, je, le, de, se, te, etc. /e/ : mes, des, les, ses, ré, nez, etc. /ε/ : mais, raie, sait, lait, fait, naît, etc.

Faire répéter son par son puis les alterner en allant du plus fermé au plus ouvert et vice versa. Cet exercice n’est pas un simple exercice de répétition durant lequel les apprenants tels des perroquets se contentent de reprendre en cœur des séries de sons. Ils doivent apprendre au fur et à mesure des répétitions à placer correctement les parties de la bouche permettant d’obtenir un son correct, sentir et entendre les différences entre chaque son.19 Faire travailler les étudiants en face à face. Les faire s’observer et se corriger. 2. Dans un deuxième temps on peut insérer des mots un peu plus longs (bisyllabiques) à l’intérieur desquels les sons apparaissent dans la première syllabe. On peut exagérer la prononciation au début pour que les différences soient plus évidentes. /´/ : mener, lever, jeter, peler, geler, semer, etc. /e/ : régler, gérer, léguer, céder, sécher, etc. /ε/ : mèche, lèche, rêche, règle, sèche, etc.

18 Nous renvoyons, pour des travaux de pratique des sons plus approfondis à

Kaneman-Pougatch M., Pedoya-Guimbretière, 1991, Le plaisir des sons, Paris, Hachette/Didier, pp. 25-36 et à Charliac L, Motron A.-C., 1998, Phonétique progressive du français, Paris, Cle International, pp. 30-33 (/e/-/ε/), pp. 70-77 (/´/-/e/)

19 Le logiciel Tell me more par exemple dispose d’une section phonétique où il est possible de visualiser, en version animée, les mouvements articulatoires que produisent les sons. Cela peut constituer un outil en plus pour pratiquer de façon un peu plus ludique.

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II. Observez et prononcez.

Ce deuxième exercice devrait permettre aux étudiants de pratiquer les sons dans un contexte phrastique simple. a. Pour les familiariser avec l’alphabet phonétique et puisque dans cette première phase de travail nous restons dans l’oral, nous pouvons leur donner des séries de mots transcrits en alphabet phonétique, leur demander de les prononcer et de souligner le son qui correspond aux voyelles qui ont été pratiquées. On commence par des mots monosyllabiques jusqu’à de très courtes phrases, en ayant soin de reprendre ce qu’ils ont entendu et pratiqué dans l’exercice 1. Ex : /l´/ ; /s´’me/, /Re’gle/, /εl’sεd/, etc. b. On pratique ensuite les sons en contraste. L’enseignant dit un verbe à l’infinitif, les étudiants transforment comme dans les exemples que l’enseignant donne oralement ou transcrit au tableau en alphabet phonétique : /´/ ≠ /e/ : Ex : (lever) levez-les, (jeter) jetez-les, (mener) menez-les, (peler) pelez-les, (semer) semez-les. Même exercice avec « le » après le verbe à l’impératif : Ex : (lever) levez-le. /´/ ≠ /ε/ : Ex :(tu sèmes ?) je sème, (tu jettes ?) je jette, (tu mènes ?) je mène, (tu pèles ?) je pèle, (tu règles?) je règle. Même exercice avec verbe à l’impératif + « le » : Ex : (tu le sèmes ?) sème-le. /e/ ≠ /ε/ : A. Ex :(tu les lègues ?) lègue-les, (tu les cèdes ?) cède-les, (tu les gères ?) gère-les, (tu les sèches ?) sèche-les, (tu les règles ?) règle-les. B. Ex :(tu as cédé ?) j’ai cédé, (tu as légué ?) j’ai légué, (tu as géré ?) j’ai géré, (tu as séché ?) j’ai séché, (tu as réglé ?) j’ai réglé.

III. Ecoutez et indiquez pour chaque série si les mots sont identiques (=) ou différents (≠).

A- 1. le/les ; 2. des/des ; 3. mes/me ; 4. se/ces ; 5. nez/ne B- 1. mais/me ; 2. sait/se ; 3.le/lait ; 4. j’ai/je ; 5. naît/naît C- 1. né/naît ; 2. les/les ; 3. mes/mais ; 4. sait/sait ; 5. raie/ré

IV. Ecoutez et indiquez si dans la 1 ère syllabe des mots prononcés, vous entendez le son /´/ ou le son /e/, le son /e/ ou le son /ε/.

A- 1. semer ; 2. régler ; 3. léguer ; 4. lever : 5. mener B- 1. sécher ; règle ; lève ; céder ; 4. rêche ; 5. régler

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Les accents graphiques 131

V. Ecoutez et indiquez dans quelle/s syllabe/s vous entendez le son /e/.20

1. cédez-le ; 2. semez-les ; 3. règle-les ; 4. séchez-les ; 5. jetez-le

VI. Indiquez dans quel ordre syllabique vous entendez les sons ci-dessous.

1. j’ai réglé ; 2. gèle-les ; 3. je les lève ; 4. gère-les ; 5. je les cède

3.2. La graphie des sons /e/, /ε/ et /´/ 4e cours : 2 heures

FICHE N°2

a. Présentation Jusqu’à présent, les apprenants n’ont pas visualisé les graphies des mots à travers lesquels les sons vocaliques ont été introduits. Nous avons travaillé au niveau du son (forme sonore → symbole phonétique/symbole phonétique → forme sonore) ; nous passons ici au rapport forme sonore → (symbole phonétique) → forme graphique et vice versa. Il s’agit de permettre aux apprenants d’associer les sons à des graphies, en focalisant leur attention sur celles qui présentent des accents. L’objectif de cette séance est de faire comprendre les mécanismes fondamentaux qui régissent le système des accents graphiques aigu et grave.

b. Contenus sons et graphies : /´/ = e ; /e/ = é (-er et -ez) ; /ε/ = è structure syllabique : la syllabe graphique ouverte verbes : e caduc final

c. Déroulement Cette fiche est entièrement axée sur les verbes comme posséder et lever à travers lesquels les étudiants vont graduellement découvrir les problématiques liées à la transcription des sons /e/, /ε/ et /´/. Elle va s’articuler en trois temps s’imbriquant les uns dans les autres : Discrimination : /´/; /e/; /ε/ ; Transcription : /´/ = e ; /e/ = é ; /ε/ = è Articulation : e = /´/ ; é = /e/ ; è = /ε/

20 Cet exercice peut être construit sur les deux autres voyelles.

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I. Ecoutez la prononciation des séries suivantes

Ce premier exercice reprend les verbes qui ont été introduits dans la fiche précédente et vise à ce que l’apprenant associe immédiatement son et graphie. On travaille d’abord sur les personnes du pluriel (nous et vous) qui ne supposent aucune variation sonore et graphique. L’enseignant s’emploiera à prononcer les formes deux fois puis une troisième fois après que les étudiants auront placé les symboles. Il procédera de la même façon pour le b. Ne pas hésiter à répéter plusieurs fois si nécessaire. a. placez le symbole phonétique au-dessus de chaque voyelle soulignée 1. Gérer → vous gérez 2. Céder →vous cédez 3. Sécher → nous séchons 4. Mener → vous menez 5. Lever → nous levons 6. Semer → vous semez

b. complétez le verbe d’abord avec le symbole phonétique puis avec la lettre

correspondante 1. Régler → nous r/e/glons → réglons 2. Léguer → vous l/e/gu/e/ → léguez 3. Geler → vous g/´/l/e/ → gelez 4. Peler → nous p/´/lons → pelons 5. Répéter → vous r/e/p/e/t/e/ → répétez 6. Préférer → nous pr/e/f/e/rons → préférons

II. Même exercice

On travaille sur les trois personnes du singulier et la troisième du pluriel dans lesquelles on relève des variations sonores et graphiques : l’e muet final entraîne è dans la syllabe précédente.

1. Gérer → je gère 2. Céder → tu cèdes 3. Sécher → il sèche

4. Régler → ils règlent 5. Mener → je mène 6. Lever → tu lèves

7. Semer → il sème 8. Geler → ils gèlent

III. Quelles graphies relevez-vous ?

Il faut faire ressortir ici les graphies /´/ = e ; /e/ = é (+ -er et -ez) ; /ε/ = è. Ce petit tableau pourra être complété au fur et à mesure que l’étudiant rencontrera des graphies différentes pour chaque son. Il n’est pas utile, à ce stade, d’insérer

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Les accents graphiques 133

toutes les graphies des sons en question. L’apprenant relèvera sans aucun doute que /e/ peut être transcrit é mais aussi –er ou –ez. On peut d’ores et déjà le sensibiliser sur le fait que e+consonne en finale de mot non prononcée = /e/ qui donnera lieu, par la suite, quand on abordera non plus les verbes mais le reste du lexique, à des exercices plus spécifiques.

IV. Découpez les formes verbales suivantes en syllabes. Que remarquez-vous ?

Apprendre aux apprenants à découper les mots en syllabes (C+V, CC+V21) et surtout les notions de syllabe ouverte et syllabe fermée n’est pas chose facile. Nous proposons un exercice d’observation qui n’a pas pour objectif de faire ressortir toutes les notions concernant le rapport lettre accentuée/structure syllabique mais d’expliquer graduellement les différents types de syllabes et les corrélations sons/syllabe/graphie. Ainsi, nous introduisons ici ce qu’est une syllabe ouverte de la manière suivante : → syllabe ouverte (se terminant par une voyelle) : /´/ à l’intérieur ou en finale de mot = e [re- ; je] /e/ au début, à l’intérieur ou en finale de mot = é [pré- ; -ré] /ε/ à l’intérieur d’un mot = è+C+e [lè-ves] Préférer : pré-fé-rer / Je préfère : je pré-fè-re / j’ai préféré : j’ai pré-fé-ré Relever : re-le-ver / Tu relèves → tu re-lè-ves / tu as relevé : tu as re-le-vé

V. Conjuguez les verbes au présent de l’indicatif, écoutez les phrases et vérifiez votre orthographe

Il est intéressant d’introduire préalablement un thème d’actualité qui constitue le substrat lexical des exercices et des activités. Nous choisissons la politique (française, européenne et internationale) qui permet de composer des phrases, des textes types favorisant l’emploi de beaucoup des verbes qui font l’objet de notre étude.

Ce type d’exercice permet d’acheminer l’étudiant vers des typologies d’activités qui se rapprochent petit à petit de la dictée. 1. Les déclarations du président de la République (soulever - soulèvent) des

protestations. 2. Le gouvernement (accélérer - accélère) les réformes. 3. Nous (considérer - considérons) les besoins de la population. 4. La crise (amener - amène) les gens à moins consommer. 5. Quelle tendance (relever - relevez)-vous depuis le début de la campagne ? 21 C= consonne, V= voyelle.

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VI. Ecoutez la prononciation des verbes et mettez les accents quand c’est nécessaire. Donnez l’infinitif des verbes.

1. Cela reflète bien sa politique. 2. Nous ne tolérons pas leurs mensonges. 3. Ce nouveau leader modèle son parti à son image. 4. On célèbre l’armistice. 5. Certains achètent leur silence.

3.3. La variation des sons /e/, /ε/ et /´/ et de leurs graphies 5e cours : 2 heures

FICHE N°3

a. Présentation Les étudiants ont, à ce stade du parcours sur les accents, compris la fonction diacritique des accents aigu et grave. Ils ont également compris que certains phénomènes comme la flexion des formes verbales (ajout des désinences du présent de l’indicatif -e, -es, -e, -ent) entraînent des transformations sonores et graphiques au niveau de la voyelle (accentuée ou non) qui se trouve dans la syllabe qui précède celle de la désinence. Nous avons fait en sorte qu’ils se focalisent sur les sons et sur leurs graphies à travers la corrélation son/syllabe/graphie. Nous entendons à présent attirer leur attention sur le phénomène de la variation (changement de son et de graphie se traduisant par l’ajout d’un accent ou la transformation de la syllabe) et de faire saisir à travers elle les mécanismes d’accentuation.

Les verbes du premier groupe (en e+C+er et é+C+er) qui nous ont servi à introduire e, é et è sont repris dans cette troisième phase de travail. Nous choisissons ceux qui se présentent en -eler et -eter et qui se comportent soit comme lever soit comme appeler. Nous allons à travers eux introduire la notion de syllabe fermée et d’accent 0 (eC+CV= /ε/). Cela va permettre par la même occasion d’aborder les Rectifications de l’orthographe de 1990.

b. Contenus le son /ε/ et ses graphies : /ε/ = è et e accent 0 structure syllabique : la syllabe graphique fermée verbes Rectifications de l’orthographe de 1990

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Les accents graphiques 135

c. Déroulement Cette fiche est davantage axée sur les graphies du son /ε/. Contrairement au déroulement des fiches précédentes qui prévoit que l’on travaille de la forme sonore vers la forme graphique, il s’agit ici de travailler sur une forme sonore correspondant à deux formes graphiques. Les exercices vont donc s’articuler principalement autour de deux compétences dans l’ordre suivant : Transcription : è et eC+CV = /ε/ Articulation : è et eC+CV = /ε/

I. Ecoutez et complétez les verbes

Nous sensibilisons, toujours à travers le rapport son/graphie, sur la variation /´/ → /ε/ → e = eC+CV et è+Ce. Appeler : j’appelle ; tu app....... ; il appelle ; nous app....... ; vous appelez ; ils app....... Geler : je g.......... ; tu g.......... ; il g.......... ; nous gelons ; vous g.......... ; ils g.......... Jeter : je jette ; tu jettes ; il j.......... ; nous j.......... ; vous j.......... ; ils j.......... Acheter : j’ach..... ; tu ach...... ; il ach...... ; nous achetons ; vous ache...... ; ils achètent

II. Ecoutez, découpez les formes suivantes en syllabes et indiquez le symbole phonétique des voyelles. Que déduisez-vous ?

Les apprenants ont souvent tendance à mettre un accent (grave mais aussi aigu) sur les eC+CV tout simplement parce qu’ils n’ont pas conscience de la nature de la syllabe graphique.22 C’est l’occasion d’introduire la notion de syllabe fermée de la manière suivante : → syllabe fermée (se terminant par une consonne) : /ε/ à l’intérieur d’un mot suivi de deux consonnes n’appartenant pas à la même syllabe [≠ e + groupes consonantiques gl (rè-gle), ch (sèchement), gr (allègrement), etc.] J’appelle : j’ap-pel-le / J’ai appelé : j’ai ap-pe-lé Je jette : je jet-te / j’ai je-té

III. Les verbes ci-dessous sont comme appeler et jeter. Conjuguez-les.

Mémorisation de la graphie. On peut profiter de ce moment et de ces types de verbes dont les moins courants sont assez problématiques (redoublement de la consonne ou accent grave ?) pour signaler aux étudiants ce que les Rectifications de l’orthographe de 1990 préconisent à leur sujet. On conseille en

22 Même problème pour les voyelles nasales graphiques.

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Pascale Janot 136

effet d’uniformiser la variation en /ε/ à travers l’ajout d’un accent grave plutôt que de redoubler la consonne. 23 1. Comment (épeler – épelle) -t-on le nom de ce parti ? 2. Je (renouveler – renouvelle) ma question au ministre de l’Intérieur. 3. Nous (rejeter – rejetons) votre proposition de loi. 4. Les syndicats (projeter – projettent) des journées de protestation. 5. Le Premier ministre (rappeler – rappelle) l’intention du gouvernement

d’engager des réformes.

IV. Les verbes ci-dessous se conjuguent comme geler et acheter. Construisez des phrases.

1. (il) Modeler 2. (ils) Démanteler 3. (vous) Peler 4. (on) Déceler 5. (nous) Marteler

V. Ecoutez et répondez par oui ou par non en conjuguant les verbes donnés entre parenthèses

1. (altérer) : .......................................................................................................... La politique du gouvernement altère les rapports avec ce pays ? 2. (décréter) ......................................................................................................... Vous décrétez qu’ils ont raison ? 3. (inquiéter) ........................................................................................................ Les réformes inquiètent la population ? 4. (démanteler) .................................................................................................... Nous démantelons tout le réseau ? 5. (emmener) ....................................................................................................... Tu emmènes les manifestants loin d’ici ?

VI. Ecoutez et transcrivez les formes que vous entendez dans la colonne correspondant au verbe modèle et donnez l’infinitif.

1. vous élevez ; 2 tu accélères ; 3. on gèle ; 4. ils accélèrent ; 5. je jette

23 Voir Riegel M., Pellat J-C., Rioul R., Grammaire méthodique du français, cit.

p. 273 ; Catach N., L’orthographe en débat, cit., pp. 127-132.

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Les accents graphiques 137

3.4. Pour faire le point

Nous proposons ici quelques activités permettant de vérifier si les notions ont été assimilées. PROPOSITION N° 1 Construire des phrases courtes en faisant en sorte qu’elles contiennent des mots correspondant aux typologies observées précédemment. Ne pas mettre les accents, lire (2 fois) les phrases aux étudiants et leur demander, dans un premier temps, non pas de les placer mais d’écouter attentivement, de découper les mots en syllabes et, au terme de la lecture, de déterminer s’ils doivent en mettre ou pas. Lire les phrases une troisième fois, leur demander de placer les accents et de motiver leurs choix. [Exemple : Les gens tolerent de moins en moins qu’on leur mente.] PROPOSITION N°2 Rédiger un petit texte (sous forme d’article de journal portant sur le thème d’actualité abordé) d’une dizaine de lignes en y insérant les verbes sur lesquels les étudiants ont travaillé. Mettre ces verbes à l’infinitif, entre parenthèses et leur demander de les conjuguer. Lire le texte et demander aux apprenants d’écouter et de vérifier si la prononciation correspond à la forme qu’ils ont écrite. [Exemple : Le monde entier (célébrer) ............ aujourd’hui la capture du

terroriste ........... etc.] PROPOSITION N°3 Rédiger un texte (sous forme d’article de journal portant sur le thème d’actualité abordé) contenant des formes verbales correspondant aux typologies travaillées en cours (si par exemple on a travaillé sur une série de verbes comme considérer, on choisira des verbes présentant les mêmes caractéristiques morphologiques mais que les étudiants n’ont jamais rencontrés24), enlever les accents et le lire à haute voix. Les étudiants doivent placer les accents quand cela est nécessaire. [Exemple : Le président cede sur certains points de politique intérieure … etc.] PROPOSITION N°4 Même procédé que pour la proposition n°3 mais on insère des erreurs dans les formes verbales. L’enseignant lit le texte, les étudiants vérifient l’orthographe 24 Toutefois, si les apprenants ont des difficultés, ou si l’on veut tout simplement

vérifier s’ils ont assimilé, cet exercice peut être conçu à partir des verbes déjà rencontrés.

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en fonction de ce qu’ils entendent et des traits morphologiques des formes verbales. [Exemple : Les Etats-Unis préférent retirer leurs troupes avant le

carnage .......... etc.] PROPOSITION N°5 Dicter un texte (authentique ou construit), contenant des verbes sur lesquels les étudiants ont travaillé.

4. Conclusion

Au terme de ces 5 séances sur les accents, à travers les trois typologies de verbes appartenant au I groupe, les étudiants devraient avoir les idées plus claires quant aux fonctions et aux fonctionnements des accents aigu et grave. Certes, nous n’avons ni tout dit ni tout fait. Cependant cette première approche devrait permettre aux apprenants d’être plus autonomes, de poursuivre sur des bases plus solides et d’étendre le travail à la sphère lexicale, par exemple, qui pose de réels problèmes sur ce point.

Car l’expérience nous a montré qu’une fois que les mécanismes fondamentaux sont compris, les étudiants sont par la suite plus sensibles (et moins peureux !) vis-à-vis des sons et de leurs transcriptions, à tous les niveaux. Comprendre et consolider le système d’accentuation (et de non accentuation) en français, percevoir tout ce que cela sous-tend comme corrélations et imbrications oral/écrit, est le fruit d’un travail graduel qui s’étend souvent sur toute une année.

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Les accents graphiques 139

FICHE N°1 les sons /´/, /e/ et /ε/

I. Ecoutez et répétez les mots que vous entendez.

/ε/ - lèvres tirées - bouche presque ouverte

/ε/ - langue très peu en avant /e/ - langue en avant

/e/ - lèvres très tirées - bouche fermée

/´/ - langue centrale

/´/ - lèvres arrondies

- bouche presque ouverte

II. Observez et prononcez : a. les transcriptions phonétiques ci-dessous. Soulignez les voyelles.

/l´/ - /s´’me/ - /Re’gle/ - /εl’sεd/

b. écoutez et transformez comme dans l’exemple donné.

Ex : /l ´ ’v e/ → /l ´ v e ’l e/

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Pascale Janot 140

III. Ecoutez et indiquez pour chaque série si les mots sont identiques (=) ou différents (≠).

A = ≠ B = ≠ C = ≠ 1 1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 4 5 5 5

IV. Ecoutez et indiquez si dans la 1 ère syllabe des mots prononcés, vous

entendez le son /´/ ou le son /e/, le son /e/ ou le son /ε/.

A /´/ /e/ B /e/ /ε/ 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5

V. Ecoutez et indiquez dans quelle/s syllabe/s vous entendez le son /e/.

1 2 3 1 2 3 4 5

VI. Indiquez dans quel ordre syllabique vous entendez les sons ci-dessous.

/´/ /e/ /ε/ 1 2 3 4 5

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Les accents graphiques 141

FICHE N°2 les graphies e, é, è

I. Ecoutez la prononciation des séries suivantes et : a. placez le symbole phonétique au-dessus de chaque voyelle soulignée. 1. Gérer → vous gérez 4. Mener → vous menez 2. Céder → vous cédez 5. Lever → nous levons 3. Sécher → nous séchons 6. Semer → vous semez b. complétez le verbe d’abord avec le symbole phonétique et puis avec la

lettre correspondante. 1. Régler → nous r…glons → r…glons 2. Léguer → vous l…gu… → l…gu… 3. Geler → vous g…l… → g…l… 4. Peler → nous p…l… → p…l… 5. Répéter → vous r…p…t… → r…p…t… 6. Préférer → nous pr…f…rons → p…f…rons II. Même exercice. 1. Gérer → je gère 5. Mener → je mène 2. Céder → tu cèdes 6. Lever → tu lèves 3. Sécher → il sèche 7. Semer → il sème 4. Régler → ils règlent 8. Geler → ils gèlent III. Quelles graphies relevez-vous ?

/´/ /e/ /ε/

IV. Découpez les formes verbales en syllabes. Que remarquez-vous ? Préférer - Je préfère - j’ai préféré Relever - Tu relèves – tu as relevé

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Pascale Janot 142

V. Conjuguez les verbes au présent de l’indicatif, écoutez les phrases et vérifiez votre orthographe.

1. Les déclarations du président de la République (soulever) des protestations. 2. Le gouvernement (accélérer) les réformes. 3. Nous (considérer) les besoins de la population. 4. La crise (amener) les gens à moins consommer. 5. Quelle tendance (relever)-vous depuis le début de la campagne ?

VI. Ecoutez la prononciation des verbes et mettez les accents quand c’est nécessaire. Donnez l’infinitif des verbes.

1. Cela reflete bien sa politique. 2. Nous ne tolerons pas leurs mensonges. 3. Ce nouveau leader modele son parti à son image. 4. On celebre l’armistice. 5. Certains achetent leur silence.

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Les accents graphiques 143

FICHE N°3 accent ou pas accent?

I. Ecoutez et complétez les verbes. Qu’observez-vous ? Appeler : j’appelle ; tu app.... ; il appelle ; nous app.... ; vous appelez ; ils app.... Geler : je g....... ; tu g....... ; il g....... ; nous gelons ; vous g....... ; ils g....... Jeter : je jette ; tu jettes ; il j....... ; nous j....... ; vous j....... ; ils j....... Acheter : j’ach........ ; tu ach........ ; il ach........ ; nous achetons ; vous ach....... ;

ils achètent II. Ecoutez, découpez les formes suivantes en syllabes et indiquez le symbole

phonétique des voyelles. Que déduisez-vous ? J’appelle -J’ai appelé Je jette - j’ai jeté III. Les verbes ci-dessous sont comme appeler et jeter. Conjuguez-les. 1. Comment (épeler) -t-on le nom de ce parti ? 2. Je (renouveler) ma question au ministre de l’Intérieur. 3. Nous (rejeter) votre proposition de loi. 4. Les syndicats (projeter) des journées de protestation. 5. Le Premier ministre (rappeler) l’intention du gouvernement d’engager des

réformes. IV. Les verbes ci-dessous se conjuguent comme geler et acheter. Construisez

des phrases. 1. (il) Modeler 2. (ils) Démanteler 3. (vous) Peler 4. (on) Déceler 5. (nous) Marteler V. Ecoutez et répondez par oui ou par non en conjuguant les verbes donnés

entre parenthèses 1. (altérer) : ……………………………………………………………………. 2. (décréter) …………………………………………………………………….. 3. (inquiéter) ………………………………………………………………….. 4. (démanteler) ………………………………………………………………….. 5. (emmener) …………………………………………………………………..

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VI. Ecoutez et transcrivez les formes que vous entendez dans la colonne correspondant au verbe modèle et donnez l’infinitif.

gérer lever appeler INFINITIF

1 2 3 4 5

Bibliographie

Berger D., Cecchini G., Hédiard M. (1989) Faute de quoi – Préparation à la dictée avec exercices auto-correctifs, La Nuova Italia, Scandicci (Fi).

Bescherelle (1997) L’orthographe pour tous, Hatier, Paris. Catach N. (1978) L’orthographe, PUF, Paris. Catach N. (1991) L’orthographe en débat, Nathan, Paris. Charliac L., Motron A.-C. (1998), Phonétique progressive du français, Cle

International, Paris. Goose G., Grevisse M. (1993) Le bon usage, Duculot, Paris-Louvain-la-Neuve. Jaffré J.-P. (1991) “ Etat de la recherche en didactique du français langue

maternelle » in E.L.A., Didier Erudition, Paris. Jaffré J.-P. (1992) Didactiques de l’orthographe, Hachette, Paris. Kaneman-Pougatch M., Pedoya-Guimbretière E. (1991) Le plaisir des sons,

Hachette/Didier, Paris. Masson M. (1991) Les “ rectifications de 1990 : aperçu historique » in Mots

n°28, pp. 57-68. Riegel M., Pellat J.-C., Rioul R. (2001) Grammaire méthodique du français,

PUF, Paris. Thimonier R. (1967) Le système graphique du français, Plon, Paris. Tournier M. (1991) “ A quoi sert l’accent circonflexe ? » in Mots n°28, pp. 101-

107. Wioland F. (1991) Prononcer les mots du français, Hachette, Paris.

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Les accents graphiques 145

Prenons des étudiants non débutants s’apprêtant à affronter un an de langue française L’enseignant l’air de rien leur demande histoire de voir à quel point ils en sont de noter sur une feuille de papier les points abscons de la langue Sans trop d’hésitations tous ont en toute première position sur leur petit papier de doléances les accents Rien de surprenant se dira-t-on les accents nous le savons ont toujours eu très mauvaise réputation Néanmoins pensera-t-on les générations d’apprenants francophones et italophones se succèdent pointant du doigt ces signes embarrassants coupables de tant d’incompréhensions et de frustrations Les accents le grave l’aigu le circonflexe tels des Erynies hantant la sphère de l’écriture déjà si contraignante n’ont donc de cesse de tourmenter les étudiants et leur descendance faisant fi souvent de dizaines d’années d’études décourageant les bons et les mauvais éléments Résignation Qu’y a-t-il en deuxième position sur les coupons Voyons le /E)/ le /a)/ et le /o)/ a o qui n’ont pas d’accents Soudain un vent de protestations d’accusations traverse la conversation C’est la révolution Les étudiants brandissant leurs revendications s’en prennent aux accents à l’enseignant décevant capon qui pour toute raison

répond qu’il est vain d’importuner ces démons si changeants si malins si inconstants Brusquement des mains se cabrent bizarrement telles des centaines d’accents aigus graves circonflexes et se lèvent en tous points menaçantes Dans le même temps monte dans un coin un chœur suppliant Nous vous implorons libérez-nous des accents qui depuis tant de temps sont pour nous la source de tant de tourments de tant de déchirements C’est alors que l’enseignant laissant son air compatissant voyant se dresser à l’instant les moulins à vent de l’orthographe se mue sur-le-champ en vaillant paladin et s’armant de son crayon hurlant furibond mâtin se lance délibérément contre leurs ailes les accents Tremblez tous aigus graves circonflexes que vous soyez nous vous plierons accents nous vous materons Etudiants armez-vous de patience de connaissance et nous vaincrons. Nos remerciements vont à tous les étudiants qui diligemment et intelligemment nous ont aidée de leurs suggestions et ont pendant un an alimenté nos réflexions Notre reconnaissance va à tous les étudiants qui patiemment et vaillamment ont affronté pendant un an les térébrants et pourtant non moins fascinants accents

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POUR UNE REPRÉSENTATION FONCTIONNELLE DE LA CONJUGAISON FRANÇAISE1

Sonia Gerolimich, Isabelle Stabarin

Dans les collèges anglais du dix-neuvième siècle, quand les pires châtiments corporels avaient échoué sur l’un ou l’autre élève particulièrement rétif ou retors, une légende veut que le censeur lui infligeait en désespoir de cause la conjugaison in extenso d’un verbe français.

Marc Wilmet, Grammaire critique du français. Une bonne connaissance de la forme des verbes est nécessaire à une communication efficace. Nous observons pourtant que les apprenants en français langue étrangère 2 ont souvent du mal à maîtriser la morphologie verbale. Il semble donc qu’une attention particulière devrait être portée à cet aspect, à tous les niveaux de l’apprentissage, en fonction des besoins évalués par l’enseignant.

Cependant, comme le constate Eulàlia Vilagines Serra (2001: 229) « La grammaire n’est pas toujours présentée de la façon la plus simple et reste la partie lourde et difficile des cours de langue. [...] L’enseignant est souvent démuni d’outils et d’arguments et ne peut pas toujours montrer la logique du système ou en expliquer les « irrégularités ». De même, la littérature relative à la morphologie du verbe français est foisonnante mais n’apporte pas toujours une présentation claire et rigoureuse.

Aussi notre propos est-il ici de faire le point sur les différentes façons d’envisager la conjugaison verbale en didactique du FLE et de proposer une présentation du système verbal le plus possible simple et exhaustive ainsi que des suggestions pour l’apprentissage.

1 Sonia Gerolimich s’est occupée plus spécifiquement des parties 1.2 (Autres

approches) et 2.3 (Passage à l’écrit, Applications pratiques) ; Isabelle Stabarin des parties 1.1 (La classiffication traditionnelle), 2.1 (Les verbes à l’oral et au présent), 2.2 (Systématisation adoptée) et 2.3 (Les étapes de la systématisation).

2 Nous nous référons en particulier au contexte universitaire italien dans lequel nous exerçons.

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1. Approches de la morphologie verbale

Il existe plusieurs types d’approches de la morphologie verbale : les plus traditionnelles, qui préconisent une classification en trois, voire quatre groupes de verbes ; d’autres, influencées par la linguistique, qui proposent d’autres types de regroupements.

1.1. La classification traditionnelle

La classification traditionnelle qui se fonde sur l’ancienne conjugaison latine est inadaptée au français actuel. Son critère principal, celui de la désinence de l’infinitif, ne permet pas une systématisation des flexions verbales. Elle se révèle donc inutile, sinon déroutante. • Le premier groupe (type parler) est présenté comme régulier : en isolant la

désinence -er de l’infinitif, on obtient un radical qui reste le même pour toute la conjugaison, et auquel on ajoute des désinences fixes. Mais c’est l’approche écrite qui prévaut, nous faisant voir par exemple comme des particularités des verbes tels que manger, commencer alors qu’ils obéissent à des règles propres au code phonographique du français. Aller est parfois considéré comme appartenant à ce groupe, alors que ce verbe est totalement irrégulier.

• Le deuxième groupe (type finir) témoigne d’un effort de classification qui ne se fonde pas seulement sur l’infinitif (-ir), mais qui prend en compte la forme du verbe conjugué ; notamment de l’affixe -iss aux formes du pluriel, initialement indice des verbes inchoatifs. Ce regroupement dénote le souci de distinguer les verbes type finir par rapport à d’autres verbes en -ir (partir, tenir, etc.), et constitue une amorce de rationalisation de la conjugaison.

• Le troisième groupe, quant à lui, réunit tous les verbes qui n’appartiennent pas aux deux premiers groupes. Son statut apparaît comme incohérent : alors que les premier et deuxième groupes se caractérisent essentiellement par leur régularité, le troisième groupe est un agrégat de paradigmes très variés. L’appellation troisième groupe réunit en réalité plusieurs groupes de conjugaisons présentant des régularités et étiquetés traditionnellement comme des sous-groupes. Mais qu’est-ce qui justifie que les verbes en -ir/-iss (du dit 2ème groupe) constituent un groupe à part entière tandis que les verbes en -indre (éteindre, se plaindre, joindre) ou en -uire (conduire, traduire), par exemple, constituent un sous-groupe ? Uniquement leur nombre ?3

3 On rencontre les mêmes perplexités chez Pouradier Duteil (1997: 76).

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En outre, on observe fréquemment des classifications, à l’intérieur du dit troisième groupe, qui sont faites en fonction d’une désinence commune de l’infinitif, et en particulier, pour certains verbes la désinence ultime : -re pour des verbes aussi différents que prendre, éteindre, conduire, rire, croire, etc. Il en est de même pour les verbes en -ir, comme le font remarquer Grevisse et Goosse (1994: 1202) : « Acquérir, mourir, ouvrir, sentir, tenir, par ex., offrent à certains temps des formes tellement dissemblables que la simple identité de désinence à l’infinitif ne saurait justifier le regroupement de ces verbes sous une même rubrique. » Cette approche hétéroclite génère des confusions. La classification traditionnelle est ainsi remise en cause par différents

auteurs, qui tentent à leur tour de proposer d’autres types de regroupement des verbes, plus cohérents et systématiques. « La conjugaison irrégulière, dont les formes s’expliquent par l’évolution historique, impose donc, dans l’état du français actuel, de classer les verbes autrement que sur la seule forme infinitive ; les chercheurs actuels sont unanimes à ce sujet. » (Germain & Séguin 1998: 77).

1.2. Autres approches

Parmi les approches novatrices, les travaux de Jean Dubois sont significatifs ; celui-ci présente en 1967 une systématisation de la conjugaison. Privilégiant une approche essentiellement orale de la morphologie verbale, il adopte « la variation des bases verbales » comme « principe essentiel de son classement », en prenant « comme critères le nombre et la forme des radicaux qui servent de support aux diverses désinences »4. C’est ainsi qu’il obtient sept conjugaisons, qui vont des verbes à 1 base (chanter, ouvrir, conclure) au verbe à 7 bases (être). La plupart des grammairiens ou linguistes qui se sont penchés sur cette question ont repris le critère du nombre de bases retenu par Dubois et l’ont développé de différentes façons.

• Les bases verbales

En ce qui concerne la notion de base, traditionnellement on considère qu’un verbe est formé d’un radical, porteur de sens, et d’une désinence, marque de mode, temps, et personne, et que c’est à partir de l’infinitif qu’on fait la distinction entre ces deux parties du verbe (fin-ir). Différemment, les nouvelles approches déterminent la ou les bases à partir des formes conjuguées : « connai-s/t vs connaiss-ons/ez/ent ». On opère en outre une distinction base longue/base 4 Dubois J. (1967) Grammaire structurale du français, Le verbe, Larousse, Paris,

p. 59.

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courte qui met en évidence, pour certains verbes, l’existence d’un morphe latent5 (ou consonne latente). Dubois, par exemple présente les bases de devoir, [dwa]/[dwav]/[dev], en indiquant que « l’opposition entre le radical a et le radical b se fait par l’addition du morphophonème [v] » (Dubois 1967: 69). Grevisse et Goosse (1994: § 758) parlent de « l’addition d’une suite phonique ou affixe », Wilmet (1997) de « l’accroissement par un affixe ».

Dans une optique un peu différente, d’autres (Germain et Séguin 1998 ; Le Goffic 1997 ; Blanche-Benveniste 1997 et surtout Gardes-Tamine 2000) estiment que ce morphe fait partie intégrante du radical et qu’il y a « troncation » au singulier : c’est la base longue, celle du pluriel, qui est donnée comme forme fondamentale, le « morphème soustractif » (Blanche-Benveniste 1997) disparaissant des formes du singulier. On s’aperçoit alors que la base d’un verbe n’est pas forcément la même d’un ouvrage à l’autre. Comme bases de finir on trouve aussi bien fin- que fini- et fini-/finiss-. Meleuc & Fauchart (1999), par exemple, considèrent que le « i » doit faire partie du radical puisqu’il apparaît à toutes les conjugaisons et proposent fini- comme base de départ ; d’autres encore, comme Gardes-Tamine (2000), qui abordent la morphologie verbale du point de vue de l’évolution phonétique, soutiennent que finiss- est la « base fondamentale » de finir. Il s’agit cependant de distinguer, comme le fait Claire Blanche-Benveniste (1997: 144), les critères adoptés dans une optique descriptive et scientifique de ceux qui répondent à des exigences purement didactiques : « il est commode de décrire le phénomène en disant que les trois premières personnes du présent de l’indicatif utilisent un radical court, amputé de sa consonne finale. »

Ainsi, comme le font remarquer Sannier, Aubergé et Belrhali (1998), « c’est jusqu’à définition de la notion de base qui peut varier ». Or bien que cette notion ne soit pas définie de façon univoque, elle reste essentielle dans les différentes tentatives de classification de la morphologie verbale. Les bases peuvent varier dans un même paradigme pour des raisons étymologiques : « le verbe aller se conjugue avec trois racines issues de trois verbes latins différents : ambulare > all-, ire > i-, vadere > va- » (Germain & Séguin 1998: 75). D’autres fois, au contraire ce sont « les lois du système phonétique de la langue française » qui donnent lieu à des « ajustements morphophonétiques des formes fléchies » (Sannier, Aubergé & Belrhali 1998). C’est par exemple le cas des conjugaisons où il y a modification du timbre vocalique ([apèl] / appellent vs [ap(e)lI] / appelons) ou bien ajout d’un phonème de « liaison », parfois appelé « mouillure » ou yod ([pri] / prie vs [priJI] / prions), transcrit dans certains cas au moyen du graphème « y » (je paie / nous payons). Pouradier Duteil (1997) considère que les ajustements phonétiques des formes verbales sont des 5 Exemples : le morphe [s] pour des verbes comme finir, connaître: [finis/fini],

[konεs/konε] ou le morphe [d] pour rendre, perdre : [rãd/rã], [pεrd/pεr].

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automatismes qui ne donnent pas lieu à un véritable changement de base ; elle classe ainsi les verbes type appeler, crever, céder, payer, nettoyer, appuyer parmi les « verbes à thèmes uniques » (1997: 199-200). L’approche est en partie similaire à celle de Kilani-Schoch qui insiste sur une « normalité dans le verbe français ». Dans son Introduction à la morphologie naturelle (1988: 197), elle soutient que « la conjugaison verbale française est une conjugaison de forme de base et non une conjugaison à thème verbal6. Cette règle est une règle à défaut (…) : les paradigmes qui y échappent sont définis comme des déviations à apprendre par cœur ». Mêmes constatations chez Gardes-Tamine (2000: 73) selon qui « la morphologie verbale est, dans une très large mesure, prévisible » car elle est « gouvernée par les grandes tendances phonologiques qui jouent dans l’ensemble de la morphologie, en particulier les règles de l’élision consonantique ».

• Autres critères de classification

Pour l’élaboration des systématisations existantes, conjointement à celui de la variation de la base, d’autres critères ont été pris en compte : Meleuc & Fauchard (1999) fondent leur classification aussi sur le taux de fréquence, et, accessoirement, font appel aux désinences écrites d’infinitif.

Gardes-Tamine (2000) – dont l’approche morphophonétique est essentiellement descriptive – et Germain et Séguin (1998) – au sein d’une approche didactique plus globale – regroupent les verbes en deux grandes classes, avant d’en distinguer les bases. Ce regroupement se fonde sur le morphème de l’infinitif, considéré sous son aspect phonique : les verbes en [e] et les verbes en [r] (tous les autres, c’est-à-dire les verbes en -ir, -re, -oir). Riegel, Pellat & Rioul (1997) partent d’une classification par désinence d’infinitif (-er, -ir, -oir, -re) qui se subdivise en fonction du nombre de bases. Les mêmes principes de classification sont adoptés dans l’ouvrage didactique Conjugaison progressive du Français7.

Quant à l’ouvrage Les formes conjuguées du verbe français, oral et écrit de Le Goffic (1997), on y trouve une classification par groupes traditionnels qui se ramifie ultérieurement en verbes types, verbes desquels on tire les bases (thèmes) dans le but de déterminer des formes-clés, utiles à l’apprentissage.

6 Kilani-Schoch distingue la flexion des formes de base, c’est-à-dire une base toujours

identique à laquelle s’ajoute un suffixe et la conjugaison à thème verbal où il y a alternance des formes.

7 Boularès M., Grand-Clément O. (2001) Conjugaison progressive du Français, CLE international, Paris.

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Bescherelle, La conjugaison pour tous8, comme la plupart des dictionnaires de conjugaison, reste rattaché à la classification traditionnelle des trois groupes avec la présentation par ordre alphabétique de nombreux verbes-modèles.

Il reste que l’infinitif des verbes demeure, dans la majorité des cas, un outil de description auquel, tôt ou tard, on fait appel. C’est toutefois un critère contre-productif pour la systématisation des verbes dans une approche par bases. On remarque d’ailleurs que ces diverses tentatives de systématisation n’aboutissent pas forcément à une solution plus simple ; elles ne parviennent pas en effet à limiter le nombre de conjugaisons-types. Meleuc & Fauchard (1999: 58) constatent l’impossibilité « d’échapper tout à fait à la complexité relativement élevée de la morphologie verbale, spécifique du français, si on veut effectuer un classement globalisant des verbes ». La référence constante à l’infinitif pour les classifications dénote la difficulté à prendre les distances par rapport à l’écrit9, même lorsque l’intention déclarée est d’adopter une approche spécifiquement orale.

2. Pour une systématisation fonctionnelle : propositions pour la classe de FLE

2.1. Les verbes à l’oral et au présent

• Oral

L’oral permet pourtant une approche facilitée. Le français présente à l’oral et à l’écrit deux systèmes morphologiques différents mais c’est la morphologie de l’écrit qui représente la difficulté la plus importante puisque le français n’a pas une orthographe phonétique. En effet, l’écrit est caractérisé par des marques morphologiques souvent redondantes, dont l’oral fait économie (« elles sont jolies » : à l’écrit, 3 marques du pluriel + 2 marques du féminin ; à l’oral 1 marque du pluriel + 1 marque du féminin). Il apparaît ainsi qu’une approche orale de la morphologie du français peut se révéler d’un apprentissage plus aisé. Cette approche aurait l’intérêt de remotiver des étudiants découragés par la complexité du système grammatical français.

Pour ce qui concerne plus proprement l’acquisition de la morphologie verbale, rappelons simplement avec Picoche et Marchello-Nizia que « quatorze désinences à l’écrit correspondent à cinq seulement à l’oral : zéro/õ/e/a/ε 10 devant lesquelles peuvent s’intercaler des ‘marques de série verbale’ : /j/ ou /r/».

8 Bescherelle, La conjugaison pour tous, Hatier, Paris, 1997 (revu par M. Arrivé). 9 L’infinitif fournit effectivement des indices pour la conjugaison écrite des verbes. 10 Les désinences écrites correspondent à : e, es, ent, ons, ont, ai, ez, er, é, a, as, ais,

ait, aient.

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« Le résultat, concluent-elles, est que la conjugaison orale moderne du français est d’une complexité modérée. » 11 Mais il est encore plus intéressant de constater que les cinq désinences dénombrées se réduisent à trois si on ne prend en considération que la conjugaison du présent, et même deux si on exclut la désinence « zéro ».

• Présent

Les tentatives de systématisation évoquées plus haut prenaient en compte tous les modes et temps verbaux, avec comme résultat une description complexe : de nombreux regroupements et sous-regroupements qui ne nous épargnent pas pour autant les particularités. Considérant au contraire qu’une description du système de conjugaison doit s’appuyer initialement sur le seul temps présent, nous adopterons une systématisation fonctionnelle à partir du présent oral. La même démarche caractérise les travaux de Germain et Séguin (1998), Jaussaud (1986a, 1986b, 1987) et de Pouradier Duteil (1997).

D’un point de vue didactique également le présent est un temps primordial sur lequel il faut miser : outre qu’il assume des valeurs temporelles variées, le présent constitue une base précieuse pour reconstituer, soit pour la formation de formes verbales composées, soit par dérivation 12 , d’autres modes et temps verbaux. Ainsi : a) Dans la conversation courante, c’est le présent qui prédomine (Cappeau

2004 ; Blanche-Benveniste & Adam 1999) ; c’est donc bien le temps le plus rentable pour la communication spontanée.

b) Sa fréquence est due à son caractère déictique, mais il assume également des valeurs diverses, telles que présent historique, de vérité générale, d’habitude.

c) Le présent prend différentes valeurs temporelles en fonction des compléments qui lui sont annexés : je pars demain ; hier, il me dit … (langue parlée).

d) Les auxiliaires ou les semi-auxiliaires aller et venir au présent permettent de former le passé composé (il est parti), le futur périphrastique (il va partir), et le passé récent (il vient de partir).

e) Par analogie on forme l’impératif (sauf pour quelques verbes très irréguliers), ainsi que de nombreuses formes du subjonctif.

11 Picoche, Jacqueline, Marchello-Nizia, Christiane (1996) Histoire de la langue

française, Nathan, Paris, p. 264. 12 On entend par dérivation le procédé didactique qui consiste à déduire le paradigme

verbal d’un temps à partir d’un autre, en l’occurrence ici le présent.

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f) Par dérivation on forme13 - l’imparfait : nous lisons lis je lisais (seule exception être) ;

- de nombreuses formes du futur et du conditionnel : je mange-r- ai, j’écri-r-ais14 ;

- de nombreuses formes du subjonctif : ils viennent vienn que je vienne.

Le présent est donc bien un temps fondamental, à partir des formes duquel

on peut déduire ou construire la majorité des paradigmes verbaux. L’investissement initial sur ce temps portera ses fruits tout au long de l’étude de la morphologie verbale. C’est donc sur l’apprentissage de la morphologie verbale orale du présent que devront réellement se concentrer les efforts en classe.

2.2. Systématisation adoptée

A partir de ces observations, nous adoptons un regroupement des formes verbales en 5 classes, A, B, C, D, E qui ne tient pas compte seulement du nombre de bases mais surtout de la distribution des bases par personne dans un même paradigme. Nous renvoyons le lecteur au tableau ci-après : « Représentation fonctionnelle des formes du présent à l’oral ».

Le but de ce tableau est de faire ressortir un système de la conjugaison du présent, visant à aider l’apprenant à « comprendre » les formes verbales qu’il a rencontrées au cours de son apprentissage. Cette classification fait apparaître que, de manière constante pour les paradigmes des cinq classes, seules deux désinences sont prononcées : [I] pour P4, [e] pour P5. Pour P 1, 2, 3 et 6, la forme verbale coïncide toujours avec la ou les base(s) du verbe15.

13 Pour Hourcade par exemple, sont dérivés de l’indicatif présent, le subjonctif présent,

l’imparfait, le participe présent et le passé simple ; l’impératif est formé avec certaines formes du présent (Hourcade B. (2000) Dictionnaire explicatif des verbes français, Méthode de la dérivation radicale, La maison du dictionnaire, Paris, pp. 23-42).

14 Germain et Séguin, p. 77. Les personnes (P) de 1 à 6 correspondent aux formes verbales dans l’ordre du paradigme verbal traditionnel (ex. : P1=1ère personne du singulier, P4 =1ère personne du pluriel). Rappelons que P3 correspond aussi bien à elle et il qu’à on, très employé dans la langue courante, et qui se substitue souvent à P4.

15 Les personnes (P) de 1 à 6 correspondent aux formes verbales dans l’ordre du paradigme verbal traditionnel (ex. : P1=1ère personne du singulier, P4 =1ère personne du pluriel). Rappelons que P3 correspond aussi bien à elle et il qu’à on, très employé dans la langue courante, et qui se substitue souvent à P4.

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La classe A contient tous les verbes unibases : la plupart des verbes en [e], mais également conclure, ouvrir, courir, etc. Les trois classes suivantes (B, C, D) regroupent des verbes à deux bases mais se différencient entre elles en fonction de la distribution de P6 dans le groupe de la base 1 ou, au contraire, dans celui de la base 2 du paradigme ; l’autre critère de différenciation est l’aspect des bases d’une même classe : dans la classe D la base 2 est tout à fait différente de la base 1 alors que dans la classe C la base 2 est la même que la base 1, mais allongée d’un morphème. Remarquons en outre que la classe B regroupe essentiellement des verbes dont la base P4-5 ne varie que sous l’effet d’ajustements morphophonétiques (alternance [e] / [è] ou [é] / [è] ; apparition de [j] devant désinences [I] et [é]). Cela permet de distinguer, comme l’a préconisé Dubois, « les oppositions entre radicaux différents et les simples variantes combinatoires de ces mêmes radicaux » (1967: 59).

Dans la classe E enfin, on trouve des verbes à 3 bases. C’est la seule classe où P6 se distingue des autres formes. En outre, hors regroupement, on trouve 5 verbes inclassables, caractérisés par l’irrégularité aussi bien de leurs bases que de leurs désinences.

Pour compléter ce tableau il est important de préciser quelles sont les proportions relatives à chaque classe de verbes : La classe A, celle des verbes à une base, soit les plus faciles à conjuguer, représente presque 90 % des verbes français. Les autres verbes, c’est-à-dire ceux qui posent problème ne représentent qu’une minorité. Déjà dans les classifications entrevues plus haut, les auteurs soulignaient cette disparité entre les groupes et relativisaient la difficulté d’apprentissage des formes verbales. Germain et Séguin observent en effet que « les 12% de verbes irréguliers (637 sur 5535), qui forment une classe fermée, donc figée, se réduisent à une centaine si l’on ne retient pas les verbes rares, vieillis ou moribonds […] et si l’on ne compte pas les composés […]. C’est donc bien une centaine de verbes seulement, et non des milliers, qui créent difficulté. » (1998: 74). A travers leurs recherches sur corpus, Blanche Benveniste & Adam (1999: 109) montrent d’ailleurs que de nombreux verbes répertoriés dans les grammaires sont « virtuels » et ne reflètent aucunement les emplois attestés, qui sont « fortement concentrés sur certaines formes plutôt que d’autres ». Signalons à ce propos la tendance des locuteurs français à la substitution de lexèmes verbaux à conjugaison irrégulière par d’autres à conjugaison régulière - ex. : râler au lieu de se plaindre (Gertner 1973: 80-81, cité in Kilani-Schoch 1988: 197). Quant aux verbes très irréguliers (une douzaine au maximum selon les différentes classifications ; selon notre tableau, les verbes de la Classe E + les 5 inclassables) « ce sont les plus courants donc on peut les acquérir facilement dans une pratique de classe communicative » (Mezalme & Vendreneur 1997 : 27). De même, pour Kilani-Schoch (1988: 197) : « Leur haute fréquence, le fait qu’ils dénotent des concepts

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fondamentaux, ont pour conséquence qu’ils sont acquis très tôt, facilement stockés et qu’ils résistent à l’analogie. »

2.3. Applications pour la classe de FLE

• Les étapes de la systématisation

Le tableau adopté répond à un besoin de systématisation globale. Les formes verbales sont d’abord introduites en contexte dans des dialogues ou des petits textes au sein de méthodes ou de documents authentiques, oraux comme écrits, mais également dans l’interaction de classe. On les présente en un second temps aux apprenants sous la forme de paradigmes plus ou moins complets. Il s’agit d’une systématisation intermédiaire, celle qu’offrent par exemple les méthodes à l’intérieur des unités. Car, comme le souligne Jaussaud (1987: 41), « dans un contexte scolaire, la seule approche audio-orale ne permet pas d’apprendre les formes verbales. […]. Apprendre à conjuguer ne peut se faire sans un apprentissage spécifique et méthodique ». Enfin une systématisation globale intervient lorsque l’apprenant a déjà rencontré de nombreuses formes verbales et on peut y recourir à différents niveaux d’apprentissage. Comme le souligne Vilagines Serra, pour laquelle il s’agit d’« éviter l’apprentissage par cœur », « la systématisation des données fait ressortir la structure générale et active des mécanismes de déduction et de travail par analogie » (Vilagines Serra 2001: 28).

En fonction des situations d’apprentissage, l’enseignant pourra présenter cette systématisation directement, ou au contraire, s’il opte pour une méthode inductive de conceptualisation il pourra la faire déduire aux apprenants à partir de formes verbales choisies. Le tableau adopté pourrait également être complété au fur et à mesure par les formes verbales rencontrées en contexte.

L’approche orale concrétisée dans le tableau adopté met en évidence l’économie des formes verbales, alors que l’écrit masque les analogies. Les analogies mises à jour, en permettant aux apprenants de prendre conscience de la similarité des formes pour la majorité des verbes, font ressortir la fonction discriminative du pronom sujet en français. On insistera ainsi sur le caractère obligatoire du pronom-sujet, en particulier auprès des apprenants italophones ou de ceux qui, comme eux, ont une langue pro-drop16. On pourra également signaler son emploi pléonastique chez les locuteurs français, puisque « selon les travaux de Ashby (1982) et Lambrecht (1984), 70% des sujets nominaux en français parlé sont doublés d’un clitique. » (Cabredo Hofherr 2004: 105). En outre, cette approche met en évidence la fréquente coïncidence des formes verbales avec le radical nu (à raison de 2/3), ce qui permet de transformer, à un

16 Langue sans pronom sujet obligatoire.

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moment donné, l’approche morphologique en simple approche lexicale. Cette analogie propre à l’oral devrait favoriser la production de formes verbales correctes en discours.

Le passage à la forme écrite, requis dans la plupart des situations d’apprentissage, constituera une étape distincte, à affronter en un second temps.

• Passage à l’écrit

L’acquisition du code écrit consiste d’abord en l’apprentissage d’une correspondance phonie-graphie. La classe B, par exemple, regroupe essentiellement des verbes dont la variation de la base repose sur des ajustements morphophonétiques qu’on apprend à transcrire orthographiquement.

Pour ce qui est des désinences, la présentation est simple. On écrit : ons, ez, ent aux formes du pluriel pour toutes les classes de verbes ; e, es, e aux formes du singulier pour la classe A (sauf conclure, courir) et pour les verbes en -er de la classe B ; s, s, t ou d aux formes du singulier pour les classes C, D (sauf valoir), et E (sauf pouvoir, vouloir).

Quant aux difficultés orthographiques des verbes, soit elles sont propres aux lexèmes (craindre vs peindre), soit elles requièrent une attention particulière : par exemple je bats, je mets vs je connais, j’accrois dans la classe C. Une sensibilisation à l’étymologie des formes verbales peut être une aide supplémentaire : comparer, par exemple, les formes du verbe être en français avec celles de sa conjugaison latine ; montrer l’évolution de certaines formes verbales17.

On mettra aussi en évidence la différence d’orthographe entre les verbes en –dre de la classe C et ceux de la classe D : je perds, je réponds, je mords, je vends vs je crains, je peins, je joins, je résous.

Mais l’acquisition des formes écrites peut aussi advenir de façon autonome et constituer l’essentiel du travail personnel de l’apprenant18 ; l’acquisition des formes orales – difficilement appropriables dans une activité autonome – se faisant en exclusivité avec l’enseignant. Cela permet de rentabiliser le temps passé avec ce dernier. Cette approche dichotomique demande certes plus d’efforts personnels à l’apprenant pour l’acquisition de l’écrit mais lui garantit une bonne compétence orale. Et c’est un atout important.

17 Voir Picoche & Marchello-Nizia (1996). 18 Ce travail peut alors faire simplement l’objet de rapides évaluations en classe.

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• Applications pratiques

Les applications pratiques relatives à l’acquisition des formes verbales, à l’oral comme à l’écrit, s’appuieront sur des formes-clés indicatrices de changement de base. La notion de forme-clé est très présente dans la littérature relative à la didactique de la conjugaison19 : il suffit de connaître un nombre restreint de formes verbales « modèles », pour déduire l’ensemble du paradigme verbal du présent : 2 personnes pour les verbes à 2 radicaux (ex. : lire → lis – lisons), 3 personnes pour les verbes à 3 radicaux (ex. : boire → bois – buvons – boivent)20. Ainsi, pour Le Goffic, « à partir des cas les plus complexes, on peut formuler la règle suivante, […] qui n’est que l’application au français de la méthode des ‘temps primitifs’, bien connue des latinistes, anglicistes ou germanistes. Règle : pour pouvoir conjuguer un verbe français, il faut connaître 6 formes-clés21. […] A partir de ces 6 formes-clés, on peut obtenir n’importe laquelle des autres formes de la conjugaison. » (Le Goffic 1997: 30).

Si nous examinons le matériel FLE à disposition, en particulier les ouvrages d’apprentissage des formes verbales accompagnés d’exercices, nous constatons qu’il reste très lié à la classification traditionnelle et à l’écrit. C’est le cas notamment de Conjugaison progressive du français (Boularès & Grand-Clément 2000), et de Conjugaison, 350 exercices (Bady, Greaves & Petetin 1997). Un autre ouvrage, Apprendre à conjuguer (Jaussaud 1986a, 1986b), propose bien une classification originale non basée sur l’infinitif et qui tient compte des modifications du radical au présent ; mais les désinences écrites du présent constituent le critère initial de cette systématisation, qui en résulte d’un usage peu aisé. Et les exercices proposés visent, là encore, avant tout l’acquisition des désinences écrites.

Présent, Passé, Futur (Abry, Chalaron & van Eibergen [1987] 2002), en revanche, se démarque par une conception très novatrice de l’enseignement des verbes. Il s’agit d’un petit manuel dont « le système de description retenu s’inspire des travaux de Dubois sur le verbe ; il est fondé sur la notion de base phonétique» (id: 7). L’ouvrage, comme le déclarent les auteurs dans l’Avertissement, vise à systématiser et faciliter l’apprentissage des verbes. En effet, l’approche orale à la base de cette présentation permet de mettre en valeur les changements de radicaux ; certains exercices consistent à compléter les

19 Ce concept apparaît chez Le Goffic (1997), Germain & Séguin (1998), Meleuc &

Fauchart (1999), Mezalme & Vendreneur (1997). 20 Ces indications sont données dans le Livre du professeur de la méthode Déclic

(2004, chez CLE International) qui a donc tenu compte des dernières recherches dans ce domaine.

21 Les six formes-clés auxquelles se réfère Le Goffic servent à conjuguer tous les temps, pas seulement le présent.

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paradigmes verbaux à partir de formes-clés données (cf. Annexe 1). L’ordre proposé pour les formes verbales des différents paradigmes tranche par ailleurs avec celui qui est proposé traditionnellement : P1 P2 P3 P6 P4 P5 ; celui-ci a l’avantage de mettre en évidence, au moyen d’auxiliaires typographiques, l’appartenance de P6 à l’une ou l’autre base phonétique ou au contraire sa dissociation22. De même, le rapprochement des formes P3 et P6 permet de souligner leur analogie23 ou au contraire leur dissemblance phoniques : il court / ils courent, il habite / ils habitent, il veut / ils veulent, il connaît / ils connaissent, il prend / ils prennent. On connaît bien en effet l’importance d’une bonne compétence discriminative pour l’expression orale, aussi bien en compréhension qu’en production. Signalons encore, pour les verbes à deux bases, un type d’exercice intéressant qui fait apparaître le découpage morphologique des formes verbales (cf. Annexe 2). On apprécie enfin, dans Présent, passé, futur, les exercices qui permettent de réemployer les formes verbales étudiées dans des activités communicatives et créatives.

Les enseignants qui voudraient adopter dans un premier temps une approche de la conjugaison à partir des formes orales du présent pourront s’inspirer de ce dernier ouvrage pour créer de nouveaux exercices de systématisation et de réemploi.

Conclusion

Notre recherche nous a permis de constater la grande variété des études sur la morphologie verbale et, paradoxalement, le peu de compte qui en est fait pour l’enseignement de la conjugaison en classe de FLE.

C’est, en effet, la classification traditionnelle du système verbal, d’origine latine, qui prime dans les ouvrages didactiques. Les enseignants se séparent difficilement d’une classification qu’ils connaissent depuis des années et qui leur apparaît donc comme rassurante. Une systématisation plus fonctionnelle semble pourtant s’imposer, comme en témoignent les difficultés des apprenants relatives à la conjugaison.

La classification adoptée ici naît d’une volonté de privilégier l’aspect oral de la morphologie – dans le sillage des recherches sur le français parlé – aspect qui permet de rendre compte des régularités du système. Il en ressort un regroupement en 5 classes, qui consent une présentation logique du système 22 Cet ordre a déjà été préconisé, notamment par Martinet (1979), Germain & Séguin

(1998). 23 A propos de P6, Mezalme & Vendreneur (1997: 26) font remarquer « qu’elle est

parfois semblable aux formes du singulier (croire, voir, rire…) mais, le plus souvent, elle s’allonge d’un son consonantique (partir, finir, mettre, boire, connaître). La base reste la même qu’au singulier. »

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verbal, lequel apparaît comme plus accessible à l’apprenant. Cette classification est volontairement limitée au présent car, d’une part il s’agit d’un temps communicationnellement productif et d’autre part il est intéressant d’un point de vue morphologique puisqu’il permet de générer d’autres temps verbaux.

Cette approche amène également l’apprenant à une compréhension plus ample du fonctionnement de la langue puisqu’elle touche aux différents aspects du système linguistique français (phonétique, phonologie, morphosyntaxe, lexicologie).

Le travail que nous avons proposé représente une première étape, dont une prolongation pourrait porter aussi bien sur les retombées proprement didactiques de la classification adoptée et ses applications pratiques que sur la question de la dérivation éventuelle et la description des autres temps verbaux.

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Annexe 1 : Exercices extraits de ABRY D., CHALARON M. L., VAN EIBERGEN J. (1987) Présent, passé, futur, PUG, Grenoble, p. 15 : Exercices avec formes-clés, paradigmes à déduire.

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Annexe 2 : Exercices extraits de ABRY D., CHALARON M.L., VAN EIBERGEN J. (1987) Présent, passé, futur, PUG, Grenoble, p. 27 : Verbes à 2 bases, structure des formes verbales.

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EINE UNTERRICHTSEINHEIT ZUM THEMA „POLITIK“ AUS EINEM SELBST ERARBEITETEN SKRIPTUM FÜR DEN STUDIENGANG „SCIENZE INTERNAZIONALI E

DIPLOMATICHE“ AN DER FAKULTÄT FÜR POLITIKWISSENSCHAFT DER UNIVERSITÄT TRIEST

Sieglinde Kofler

Der folgende Beitrag befasst sich zunächst mit einer allgemeinen Präsentation eines zweiteiligen Skriptums, das speziell für das Deutsch-Lektorat im Studiengang „Scienze Internazionali e Diplomatiche“ an der Fakultät für Politikwissenschaft der Universität Triest erstellt wurde und geht dann des Weiteren näher auf eine Unterrichtseinheit aus dem zweiten Teil des Skriptums von ca. 6 Unterrichtsstunden ein, die, neben den Grammatikthemen Konjunktiv I und II, die politische Organisation (Verfassungsorgane, Entstehung von Gesetzen, Parteien) der DACH-Länder zum Hauptthema hat. Im Anhang ist schließlich die Skriptumsvorlage zur 5. Unterrichtsstunde mit allen Texten, Aufgaben und Übungen dargestellt.

Die Idee zur Verfassung eines eigenen Skriptums für das Lektorat entstand

bereits im Jahr 2001 in Zusammenarbeit mit Dr. Patrizia Mazzadi, die in diesem und dem darauf folgenden Studienjahr als Deutsch-Dozentin für den Studiengang „Internationale und Diplomatische Wissenschaften“ lehrbeauftragt war. Unser gemeinsamer Wunsch, aufgrund der äußerst knapp bemessenen Zeit eine sinnvolle Arbeitsaufteilung zwischen Dozentin und Lektorin vorzunehmen und den Studierenden darüber hinaus ein attraktives Angebot für die stets als „schwierig“ bezeichnete und gefürchtete Sprache Deutsch zu bieten, bestärkte uns in diesem Vorhaben.

Der Studiengang „Internationale und Diplomatische Wissenschaften“ wurde im Jahr 1989 am PUG (Polo Universitario Goriziano), einer Dependance der Fakultät für Politikwissenschaft Triest, eingerichtet. Er verspricht den Studierenden, die sich nach vorheriger erfolgreicher Ablegung einer Aufnahmeprüfung zu dem Studiengang anmelden – den jährlich ca. 220-230 Bewerbern und Bewerberinnen stehen 100 Studienplätze zur Verfügung, ein Drittel davon Studierenden aus dem Ausland – eine profunde Ausbildung auf dem Gebiet der Internationalen Beziehungen und Diplomatie, wobei in den ersten drei Jahren Hauptfächer wie Privatrecht, Öffentliches Recht, Internationales Recht, Politische Wirtschaft, Geschichte usw. zu belegen sind.

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Dieses Studium kann in Italien noch an den Universitäten Rom, Genua, Bologna und Neapel absolviert werden, für Görz sprechen in diesem Zusammenhang, abgesehen von seiner günstigen Lage im Dreiländereck Italien, Slowenien und Österreich, (viele Studierende kommen aus den angrenzenden Staaten), die 15 Jahre lange Erfahrung auf diesem Gebiet und das Angebot an kompetenten Dozenten, die teilweise aus dem diplomatischen Bereich stammen. Besonders wird in Görz immer wieder auf die ausgezeichnete Fremdsprachenausbildung, vor allem in Französisch und Englisch, hingewiesen. Sehr viele Absolventen des Studiengangs arbeiten seit Jahren im Ausland, davon eine ganze „Kolonie“ in Brüssel, wo sie sowohl im Umfeld der Europäischen Union, als auch in anderen internationalen Institutionen tätig sind.

Welchen Stellenwert der Deutschen Sprache in diesem Studiengang zuerkannt wird, lässt sich aus der Tatsache erkennen, dass Deutsch I, wie auch Spanisch I, erst im dritten Jahr des dreijährigen Grundstudiums als Wahlfach mit 60 Dozenten- und 50 Lektoratsstunden belegt werden kann. Englisch und Französisch sind für alle Studierenden Pflichtfächer, wobei das Stundenausmaß pro Studienjahr 120 Dozenten- und 100 Lektorenstunden beträgt. Zu vermerken wäre, dass im ersten Jahr der Besuch von 10 Englisch- Lektorenstunden als verpflichtend gilt, eine etwas höhere Anzahl gilt für Französisch, die restlichen Lektorenstunden können, müssen aber nicht besucht werden, was generell für alle Sprachen gilt.

Eine Randbemerkung hinsichtlich des Sprachenangebots sei noch beigefügt: Es verwundert durchaus, dass trotz der Grenznähe zu Slowenien und Kroatien keine der beiden Landessprachen belegt werden können.

Die zweijährige Laurea Specialistica im Anschluss an die Laurea di Primo Livello kann seit kurzem in drei Fachrichtungen absolviert werden: a) Indirizzo Politico – Diplomatico b) Indirizzo Economico Internazionale c) Studi Extraeuropei

Untersucht man nun die Curricula dieser Masterstudien, so findet man wiederum Englisch und Französisch in allen Fachrichtungen als verpflichtende Fächer, Deutsch und Spanisch hingegen nur in den ersten zwei Curricula als Wahlfach. Von insgesamt 31 zur Wahl stehenden LP in der ersten Fachrichtung und 25 LP der zweiten müssen die Studierenden bindend 6 LP entweder aus Deutsch II oder Spanisch II oder 12 LP aus einer der anderen angebotenen Sprachen (Arabisch, Chinesisch, Japanisch, Hindi, Portugiesisch, Russisch und Hebräisch – für alle gilt I und II) wählen. Sie haben also weder die Möglichkeit, Spanisch und Deutsch zu belegen, noch die Chance, erstmals mit der Deutschen /bzw. Spanischen Sprache in Kontakt zu treten, denn es werden nur die jeweiligen „Fortgeschrittenenkurse“ angeboten; wer also im Grundstudium mit Deutsch I/ Spanisch I begonnen hat, muss entweder Deutsch II /Spanisch II

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weiter belegen oder eine andere Sprache neu lernen – und dazu stehen wiederum 60 Dozenten- und 50 Lektorenstunden (in manchen neuen Sprachen gibt es jedoch keine Lektoratsstunden) zur Verfügung. In der dritten Fachrichtung können 12 LP aus einer der anderen Sprachen nach Wahl belegt werden, also weder Spanisch noch Deutsch, wobei der Ausschluss von Deutsch als rein europäischer Sprache noch zu verstehen ist.

Für das Deutsch-Lektorat ergibt sich also folgende, auch bei der Erstellung des Skriptums berücksichtigte Situation:

Von den insgesamt 100 Lektoratsstunden für Deutsch I und II bleiben nach Stundenabzug für Vorbereitung (ev. Prüfungen sind nicht miteinberechnet), großzügig bemessen, ca. 80 – also 40 Unterrichtsstunden pro Kurs übrig. Natürlich müssen auch die Dozentenstunden in Betracht gezogen werden, doch in 60 Stunden Unterricht bzw. zwei Modulen von je 30 Stunden können von Dozenten nur einige Spezialthemen angeschnitten werden und für Grundlegendes, das in anderen Sprachen doch über mehrere Jahre hindurch aufgebaut werden kann, bleibt dabei keine Zeit.

Ist also einerseits die knapp bemessene Zeit, in der ein sinnvoller und angemessener Sprachunterricht passieren soll, ein nicht zu unterschätzendes Problem, stellt sich mit der Inhomogenität der Zielgruppe ein weiteres dar: Die „Mutigen“, die sich für Deutsch I entschieden haben, kommen zum Großteil aus humanistischen Gymnasien oder Licei Linguistici, wo sie, mit den – unabhängig von den Lernjahren – unterschiedlichsten Vorkenntnissen ausgestattet, auf 1-8 Jahre Deutscherfahrung zurückblicken können. Immer wieder gibt es zu unserer Freude jedoch auch Nullanfänger, die man durch ein adäquates Sprachangebot motivieren und besonders aufmerksam betreuen möchte. Im Großen und Ganzen sind unsere Studierenden hoch motiviert und fleißig, und da auch Nullanfänger schon jahrelange Erfahrung im Fremdsprachenunterricht haben (bei den meisten ist Deutsch die dritte oder vierte Fremdsprache), lässt sich mit ihnen ein zügiger und angenehmer Unterricht mit recht guter Erfolgsquote bzw. hohem Lernfortschrittstempo gestalten.

Abgesehen von der Stundenanzahl, die das Deutsch-Lektorat eindeutig einschränkt, stellt sich die Frage, worin die Ziele eines Fremdsprachen-unterrichts in diesem Studiengang liegen könnten? Bekannterweise existiert an den Universitäten kein Curriculum für den Fremdsprachenunterricht, obwohl immer häufiger die Kriterien des Europäischen Referenzrahmens für Sprachen bei der Unterrichtsplanung in Betracht gezogen werden. Für Deutsch steht mittlerweile der im Langenscheidt Verlag erschienene Band „Profile Deutsch“ (Lernzielbestimmungen, Kannbeschreibungen, Kommunikative Mittel, Niveau

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A1–B2) als Buch und CD-Rom zur Verfügung1 . Die Erreichung der darin angestrebten Lernziele sollte jedoch eine bestimmte Stundenzahl voraussetzen – 80 Stunden Lektorat reichen dabei vielleicht für die Erreichung eines A2 Niveaus aus. Diese Fakten gelten nun für Nullanfänger, viele Studierende besitzen aber schon weitaus umfangreichere, weit über ein A2 Niveau hinausgehende Kenntnisse, die sie perfektionieren wollen.

Diese Überlegungen brachten uns zur Einsicht, dass man den Studierenden einen „Intensivkurs Deutsch“ anbieten könnte, der einerseits Anfängern eine rasche grammatische und sprachliche Progression verspricht, andererseits fortgeschrittenen Lernern eine knappe, übersichtliche Wiederholung des bereits Gelernten bietet, und dies in einem Kontext, der sich von den herkömmlichen Lehrwerken unterscheidet und auf diesen Studiengang zugeschnitten ist. Um eine ungefähre Richtlinie aufzustellen, könnte man im Hinblick auf den Europäischen Referenzrahmen bzw. „Profile Deutsch“ die Kenntnisse nach Abschluss der Arbeit an unserem Skriptum auf einem B1 Niveau ansiedeln, allerdings mit Einschränkungen, denn in der mündlichen Rezeption beispielsweise sind augenscheinliche Defizite zu vermerken.

In enger Zusammenarbeit und unter Beachtung des vorher Gesagten wurden also der Aufbau des Skriptums und die Themenauswahl konzipiert, die Einteilung der Kapitel vorgenommen, die grammatikalische Progression bestimmt und eine Rahmenhandlung erstellt, die sich wie ein roter Faden durch das Skriptum zieht2.

Im Mittelpunkt des Geschehens steht, besonders im ersten Teil, eine Gruppe von italienischen Freunden, die sich seit der Gymnasialzeit kennen und nun, im Alter von 22-24 Jahren, an verschiedenen Fakultäten Politikwissenschaft, Informatik, Wirtschaft usw. studieren und zum Teil schon im Berufsleben stehen. In den einzelnen Kapiteln wird ihr studentischer Alltag, ihre Familie, die Freunde oder auch Auslandsaufenthalte (wie z.B. im Zuge des Erasmus-programms oder Ferienreisen) beschrieben bzw. in Dialogen dargestellt. Diese Thematik wurde gewählt, um einen möglichst hohen Identifikationsprozess in Gang zu setzen und so die Motivation zu erhöhen.

1 Glaboniat, Müller, Rusch, Schmitz, Wertenschlag: Profile Deutsch, Langenscheidt

Berlin 2002 ISBN 3-468-49463-7. 2 Vgl. G. Storch, 28 ff.

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Kapiteleinteilung nach Themen:

1. Teil (ca. 40 Stunden): 2. Teil (ca. 40 Stunden) 1. Sich vorstellen 2. Essen und trinken 3. Sich orientieren und einkaufen 4. Wohnen 5. Tagesablauf 6. Arbeit und Freizeit 7. Reisen in die deutschsprachigen

Länder

1. Landschaften in D, A, CH 2. Feste feiern 3. Schulsystem in den deutschsprachigen

Ländern, Universitäten 4. Medien 5. Wien, Berlin, Bern 6. Politik 7. Berufsleben

Die Themenauswahl orientiert sich im ersten Teil hauptsächlich nach den

ersten Kontakten, die der Lerner in den deutschsprachigen Ländern erfährt, wobei also stets versucht wird, gemäß der Diskussion um das Deutsch als Plurizentrischer Sprache, immer auch die Schweiz und Österreich mit ihrem zum Binnendeutschen unterschiedlichen Gebrauch der Standardsprache (Grußformeln, Speisen und Getränke, bis hin zur Lexik in Politik, Verwaltung...) zu berücksichtigen. Der zweite Teil behandelt in groben Zügen politische, kulturelle und soziokulturelle Aspekte Deutschlands, Österreichs und der Schweiz. Die einzelnen Kapitel bilden textinhaltlich und wortschatzmäßig eine Einheit. Die Themen der einzelnen Kapitel werden meistens durch selbst erarbeitete Dialoge der Freunde untereinander – die Dialoge spielen teils in Italien, teils aufgrund der geografischen Nähe in den DACH-Ländern – eingeführt, im ersten Teil durch vereinfachte Erklärungen fortgeführt und mittels „authentischen“ im Sinne von vorgefundenen Texten aus Zeitungen, Zeitschriften, Internet usw. erweitert und ergänzt. Besonders im zweiten, mitunter recht anspruchsvollen Teil, überwiegen zunehmend komplexere Texte und Fachtexte, es wurden jedoch auch Ausschnitte aus literarischen Texten in das Skriptum aufgenommen. Sehr wahrscheinlich können aus Zeitmangel nicht alle Texte im Unterricht behandelt werden, viele Texte werden einfach als zum Thema passend und interessant erachtet und sollen vor allem den etwas fortgeschritteneren Lernern zum Selbststudium, zur Information, oder einfach nur als Anregung dienen. Den verschiedenen Textsorten (Zeitungsbericht, Inserat, Brief, Interview…) entsprechen auch unterschiedliche Lesestile, die aus den entsprechenden Aufgaben zum Text abzuleiten sind.

Was die Grammatik betrifft, so werden diesbezügliche Phänomene im ersten Teil eher in einer zyklischen, aufgrund der Zeitknappheit steilen Progression eingeführt, im zweiten Teil überwiegend linear, vor allem bei Passiv, Konjunktiv I und II. Die Grammatikerklärungen und -übersichten wie auch Arbeitsanweisungen (im ersten Teil) sind auf Italienisch gehalten, um auch von

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den Studierenden alleine erarbeitet werden zu können und damit Lerner mit Vorkenntnissen dieselben kurz und schnell auffrischen können. Es wird versucht, die einzelnen Phänomene so einfach wie möglich darzustellen, auf Vollständigkeit wird dabei bewusst verzichtet.

Bei dem nun schon oft erwähnten Zeitproblem ist es nicht verwunderlich, dass im Zuge eines „Schnellkurses“ einige wichtige Phasen und Aspekte des Fremdsprachenunterrichts auf der Strecke bleiben müssen. Wir haben uns entschlossen, uns in unserem Skriptum bzw. im Unterricht auf die Fertigkeiten Leseverstehen und Sprechen zu konzentrieren, wohl wissend, dass um eine umfassende Sprachkompetenz zu erlangen, alle vier Fertigkeiten, die voneinander abhängen bzw. sich gegenseitig bedingen, trainiert werden müssen. Der Fertigkeit Schreiben ist u.E. noch relativ viel Platz eingeräumt worden, Hörverstehensübungen konnten jedoch in dieser Form von Skriptum nicht berücksichtigt werden, sie hätten den Rahmen dieses Unternehmens gesprengt. Die Studierenden werden aber dazu angehalten, sich selbstständig Material, das ihnen empfohlen wird – etwa in der Bibliothek – zu besorgen und eigenständig damit zu arbeiten. Da die Themenauswahl gerade im ersten Teil sehr ähnlich jener in der Sekundarstufe II verwendeten Lehrbücher ist (z.B. Tangram, Delfin), ergänzen die darin angebotenen Hörverstehensübungen sehr gut die eigentliche Unterrichtsarbeit mit dem Skriptum.

Zu kritisieren wäre sicher noch der Übungsteil, der übrigens in keinem Lehrbuch ausreichend auszufallen scheint. Wir haben versucht, so viele unterschiedliche Übungen wie möglich miteinzubeziehen, hauptsächlich aber Wortschatzübungen (kognitive, situativ-pragmatische Übungen, Aktivieren des Wortschatzes durch Assoziationen ...) und Grammatikübungen (Zuordnungs-übungen, Transformationsübungen, Komplementationsübungen, Formations-übungen, Ersetzungsübungen). Auf jeden Fall wird den Nullanfängern der Kauf der Grundstufengrammatik bzw. Übungsgrammatik von Monika Reimann (ital. Ausgabe) sehr ans Herz gelegt, denn darin lassen sich erstens weitere Grammatikerklärungen nachlesen und zweitens sehr gute, abwechslungsreiche Übungen auf angemessenem Niveau durchführen3.

Abschließend noch eine Bemerkung zur grafischen Gestaltung des Skriptums: Aus Kostengründen muss leider auf authentisches illustratorisches Farbmaterial verzichtet werden, die Darstellung der Rahmengeschichte und einzelne Bilder zu verschiedenen Themen wurden von Camilla Bombardini, die an der Universität Venedig Conservazione dei Beni Culturali studiert, künstlerisch gestaltet. Gegebenenfalls werden demnach Bilder, Broschüren, Bücher, Farbfolien usw. in den Unterricht mitgebracht und präsentiert.

3 M. Reimann, Grammatica di base della lingua tedesca con esercizi, Hueber Verlag

München, ISBN 3-19-051575-1

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Ein Skriptum ist kein Lehrbuch, in dem alle Aspekte des modernen Fremdsprachenunterrichts beinhaltet sind. Ziel dieser Arbeit ist es, den Hörern dieses Studienganges ein „schlankes“, übersichtliches und interessantes Handbuch der Deutschen Sprache zu bieten – und darüber hinaus interessante Einblicke in den deutschen Sprachraum und einen Überblick über dessen politisches Leben zu geben.

Unterrichtseinheit „Politik“

Die folgende Unterrichtseinheit umfasst – stets die insgesamt nur 40 Stunden für den zweiten Teil vor Augen – ein Unterrichtsausmaß von 6 Stunden zu je 45 min, wobei in meinem Fall jeweils drei Stunden in Folge (mit Pause nach 90 Minuten) unterrichtet werden.4

Zielgruppe: Studierende des CdL Scienze Internazionali e Diplomatiche – Lingua Tedesca II (Fortgeschrittene mit unterschiedlichen Vorkenntnissen, mind. aber 64 (Lektorats-) Stunden Deutsch; ca. 8-15 TN)

Lernziele 5 : Gemäß den Lernzieldimensionen der Berliner Didaktische Schule, die heute noch zur systematischen Darstellung der Lehrziele herangezogen werden kann, gelten für die Unterrichtseinheit folgende Grobziele:

Pragmatische Dimension: (Was sollen die TN können?) Die TN sollen überblicksmäßig über den politischen Aufbau der DACH –Länder Auskunft geben und in Anlehnung daran ihr eigenes Land einem Deutschsprachigen vorstellen können. Außerdem sollen sie in der Lage sein, die Hauptaussagen eines Zeitungsartikels zum Thema Politik zu verstehen, insbesondere eine subjektive Redewiedergabe als solche zu erkennen und direkte Äußerungen als indirekte neutral weiter zu geben.

Kognitive Dimension: (Was sollen die TN wissen?) Hier steht vor allem landeskundliches Wissen im Vordergrund: Die TN sollen in Grundzügen über die Verfassungsorgane und Parteien der DACH-Länder Bescheid wissen, um in einem Gespräch oder einem schriftlichen Text auch spezifische Fachausdrücke anzuwenden und zu verstehen.

Emotionale Dimension: (Welche Einstellungen und Haltungen sollen gefördert und angestrebt werden?) Diese eng mit dem kognitiven Lernen verknüpfte Komponente kommt angesichts der teilweise etwas „trockenen“ 4 Dies gilt für meine aktuelle Situation, wünschenswert wäre ein höheres

Stundenausmaß, was in einem anderen Kurs durchaus der Fall sein könnte. Das Skriptum ist u.E. so angelegt, dass es auch beispielsweise in einem anderen Studiengang von Scienze Politiche oder an anderen Fakultäten (Lingue und Lettere ausgenommen) durchaus einsetzbar ist.

5 Zu Lehr- und Lernziele siehe Doyé (1995) und Gerhard Neuner (2001).

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Materie dieser Unterrichtseinheit auf den ersten Blick eher weniger zum Tragen, doch speziell in den Plenargesprächen (z.B. über den Frauenanteil in der Politik, die Rolle des „braven Staatsbürgers“) soll den TN immer wieder bewusst gemacht werden, dass wir beim Wahrnehmen und Interpretieren von „Fremdem“ immer auf das Bezug nehmen, was wir aus Erfahrung und unserer eigenen Umgebung – unserer eigenen Kultur also – kennen. In diesem Sinn sollen die TN angehalten werden, sich bewusster mit der eigenen Kultur auseinander zu setzen und der fremden mit Aufgeschlossenheit und Kommunikationsbereitschaft zu begegnen.

Anmerkung zu den Übersichtstabellen:

Unterrichtsschritte: Die U-Schritte entsprechen im Wesentlichen einzelnen Unterrichtsphasen, wobei versucht wird, das Dreiphasenmodell (1. Hinführung zum Text, 2. Eigentliche Textpräsentation und -erarbeitung und 3. Anschlussphase) bei der Textarbeit zu berücksichtigen6.

Lernziele: Für jeden einzelnen Schritt werden möglichst genaue Lernziele/ Intentionen angegeben.

Sozialform: Es wird versucht, die jeweilige Aufgabe bzw. Phase in der dafür geeigneten Sozialform zu organisieren, wobei ein möglichst abwechslungs-reicher Rhythmus zwischen gemeinsamen, eigenständigen und partner-schaftlichen Tätigkeiten angestrebt wird. Erklärungs-, Kontroll- bzw. Erörterungsphasen werden – nach Erarbeitungs- oder Übungsphasen in Einzel- oder Partnerarbeit – im Plenarbereich abgewickelt.

Auf eine Spalte „Medien“ wird verzichtet, als Lehrmittel steht das Skriptum im Vordergrund, die Tafel oder OHP stehen immer zur Verfügung und ihr Einsatz ist in den Tabellen bei den L-Aktivitäten vermerkt. Hörverstehens-aufgaben oder Video sind in den dargestellten Unterrichtsstunden nicht vorgesehen, wären bei größerem Stundenausmaß jedoch sehr gut einsetzbar (Nachrichten zu Wahlen, Wahlkampfspots, kurze Ausschnitte aus Parlamentsdebatten).

6 Vgl. Storch 159 ff.

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Übersicht 1. Stunde: Aus der Schweizer Geschichte, Konjunktiv II

Unterrichts-schritte Lernziel Aktivitäten

der TN L-Aktivitäten Sozialform Wortschatz-

Redemittel- gramm. Strukturen

Einstieg/ Hinführungs-phase

Vorwissen aktivieren und Interesse wecken

sprechen ungezwungen

stellt Fragen, weist auf vorherg. Kapitel hin

lockeres Plenar-gespräch

Textpräsen-tation und -erarbeitung Dialog

Selegierendes Lesen, Entnahme von Hauptaussagen im ersten Teil

lesen still, suchen Begriffe zur Schweizer Geschichte

kontrolliert, semantisiert unbek. Lexik

EA, PA, Erörterung im Plenum

Eidgenossen-schaft, Rütlischwur, Urkantone, Waldstätte ...

Texterarbei-tung 2. Teil

Detailverstehen im 2. Teil Erkennen der irrealen Konditionalsätze

lesen laut mit verteilten Rollen, vergleichen Formen mit Tabelle

kontrolliert, hilft bei Schwierig-keiten

Einzelarbeit und Plenum

Begriffe aus der Europ. Geschichte

Konjunktiv II in präsentischer und perfektischer Form

Anschluss-phase

Gramm. Erklärung, Bewusst-machung der grammat. Formen

hören zu, unterstreichen K-Formen im Text

erklärt langsam (D) im Gespräch mit TN

Plenar-gespräch

Wie oben

Anwendungsphase

Erstes, lockeres Anwenden

antworten auf Lehrerfragen, formulieren die neuen Strukturen

stellt Fragen Plenar-gespräch

Was würdest du machen, wenn ...

Wie oben

Im Skriptum abgedruckt:

Dialog Edo, Gigio und Anna: Kurzzusammenfassung: Edo erklärt Gigio den Begriff Eid - Schwur, doziert über den Rütlischwur, den „Ewigen Bund“, den die drei Waldstätte Uri, Schwyz und Unterwalden 1291 schlossen und damit die Eidgenossenschaft begründeten. Anna ergänzt, als Edo nicht mehr weiter weiß, dass dieser Bund gegen die Hausmachtpolitik der Habsburger gerichtet war usw. Anna ist ganz in ihrem Element und stellt Vermutungen über den Lauf der Weltgeschichte an – nach dem Sinn „Was wäre gewesen, wenn…“ Ihre Freunde nehmen sie deshalb ein wenig aufs Korn.

Übersicht Konjunktiv II - Erklärungen auf Italienisch Schritt 1: Als Einstieg bzw. Hinführung auf den Dialog werden die

Studierenden mit der Schweiz und ihrer Geschichte konfrontiert. Eventuelle Meldungen können aus Schweizaufenthalten oder aus bereits im Studium

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behandelten Themen resultieren. Das Vorwissen wird aktiviert (im ersten Teil des Skriptums ist sehr oft von der Schweiz die Rede, im 2. Teil / Kapitel Feste feiern ist bereits einmal vom Rütlischwur die Rede – Nationalfeiertag der CH am 1. August; die vorhergehende Lektion befasst sich u.a. mit Bern)

Schritt 2: Lesen des Dialogs: Edo, Gigio und Anna diskutieren über den Lauf der Geschichte, Anna bereitet sich auf die Prüfung „Europäische Geschichte“ vor.

Den TN sind die Personen bekannt (Edo arbeitet als Informatiker, Gigio studiert Maschinenbauwirtschaft und Anna Politikwissenschaft, Edo und Gigio waren letzten Sommer in den deutschsprachigen Ländern unterwegs, also auch in der Schweiz.)

Es handelt sich bei dem Dialog um einen typisch „konstruierten“ Lerntext in umgangssprachlichem Plauderton, in den einige Konjunktiv II Formen (irreale Konditionalsätze, indirekte Vergleiche) verpackt wurden. Gleichzeitig enthält der Text landeskundliche Informationen zur Schweizer Geschichte.

Diese Art von Lerntexten7 findet man vor allem im Anfängerunterricht, sie spielen im ersten Teil des Skriptums eine wesentliche Rolle, wo sie auch bis ins Detail erarbeitet und eingeübt werden. Im diesem Fall dient der Dialog als Fortführung der Rahmenhandlung und vor allem als Einstieg in ein neues Thema, der Text wird nicht in allen Einzelheiten besprochen, nur in den Abschnitten, wo dies für nötig erachtet wird.

Die TN bekommen nun die Aufgabe, den Text zunächst alleine in Stillarbeit zu lesen und die wichtigsten Begriffe, die sich auf die Schweizer Geschichte beziehen, herauszufinden. In Partnerarbeit diskutieren sie dann eventuell über Unklarheiten, die im Notfall vom L beseitigt werden.

Im Plenum werden die Hauptbegriffe nochmals wiederholt, damit der L sicher gehen kann, dass wirklich alle TN sie verstanden haben.

Schritt 3: Den TN fallen die Konjunktiv II-Formen ins Auge, der letzte Teil des Dialogs wird von TN in verteilten Rollen laut vorgelesen. Direkt unter dem Text ist eine Tabelle mit den wichtigsten K-II-Formen platziert. Auch TN, die noch nie mit dem K-II im Deutschen konfrontiert worden sind, erkennen sofort dank des „Wenn…“ bzw. aus dem Kontext, dass es sich um irreale Konditionalsätze handelt.

Anhand der Tabelle, die auf dieser Seite nur die Konjunktiv-II-Formen der Verben sein, haben, werden, wollen, müssen, wissen, lassen wiedergibt, soll möglichst von den TN selbst erklärt bzw. erkannt werden, woher sich die K-Formen ableiten lassen. Im Anschluss daran sollen sie die Konjunktivformen im Text noch einmal suchen und unterstreichen.

7 Die Textphase: Zur Arbeit mit Lerntexten in Storch, 156 ff.

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Schritt 4: Die nächste Seite bietet schließlich eine kurze Übersicht auf Italienisch über die Formenbildung, die Umschreibung mit „würde“, die perfektische Form, einen kontrastiven Vergleich mit dem Italienischen und natürlich den Gebrauch des K-II.

Damit dies jedoch nicht zu einer Leseübung für den L ausartet, erklärt der L den Inhalt der Seite langsam auf Deutsch und stellt zur Auflockerung einige „höfliche Fragen“ an die TN.

Schritt 5: Der L befragt die TN zu einem eventuellen Lottogewinn usw. (Reihumfragen). Die TN antworten und verwenden die neu gelernten Strukturen in einfachen Sätzen, die sich immer wiederholen.

Übersicht 2. Stunde, Thema: Statist. Angaben / Politische Organisation der DACH-Länder (Fischer Weltalmanach), Verfassungsorgane der Bundesrepublik Deutschland, Übungen zum Konjunktiv II

Unterrichts-schritte Lernziel Aktivitäten

der TN L-Aktivitäten Sozialform Wortschatz-Redemittel-

gramm. Strukturen

Einstieg Fragen zum Thema, Erwartung

Vorwissen aktivieren, Einstimmung auf Thema

sprechen frei, stellen Vermutungen an

stellt Fragen zum Thema, führt tw. neue Lexik ein

lockeres Plenar-gespräch

BSP,Landes-struktur, Währung, Amtssprache. usw.

Präsentationsphase: Text Stat. Angaben DACH

Wortschatzerarbeitung, LK -Information polit.Organisation

erarbeiten still einen der drei Texte

überwacht das Geschehen und greift gegf. hilfreich ein

EA Polit. System, Landes-struktur, Verfassungs-organe

Anwendungsphase 1

Ausformulieren eines kurzen Textes zur Information

berichten ihren Lernpartnern

hört den einzelnen Gesprächen zu, hilft

GA (Dreiergr.)

Wie oben Verwendung /Wieder-holung des Passiv

Anwendungsphase 2

Anwendung des gelernten Wortschatzes auf Italien

präsentieren ähnlichen Text für Italien

hilft korrigierend

Erörterung im Plenum

Wie oben Wie oben

Präsentation eines Parallel-textes

Festigung der Begriffe

führen Zuordnungs-übung durch

gibt Arbeits-anweisung, semantisiert unbek. Lexik

EA, Kontrolle in Partnerarbeit

Wie oben

Übungs-phase Grammatik

Wiederholen und Einprägen K II

üben mündl / schriftlich

geht herum, korrigiert gegf.

EA, Korr. im Plenum

Konj II

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Im Skriptum abgedruckt: Text 1 – Statistik: Jedes Land ist in einer kurzen tabellarischen Übersicht

dargestellt: Fläche, EW, Hauptstadt, Amtssprache(n), Bruttonationaleinkommen je EW, Währung, Politische Führung, Nationalfeiertag, Landesstruktur, Politisches System.

Jeder Tabelle geht ein kurzer Text voraus, der jedoch in unserem Fall nicht berücksichtigt wird, bzw. von den weiter Fortgeschrittenen selbstständig gelesen werden kann. Es handelt sich dabei im Falle Österreich um ein witziges Zitat aus dem Buch: Gerd Holzheimer, Wenn alle Strick’ reißen, häng ich mich auf, Ein Österreich-Lexikon, Reclam Leipzig 1997, – bei Deutschland um einen selbst erstellten Text über die verschiedenen Volksstämme, Franken, Schwaben, Sachsen usw. und über die ihnen zugeschriebenen charakterlichen Eigenschaften – und im Falle der Schweiz um einen etwas weniger prosaischen Text, nämlich eine Anmerkung zu den Kantonen aus der Internetseite der Schweizer Regierung.

Text 2: Zuordnungsübung (Raster): Die wichtigsten politischen Organe (Verfassungsorgane) der Bundesrepublik mit darunter stehenden Erklärungen/Definitionen. Übungen zum Konjunktiv II

Schritt 1: TN werden mündlich über das Thema informiert, sollen im lockeren TN-L-Gespräch erläutern, welche Informationen in einer Länderstatistik enthalten sein können, über welche Informationen sie dabei bezüglich der DACH-Länder schon verfügen und wie weit sie dabei mit ihrem eigenen Land vertraut sind. Mögliche Fragen: Wie hoch schätzen Sie das Bruttonationaleinkommen in D, Ö oder der CH im Vergleich zu Italien? Welche Amtssprachen werden in Ö gesprochen?… Wie nennt man in D das Staatsoberhaupt? Italien ist in Regionen eingeteilt, aus wie vielen Bundesländern besteht Deutschland?

Schritt 2: Textpräsentation Statistik: Ziel dieser Übung ist es, anhand einer Statistik, wie man sie aus der Muttersprache kennt, speziellen Wortschatz zu erarbeiten und auf Basis statistischer Angaben einen kurzen, informativen Text zu formulieren. Außerdem werden der Statistik landeskundliche Informationen entnommen und Vergleiche mit Italien angestellt.

Jeder TN liest (still) immer nur die Angaben für ein Land, TN 1 Österreich, TN 2 Deutschland, TN 3 Schweiz, TN 4 Österreich usw. Bei Unklarheiten wird der L Hilfe anbieten. Gewisse Begriffe sollten doch aus dem Kontext erschlossen werden können (z.B. 83 858 km² - Fläche = superficie) wobei das von den TN mitgebrachte Weltwissen eine große Rolle spielt. Ein neuer Begriff,

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der vielleicht erklärt werden muss, ist im Falle Deutschlands die Bundesversammlung.

Schritt 3: Die Aufgabe der TN besteht nun darin, in Dreiergruppen 2 von ihren Lernpartnern, die jeweils ein anderes Land unter die Lupe genommen haben, in einem kurzen, informativen, mündlich verfassten Text „ihr“ Land näher zu bringen, sodass ein Gedankenaustausch über alle drei Länder stattfinden kann. Dabei soll den TN die unterschiedlichen Bezeichnungen für parallele Institutionen bewusst werden (z.B. Ö Nationalrat / D Bundestag). Die TN, die erst insgesamt 64 Lektoratsstunden Deutsch absolviert haben, werden dazu angehalten, so oft wie möglich auch das bereits gelernte Passiv zu verwenden (Beispiel: Der Bundespräsident in … wird alle 6 Jahre gewählt ...) Auf diese Weise haben alle TN die Möglichkeit, zu sprechen – sie sind dazu gezwungen, da sie aber nicht vor der ganzen Gruppe alleine sprechen müssen, fühlen sie sich sicherer. Der L hört bei allen Gruppen „rein“ und übernimmt die Beraterfunktion. Fehlerkorrekturen werden nur in den äußersten Fällen vorgenommen, wichtig ist die intensive Auseinandersetzung mit den Texten und das textunterstützte freie Sprechen.

Schritt 4: Die TN sollen nun gemeinsam (im Plenum, abwechselnd) versuchen, auch für die Republik Italien eine solche Übersicht zu erstellen, bzw. die Informationen ebenso auszuformulieren wie in den Dreiergesprächen. Gewisse Daten wie Bruttonationaleinkommen könnten eventuell nicht vorhanden sein, hier muss sich der L vorher informieren, eine Folie mit den relevanten Daten Italiens vorbereiten oder die TN dazu anhalten, die Daten zuhause nach entsprechenden Recherchen zu ergänzen.

Schritt 5: Im Anschluss an diese Übung werden nochmals die wichtigsten politischen Organe der Bundesrepublik Deutschland einer eingehenderen Betrachtung unterzogen: Dazu gibt es eine Übung, in der die TN die vier Begriffe: Bundespräsident, Bundesregierung, Bundestag und Bundesrat den jeweiligen Definitionen zuordnen müssen. Unter dem Raster stehen zur Hilfe drei der vier Begriffe nochmals mit ausformulierten Beschreibungen. Diese Zuordnung kann nun von den TN rasch durchgeführt werden, sie dient zur nochmaligen Festigung der Begriffe. Neu dabei ist der Begriff des Bundestagspräsidenten. Von der Lexik her stellen eventuell die Ausdrücke „für die Wahl einberufene Bundesversammlung“, ranghöchster Vertreter, Plenarsitzung Schwierigkeiten dar, sie werden vom L in der Fremdsprache verbal semantisiert.

Schritt 6: Der Rest der Stunde wird bis zur Pause wieder dem Konjunktiv II gewidmet. Das Skriptum enthält auch einige Übungen in Analogie zur Grammatikübersicht. Dabei kommen die TN entweder abwechselnd an die Reihe, oder die Übungen werden in Einzelarbeit durchgeführt und im Anschluss im Plenum korrigiert. So hat jeder TN die Möglichkeit, das Neugelernte selbst

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anzuwenden und hat während der Arbeit auch genügend Zeit, sich die Grammatikübersicht nochmals in Ruhe anzusehen. Eine weitere Möglichkeit besteht in der mündlichen Durchführung der Übungen. Die TN werden dazu angehalten, die Übungen zuhause schriftlich zu wiederholen.

Im Skriptum abgedruckt ist zusätzlich eine Kurzinformation zum deutschen Wahlsystem. Dieser Text wird in dieser Präsentation nicht berücksichtigt, er soll den Fortgeschrittenen und Interessierten zur Information dienen, von den „Anfängern“ wird die Lektüre des relativ komplexen Textes nicht verlangt. Auf Verlangen soll den Lernern diese landeskundliche Information natürlich nicht vorenthalten werden, gegebenenfalls kann eine Kurzerklärung auf Italienisch erfolgen.

Übersicht 3. Stunde, Thema: Wie entsteht ein Gesetz? Parteien in DACH

Unterrichtsschritte Lernziel Aktivitäten der

TN L- Aktivitäten SozialformWortschatz-

Redemittel- gramm. Strukturen

Einstieg: Wie entsteht in Italien ein Gesetz?

Vorwissen aktivieren, Vorentlastung des Themas

beantworten Fragen, berichten von Erfahrungen/ bereits Gelerntem

stellt Fragen, lenkt Gespräch

lockeres Plenarge-spräch

Diskussion auch auf Ital. zulässig

Passiv

Präsentation: Grafik Wie entsteht ein Gesetz

Interpretation, Versprachlichung der Grafik

sprechen zur Grafik

geht herum, hört zu

Partner-arbeit

Wiederholung: polit. Organe, Verfassungs-organe

Passiv

Präsentation: Text zur Grafik

Überprüfen des Gesagten, Erarbeitung von Wortschatz zu „Gesetz“

lesen gemeinsam mit L, stellen Fragen

liest vor, semantisiert unbek. Lexik, weist auf Passiv-strukturen hin

Plenum Wortschatz rund um das Gesetz einbringen, verabschieden, bewilligen, zurückweisen …

Passiv

Neues Thema, die polit. Parteien DACH

LK- Information raten Bedeutung von Abkürzungen SPD, ÖVP, PDS usw.

legt Folie auf, stellt Fragen

Plenar-gespräch

Internationalis-men

Übersicht der polit. Parteien in DACH

LK Information Wortschatz: Adjektive zur Beschreibung von Parteien

lesen, versuchen, die wichtigsten ital. Parteien zu charakterisieren

hilft bei Unklar-heiten, kontrolliert

EA, danach im Plenum

Wortschatz Parteien-charakteristika

Haus-aufgabe: Wortschatz-tabelle

Festigung des neuen Wortschatzes, Übersetzung ins Ital.

tragen ital. Übersetzung in Tabelle ein

EA Wortschatz rund um das Gesetz

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Eine Unterrichtseinheit zum Thema „Politik“ …

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Im Skriptum abgedruckt: Text1: Grafik – schematische Darstellung, wie in Deutschland ein Gesetz

zustande kommt, unter der Grafik folgender Text zur Erläuterung: Gesetzesentwürfe können von den Bundestagsabgeordneten, aber auch vom Bundesrat oder – am häufigsten – von der Bundesregierung eingebracht werden. Diese werden im Bundestag diskutiert (1. und 2. Lesung). Die eigentliche Arbeit bei der Ausarbeitung der Gesetzes-entwürfe leisten die ständigen Ausschüsse des Bundestages, die sich aus Mitgliedern der verschiedenen Parteien zusammensetzen. Bei den Abstimmungen im Bundestag sind die Abgeordneten nur ihrem Gewissen verantwortlich. Gesetze, die Länderinteressen berühren, bedürfen der Zustimmung durch den Bundesrat, der überhaupt ein wichtiges Mitspracherecht bei der Verabschiedung von Gesetzen hat. Bewilligt der Bundesrat ein Gesetz, das im Bundestag verabschiedet wurde, nicht, so kann er es an einen Vermittlungsausschuss (bestehend aus Bundestags- und Bundesrats-abgeordneten) zur weiteren Beratung zurückweisen oder ganz ablehnen. Stimmt der Bundesrat zu, fertigt der Bundespräsident nach Gegen-zeichnung durch die Regierung das Gesetz aus und danach wird es im Bundesgesetzblatt verkündet.

Text 2: Parteien in Deutschland (mit Erläuterungen der Begriffe Fraktion und Fünfprozent-Hürde), Österreich (mit einem Absatz aus dem ersten Artikel des Parteiengesetzes…) und in der Schweiz

Schritt1: Die TN müssten schon davon berichten können, wie in Italien ein

Gesetz zustande kommt (Öffentliches Recht) – wenn auch nicht auf Deutsch, dann auf Italienisch. Als Einstieg wäre Tagespolitisches (es werden ständig Gesetzesänderungen vorgenommen ...) ideal. Hier werden schon gewisse Schritte beim Entstehen von Gesetzen besprochen – proposta, discussione, l’approvazione, promulgazione, l’entrata in vigore… und die entsprechenden Übersetzungen festgehalten.

Schritt 2: Die TN versuchen nun in Partnerarbeit, in einfachen Worten das vorliegende Schema zu beschreiben, sie kennen nun die wichtigsten Begriffe, es fehlen ihnen noch die entsprechenden Verben. Der L kontrolliert und hilft, indem er von TN zu TN geht und mithört.

Schritt 3: L liest (TN lesen mit) die unter der Grafik stehenden Erläuterungen. Dabei treten nun die passenden Verben auf, Gesetzesentwürfe einbringen, ein Gesetz verabschieden, ein Gesetz ablehnen, usw. die nun mit Hilfe der Grafik aus dem Kontext verstanden werden müssen.

Als Hausaufgabe sollen die TN die abschließende Tabelle ausfüllen, indem sie zu den deutschen Ausdrücken jeweils die ital. Übersetzung hinzufügen.

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Sieglinde Kofler

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Schritt 4: Um zu klären, wer tatsächlich zur Zeit Gesetze beschließt, werden die im jeweiligen Bundestag / Nationalrat vertretenen Parteien unter die Lupe genommen. Als Einstieg bewährt sich eine Folie mit den Parteilogos der wichtigsten Parteien; die TN erraten die Bedeutung der einzelnen Abkürzungen.

TN suchen sich die Parteien bzw. das Land aus, das sie am meisten interessiert, lesen still im Skriptum und fragen eventuell bei Unklarheiten. Es müssen nicht alle alles lesen! Die Übersicht dient als landeskundliche Information.

Im Skriptum sind die im Parlament vertretenen Parteien der DACH-Länder kurz dargestellt, im Falle der Schweiz werden die einzelnen Parteien zusätzlich mit Adjektiven charakterisiert (z.B. mitte-rechts, liberal, links, ökologisch, konservativ, katholisch, wertekonservativ, ausländerfeindlich, isolationistisch, rechtspopulistisch usw.).

Schritt 5: Mündlich sollen die TN nun versuchen, einen Vergleich mit der italienischen Parteienlandschaft anzustellen, und wie bei der Schweiz, die wichtigsten italienischen Parteien mit den entsprechenden Adjektiven zu charakterisieren.

Übersicht 4. Stunde, Themen: Bundespräsidentenwahlen in D, Ö, I; Aufgaben eines Bundespräsidenten

Unterrichts-schritte Lernziel Aktivitäten

der TN L- Aktivitäten Sozialform Wortschatz-

Redemittel- gramm. Strukturen

Einstieg: Dialog Edo und Wolfgang

Vertraut-machen mit den Personen

sprechen über die handelnden Personen, die sie aus 1. Teilkennen

erklärt Ablauf der Stunde – 1. Dialog

lockeres Plenar-gespräch

Personen-beschreibung

Erzählen in Perfekt und Präteritum

Präsentation Text 1

Herausfinden der Haupt-aussagen

lesen still und beantworten Fragen zum Text

geht herum, korrigiert ev.kontrolliert, semantisiert

EA danach Erörterung im Plenum

Wahlen, Stichwahl, Wahlkampf.

Diskussion nach dem Lesen

über im Text angespr. Themen sprechen

diskutieren, wenn möglich untereinander

weist auf Themen im Text hin, steuert gegf. Diskussion

Plenum wie oben

Text 2: Weniger Rechte für Präsidenten

Herausfinden der Aufgaben eines Präsidenten

lesen still, suchen Begriffe, tragen sie in ein Raster mit Bewertung ein

stellt Text in einfachen Worten vor, gibt Arbeits-anweisungen, kontrolliert und ergänzt ev.

Partner oder Gruppen-arbeit, danach Erörterung im Plenum

Vokabel in Ü. Verfassung, Angelobung, Abberufung, Sitzungen einberufen, Begnadigung.

Konjunktiv I, wird jedoch noch nicht berück-sichtigt

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Im Skriptum abgedruckt: Text 1: Telefongespräch zwischen Edo und Wolfgang aus Wien. Wolfgang muss seinen Italienbesuch verschieben, da in Ö

Bundespräsidentenwahlen stattfinden und er als braver Staatsbürger an dieser Pflichtwahl teilnimmt… Er berichtet über die Möglichkeit, dass auch eine Frau gewählt werden könnte, erzählt von einem heftigen Wahlkampf und will beim Treffen in Italien mit Edo über die Notwendigkeit dieses Amtes diskutieren.

Text 2: Weniger Rechte für den Präsidenten (aus Profil, 3. Nov. 2003) Relativ komplexer Text über die Debatte bezüglich der verfassungs-

rechtlichen Macht des BP. Es kommen zwei ehem. Politiker, ein Verfassungs-rechtler und ein Staatsrechtler zu Wort, die teils in direkter, teils in indirekter Rede ihre Meinung über das gerechtfertigte oder zu ändernde Ausmaß der Rechte eines BP zum Ausdruck bringen. Der Text wird nie vollständig gelesen, aber in mehreren Schritten erarbeitet.

Viele Schlüsselwörter und Fachausdrücke sind in ital. Übersetzung angegeben.

Schritt 1: Die TN erfahren, dass sie in Kürze ein Telefongespräch zwischen

Edo und Wolfgang lesen werden und erzählen, was sie bereits über diese beiden wissen, sie machen sich wieder mit den handelnden Personen vertraut. Wolfgang studiert Physik in Wien, letztes Jahr waren Edo und Gigio bei ihm, waren auch beim Heurigen (1. Teil – Reisen in die deutschsprachigen Länder).

Schritt 2: TN lesen still das Telefongespräch und beantworten die darunter stehenden 4 Fragen zum Text, die Antworten werden im Plenum diskutiert. Neue Lexik bzgl. Wahlen wird gemeinsam semantisiert.

Schritt 3: Der L weist auf gewisse Ausdrücke im Dialog hin und versucht, eine Diskussion darüber in Gang zu bringen: „braver Staatsbürger“ – „Frau Bundespräsidentin“ (TN sollen sensibilisiert werden für die im Deutschen selbstverständliche weibliche Form von Titeln, Anreden, Berufen usw., die es im Ital. nicht gibt – die Anzahl der weibl. Abgeordneten in Ö, D und je weiter man in den Norden kommt, ist weitaus höher als in Italien).

Weiterer Diskussionspunkt: die Direktwahl des BP in Ö - in D wird er von der Bundesversammlung gewählt. TN sollen über die Wahl, die Aufgaben und Rechte des Presidente della Repubblica Auskunft geben können. Auch hier ist, abhängig vom Niveau der TN, eine Teildiskussion auf Italienisch zulässig. Sicher kommen einige Aspekte zur Sprache, die auch im darauf folgenden Text beinhaltet sind, was zu dessen Vorentlastung dient.

Schritt 4: Der L stellt zunächst den Text in einfachen Worten vor, er erklärt, dass einige Persönlichkeiten des öffentlichen Lebens über die Rechte des österr. BP diskutieren. Die erste Aufgabe besteht darin, den Text in Stillarbeit zu lesen, zu zweit die Aufgaben eines BP in Ö herauszufinden und in ein Raster

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einzutragen. Mit der Eintragung in das Raster ist auch eine Bewertung der Aufgaben (nach sehr wichtig, wichtig und weniger wichtig) verbunden, die die TN selbst vornehmen müssen.

Viele Begriffe sind schon angegeben, die noch unbekannte Grammatikstruktur des Konjunktiv I wird nicht berücksichtigt. Am Ende vergleichen die TN gemeinsam ihre Ergebnisse, der L kontrolliert und ergänzt eventuell.

Übersicht 5. Stunde, Themen: Erarbeiten des Konj. I – Indirekte Rede anhand des Textes: „Weniger Rechte für den Bundespräsidenten“

Unterrichts-schritte Lernziel Aktivitäten

der TN L- Aktivitäten Sozialform Wortschatz-

Redemittel- gramm. Strukturen

Text: Weniger Rechte für Präsidenten: Anwendung

Bewusst-machen der Unterschiede ind. und dir. Rede

suchen und unterstreichen im Text die im Raster angeg. ind. und dir. Reden

wiederholt kurz Inhalt des Textes, gibt Arbeits-anweisung

EA Wie in Übersicht 4

Konj.1

Tabelle Vom Konj. 1 auf Ind. schließen

unterstreichen in re. Spalte Verben im Konj. 1

geht herum und kontrolliert

EA, Kontrolle im Plenum

Wie oben

Grammatik-erklärung

Bewusst-machen der Strukturen

hören zu, lesen mit

erklärt langsam Gramm. übersicht auf Deutsch

Plenar-gespräch

Wie oben

Anwendung/ Übung 1

Erstes Anwenden der neu gelernten Struktur

ergänzen Tabelle

geht herum und kontrolliert, hilft

EA, Kontrolle in Partnerarbeit, dann Plenum

Wie oben

Anwendung/Übung 2

Einüben der neu gelernten Strukturen

setzen Phrasen in ind. Rede

semantisiert unbek. Lexik, korrigiert

EA, Kontrolle im Plenum

Typ. Politikerrede

Wie oben

Im Skriptum abgedruckt8: Text: Weniger Rechte für den Präsidenten Tabelle: Direkte und indirekte Reden aus dem Text Weniger Rechte. Grammatikübersicht auf Italienisch Übungssätze zur indirekten Rede

8 Zu dieser Unterrichtsstunde sind im Anhang sämtliche Texte, Aufgaben und

Übungen abgedruckt.

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Schritt 1: Neuerliches Befassen mit dem schwierigen Text: Weniger Rechte für Präsidenten, den der L kurz noch einmal vorstellt. Die TN suchen und unterstreichen im Text die in der Tabelle angegebenen indirekten und direkten Reden. Diese Sätze müssen von allen TN bis ins Detail verstanden werden, der L semantisiert unbekannte Lexik.

Schritt 2: TN konzentrieren sich nun auf die rechte Spalte der Tabelle, unterstreichen die Konj. 1 Formen und schließen auf die entsprechenden Formen im Indikativ, um sich die beiden Strukturen bewusst zu machen.

Schritt 3: Auf der nächsten Seite ist eine Zusammenfassung der indirekten Rede auf Italienisch abgedruckt, die der L auf Deutsch wiederholt, die TN hören zu oder lesen mit. Die Beispiele werden von den TN laut vorgelesen.

Schritt 4: Erstes Anwenden der neu gelernten gramm. Struktur: Die TN ergänzen nun die obige Tabelle, indem sie die direkten Reden in indirekte umformen und umgekehrt. Dies geschieht in Einzelarbeit, die Kontrolle findet zunächst in Partnerarbeit, anschließend im Plenum statt, wobei es von Vorteil ist, wenn der L die Lösung auf einer Folie vorbereitet hat.

Schritt 5: Nochmaliges Anwenden/ Üben der indirekten Rede. Die TN setzen einige typische Aussagen von Politikern – z.B. nach der Wahl, in die indirekte Rede. Je nach Zeit, die noch zur Verfügung steht, wird diese Übung mündlich oder schriftlich in Einzelarbeit durchgeführt. Die Kontrolle findet anschließend im Plenum statt – es besteht auch die Möglichkeit, diese Übung als Hausaufgabe zu geben.

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Übersicht 6. Stunde, Themen: Aufgaben bzw. Voraussetzungen für den (Traum?)-Beruf Diplomat/in, Übungen zur Indirekten Rede, Wörter der Redewiedergabe

Unterrichts-schritte Lernziel Aktivitäten der

TN L - Aktivitäten Sozialform Wortschatz-

Redemittel- gramm. Strukturen

Assozio-gramm Diplomat/in und Diskussion

Erstes Auseinander-setzen mit Thema, Vorentlastung des folg. Textes

sprechen frei über Aufgaben, Klischees, Erfahrungen, Voraussetzungen

zeichnet Assoz. an die Tafel, stellt Fragen

lockeres Plenar-gespräch

Entstehen aus Diskussion, Klischees, Aufgaben, Eigens-chaften

Wiederholen von Modalverben

Text: Traumberuf Diplomat? Interview

Haupt-aussagen herausfinden – nach Raster

lesen still, ergänzen Raster

hilft, berät, kontrolliert

Einzelarbeit, Kontrolle im Plenum

Anwendung/ Übung 1

Text in indir. Rede setzen

versuchen abwechselnd, die Ind. formen in Konj. I und II umzuformen

hört zu, kontrolliert

Einzelarbeit, Kontrolle in Partnerarbeit

Konj. I und II- indirekte Rede

Erweiterung Erarbeiten von Verben der Rede-wiedergabe

lesen Sätze vor mit versch. Verben der Rwg., suchen diese auch im Text: Weniger Rechte… wiederholen die Verben der Rwg. im Skriptum

kontrolliert, sammelt an der Tafel Verben, weist auf Text Weniger Rechte ... hin, weist auf Liste im Skriptum hin

Plenum Verben der Redewieder-gabe

Übung 2 Festigen der Verben der Rwg.

ergänzen abwechselnd die Verben in abschließender Übung

kontrolliert, erklärt unbek. Lexik

Im Plenum oder als Hausaufgabe

Im Skriptum abgedruckt: Assoziogramm: Diplomat/in Text: Ausschnitte aus einem Gespräch mit dem Schweizer Staatssekretär

Franz von Däniken zu den Aufgaben und Anforderungen an Diplomaten Auflistung von Verben der Redewiedergabe mit ital. Übersetzung Übungssätze zu den Verben der Redewiedergabe Schritt 1: TN und L erstellen ein Assoziogramm zum Thema Diplomat/in.

Da es sich um den CdL Scienze Internazionali e Diplomatiche handelt, dürften die Beiträge in diesem L- TN-Gespräch zahlreich sein. Der L kann gegebenenfalls die Diskussion steuern und die Aspekte Klischees, Aufgaben,

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Voraussetzungen usw. einbringen. Dabei werden vor allem die Modalverben wiederholt (Ein Diplomat soll… sein, muss …, kann …)

Schritt 2: Die TN lesen in Stillarbeit die Ausschnitte aus dem Interview – einige Ausdrücke sind in ital. Übersetzung angegeben – und tragen die Hauptaussagen (Wie soll ein/e Diplomat/in sein? und Was sind die Aufgaben eines/r Diplomaten/in?) in das Raster ein. Die Kontrolle wird im Plenum durchgeführt. Interessante Ergänzungen der TN können ebenfalls in das Raster aufgenommen werden.

Schritt 3: Nun werden die TN aufgefordert, den Text in die indirekte Rede zu setzen, d.h. über die Konjunktivformen die entsprechenden Indikativformen zu schreiben. Das geschieht in EA, die erste Kontrolle erfolgt in Partnerarbeit. Eine weitere Sprachübung zum Text wäre, wie immer in Abhängigkeit von der Zeit, das Nachspielen eines solchen Interviews.

Schritt 4: Nun findet nochmals eine Kontrolle zur vorhergehenden Übung statt, diesmal im Plenum: Jeder TN liest einen Satz vor und versucht dabei, jeweils ein anderes Verb der Redewiedergabe zu verwenden. Diese Verben werden an der Tafel gesammelt, einige davon finden die TN im Text Weniger Rechte für den Präsidenten (vorschlagen, beurteilen, betonen, meinen, feststellen, einräumen, halten für). Im Skriptum ist zusätzlich eine Liste solcher Verben mit ital. Übersetzung abgedruckt.

Schritt 5: Anschließend sollen die TN entweder noch in der Stunde oder zuhause, mit Hilfe des Wörterbuchs, die entsprechenden Verben in die relativ schwierigen Übungssätze einsetzen.

Ich hoffe, dass durch die Präsentation dieser Unterrichtseinheit und des

Skriptums im Allgemeinen ein weiterer Beitrag oder zumindest Anregungen zur Gestaltung eines zielgruppengerechten Deutschunterrichts an italienischen Universitäten geleistet werden konnte. Das Skriptum wurde zwar für den Studiengang Scienze Internazionali e Diplomatiche konzipiert, kann jedoch aufgrund der weitreichenden Themenbehandlung als Basis für das Deutsch-Lektorat mehrerer Studiengänge herangezogen werden und ist ab Oktober 2006 im Buchhandel erhältlich: SID – Super Intensivkurs Deutsch von Patrizia Mazzadi und Sieglinde Kofler, Edizioni Parnaso, Trieste.

Anhang

Textvorlage der 5. Unterrichtsstunde

Lesen Sie den folgenden Text und versuchen Sie zu zweit, die wichtigsten Aufgaben des Bundespräsidenten herauszufinden (Die kursiv gedruckten Wörter sind in ital. Übersetzung angegeben)

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Weniger Rechte für den Präsidenten?

Nach den jüngsten Auseinandersetzungen zwischen Hofburg und Ballhausplatz ist die Debatte um die verfassungsrechtliche Macht des Bundespräsidenten neu entflammt.

Man könnte doch darüber debattieren, schlug Nationalratspräsident Andreas Khol (ÖVP) vor, ... ob das Recht des Präsidenten nach Angelobung und Abberufung der Regierung nicht dem Parlament übertragen werden sollte. Verfassungsrechtler beurteilen den Kohl-Vorschlag mehrheitlich skeptisch. Der frühere Zweite Nationalratspräsident Heinrich Neisser (ÖVP) betont, dass die 1929 verfassungsrechtlich festgeschriebene Machtverteilung Regierung – Parlament – Bundespräsident Sinn mache, ungeachtet dessen, dass sie einer antiparlamentarischen Grundhaltung entsprang: „Ich wehre mich dagegen, aufgrund persönlicher Konflikte eine Institutionenreform zu debattieren.“ Die sei zu oberflächlich. Wenn man die Rechte des Präsidenten beschneide, schlage man den englischen Weg ein: „Das heißt: Parlamentsmehrheit gegen Opposition, daneben die englische Königin, die eine liebenswerte Statue ist.“ Ähnlich sieht dies Peter Kostelka, einst Klubchef der SPÖ im Parlament, heute Volksanwalt. Die Machtverteilung entspreche einer demokratischen Struktur. … Zwar hält es Kostelka für „überholt“, dass der Präsident kraft Verfassung Sitzungen des Parlaments einberufen könne, aber wenn man über eine Beschneidung seiner Rechte rede, müsse man auch über Alternativen nachdenken. Grundsätzlich meint Kostelka aber, der Präsident habe lediglich die Verfassungskonformität, nicht den Inhalt von Gesetzen zu beurteilen. Verfassungsrechtler Heinz Mayer stellt trocken fest, dass man einem Bundespräsidenten, auch wenn er weniger Rechte hat, das Reden nicht verbieten könne. Manche Rechte, so räumt er allerdings ein, seien entbehrlich: etwa, den Nationalrat einzuberufen, Begnadigungen vorzunehmen oder uneheliche Kinder als eheliche zu legitimieren. Die Möglichkeit, die Regierung zu entlassen oder nicht anzugeloben, hält Mayer für „kein autoritäres Element, denn die Entlassung einer Regierung kann immer nur zu Neuwahlen führen“. Einen Kontrollmechanismus in der Verfassung müsse es geben … Der Staatsrechtler Wolfgang Mantl (Universität Graz) … Von der Abschaffung des Amtes generell hält Mantl aber nichts. „Die Repräsentationsfunktion sollte erhalten bleiben: Dazu gehört auch das Recht des Präsidenten, zur richtigen Zeit die richtigen Worte zu finden.“ (Aus Profil, 3. Nov. 2003)

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-e Hofburg – residenza e uffici del Presidente -r Ballhausplatz – uffici del Cancelliere -e Verfassung – costituzione -s Verfassungsrecht – diritto costituzionale -e Machtverteilung – distribuzione del potere -e Angelobung – giuramento -e Abberufung – sospensione ungeachtet dessen – ciononostante -e Grundhaltung – atteggiam. fondamentale oberflächlich – superficiale Rechte beschneiden – diminuire i diritti

entsprechen – corrispondere etw. für „überholt“ halten – ritenere qc superato -e Sitzung einberufen – convocare una seduta grundsätzlich – di massima, di principio einräumen – ammettere, convenire entbehrlich – non necessario, non indispensabile -e Begnadigung – grazia, amnistia -e Regierung entlassen – deporre, destituire il governo

Tragen Sie die Aufgaben des Bundespräsidenten in das Raster ein und bewerten Sie selbst

Sehr wichtig wichtig weniger wichtig

Lesen Sie den Text nun noch einmal und suchen Sie die in der Tabelle angegebenen direkten und indirekten Reden, die Sie dann im Text unterstreichen

Direkte Rede Indirekte Rede „Ich wehre mich dagegen, eine Institutionenreform zu debattieren.“

Er wehre sich dagegen, eine Institutionenreform zu debattieren.

„Die ist zu oberflächlich.“ Die sei zu oberflächlich. Wenn man die Rechte des Präsidenten beschneide,

schlage man den englischen Weg ein. Wenn man über eine Beschneidung seiner Rechte rede,

müsse man auch über Alternativen nachdenken. Manche Rechte seien entbehrlich. „… denn die Entlassung einer Regierung kann nur zu Neuwahlen führen.“

Einen Kontrollmechanismus in der Verfassung müsse es geben.

„Die Repräsentationsfunktion sollte erhaltenbleiben: Dazu gehört auch das Recht des Präsidenten, zur richtigen Zeit die richtigen Worte zu finden.“

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Il tedesco utilizza per il discorso indiretto il Konjunktiv I, anche se, soprattutto nella lingua parlata, si tende a usare sempre più spesso l’indicativo. L’utilizzo del Konjunktiv I resta però fondamentale nel linguaggio giornalistico, perché segnala chiaramente che l’autore dell’articolo comunica un’affermazione od opinione non sua! Der Bundespräsident sagt, er sei mit den Reformen einverstanden. Der berühmte Schriftsteller meint, es handle sich um ein Missverständnis. Er sagte /sagt: „Ich habe keine Lust und bin müde.“ Er sagt/sagte, er habe keine Lust und sei müde. Er sagte: „Ich war müde und hatte keine Lust...“ Er sagte, er sei müde gewesen und habe keine Lust gehabt. Se le forme dell’indicativo e del Konjunktiv I sono uguali, si utilizza il Konjunktiv II o la forma composta da würde + infinito Sie sagten: „Wir waren müde und hatten keine Lust zum Ausgehen.“ Sie sagten, sie seien müde gewesen und hätten keine Lust zum Ausgehen gehabt. Sie sagten: „In einer Stunde gehen wir nachhause.“ Sie sagten, sie würden in einer Stunde nachhause gehen /sie gingen in einer Stunde nachhause… Sie sagen: „Wir haben Durst“ = Sie sagen, sie hätten Durst. ich habe / hätte sei nehme / würde nehmen gehe / ginge du habest sei(e)st nehmest gehest er sie es habe sei nehme gehe wir haben / hätten seien nehmen / würden nehmen gehen / gingen ihr habet seiet nehmet gehet sie, Sie haben / hätten seien nehmen / würden nehmen gehen / gingen

Il discorso indiretto può essere introdotto anche da „DASS“, in questo caso il verbo coniugato va alla fine, trattandosi di una frase secondaria!!!

Er sagt, er habe keine Lust. Er sagt, dass er keine Lust habe. Sie sagten, sie seien müde gewesen und hätten keine Lust gehabt. Sie sagten, dass sie müde gewesen seien und keine Lust gehabt hätten. Milena meint, sie sei glücklich. Milena meint, dass sie glücklich sei.

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Formen Sie in die indirekte Rede um! Der Politiker sagte in seiner Ansprache nach der Wahl: „Ich freue mich über das Wahlergebnis. Die Bürgerinnen und Bürger haben mir ihr Vertrauen gegeben!“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………. „Meine Partei wird das Land aus der Krise herausführen.“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….…………… „Die Zeit ist reif für eine Wende“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….…………… „Meine politischen Gegner haben viel versprochen und nichts gehalten.“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………. „Es darf einfach nicht so weiter gehen.“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………. „Ich werde das Vertrauen meiner Wähler und Wählerinnen nicht missbrauchen.“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………. „Ich hatte immer schon ein offenes Ohr für die Sorgen der kleinen Leute.“ …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Quellenverzeichnis der in der Unterrichtseinheit „Politik“ verwendeten Texte:

Holzheimer G. (1997) Wenn alle Strick’ reißen, häng ich mich auf. Ein Österreich-Lexikon, Reclam, Leipzig.

Fischer Weltalmanach, www.weltalmanach.de

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Sieglinde Kofler

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Auswärtiges Amt, Abteilung Kommunikation (2003) Tatsachen über Deutschland (Hg) Berlin

www.admin.ch/ch/d/schweiz/political.html Deutscher Bundestag, Referat Öffentlichkeitsarbeit (2001) (Hg) Parlaments-

deutsch für Anfänger und Profis. Die politischen Parteien in Deutschland, Österreich und der Schweiz:

www.uni-protokolle.de „Weniger Rechte für den Präsidenten“ in Profil vom 3. Nov. 2003. „Interview mit dem Schweizer Staatssekretär Franz von Däniken“ in St.

Gallener Tagblatt vom 20. April 2002.

Bibliographie:

Bausch K.R., Christ H., Krumm H.J. (1995) (Hg) Handbuch Fremdsprachen-unterricht 3., überarb. u. erw. Aufl., Francke, Tübingen.

Doyé P. (1995) „Lehr- und Lernziele“, in Handbuch Fremdsprachenunterricht 3. Hg. v. K.R. Bausch, H. Christ, H.J. Krumm, Francke, Tübingen, S. 161-166.

Helbig G. et al. (2001) Deutsch als Fremdsprache. Ein internationales Handbuch, 2 Bde, de Gruyer, Berlin.

Neuner G. (2001) „Curriculumentwicklung und Lehrziele Deutsch als Fremdsprache“, in Deutsch als Fremdsprache. Ein internationales Handbuch. Hg. v. G: Helbig et al., 2. Bde, de Gruyer, Berlin, S. 797-810.

Storch G. (1999) Deutsch als Fremdsprache - Eine Didaktik, Fink, München.

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EL LENGUAJE DESCRIPTIVO VISUAL: LOS ELEMENTOS KINÉSICOS Y EL LENGUAJE DE LOS

GESTOS

Alida Ares

Abstract

El trabajo que presentamos constituye una propuesta didáctica, en la línea del enfoque comunicativo, articulada en una serie de actividades dirigidas a desarrollar la competencia pragmática del alumno mediante la observación de los elementos no verbales y kinésicos y su significado, con el objetivo de que el alumno reconozca los “requisitos interactivos” que intervienen en un acto comunicativo. Para ello hemos seleccionado un fragmento de la novela Seda (trad. 1997) en la que A. Baricco, con técnica “cinematográfica”, narra el encuentro de tres personajes, dos hombres y una mujer. Dentro de la secuencia se incluye un diálogo entre los tres protagonistas que se desarrolla en dos planos: el primero a través del cuasi-monólogo entre los dos personajes masculinos, y el segundo mediante un intercambio de miradas, gestos, movimientos, entre la mujer y uno de los dos personajes masculinos. Il lavoro che presentiamo consiste in un’unità didattica nella linea di un approccio comunicativo, articolata in una serie di attività ed esercizi diretti a sviluppare la competenza pragmatica degli studenti attraverso l’osservazione degli elementi extralinguistici e il loro significato, con l’obiettivo che lo studente riconosca i “requisiti interattivi” che intervengono nell’evento comunicativo. A questo scopo abbiamo selezionato un brano del romanzo Seta (trad. 1997) in cui Alessandro Baricco narra, con una tecnica “cinematografica”, un incontro fra tre personaggi: due uomini e una donna. All’interno della sequenza avviene un dialogo a tre che si sviluppa in due piani: il primo, attraverso la conversazione tra i due protagonisti maschili, il secondo, attraverso lo scambio di sguardi, gesti, movimenti, tra la donna e uno dei due uomini.

*** El trabajo que presento a continuación se basa en una unidad didáctica que fue elaborada a finales del curso 2003/2004 para los alumnos del II Año de Lengua Española de la Facultad de Economía y Comercio de la Universidad de Trieste,

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Alida Ares

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la cual no llegó a impartirse, a causa, entre otros motivos, de mi traslado a la Universidad de Trento. Por ello, me ha parecido justo que permaneciera aquí, aunque sea por escrito, como un pequeño recuerdo para mis alumnos de todos estos años de Trieste.

La unidad se incluye dentro el marco general propedéutico del programa de

la asignatura, dirigido a desarrollar la competencia lingüístico-comunicativa del alumno mediante actividades que miran a potenciar las habilidades de comprensión, interacción y expresión oral y escrita. En el curso 2003/2004 la profesora Cruz Rosón Fiorentino, titular del curso de Lengua Española, impartió un breve seminario en torno al tema del lenguaje de los gestos, y esta unidad didáctica mira a reforzar y complementar de manera aplicativa los contenidos del mismo. El objetivo específico es observar los elementos no verbales, kinésicos y proxémicos, en el lenguaje escrito y en la interacción oral, es decir, desarrollar la competencia pragmática del alumno para que sea capaz de reconocer los “requisitos interactivos” de un acto comunicativo (vid. Llobera 1995: 94).

Como es bien sabido, las palabras transmiten sólo una parte, un 30 o 35%, del significado de un mensaje, el resto se transmite a través de elementos paralingüísticos. Si observamos una conversación sin escuchar las palabras, descubriremos el valor de las miradas, los gestos, las posiciones y movimentos de los personajes, la escena y los elementos que la componen. El lenguaje de los gestos, de las posturas y los espacios, se aprende desde la infancia, imitando a los mayores, por ello difieren de una cultura a otra, cada sociedad tiene reglas tácitas respecto a la distancia que se ha de guardar para hablar con los demás, si se debe o no mirar directamente a los ojos, sobre el modo de saludar, si se puede tocar al interlocutor, etc. Por ello, cuando se aprende una lengua extranjera, conviene aprender algunas de esas reglas, especialmente aquellas que difieren de las nuestras (vid. Knapp 1982; Poyatos 1994).

El texto escrito que hemos elegido como instrumento de apoyo para trabajar

en esta unidad, además de otros materiales audiovisuales, describe de un modo que podríamos llamar “cinematográfico” una escena donde tiene lugar un encuentro entre tres personajes: dos hombres y una mujer. La secuencia es narrativo-descriptiva, y dentro de la misma se incluye un diálogo entre los tres protagonistas, el cual se desarrolla en una doble vertiente: la primera está constituida por el cuasi-monólogo que tiene lugar entre los dos personajes masculinos que tratan de establecer un acuerdo comercial; la segunda, mediante las miradas y gestos intercambiados entre la mujer y uno de los personajes masculinos.

Reproducimos a continuación el texto seleccionado:

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El lenguaje descriptivo visual

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Fragmento de Seda de Alessandro Baricco, Ed. Anagrama, Barcelona, 1997. Trad. de Xavier González Rovira y Carlos Gumpert, pp. 28-35:

Cap. 13 “Se descorrió el panel de arroz y Hervé Joncourt entró. Hara Kei estaba sentado con las piernas cruzadas en el suelo, en la esquina más alejada de la habitación. Vestía una túnica obscura, no llevaba joyas. El único signo visible de su poder era una mujer tendida junto a él, inmóvil, con la cabeza apoyada en su regazo, los ojos cerrados, los brazos escondidos bajo el amplio vestido rojo que se extendía a su alrededor, como una llama, sobre la estera color ceniza. Él le pasaba lentamente una mano por los cabellos: parecía acariciar el pelaje de un animal precioso y adormecido. Hervé Joncour atravesó la habitación, esperó una señal del anfitrión, y se sentó frente a él. Permanecieron en silencio, mirándose a los ojos. Entró un sirviente, imperceptible, y dejó frente a ellos dos tazas de té. Después desapareció en la nada. Entonces Hara Kei empezó a hablar, en su lengua, con una voz cantarina que se diluía en una especie de falsete fastidiosamente artificioso. Hervé Joncour escuchaba. Mantenía los ojos fijos en los de Hara Kei y sólo por un instante, casi sin darse cuenta, los bajó hasta el rostro de la mujer. Era el rostro de una muchacha joven. Volvió a levantarlos. Hara Kei se detuvo, levantó una de las tazas de té, la llevó a los labios, dejó pasar unos instantes y dijo Intentad explicarme quién sois. Lo dijo en francés, arrastrando un poco las vocales, con una voz ronca, veraz. Cap 14 Al hombre más inexpugnable del Japón, al amo de todo lo que el mundo conseguía arrancar de aquella isla, Hervé Joncour intentó explicarle quien era. Lo hizo en su lengua, hablando lentamente, sin saber con precisión si Hara Kei era capaz de entenderlo. Instintivamente renunció a cualquier clase de prudencia, refiriendo simplemente, sin invenciones y sin omisiones, todo aquello que era cierto. Exponía uno tras otro pequeños detalles y cruciales acontecimientos con la misma voz y con gestos apenas esbozados, imitando el hipnóptico discurrir, melancólico y neutral, de un catálogo de objetos salvados de un incendio. Hara Kei escuchaba, sin que la sombra de un gesto descompusiera los rasgos de su rostro. Mantenía los ojos fijos en los labios de Hervé Joncour como si fueran las últimas líneas de una carta de despedida. En la habitación todo estaba tan silencioso e inmóvil que pareció un hecho desmesurado lo que acaeció inesperadamente, y sin embargo no fue nada. De pronto, sin moverse lo más mínimo, aquella muchacha abrió los ojos.

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Hervé Joncour no dejó de hablar, pero bajó la mirada instintivamente hacia ella y lo que vio, sin dejar de hablar, fue que aquellos ojos no tenían sesgo oriental, y que se hallaban dirigidos, con un intensidad desconcertante, hacia él: como si desde el inicio no hubieran hecho otra cosa, por debajo de los párpados. Hervé Joncour dirigió la mirada hacia otra parte con toda la naturalidad de que fue capaz, intentando continuar su relato sin que nada en su voz pareciera diferente. Se interrumpió sólo cuando sus ojos repararon en la taza de té posada en el suelo frente a él. La cogió con una mano, la llevó hasta los labios y bebió lentamente. Reprendió su relato, mientras la posaba de nuevo frente a sí. Cap 15 Francia, sus viajes por mar, el perfume de las moreras en Lanvilledieu, los trenes de vapor, la voz de Hélène. Hervé Joncour continuó contando su vida como nunca en su vida lo había hecho. Aquella muchacha continuaba mirándolo con una violencia que imponía a cada una de sus palabras la obligación de sonar memorables. La habitación parecía ahora haber caído en una inmovilidad sin retorno cuando de improviso, y de forma absolutamente silenciosa, la joven sacó una mano de debajo del vestido, deslizándola sobre la estera ante ella. Hervé Joncour vio aparecer aquella mancha pálida en los límites de su campo visual, la vio rozar la taza de té de Hara Kei y después, absurdamente, continuar deslizándose hasta asir sin titubeos la otra taza, que era inexorablemente la taza en la que él había bebido, alzarla ligeramente y llevarla hacia ella. Hara Kei no había dejado ni un instante de mirar inexpresivamente los labios de Hervé Joncour. La muchacha levantó ligeramente la cabeza. Por primera vez apartó los ojos de Hervé Joncour y los posó sobre la taza. Lentamente, le dio la vuelta hasta tener sobre los labios el punto exacto en el que él había bebido. Entrecerrando los ojos, bebió un sorbo de té. Alejó la taza de los labios. La deslizó hasta el lugar donde la había cogido. Hizo desaparecer la mano bajo el vestido. Volvió a apoyar la cabeza en el regazo de Hara Kei. Los ojos abiertos, fijos en los de Hervé Joncour. Cap 16 Hervé Joncour todavía habló largo rato. Se detuvo sólo cuando Hara Kei dejó de posar sus ojos sobre él y esbozó una inclinación con la cabeza. Silencio. En francés, arrastrando un poco las vocales, con voz ronca y veraz, Hara Kei dijo: • Si así lo deseáis, me gustaría veros de nuevo. Sonrió por vez primera. • Los huevos que os lleváis son huevos de pescado, no valen casi nada. Hervé Joncour bajó la mirada. Su taza de té estaba allí, frente a él. La cogió y empezó a darle la vuelta y a observarla, como si estuviera buscando algo en la arista coloreada del borde. Cuando encontró lo que

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buscaba, apoyó los labios y bebió hasta el fondo. Después dejó la taza frente a sí y dijo • Lo sé. Hara Kei rió divertido. • ¿Por eso habéis pagado con oro falso? • He pagado lo que he comprado. Hara Kei se puso serio. • Cuando salgáis de aquí, tendréis lo que deseáis. • Cuando salga de esta isla vivo, recibiréis el oro que os pertenece.

Tenéis mi palabra. Hervé Joncour ni siquiera esperó la respuesta. Se levantó, dio unos pasos hacia atrás, después se inclinó. La última cosa que vio, antes de salir, fueron los ojos de ella, fijos en los suyos, completamente mudos.”

En la escena descrita por Baricco los protagonistas parecen estar rodeados por una atmósfera de silencio, todo sucede lentamente, mientras nosotros, los lectores, “vemos” a esos personajes ejecutar sus movimientos acordes como si fueran los pasos de una danza. El texto actúa como recurso dinamizador que logra establecer una complicidad entre los protagonistas y el lector, potenciando la perspectiva émica, y la inmersión en la lectura.

Sirviéndonos del texto seleccionado, a través de una serie de actividades,

previas y derivadas de la lectura del mismo, trataremos de potenciar las estrategias comunicativas de los alumnos, les mostraremos algunos de los convencionalismos lingüísticos dentro de la norma culta del lenguaje y trabajaremos el léxico relacionado con el campo semántico de los sentidos y de los elementos kinésicos, entendido en su significado más amplio: gestos, movimientos, colores, sensaciones, intencionalidad, mensajes explícitos e implícitos. Como tarea final integradora de los conocimientos adquiridos proponemos hacer una escenificación, ya que el texto es particularmente adecuado para observar una serie de comportamientos socioculturales propios de la entrevista que tiene lugar en la situación descrita. Ello no excluye que se pueda realizar asimismo una composición o una reelaboración escrita u oral del texto, incluso ambas, dependiendo del tiempo del que dispongamos y de las exigencias de nuestra programación.

Para la puesta en práctica de la unidad sería deseable poder contar con tres

sesiones de clase: una introductiva, otra centrada en el texto y una final recapituladora y de evaluación de los conocimientos adquiridos. La duración de las actividades que hemos programado sería entre 4 a 6 horas, dependiendo de que se hagan o no los ejercicios que indicamos como complementarios y de que algunas de las tareas se desarrollen más o menos ampliamente. Nuestra

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propuesta consiste en realizar en la primera sesión una tarea preliminar, en la segunda trabajar con el texto de Baricco, en la tercera hacer la recapitulación y escenificación.

En primer lugar, antes de iniciar la programación, es necesario hacer una

valoración de las dificultades que podría encontrar el alumno en el texto, de las posibilidades formativas del mismo y del input que consideramos que el texto puede ejercer. Siguiendo las diversas teorías sobre las dificultades de las tareas que ofrecen M. Williams y R.L. Burden (1999) en el cap. “Las tareas en la enseñanza de lenguas extranjeras”, hemos valorado las que puede encontrar el alumno en los textos proporcionados. Éstas atañen, por una parte, a características estilísticas de registro, como el tratamiento de “vos” en el diálogo, con el que el alumno no está habituado a trabajar en L2, pero esta misma dificultad podría ser aprovechada para tratar este uso del “vos” como registro formal que no sólo se encuentra en los textos literarios, sino también en las películas ambientadas en una ‘epoca determinada’, y se podría relacionar, indicando las diferencias, con el uso del “vos” actual en el español de América. Por otra parte, hay que tener en cuenta la parcialidad del texto: al ser sólo un fragmento de una novela hay datos argumentales a los que se hace alusión en el capítulo que los alumnos ignoran y que nosotros hemos de proporcionarles a medida que los vayan necesitando, como “los huevos” que compra Hervé, de los que se habla en el capítulo 16, que se refieren a huevos de gusanos de seda, aunque como resulta del diálogo, Hara Kei intentaba engañarlo vendiéndole huevos de pescado; también se les podría proporcionar un breve resumen del argumento del libro.

No obstante esas “dificultades”, el texto posee un lenguaje muy cuidado e

“idealizado” estéticamente, es claro, y consigue producir un efecto de realismo e inmediatez. Baricco guía al lector, describiendo con detalle, para que “vea” lo que él quiere mostrarle exactamente, para lograr que perciba los estímulos, y por ello usa un lenguaje preciso para este fin, continuamente matizado con adjetivos y adverbios de modo y de tiempo. El lenguaje empleado no es difícil de comprender para un estudiante italiano, serán muy pocas las palabras que no conoce y podrá disponer de diccionarios y gramáticas, así como de la ayuda del profesor, para interpretar los pasajes que entrañen alguna dificultad. El predominio de frases cortas, simples, yuxtapuestas o coordinadas, en su mayor parte, facilita la comprensión (“Vestía una túnica obscura, no llevaba joyas”, “Hervé Joncourt atravesó la habitación, esperó una señal del anfitrión, y se sentó frente a él”). Los tiempos verbales son los de la narración y descripción: pretérito imperfecto para el tiempo amplio del pasado que encuadra la acción y pretérito indefinido para esta última. También estar + participio, describiendo

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las posturas (“estaba sentado, … tendida, … apoyada”) y las construcciones con gerundios, aquí usados sobre todo para expresar la acción en desarrollo y el modo: “[acariciando] lentamente”, “mirándose a los ojos”, “arrastrando las vocales”, “imitando el discurrir hinóptico …”). Pero la riqueza del texto reside, sobre todo, en los adjetivos (“[una voz] ronca veraz”, “sesgo oriental”, “intensidad desconcertante” [refiriéndose a los ojos]); en las sinestesias (“los ojos … mudos”); en las imágenes (“[el amplio vestido rojo] que se extendía a su alrededor, como una llama”, “parecía acariciar el pelaje de un animal precioso y adormecido”, “[miraba los labios] como si fueran las últimas líneas de una carta de despedida”); y las sensaciones más allá de los significados que estos recursos estilísticos trasmiten (“los ojos de ella, fijos en los suyos, completamente mudos”).

El input que señalamos en el texto es la capacidad de transmitir el ambiente

evocador en el que transcurre la escena y la sensualidad de la misma, que enseguida capturan y retienen la atención del lector incitándolo a proseguir la lectura. La sugestión que siente el protagonista es captada directamente por el lector, ya que la descrición de la escena, las palabras y los gestos, hace que “miremos y veamos” lo que el protagonista está viendo. La técnica descriptiva imita la de una cámara cinematográfica que va mostrando la escena desde las perspectivas de cada personaje y se va acercando como un “zoom” a cada uno de ellos, desvelando sus mínimos gestos y transmitiendo la atmósfera que los envuelve mediante los tonos de voz, las posturas, las ropas, los colores, la lentitud de los movimientos, etc. Por otra parte, el hecho de evocar un ambiente lejano y de describir una escena idealizada, permite observarlo mejor en lo que tiene de teatral y escénico, lo que nos ayudará en la escenificación que se propone como tarea final. Y ese idealismo del texto contrastará con las escenas “reales” que mostraremos en vídeo, que son las que reflejan los aspectos pragmáticos, sociolingüísticos y etnográficos que nos interesa subrayar, específicos del comportamiento de los hablantes en determinados contextos dentro del ámbito cultural que comprende la L2.

I. Desarrollo de la unidad didáctica

1.1. Objetivos generales

– Potenciar las estrategias de comunicación mediante el desarrollo de la capacidad de observación de los convencionalismos formales, de los rasgos interaccionales y de los gestos y otros factores extralingüísticos que intervienen en la comunicación como componentes o facilitadores para la comprensión del mensaje.

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– Reflexionar o reparar en las diferencias que puede haber entre ciertos convencionalismos y la gestualidad que acompaña al discurso oral entre interlocutores de diferentes países.

– Reparar en el léxico o expresiones relacionadas con los gestos y elementos kinésicos.

1.2. Objetivos específicos

– Que el estudiante aprenda convenciones, fórmulas y algunos de los gestos más habituales que se intercambian los españoles en diversos contextos de situación, para mejorar la comunicación entre unos y otros y evitar malentendidos, sea en encuentros formales (cita de negocios, entrevista laboral, etc.) que en el trato informal o amistoso (saludarse con dos besos, tocarnos el brazo mientras hablamos, etc.)

– Que observe las circunstancias y características de la entrevista del texto. – Que reconozca e interprete los elementos kinésicos y la comunicación no

verbal que aparecen en el texto. – Que aprenda a relacionar los gestos con el mensaje y con el proceso de

interacción. – Que incremente su léxico con términos específicos relativos al lenguaje de

los gestos y sentidos. – Que observe el género y las distintas partes narrativas, descriptivas y

dialogadas del texto.

1.3. Secuenciación de la unidad didáctica y organización y clasificación de los distintos tipos de actividades propuestas.

La unidad se divide fundamentalmente en tres partes: – Una introductiva, de “preparación” de la unidad, en la que mostraremos en

vídeo o DVD una serie de escenas habituales de comunicación que tienen lugar entre españoles y/o entre latinoamericanos, que comentaremos con toda la clase.

– Otra centrada en el trabajo con el texto literario; – La última de recapitulación y aplicación de lo aprendido.

Estas partes están organizadas a su vez en una serie de tareas y ejercicios articulados. Presentamos a continuación la programación y el desarrollo detallado de la unidad en las tres sesiones.

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Programación de la primera sesión

Objetivos

– Introducir la unidad y su contenido situándola en el programa y especificando los objetivos.

– Potenciar las capacidades de observación de los elementos kinésicos y proxémicos durante el diálogo entre españoles: gestos, proximidad, movimientos, formalidades …

– Comparar la manera de gesticular y de actuar de los españoles en determinadas situaciones y los de los italianos e interpretar los significados de los gestos.

Contenidos funcionales

– Modalidades de saludo y presentaciones y gestos que los acompañan. – Invitaciones, formulas de cortesía y gestos indicativos. – Distintas situaciones de relaciones sociales.

Estrategias comunicativas

– Averigüar datos caracteriales de las personas mediante los gestos. – Interpretar los gestos en relación al mensaje comunicativo.

Destrezas que se ejercitan

– Comprensión auditiva. – Expresión escrita. – Interacción. – Reflexión metalingüística. – Desarrollo de la conciencia intercultural.

Situaciones/contexto

– Saludando a las personas en la calle. – Invitando a amigos a tomar algo en casa. – En unas oficinas. – En una entrevista de trabajo.

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Contenidos gramaticales

– Oraciones exclamativas: ¡Encantada! ¡Mucho gusto! // ¡Hola! – ¡Me alegro de que haya venido! // ¡Hola Marina, qué alegría verte! – ¡Pase, pase! // ¡Entra, hombre! – ¡No, usted primero! // ¡Qué caradura! – ¡Está muy bueno! // ¡Está hummm! – Muchas gracias // Faltaría más // No hay de qué …

– Oraciones desiderativas con subjuntivo (¡Que tengas suerte!, ¡Que tengas buen viaje!, ¡Que descanses bien!, ¡No trabajes tanto!)

– Verbos modales: Querer + Infinitivo. Desear + Infinitivo. Gustar + Infinitivo. Poder + Infinitivo (¿Quieres sentarte? ¿Un café? ¿Desea que le ayude? Perdone, ¿podría decirme la hora …?)

Planificación de desarrollo de la primera sesión

Planificación

A1. En primer lugar, explicaremos a los alumnos muy brevemente lo que nos proponenos con la unidad que presentamos: observar los elementos kinésicos del lenguaje y aprender su significado para la comprensión más eficaz del mensaje interactivo, al tiempo que se incorporan a nuestro léxico nuevos términos relacionados con los gestos y los sentidos. (Destreza: comprensión auditiva).

A2. A continuación procederemos a la actividad preliminar de reflexión sobre el tema, que consistirá en mostrar un vídeo donde personas españolas se saludan, se presentan, conversan, se despiden, etcétera, en situaciones formales e informales (Destreza: comprensión auditiva, reflexión metalingüística).

A3. Como actividad central, entre toda la clase, comentaremos los elementos kinésicos, los convencionalismos y las fórmulas que se pueden observar en las escenas que hemos visto y su idiosincrasia característica. Compararemos los convencionalismos y los gestos observados y los que acompañan el mismo tipo de interacciones en el país del que proceden los alumnos, en este caso de los italianos. (Destreza: expresión oral, desarrollo de la conciencia intercultural, reflexión metalingüística).

Desarrollo

Introducción (Tiempo previsto: 10 minutos) – Enlazar la unidad didáctica que iniciamos con lo visto en las sesiones

precedentes.

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– Explicar los objetivos de la nueva unidad y las actividades que proponemos hacer, así como presentar el texto con el que vamos a trabajar y negociar algunas tareas que realizaremos y sobre todo la tarea final.

Actividad 1 Proyectar algunas escenas de vídeo y comentarlas. (Tiempo previsto: 50 minutos) Objetivo Observar distintas escenas habituales y los gestos de los interlocutores. Desarrollo de la actividad 1. Se proyecta el vídeo donde tienen lugar los intercambios comunicativos

entre parejas o grupos de personas (sin audio). – Que cada alumno observe y vaya tomando notas de la situación. – Se pregunta lo que les ha llamado la atención y qué creen que sucede en

cada escena. – Se proyecta de nuevo el vídeo con audio.

2. Terminado el ejercicio, primero en parejas comentarán lo que acaban de ver. Después entre toda la clase comentaremos los convencionalismos, fórmulas y elementos kinésicos que se pueden observar en las escenas y su idiosincrasia característica.

3. Por último compararemos las fórmulas, gestos y otros rasgos observados con los que se usan para el mismo tipo de interacciones en el país de los alumnos, en este caso Italia, y completaremos con otros que no aparecen en las escenas, procurando que intervengan todos los alumnos. Se trata por ejemplo de la manera de saludar con un par de besos o el modo de indicar lo buena que está una comida, o tocarnos mientras hablamos entre amigos, etc.

Actividades complementarias Si contamos con una hora más, para reforzar los conocimientos y capacidades del estudiante en otros aspectos particulares relacionados, se podrían proponer, entre otras, las siguientes actividades complementarias diseñadas con este fin: 1. Trabajar los contenidos lingüísticos de los diálogos del vídeo: hora,

exclamativas de saludos, invitaciones, juicios de valor, rechazo, aceptación, etcétera.

2. Construir frases con oraciones exclamativas del tipo que hemos visto (se distribuirá al alumno una ficha con diversos ejercicios de respuesta múltiple y de huecos para rellenar).

3. Transformar los diálogos, por ejemplo: utilizar otras fórmulas de saludo diversas de las que se usan en el diálogo; otras maneras de invitar, de opinar

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o dar juicios de valor o de expresar sentimientos; ofrecer cosas diversas a los invitados; usar otras fórmulas para dirigirse a las personas, etc.

4. Se podría también mediante un juego de roles representar algunos diálogos por parejas o grupos.

Programación de la segunda sesión

Objetivos

– Desarrollar la competencia sociolingüística de los alumnos. – Hacer una lectura comprensiva del texto. – Aprender léxico relacionado con los sentidos y los gestos. – Distinguir en el texto la estructura: las partes narrativas, descriptivas y de

diálogo. – Observar actitudes y gestos de los protagonistas, la comunicación no verbal. – Observar algunas características formales del texto acordes con la situación

descrita.

Contenidos funcionales

– Modalidades de saludo y convenciones sociales en el texto y gestos que los acompañan.

– Uso del tratamiento de cortesía. Registros formales. – Transmitir un mensaje mediante gestos y comunicación no verbal. – Describir personas y ambientes.

Destrezas

– Comprensión lectora. – Comprensión auditiva. – Interacción. – Expresión escrita. – Expresión oral. – Observación de fenómenos lingüísticos y léxicos. – Reflexión metalingüística.

Estrategias o microhabilidades que se desarrollan

– Servirse de los gestos para aclarar el significado de alguna idea o si se ha olvidado una palabra.

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– Interpretar los gestos, la actuación de los interlocutores en relación al mensaje comunicativo (Vid. Cassany et al. [1994]).

– Desarrollar la competencia pragmática y sociolingüística. Observar los “requisitos interactivos” de la entrevista: -reciprocidad de las intervenciones, finalidad, tema, estructura informativa, distancia social. (Vid. Leech [1983: 23], op.cit. en Llobera et al. [1995], p. 94).

Contenidos gramaticales

– Verbos de movimiento y de estado. – Referencias espaciales. – Verbos y adjetivos relacionados con los sentidos. – Usos de la segunda persona plural en el diálogo. – Recursos formales.

Planificación de desarrollo de la segunda sesión

Nota previa: Hemos programado 3 horas de lección, si bien podría hacerse la última en una sesión aparte de 1 o 2 horas, añadiendo de este modo tiempo para la actividad/actividades finales y dando la posibilidad de reelaborarla previamente en casa.

Planificación

En esta clase desarrollaremos por fases la actividad articulada que hemos elaborado a partir del texto literario de A. Baricco. B.1. En primer lugar, para mostrar más claramente el carácter del lenguaje

descriptivo visual del texto de Baricco, proponemos mostrar primero una escena de una película. Indicaremos a los alumnos que observen bien todos estos elementos: la escena, la acción, el decorado, los personajes el tema de conversación, los gestos y que tomen nota en sus cuadernos (Destreza: comprensión auditiva, observación de elementos pragmáticos del discurso).

Luego, con todo el grupo, haremos oralmente una recapitulación acerca de la escena, mientras vamos trazando un esquema en la pizarra que se corresponderá, a grandes rasgos, con los componentes pragmáticos que intervienen en todo acto de habla, siguiendo el modelo speaking de Hymes (1974: 53-62) 1 : escenario, decorados, vestidos, participantes, fines del

1 Op. cit. en M. Llobera el al., Competencia comunicativa. Documentos básicos en la

enseñanza de lenguas extranjeras, Edelsa, Madrid, pp. 47-61.

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encuentro, secuencia de actos, clave (tono y manera de desarrollarse la escena), medios, normas de interacción, algunas frases que los alumnos recuerdan, palabras, gestos ... Los alumnos van tomando apuntes. (Destrezas: Interacción, expresión escrita, reflexión metalingüística).

B.2. Para la segunda fase, dividiremos la clase en 4 grupos y distribuiremos a cada grupo las fotocopias de uno de los capítulos del libro de Baricco para trabajar con él. Después de que los alumnos hayan leído individualmente el mismo, les pediremos que realicen las siguientes actividades: 1. Subrayar léxico relativo a partes del cuerpo y los sentidos: hacer cuatro

listas con los sustantivos relacionados en el texto con la vista, la voz, el oído y el tacto y colocar debajo los verbos y los adjetivos de cada grupo. Relacionar cada personaje con sus gestos y con sus movimientos y características de la voz, mirada, etc.

2. Subrayar con diversos colores las diferentes secuencias textuales: las relativas a la acción, las de la descripción, el tema de conversación-monólogo y las frases intercambiadas del diálogo final.

3. Hacer un breve resumen-guión de 10 líneas como máximo de los capítulos, cada grupo el que le corresponde, esquematizando el contenido, por ejemplo: – Hervé entra en la habitación. – Hay dos personajes: Hara Kei está sentado en el suelo y hay una

mujer tendida a su lado. – Hervé se sienta frente a Hara Kei. – Entra el sirviente con el té …, etc.

(Destrezas: Observación de fenómenos lingüísticos y léxicos, interacción, expresión escrita).

B.3. Una vez que han terminado esta actividad, un miembro de cada grupo explica lo que narra su capítulo, mientras los demás estudiantes van tomando notas. (Destrezas: expresión escrita y oral).

En principio los alumnos no conocen el orden de los capítulos, ni la lectura tiene que hacerse forzosamente por orden, se les puede indicar o bien pedirles que ordenen los capítulos y reconstruyan la historia, preguntándose entre ellos cuanto sea necesario (Destreza: Interacción entre los alumnos). Al final de este ejercicio distribuiremos copias de todo el texto a los grupos para que observen si han acertado en la ordenación de los capítulos. Y dejaremos un tiempo para que los lean.

B.4. Después se procederá a un juego que tiene como finalidad el aprendizaje de léxico y la observación de los elementos kinésicos: tres miembros de cada grupo (uno por personaje) van haciendo los movimientos y gestos que se describen en el capítulo que han trabajado. Los otros alumnos de los otros tres grupos han de acertar la expresión lingüística correspondiente al

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movimiento: “descorre el panel”, “se sienta”, “levanta los ojos”, “coge la taza”, “bebe un sorbo”, “apoya la cabeza”... Gana el equipo que acierte más léxico.

B.5. La siguiente actividad consiste en trabajar el diálogo y el tema de conversación. Para este ejercicio que puede ser oral o escrito, el profesor les puede hacer las siguientes preguntas, o bien les proporcionará por escrito las preguntas, como pauta: – ¿Cómo es el inicio? – ¿Cuál es el tratamiento? – ¿Cuál el tema de conversación? – ¿Cómo se desarrolla? (es casi un monólogo) – ¿Cómo se comportan los dos interlocutores? – ¿Cómo hemos de interpretarlo?

Otro ejercicio consiste en que propongan alternativas al diálogo que se establece en la fase final del texto; por ejemplo, que transformen el diálogo directo con el tratamiento formal del “vos” (vosotros) al de “usted” y al de “tú”, operando los cambios necesarios en las frases. También, si resulta interesante hacerlo en esta fase del aprendizaje, se pueden proponer otros ejercicios para trabajar construcciones lingüísticas del texto como los que señalamos más abajo (vid. infra, ejercicios).

B.6. La actividad final, que requiere un mínimo de ensayo y de preparación, por lo que proponemos hacerla en la clase siguiente, consistirá en realizar una escenificación valiéndose de los apuntes que se han tomado durante las actividades y el diálogo que los alumnos han reelaborado. Sería deseable hacerlo en diferentes registros (coloquial y formal), tratando al tiempo de adecuar también los gestos que acompañan a las palabras en las diversas interpretaciones y según las diferentes versiones de los alumnos.

Actividad Previa

(Tiempo: 30 minutos)

Objetivos

– Observar una escena y comprender la acción y el tema de conversación. – Esquematizar y resumir los contenidos. – Identificar el registro utilizado en la interacción y el rol de los personajes

que intervienen en la escena.

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Desarrollo de la actividad

En primer lugar proponemos ver una escena de una película. A los alumnos, divididos por grupos, les propondremos que observen bien en la escena: la acción, el decorado, los personajes el tema de conversación, los gestos … Cada grupo se ocupará de uno de estos aspectos y luego se intercambian la información y se va haciendo ordenadamente un esquema en pizarra: escenario, decorados, vestidos, participantes, fines del encuentro, secuencia de actos, clave (tono y manera de desarrollarse la escena), medios, normas de interacción, algunas frases que los alumnos recuerdan, palabras, gestos … y que los alumnos tomen notas.

Haremos luego una proyección final de la escena para que los alumnos puedan comprobar todo lo que han oído de sus compañeros.

Actividad 1

(Tiempo previsto: 45 minutos)

Objetivos específicos

– Hacer una lectura de comprensión global – Aprender léxico relacionado con los gestos. – Discriminar bien las partes del texto relativas a la narración, descripción y

diálogo.

Destrezas

– Comprensión y expresión escrita y oral. – Observación de fenómenos lingüísticos y léxicos.

Desarrollo de la actividad

Dividiremos la clase en 4 grupos y distribuiremos a cada grupo un capítulo del libro Seda, de Baricco, para trabajar con él y les pediremos que hagan diversas actividades.

También se podrían formar los grupos y distribuir los capítulos al final de la clase precedente, de modo que los alumnos tuvieran más tiempo para leerlo con detenimiento. 1. Lectura individual dirigida a la comprensión del texto.

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2. Comprensión – Identificación situacional. El profesor hace este ejercicio con toda la clase, ayudándose de preguntas del tipo: – ¿Quiénes son los personajes? – ¿Qué relación existe entre ellos? – ¿Cuál es el objeto de la comunicación? – ¿Cuál es el rol de cada uno? – ¿Dónde se encuentra cada uno de los personajes? – ¿Cuál es la posición en la que se encuentran los personajes que dialogan?

3. Comprensión lingüística del texto. Se da un tiempo para que el alumno pueda consultar el diccionario y subrayar las expresiones que no conoce. A continuación, por orden, solicita las aclaraciones al profesor sobre la función o el significado de determinados vocablos o expresiones. El alumno va anotando en su cuaderno los significados que desconoce. Según van surgiendo las preguntas, el profesor explica el significado a toda la clase.

4. Trabajo de cada capítulo por grupos o parejas: – Señalar el léxico relativo a partes del cuerpo y los sentidos: hacer listas

con los sustantivos relacionados en el texto con la vista, la voz, el oído, el tacto y colocar debajo los verbos y los adjetivos de cada grupo.

– Relacionar cada personaje con sus gestos y con sus movimientos y características de la voz, mirada, etc.

– Subrayar con diversos colores las frases relativas a narración, las de la descripción, el tema de conversación-monólogo del protagonista y las frases intercambiadas del diálogo final.

– Hacer un breve esbozo de 10 líneas como máximo de los capítulos, esquematizando el contenido.

Una vez que han terminado la actividad, un miembro de cada equipo expone lo que se narra en su capítulo mientras los demás estudiantes van tomando notas. (Expresión oral y escrita)

En principio no se conoce el orden de los capítulos y los alumnos han de ordenarlos y reconstruir la historia, preguntándose entre ellos cuanto sea necesario. (Interacción entre los alumnos)

Actividad 3

(Nota: Antes de iniciar se hace una pausa de 15 minutos)

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Objetivos generales

– Aprendizaje de léxico relativo a los gestos. – Observación e imitación de gestos y elementos kinésicos del texto.

Destrezas integradas

Interpretación de los gestos Expresión oral/Comprensión oral

Juego de roles

(Tiempo 30 minutos).

Desarrollo

Tres miembros de cada grupo (uno por personaje) van haciendo los movimientos y gestos que se describen en el capítulo que han trabajado. Los otros alumnos de los otros tres grupos han de acertar la expresión lingüística correspondiente al movimiento: “descorre el panel”, “entra en la habitación”, “levanta los ojos”, “coge la taza”, “bebe un sorbo”, “apoya la cabeza”...

Roles

Hara Kei – Hervé Joncourt -Mujer

Objetivos específicos

– El personaje imitar los gestos y movimientos descritos en su texto. – El resto de los alumnos adivinar la expresión acertada para nombrar el gesto

o movimiento.

Preparación y desarrollo

a) Comentar con los compañeros de grupo los gestos que se van a imitar de cada personaje (2 de cada uno); distribuir los roles.

b) Hacer la imitación para los otros grupos. c) Gana el grupo que más léxico acierta.

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El lenguaje descriptivo visual

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Actividad 4

Tiempo: 15 minutos

1. Componentes formales y lingüísticos del diálogo

Se les pide a los grupos que observen en el diálogo los siguientes puntos y que tomen nota: interlocutores, inicio, cuál es el tratamiento, cuál el tema de conversación, cómo se desarrolla, cómo se comportan los dos interlocutores, cómo hemos de interpretarlo.

Luego se comenta entre toda la clase.

2. Ejercicios de Gramática

(Tiempo: De 15 a 30 minutos) La siguiente actividad consiste en trabajar el diálogo desde el punto de vista lingüístico-gramatical y más concretamente, tratar que el alumno observe e infiera del texto el uso de los tiempos verbales, el registro formal (los tratamientos: vos, usted, tú) y algunas de las características lingüísticas del texto más interesantes: verbos de movimiento // verbos de estado, referencias espaciales y deícticos, adjetivos para caracterizar la voz, la mirada, el vestuario, etc. Los ejercicios se pueden desarrollar más ampliamente según el tiempo a disposición y según los conocimientos previos de los alumnos, por eso en principio hemos previsto un tiempo breve para este ejercicio, ya que suponemos que el alumno no tendrá dificultades para resolver la mayoría de los ejercicios y tal vez se puede prescindir de realizar alguno de ellos, por ejemplo el 4 y 5. Al tratarse de una actividad experimental, probablemente al ponerla en práctica o ensayarla por primera vez, hemos de ajustarla más en cuanto al tiempo y a la selección definitiva de las actividades que hayan resultado más rentables y motivadoras.

Actividades

1. Identificar las preguntas y las respuestas del diálogo (cap. 13 y 16), interpretar el contenido. Que los alumnos intenten formular las preguntas de otro modo, pensando en cómo las harían ellos mismos, del modo más natural posible, a traves de transformacions paulatinas, pasando, por ejemplo, cap. 13: -“Intentad explicarme quién sois” = “Decidme quien sois”, “¿Quién sois?”.

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2. Luego pasar del tratamiento formal del vos (vosotros) al de usted: “Intente explicarme quién es”, “¿Quién es usted?”.

3. Por último pasar al tratamiento de tú, transformando las frases: “Explícame/Dime quién eres”…

4. Subrayar todos los referentes espaciales: en el suelo, en la esquina más alejada, junto a, en su regazo, bajo, su alrededor, en la habitación, frente a…

5. ndividuar verbos que indican estado, posturas (estar sentado, estar tendida…) y verbos de movimiento: descorrer, entrar, cruzar…

6. Tiempos verbales de la narración: pretérito imperfecto y pretérito indefinido. Perífrasis incoativas.

7. Identificar en el diálogo las expresiones que sirven para expresar una orden (“Decidme…”) o un ruego (“... me gustaría veros de nuevo”).

Tarea final

Objetivos

– Resumir los contenidos aprendidos en las sesiones precedentes.

Destrezas

– Comprensión oral y escrita – Expresión oral y escrita – Interacción

Escenificación por grupos

La actividad final consiste en realizar una escenificación valiéndose de los apuntes que los alumnos han tomado durante las actividades y el diálogo que cada grupo ha reelaborado. Nota: Se puede hacer en la clase siguiente, con todos los grupos y haciendo un mínimo de escena, así tendrían suficiente tiempo para prepararse. Si lo hacemos al final de esta sesión, tal como hemos programado aquí, será sólo con un grupo y de modo más improvisado (30 minutos). Hay que considerar que los alumnos podrían estar cansados y con ganas de terminar, aunque la actividad sea divertida y motivadora.

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El lenguaje descriptivo visual

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Bibliografía de consulta (para el estudiante)

Diccionarios y gramática

Materiales

– Vídeo de método comunicativo (Viaje al Español, 2, Unidad 14, o bien de otro manual que presente escenas de saludo, despedida, presentaciones, etc., el que hayamos realizado nosotros con la técnica del “collage”).

– Vídeo de una película, selección de una escena adecuada para comentar los elementos pragmáticos.

– Texto de Seda de Baricco. Los ejercicios o actividades que aquí proponemos para un nivel intermedio-

superior tratan de aprovechar sólo algunas de las posibilidades que ofrece el texto: ejercicios de comprensión lectora, de expresión escrita, de interacción, de expresión oral, de inferencia de estructuras lingüísticas, etc., y se pueden ajustar (reducir o ampliar) teniendo en cuenta la dinámica del grupo y el proceso curricular. De éstas actividades, las hay más indicadas para trabajar con el texto seleccionado, como la observación de los elementos kinésicos, la comunicación no verbal y el léxico relativo a los mismos, y otras que se podrían trabajar también con otros textos, por ejemplo, transformar las frases del diálogo o indicar los verbos de movimiento y las referencias espaciales.

Algunas actividades que no hemos desarrollado en las sesiones programadas, y que podrían servir también para ampliar la capacidad de reflexión sobre los usos expresivos y comunicativos del sistema de la lengua (vid. Mendoza 1994), son las que derivan del hecho de que trabajemos con una traducción del italiano: se podrían comparar algunos párrafos de los dos textos y observar la musicalidad del lenguaje que se obtiene con determinados recursos estilísticos y que por otra parte nos revelan la difícil y delicada labor de traducción de González Rovira y Gumpert. Hacer notar el efecto de suavidad y “caricia” que se logra mediante la repetición de vocales o consonantes, por ejemplo “ci” y el acento sobre la sílaba en que se encuentra en: “parecía acariciar el pelaje de un animal precioso y adormecido”; las continuas aliteraciones (“falsete fastidiosamente artificioso”); el ritmo subrayado por los acentos que caen alternándose en las mismas vocales: “Se descorrió un panel de papel de arroz y Hervé entró”; o mediante la repetición de frases en los distintos capítulos (“… en francés, arrastrando un poco las vocales, con voz ronca, veraz”, que encontramos sea en el cap. 13 que en el 16); los adverbios, adjetivos y expresiones que provocan la sensación en el lector de la inmovilidad o lentitud en los movimientos (“[discurrir] hipnótico, melancólico y neutral”, “lentamente”, “imperceptible”, “sin moverse lo más mínimo”). También se

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pueden subrayar los términos que sirven para recrear un ambiente exótico (“panel”, “papel de arroz”, “estera”, “túnica”, “Japón”, “isla”, “el té”) o la condición de viajero del protagonista “viajes por mar”, “el perfume de las moreras en Lavilledieu”, “los trenes de vapor”), o bien, por otra parte, los que proporcionan al texto una sensualidad particular, los metalingüísticos, las alusiones a las características de lengua hablada por los protagonistas, etcétera.

Respecto a la secuencia de la película que proponemos mostrar, en principio la más adecuada en nuestra opinión sería la escena de la película con Greta Garbo en la que creemos que se ha inspirado Baricco. Dejamos a elección de cada docente la posibilidad de hacerlo antes o después de trabajar el texto, ya que mostrarla antes ayudaría para la comprensión del texto escrito, pero, al mismo tiempo, podría influir en la percepción imaginaria de los alumnos, que se verían más condicionados y perderían parte de la curiosidad e interés por el texto. En nuestra opinión sería preferible usar otra escena diversa para la tarea inicial y dejar ésta, sin mencionarla, como una sorpresa, para la clausura de la unidad, después de que ellos mismos hayan intentado imaginar e interpretar el ambiente, los gestos, las posturas y los rasgos de los personajes.

Bibliografía

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El lenguaje descriptivo visual

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UNO SGUARDO ALLA TEORIA DELLA TRADUZIONE IN CINA

Wang Fusheng

Lo studio della teoria e metodologia della traduzione ha avuto negli ultimi cinquant’anni uno sviluppo così grande da permettere l’identificazione di un insieme ampio e articolato di competenze raggruppabili sotto l’etichetta generale di ‘scienze della traduzione’ (Gentzler 1998: 54; Nergaard 1995: 5). Tuttavia, questo sviluppo è avvenuto quasi esclusivamente nell’ambito della traduzione culturale e scientifica europea e americana, con scarsa considerazione per le teorie e le pratiche traduttive proprie di altre culture, ad esempio quelle del Medio Oriente, della Regione Indiana e dell’Estremo Oriente. Questo breve contributo vuole fornire alcuni cenni sulla storia della teoria e dei metodi della traduzione nel mondo cinese, per individuare sia le analogie con gli studi più recenti del mondo occidentale sia le differenze specifiche dovute o alla diversità linguistico-culturale o a quella dei testi originali oggetto di traduzione.

La penetrazione del Buddhismo in Cina oltre duemila anni fa1 comportò immediatamente il problema della traduzione in cinese dei testi buddhisti in sanscrito, pali e – successivamente – tibetano, che ponevano difficoltà di ordine sia culturale (apparato concettuale della nuova ideologia) che linguistico (natura prevalentemente flessiva di sanscrito e pali, agglutinante del tibetano classico e isolante del cinese antico e classico). Vari secoli di pratica traduttiva condussero anche ad una riflessione teorica, in un’epoca in cui in occidente si traduceva molto (ad esempio la Bibbia) ma si teorizzava relativamente poco.

Il primissimo tentativo di teorizzazione dell’attività traduttiva può essere fatto risalire a Zhiqian nel periodo degli Han Orientali. Zhiqian apparteneva alla stirpe degli Yuezhi. Nella sua prefazione al Dhammapada egli, conscio delle differenze lessicali e sintattiche tra lingue diverse, afferma che il traduttore deve staccarsi dalla forma e spiegare il significato. Viene così a qualificarsi come teorizzatore di un tipo di traduzione che oggi sarebbe definita “libera” (Chen 1992: 16).

1 La traduzione dei classici buddhisti in Cina fu un evento straordinario che interessò

un arco di tempo di circa 900 anni dalla fine della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) fino alla dianastia Song (960-1125 d.C.). Si può dire che un’opera traduttiva di così vaste dimensioni non trova confronto in nessun altra grande civiltà (Cao Shibang 1990: 177).

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Wang Fusheng

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Per trovare una teoria della traduzione più sistematica, dobbiamo però arrivare all’epoca di Dao’an (314-385 d.C.), che propose la teoria del Wushiben, in base alla quale nel processo traduttivo avviene una “perdita delle cinque ‘tracce’ dell’originale”: 1) perdita delle strutture della lingua straniera che non trovano un corrispettivo

in cinese; 2) perdita della semplicità stilistica dell’originale in quanto la lingua ciense

predilige uno stile formale; 3) perdita della struttura sintattica dell’originale caratterizzata da periodi

lunghi, ripetitività e prolissità, in quanto la lingua cinese ha la tendenza a una maggiore concisione;

4) perdita delle note che nell’originale vengono usate per chirarire il significato del testo, in quanto nella traduzione in cinese il testo viene comunque reso più comprensibile;

5) perdita della ricapitolazione conclusiva del testo originale, in quanto in cinese questa ripetizione non è invece prevista. Si osservi come Dao’an dia prova di aver identificato correttamente i diversi

aspetti del problema traduttivo e cioè: a) le differenze strutturali tra le due lingue (criterio 1); b) le differenze stilistiche, cioè lo stile informale/formale (criterio 2) e la

preferenza per le frasi complesse/semplici (criterio 3); c) le differenze testuali, cioè la presenza/assenza di un apparato di note e la

presenza / assenza di una conclusione ricapitolativa (criteri 4 e 5). Di conseguenza, anche se Dao’an generalizza a partire dall’esperienza delle

pratiche traduttive allora vigenti in Cina (quantitativamente molto rilevanti, ma qualitativamente poco diversificate), si può dire che egli abbia correttamente identificato le principali dimensioni per la valutazione di una traduzione.

Più o meno nella stessa epoca il monaco Huiyuan (334-416) della dinastia Jin Orientale proponeva la teoria della traduzione letterale/libera (wenzhi zhi shuo) – la cosiddetta ‘teoria del compromesso/contemperamento’ (juezhong zhi lun) – che, tenendo conto delle differenze strutturali tra le due lingue oggetto del processo traduttivo (nel caso specifico sanscrito e cinese classico), potesse portare a scelte traduttive equilibrate.

Sempre nello stesso periodo Zengrui (371-438) riprende il problema del rapporto tra denominazione e realtà (mingshi wenti) già affrontato da Xunzi (313-238 a.C.) nel periodo degli Stati Combattenti, ossia il diverso modo in cui lingue diverse classificano il mondo reale o concettuale. L’unica finalità della discussione era quella di mettere a punto un lessico buddhista che fosse adeguato alla lingua cinese. Nelle epoche più antiche la resa dei testi buddhisti

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Uno sguardo alla teoria della traduzione in Cina

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era infatti fortemente condizionata dal modo in cui questi testi venivano fruiti. Poiché i cinesi avevano una conoscenza soltanto rudimentale del sanscrito, i missionari indiani leggevano i testi sanscriti e li spiegavano a voce in cinese. Queste spiegazioni venivano annotate e poi messe in una forma cinese stilisticamente accettabile. È per questo motivo che nei primi secoli del primo millennio dopo Cristo non si facevano vere e proprie traduzioni, ma piuttosto parafrasi o rielaborazioni che conservavano solo le linee generali del testo originale.

Poco più di un secolo più tardi, Yanzong (557-610) dedica molte pagine del suo ampio trattato sulla ‘dialettica’ (bianzhenglun) ai problemi della traduzione. Qui di seguito vengono riportati gli otto requisiti che, secondo Yanzong, devono caratterizzare il traduttore ideale, il quale deve: 1) essere fedele alle regole del Buddhismo, dedicare la vita ad aiutare gli altri e

non temere né la fatica né la perdita di tempo; 2) rispettare i precetti religiosi e avere una condotta irreprensibile; 3) studiare il più possibile i testi buddhisti, conoscere il loro significato e

risolvere i problemi o punti oscuri in essi presenti; 4) studiare la storia del Buddhismo cinese e contribuire all’arricchimento della

cultura letteraria cinese così che la sua traduzione risulti naturale e non forzata;

5) essere generoso, modesto, non aggressivo e sempre imparziale; 6) dedicarsi completamente alle tecniche di traduzione dei testi buddhisti,

sopportare la solitudine e sfruttare fino in fondo le proprie capacità; 7) avere la completa padronanza del sanscrito e delle procedure traduttive per

una corretta trasmissione della dottrina buddhista; 8) conoscere la metodologia della ricerca esegetica della lingua cinese.

Si osservi come gran parte di questi requisiti siano di natura religiosa e morale piuttosto che tecnici: in particolare, sono di natura culturale soprattutto i requisiti 3 e 4, mentre sono più strettemente linguistici i requisiti 7 e 8. I requisiti morali e linguistico-culturali enunciati da Yanzong ispirarono l’attività dei traduttori nei secoli successivi, quando la conoscenza del sanscrito divenne sempre più diffusa tra i buddhisti cinesi, che in questo modo si resero gradualmente indipendenti dalla mediazione dei missionari indiani.

La dinastia Tang fu il periodo di massimo sviluppo della traduzione dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Il protagonista più importante di questo periodo fu Xuanzang (602-664), che fondò un’operosissima équipe di traduttori che nel corso di 20 anni curò 75 tipi di testi buddhisti, per un totale di 1335 rotoli.

Egli richiamò l’attenzione sui cosìdetti “cinque casi da non tradurre”.

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Wang Fusheng

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Precisamente: 1) parole mistiche. Comprendono tutte quelle parole aventi un significato

mistico. Queste secondo Xuanzang non devono essere tradotte ma semplicemente traslitterate, onde laciare un certo alone di mistero. Ne è il termine “Dhārāni” il cui significato è “formula magica, incantesimo”. Il corrispondente cinese sarebbe “zhouyu” equivalente nel significato. Ma esso non viene tradotto bensì traslitterato come “tuoluoni”;

2) parola polisemica. Fanno parte di questa categoria gli onorifici usati per indicare il Buddha “Bhagavat” o “Bhagavān” per esempio ha una connotazione esprimibile con 6 diverse parole in cinese. Onde evitare scelte arbitrarie Xuanzang decide di non tradurla, lasciando nel testo cinese l’originale traslitterato “bojiafan”;

3) nomi di oggetti non esistenti in Cina. La parola “Janburūl” è una pianta esotica, il cui nome latino è “Eugemia Janbulana”. L’esatto corrispettivo cinese è “yanfushu” (yanfu+albero), ma Xuanzang mantiene in questi casi la semplice traslitterazione.

4) parole consolidate nella tradizione. Tali termini non vanno tradotti. Per esempio al tempo di Xuanzang “Bobhi” è ormai tradizionalmente tradotto come “puti” in cinese a cominciare dal periodo della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) con Kāśyapa Mātanga, monaco buddhista.

5) Parole cariche di significato religioso. Per un senso di rispetto religioso certe parole non vanno tradotte. Ne è un esempio il nome “Prajñã” (in cinese è Bōrě2) che vuol dire “saggezza”, ma che secondo Xuanzang è bene evitare tradurre in segno di rispetto per la saggezza superiore che essa indica. È interessante notare la modernità di queste 5 regole che nei loro tratti

principali si trovano talvolta anche nelle moderne teorie traduttive (Cao 1990: 187-190).

Xuanzang ci ha lasciato anche una teorizzazione delle procedure traduttive adottate dalla sua équipe, che prevedevano le seguenti undici fasi: 1) conoscenza perfetta da parte del traduttore sia della lingua di partenza che di

quella di arrivo per poter risolvere i punti oscuri del testo di partenza; 2) verifica e controllo della traduzione e del significato dell’originale anche da

parte dell’assistente del traduttore; 3) verifica dei contenuti del testo originale tramite la lettura ad alta voce del

testo sanscrito da parte del traduttore e il controllo degli errori della traduzione da parte degli altri membri dell’équipe;

4) trascrizione fonetica dal sanscrito nei caratteri cinesi;

2 般若. Ho consultato tre dizionari: il Dizionario delle Religioni (Ren 1985: 880,

1266), il Dizionario del Buddismo (2003: 465), lo Cihai. L’unico che dà la corretta pronuncia cinese di questo termine è lo Cihai (Xia 2000: 2293).

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Uno sguardo alla teoria della traduzione in Cina

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5) traduzione in cinese a partire dalla trascrizione dei suoni sanscriti mantenendo la struttura del sanscrito;

6) trasposizione in cinese; 7) raffronto tra la traduzione e il testo originale per verificare se ci siano errori

di traduzione; 8) revisione della traduzione sia stilistica (eliminazione delle frasi troppo

lunghe) che contenutistica (attribuzione dei significati corretti); 9) revisione della traduzione dal punto di vista retorico; 10) tre letture della traduzione al fine di ottenere un periodare il più possibile

scorrevole; 11) revisione contenutistica da parte del funzionario autorizzato a verificare la

traduzione buddhista.

È interessante osservare come tali undici fasi non siano poi tanto differenti da quelle proposte ben 1300 anni dopo da Nida (1964) per le équipe di traduzione biblica che operavano sotto la sua direzione.

Nonostante siano così lontani nel tempo, questi due rappresentanti della teoria della traduzione possono essere tuttora considerati i massimi esponenti di questo settore disciplinare. In particolare, la tecnica sviluppata da Xuanzang 1300 anni fa raggiunse livelli così alti di perfezione che ancora oggi può essere considerata un metodo di traduzione molto valido. Queste teorie sviluppatesi già a partire dal 400 d.C. (vedi Dao’an) e le loro continue rielaborazioni sono state un punto fondamentale (traduzioni, riadattamenti, ecc.) nella redazione dei testi buddhisti fino alle dinastie Ming e Qing3.

Dopo che in Cina si raggiuse l’apice della traduzione ottenuta sui testi buddhisti, se ne raggiunse un secondo solo alla fine della dinastia Ming e all’inizio della dinastia Qing, cioè dall’inizio del diciasettesimo secolo alla metà del diciottesimo. Tra queste due ondate traduttive separate da un intervallo di 3 Secondo Yang Zijian, le teorie della traduzione cinese tradizionale possono essere

classificati in quattro periodi, escludendo il periodo della traduzione dei missionari. 1). Fase iniziale (Teoria della traduzione dei testi buddhisti o delle prefazioni): Le

teorie più importanti sono: “Perdite delle cinque tracce originali” di Dao An, “Otto requisiti” di Yan Zong, “I cinque ‘non tradurre’” di Xuan Zang e “Sei esempi” di Zan Ning.

2). Fase classica (Teoria della traduzione della denominazione): Le teorie più importanti di questo periodo sono “xin da ya” (“fedeltà, scorrevolezza ed eleganza” di Yan Fu, “Dibattito sulla traduzione fonetica e libera” di Zhang Shizhao e Hu Yilu.

3). Fase di riflessione (Teoria della traduzione filosofica): Gli studiosi più famosi sono Helin e Jin Yuelin.

4). Fase percettiva (Teoria della traduzione letteraria ed artistica): Le teorie più importanti di questo periodo sono “integrazione perfetta del testo tradotto” di Qian Zhongshu e Shensi (“somiglianza dell’anima”) di Fu Lei. (Yang 2002: 223-224).

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Wang Fusheng

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seicento anni, non ci sono state attività di traduzione degne di nota e neppure le teorie di traduzione conobbero grandi progressi. Il secondo fermento traduttivo si ebbe grazie all’arrivo dei missionari europei. Nè per quanto riguarda la durata, nè per il numero di traduttori nè per la quantità di testi tradotti, la seconda ondata traduttiva può essere paragonata alla precedente, compiutasi sui testi buddhisti. Anche il processo di teorizzazione rimase pressoché immobile. Nei quasi duecento anni della seconda ondata, oltre ai testi religiosi, furono tradotti diversi testi di valore scientifico (astronomici, matematici, meccanici, di scienze naturali...). Tra i traduttori si possono annoverare gli italiani Matteo Ricci, François Sambiasi, lo spagnolo Didacco De Pantoja, i cinesi (che non conoscendo alcuna lingua straniera lavoravano con occidentali che spiegavano loro il contenuto dei testi da tradurre) Xu Guangqi, Li Zhizao, Yang Tingjun ecc... Nessuno ha cercato mai di concretizzare la teoria della traduzione nè di contribuire ad aggiungere qualcosa in più a quel poco che c’era già nonostante la fama di questi traduttori (Chen: 56-65).

Sebbene nei secoli successivi si assista ad un’ampia attività di traduzione, ad essa non corrisposero studi sulla teoria e sull’ideologia sottese a tale attività, che possono quindi soltanto essere ricavate dallo studio diretto delle opere tradotte. Tra queste ultime vanno menzionate soprattutto il Canone Buddhista Cinese, la Storia Segreta dei Mongoli e le traduzioni dalle o nelle lingue delle minoranze come, per esempio, le traduzioni tibetane (650-1368), le traduzioni della lingua dei Kitan (916-1218), della lingua dei Jin (1115-1234), della lingua dei Xixia (1038-1227), della lingua mongola (1206-1368), della lingua mancese (1616-1911), della lingua Dai (1277-1949), della lingua Yi (1534-1788).

È soltanto verso la fine del XIX secolo che ha luogo una ripresa della riflessione teorica con Yan Fu (1854 -1921) il quale, basandosi sulle teorie antiche, propose i seguenti tre requisiti di una buona traduzione: (1) fedeltà; (2) scorrevolezza; (3) eleganza. Questi criteri hanno influenzato moltissimi traduttori della sua generazione e continuano ad essere adottati a distanza di più di 100 anni (Wang 1999: 23), anche se sono stati messi in discusione da alcuni studiosi.

Teorie più recenti sono le cosiddette Qiuxin (“ricerca della fedeltà”) e Shensi (“somiglianza dell’anima”)4 di Fu (1951, cfr. Chen: 394) e Huajing (“integra-zione perfetta del testo tradotto”) di Qian (1963, cit in Chen 1992: 420-421). Attualmente lo studioso Liu (1998, cit. in Geng 1998: 31) ha proposto una nuova teoria molto significativa, definita della “triplice struttura” (san zu ding li lun), secondo cui il nucleo principale di una traduzione dev’essere costituito da tre elementi principali: 1) la traduzione linguistica; 2) l’estetica della traduzione e 3) gli studi culturali. L’approccio di Liu è tuttavia differente dai metodi

4 Si dice anche “chuanshen” (trasmettere l’anima).

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Uno sguardo alla teoria della traduzione in Cina

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impiegati in occidente, in quanto nella tradizione americana ed europea gli studi sulla traduzione sono strettamente connessi alla linguistica, mentre in Cina essi sono ancora saldamente fondati sulla filologia e sulla letteratura.

Dopo un’evoluzione di quasi 2000 anni si può certamente affermare che in Cina la teoria e le tecniche della traduzione si sono ormai fortemente consolidate, poiché a tutt’oggi quest’attività è molto fiorente e ha visto la pubblicazione di centinaia di opere nel corso degli ultimi anni. Operando un raffronto tra la storia della teoria e pratica della traduzione in Cina e nell’Occidente, si possono evidenziare le seguenti quattro caratteristiche della traduzione cinese (Gui, cit. in Geng 1998: 68-81): 1) la diffusione della teoria e pratica della traduzione su tutto il territorio

cinese; 2) l’esistenza di un unico approccio teorico alla traduzione che viene preso

come modello dai diversi traduttori; 3) l’esistenza di un’unica metodologia per raffrontare la lingua di partenza e

quella di arrivo; 4) una tecnica creativa.

Inoltre in Occidente, anche se la riflessione teorica privilegiata sulla

traduzione ha ancora per oggetto i testi letterari, la necessità di traduzioni nei settori più disparati ha portato ad un’attenzione anche verso i testi non letterari, il cui interesse è di natura più metodologica che teorica e dove un grande spazio viene dato ai sistemi terminologici. Anche in Cina la necessità pratica di tradurre (dalle lingue occidentali, dal giapponese, dalle lingue delle minoranze, ecc.) ha spostato l’attenzione verso i problemi della traduzione non letteraria, portando sia a una parziale modifica delle precedenti posizioni che a un arricchimento e ampliamento delle problematiche relative alla traduzione nel suo complesso.

Bibliografia

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Wang Fusheng

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IL SANDHI TONALE NELLA LINGUA CINESE MODERNA

Wang Fusheng

Il cinese è una lingua tonale nella quale si distinguono quattro toni1. Ogni carattere cinese – unità grafica e semantica minima alla quale corrisponde una sillaba – possiede un suo tono specifico (e, talvolta, anche più di un tono). Nel caso in cui le sillabe si succedano le une alle altre, queste possono subire alcune modificazioni tonali per adeguarsi ad un contesto tonale più ampio, cioè per rendere meno faticoso il passaggio da un tono ad un altro, pur mantenendo distintività semantica e sintattica. Tale fenomeno viene definito “sandhi tonale”. Il sandhi tonale di una sillaba è influenzato sia dalla sillaba che precede sia da quella che segue. Il caso più frequente è tuttavia quello in cui la sillaba soggetta alla modifica tonale è influenzata da quella successiva2.

Il sandhi tonale rappresenta una seria difficoltà per gli stranieri che studiano il cinese. È dunque necessario che essi apprendano correttamente le regole che stanno alla base del cambiamento dei toni.

I sandhi tonali più frequenti riguardano (1) il terzo tono (detto anche tono discendente -ascendente); (2) il quarto tono (o tono discendente); (3) il primo tono nei numeri 1 “yī”, - 7 “qī”, - 8 “bā” e il quarto tono della negazione “bù” (non); (4) il tono neutro e (5) il tono negli aggettivi raddoppiati.

1 Una componente essenziale della sillaba cinese è il tono. Fondamentalmente i tono

sono quattro. Una stessa sillaba, pronunciata con toni diversi, assume differenti significati. I quattro toni differiscono per altezza, l’intensità e la durata del suono. Nello schema che segue (in cui si esemplifica mediante la sillaba ma), le diverse altezze sono rappresentate con l’ausilio di un pentagramma sul quale sono traciate quattro frecce che descrivono il rispettivo andamento dei quattro toni.

mā má mă mà 5 4 3 2 1 primo tono secondo tono terzo tono quarto tono Il primo tono è mā (mamma), il secondo má (lino), il terzo mă (cavallo), il quarto

mà (insultare). I quattro toni vengono contrassegnati, nell’ordine, mediante i seguenti segni diacritici: ¯ (55), ′ (35), v (214), \ (51).

2 Mattew Y. Chen (2000) ha descritto dettagliamente il fenomeno del sandhi tonale dei dialetti cinesi (2000).

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1. Cambiamento del 3° tono

Il terzo tono (o tono discendente-ascendente) rappresenta il cambiamento più complesso nell’apprendimento della lingua cinese. Quando viene pronunciato singolarmente o alla fine di una parola plurisillabica, esso è rappresentato nella sua forma più completa, ad esempio hăo (buono) di nǐhăo (buongiorno), shŏu (mano) di shŏubiǎo (orologio da polso), dăo di lĭngdăo (guida, capo), guăn di zhănlănguă n (fiera).

Quando invece si trova seguito da una o più sillabe, esso subisce alcune importanti modifiche. Vediamone subito le diverse occorrenze.

1.1. Successione di due sillabe al 3° tono (discendente-ascendente)

In presenza di una successione di due sillabe entrambe con il 3° tono, il valore tonale della prima sillaba si modifica diventando ascendente (ovverosia quasi un secondo tono). La frequenza tonale varia così da 214 a 24. Questo tipo di cambiamento viene definito “cambiamento tonale ascendente-discendente” (biànshăng). La regola che sottostà a questa trasformazione è di natura dissimilatoria, per meglio differenziare le due sillabe. Ad esempio:

ni hao (214+214= 24+214) “buon giorno”, “ciao”. chan pin (214+214= 24+214) “prodotto” xi lian (214+214= 24+214) “lavare il viso” ling dao (214+214= 24+214) “dirigente” fen bi (214+214= 24+214) “gesso”

È dunque bene precisare che in presenza di una successione di due sillabe al terzo tono, contrariamente a quanto si pensa, il cambiamento di tono della prima sillaba in un “quasi” secondo tono (o tono ascendente) dal valore di frequenza 24 non corrisponde esattamente al valore abituale del secondo tono (35). Infatti, laddove il secondo tono inizia da un’altezza di valore 3 per finire a 5, il terzo tono che si trasforma in un quasi secondo tono inizia da un’altezza di valore 2 e finisce a 4. La partenza e la fine del tono modificato sono dunque inferiori rispetto a quelle di un normale secondo tono. Vediamone il diagramma:

ni hao 214+214 24+214 214 prima del cambiamento dopo il cambiamento pronuncia isolata di ni

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Dunque, sebbene molte grammatiche3 spieghino il cambiamento della sillaba ni nell’espressione ni hao in termini di passaggio ad un secondo tono, in realtà, come dimostra il diagramma, la questione necessita di un’analisi più approfondita4.

1.2 Successione dei rapporti tra il terzo tono e altri toni

Quando una sillaba di 3° tono (discendente-ascendente) è seguita da un’altra di primo, secondo e quarto tono o da una sillaba di tono neutro, essa verrà pronunciata come mezzo terzo tono (21). Ciò vale a dire che si pronuncia soltanto la prima parte discendente (21) e non quella ascendente. La pronuncia della prima sillaba risulterà breve. Ad esempio: A. 3° tono +1° tono 214 + 55 = 21 + 55 laoshi “insegnante” yanchu “presentare un spettacolo” ticao “ginnastica” B. 3° tono + 2° tono 214 + 35 = 21 + 35 haoren “una persona buona, buona gente” jiangxue “fare un corso, insegnare” daoyou “guida turistica” C. 3° tono + 4° tono 214 + 51 = 21 + 51 tiyu “sport” malu “strada” linghui “comprendere”

Va comunque precisato che il valore della frequenza e del mezzo terzo tono non è di 51, bensì di 21. Per questo motivo esso non va pronunciato come se fosse un 4° tono – la cui partenza è assai alta – ma con un valore molto più basso. Alcune grammatiche descrivono questo fenomeno equiparando lăoshi con làoshi per cui gli studenti, erroneamente, finiscono col pronunciare lă o come fosse là o. D. 3° tono + tono neutro

Se il tono neutro deriva in origine da un 3° tono, possono presentarsi due casi, in questo caso, la sillaba al terzo tono subisce due diversi tipi di sandhi tonale: in base al primo, essa si modifica in mezzo terzo tono (21); in base al secondo, la sillaba diviene quasi un secondo tono (24). 3 Dagli studi di Hu (1981: 133-134), Huang (1983: 87) e Shi (1984: 55) si ottengono

diversi valori di altezza. 4 Per quanto riguarda il sandhi tonale, molti studiosi (William S.Y. Wang, S.

Duanmu, Moira Yip, Goldsmith) hanno avanzato le loro teorie del sistema fonologico e del sandhi tonale.

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Si vedano gli esempi seguenti: 1) 3° tono + tono neutro 214 + 0 = 24 + 0 xiangqi “venire in mente” jiangjiang “raccontare” nali “dove” bashou “maniglia” 2) 3° tono + tono neutro 214 + 0 = 21 + 0 jiejie “sorella maggiore” laolao “nonna materna” nainai “nonna paterna”

Nel primo gruppo di esempi, il tono della seconda sillaba rimane fisso, mentre quella della prima si modifica in mezzo terzo.

Per quanto riguarda il secondo gruppo di esempi va osservata un’altra caratteristica tonale:

Se la seconda sillaba è al terzo tono, la prima si modifica in un quasi secondo tono (cfr. Shi e Yang 1984: 25).

Quando invece la seconda sillaba è al primo, secondo o quarto tono, la prima assume sempre il valore di un mezzo terzo tono5. Si vedano i seguenti esempi: yanyuan “attore” (21+35) daoshi “maestro, professore” (21+55) baobei “tesoro; persona molto amata” (21+51)

In altre parole, le seconde sillabe al primo, secondo e quarto tono assumono un tono neutro, ma i loro valori sono molto variabili. Si considerino ad esempio: dianxin “dolce” (214+55>21+2) ganqing “magari” (214+35>21+3) haochu “vantaggio” (214+51>21+1) Il tono neutro della seconda sillaba, dunque, non solo è condizionato dalla prima sillaba, ma anche dal tono originario della singola sillaba quando pronunciata isolatamente:

tono originale tono neutro

xīn (1° tono diventa tono neutro) 214+55 =21+ 0 (l’altezza reale del tono neutro è 2)

qíing (2° tono diventa tono neutro) 214+35 =21+ 0 (l’altezza reale del tono neutro è 3)

chù (4° tono diventa tono neutro) 214+51 =21+ 0 (l’altezza reale del tono neutro è 1)

5 Va sottolineato tuttavia che nel caso di alcune sillabe di terzo tono seguite da tono

neutro (che in origine era un terzo tono), la prima sillaba diventa quasi secondo tono (24). Esempio: zhú yì (214+51=24+0).

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Dunque, come abbiamo visto, il terzo tono ha una funzione cruciale nel processo di dissimilazione fonetica. Fra i quattro toni del putonghua6, esso è quello che raggiunge il limite inferiore, poiché gli altri tre tendono normalmente ad un tono alto o discendente. Se ne esaminiamo l’andamento, si presenta come un tono concavo e la sua durata è relativamente lunga. Il primo tratto discendente, seguito da un rapido tratto ascendente durante l’ultimo terzo della estensione vocale, ne costituisce la parte principale. Per cui, quando un terzo tono è seguito da una sillaba al primo, secondo o quarto tono, esso mantiene la parte principale della tonalità, ovvero la sua parte inferiore. Quando invece la sillaba che lo segue è anch’essa di terzo tono, esso finisce col perdere la sua parte principale, diventando quasi un secondo tono.

Quando il terzo tono è invece seguito da una sillaba al tono neutro, il primo reagisce acusticamente al secondo e ne viene influenzato.

Nei due casi enunciati (3° + 1°, 2° e 4° tono e 3° + 3°), la prima sillaba al terzo tono subisce una modifica, mentre la seconda sillaba rimane invariata. In putonghua questo rappresenta un’inversione della tendenza del cambiamento tonale. Il motivo va ricercato nella distribuzione dell’accento delle parole. In genere, nei composti bisillabici e trisillabici (e perfino quadrisillabici), l’accento ricade per lo più sull’ultima sillaba7.

1.3 Successione di tre sillabe al terzo tono

Come abbiamo appena visto, in presenza di una successione di due sillabe al terzo tono – sia che esse formino una parola sia che creino un’espressione sintagmatica, è sempre la prima sillaba ad assumere il valore di un quasi secondo tono (24). Nel caso di una successione di tre terzi toni, invece, il sandhi tonale si complica poiché occorre raggruppare le sillabe a seconda del loro valore grammaticale o del loro significato.

Potremo dunque dividere i trisillabi al terzo tono in quattro tipi: 1) 31 + 32 / 33

2) 31 / 32 + 33 3) 31 / 32 / 33 (solo in una struttura parallela senza congiunzioni) 4) 31 + 32 + 33 1) 31 + 32 / 33

In questo primo gruppo, ci troviamo di fronte a una successione di tre sillabe di terzo tono in cui i primi due morfemi non possono essere scissi

6 Lingua comune. 7 Xu Shirong (1983: 236) ha fatto una statistica ed è risultato che tra le 20,000 parole

bisillabiche più usate ci sono 14,000 parole accentate sull’ultima sillaba.

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semanticamente, mentre possono esserlo dall’ultima sillaba. Da un punto di vista grammaticale, il raggruppamento delle sillabe avviene a due livelli : un primo livello costituito dall’unione delle prime due sillabe e un secondo livello formato dal raggruppamento di queste ultime con la terza sillaba. I toni, dunque, saranno soggetti alla seguente modifica: 214 + 214 + 214 → 24 + 24+ 214. Ad esempio: zhanlanguan = zhanlan / guan (214+214+214=24+24+214) (dal punto di

vista semantico) [(zhanlan) guan] (214+214+214=24+24+214) (dal punto di vista grammaticale) Altri esempi sono: lüguanshao “gli alberghi scarseggiano” shoubiaochang “la fabbrica di orologi”

La regola del cambiamento tonale di questo tipo può essere così rappresentata: [(3° + 3°) + 3 ° ] → [24 +24 + 214]

Va sottolineato però un caso particolare in cui la struttura determinante è composta dal numero più il classificatore. Ad esempio: (jiu ba) suo (nove + classificatore) lucchetto (wubi) kuan (cinque + classificatore) denaro (liangpi) ma (due + classificatore) cavallo (jidou) mi (quanto + classificatore) riso

In questa struttura, la prima sillaba (jiu) può sia mantenere il terzo tono che modificarsi in mezzo terzo tono. Gli studiosi Yu e Hu (1997) nei loro studi fonetici, sono giunti proprio a questa conclusione. 2) 31 / 32 + 33

In questo tipo di struttura, ci troviamo di fronte ad una successione di tre sillabe al terzo tono in cui il primo morfema può essere scisso semanticamente dagli altri due che devono invece essere legati. Da un punto di vista grammaticale, il raggruppamento delle sillabe avviene a due livelli: un primo livello costituito dall’unione delle ultime due sillabe e un secondo livello formato dal raggruppamento di quest’ultime con la prima sillaba. I toni, dunque, saranno soggetti alla seguente modifica: il primo terzo tono si modifica in mezzo terzo (21), il secondo diventa quasi secondo tono (24), mentre il terzo rimane invariato. Vediamone gli esempi : mai xiaomi ��(dal punto di vista semantico) xiao laohu hen yonggan

Dall’analisi suddetta, il cambiamento tonale di questo tipo sarà il seguente: [3° (3° + 3°)] → [21 + 24 + 214]

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Il cambiamento tonale di questo tipo, tuttavia, differisce da quanto abbiamo appena enunciato nel caso in cui la sua struttura sia costituita da un soggetto/predicato e dai nomi propri. Si consideri l’esempio che segue: Wŏ hĕn hăo �������

Questo tipo di struttura soggetto/predicato, sia dal punto di vista semantico che grammaticale, può essere così suddiviso: Wo + hen hao (214+214+214 → 21+24+214)

Dagli esperimenti fonetici effettuati (cfr. Hu), il cambiamento tonale di questa successione di sillabe è diverso da quello precedentemente enunciato e si avvicina al gruppo (1) 31 + 32 / 33. Come mai avviene questo fenomeno? A causa del ritmo che in questo contesto viene ad esercitare un ruolo determinante. Infatti, in cinese, quando una parola monosillabica posta all’inizio della frase è seguita da un’altra sillaba avente una funzione grammaticale, la prima sillaba rivela una forte tendenza a collegarsi ritmicamente con quella che segue. Esse formano cioè un ritmo bisillabico (ingl. foot). Nel nostro caso, dunque, le prime due sillabe di terzo tono formano un medesimo gruppo entro il quale avviene il cambiamento tonale. Per cui, sebbene le due sillabe wo e hen non abbiano fra di loro alcun rapporto semantico né grammaticale – mentre al contrario hen e hao si trovano allo stesso livello grammaticale pur essendo due parole isolate nel significato e costituenti due unità grammaticali diverse – esse formano ritmicamente un medesimo “registro” di cambiamento tonale. Ecco dunque come si prefigura la struttura:

wŏ hěn wo hen hăo La regola del cambiamento tonale con struttura soggetto / predicato sarà dunque la seguente: [3° (3° + 3°)] = 21 +24 + 214 3) 31 / 32 / 33

Questo tipo di successione di sillabe al terzo tono si trova solo in una struttura parallela dove vige una pausa uguale fra ogni sillaba. Ad esempio: shuĭ, huŏ, tŭ → shuí, huó, tŭ “acqua, fuoco, terra” jiă, yĭ, bĭng → jiá, yí, bĭng “primo, secondo, terzo” wěn, zhŭn, hěn → wén, zhún, hěn “calmo, preciso, forte”

Dal punto di vista semantico, le tre sillabe al terzo tono mantengono fra loro un rapporto parallelo e indivisibile; dal punto di vista grammaticale, rappresentano tre parole autonome che rimangono tutte allo stesso livello. Tuttavia, secondo l’abitudine e il modo di parlare della gente, la pausa non è sempre chiara e, quando si scrivono, non sempre compare la virgola rovesciata.

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In genere, in una conversazione, si tende a porre una pausa fra la seconda e la terza sillaba, per cui in un certo senso viene naturale seguire la regola del cambiamento tonale 31 + 32 / 338. Tutto questo è stato verificato dagli studi fonetici di Hu. 4) 31 + 32 + 33

In questo tipo di struttura, ci troviamo di fronte a un cambiamento particolare in cui le tre sillabe non hanno fra loro alcun rapporto né semantico né grammaticale e per le quali è difficile stabilire che tipo di modificazione tonale possano subire. A questo gruppo, appartengono i nomi propri, i nomi stranieri e i calchi fonetici. Ad esempio: Suŏmǎlǐ (Somalia).��������

In questo particolare tipo di successione, non vige una regola fissa e non sappiamo ancora bene come operare l’eventuale suddivisione. La questione rimane dunque da approfondire.

1.4 Successione di quattro sillabe di terzo tono

In presenza di una successione al almeno quattro sillabe tutte al 3° tono, dobbiamo operare una distinzione sia dal punto di vista del significato che della struttura grammaticale. Normalmente, i casi più frequenti sono i seguenti: 1) 31 + 32 / 33 + 34

Questo tipo di struttura è formato da due sintagmi bisillabici aventi fra una delle seguenti relazioni: a) determinante + determinato b) verbo + oggetto c) soggetto + predicato

In tal modo, ogni gruppo può essere trattato come una successione di due sillabe di terzo tono. a) determinante + determinato:

Ad esempio: yongyuan youhao segue la formula enunciata in precedenza che qui riportiamo:

214 + 214 / 214 + 214 24 + 214 / 24 + 214

Esempi: fayu yufa “grammatica francese” b) Verbo + Oggetto o Verbo + Complemento

8 Secondo Zhou (1964, cit. da Wang Jialing, pag. XXXI, ved. Chen 2000) la tendenza

dello sviluppo del cinese moderno è verso il bisillabismo.

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In questo tipo di struttura, il primo verbo è immediatamente seguito o da un classificatore o da un complemento. Anche in questo caso, possiamo operare la divisione come sopra: 1) mai ba yu san = mai ba / yu san “comprare un ombrello” (214+214+214+214=24+214+24+214) 2) kun jin shou jiao = kun jin / shou jiao “legare stretti mani e piedi” (214+214+214+214=24+214+24+214) 4) qing ni tang dao = qingni / tangdao “ti prego di sdraiarsi” (214+214+214+214=24+214+24+214) 5) deng ni zou yuan = deng ni / zou yuan “quando ti allontani” (214+214+214+214=24+214+24+214)

Dal I° esempio, possiamo notare come il segmento verbo + classificatore non venga posto sullo stesso livello dell’oggetto, perché la maggior parte degli oggetti sono bisillabici. In mai ba yu san, il verbo, essendo monosillabico, presenta così una forte tendenza ad associarsi per una questione ritmica col monosillabo seguente. Per questo motivo, il tipo di quadrisillabo Verbo + oggetto o Verbo + complemento, diventa spesso una struttura del tipo 2 + 2. Le regole del cambiamento tonale saranno dunque come sempre:

3° + 3° +3° +3° = 24 + 214 + 24 + 214

Per quanto riguarda invece gli esempi 4) e 5), ci troviamo di fronte a una struttura V + Ogg. + V Compl. Queste quattro sillabe si trovano tutte a livelli grammaticali diversi. Tuttavia, nel secondo segmento, tang e dao, zou e yuan sono parole vicine nel significato e possono dunque essere considerate facilmente come un’unica parola bisillabica. Quanto al primo segmento V + Ogg., l’oggetto monosillabico finisce sempre per essere attratto dal primo verbo, conferendo così al segmento un andamento ritmico bisillabico. La regola del cambiamento tonale rimane dunque conforme alla struttura:

24 + 214 + 24 + 214.

c) Soggetto / predicato Di solito, in questo tipo di frase, il soggetto è monosillabico e non presenta

alcun modificatore prima di sé. Wo ye hen hao. “Anch’io sto bene” Wo xiang zou yuan... “Vorrei allontanarmi ...”

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Ni mai mi jiu... “tu compri sake ...” Da questi esempi, possiamo notare come ogni singola parola possegga una

funzione grammaticale autonoma. Tuttavia, dal punto di vista semantico, il legame fra le ultime due sillabe è molto stretto, sia che esse presentino una relazione determinante-determinato o modificatore/modificato, sia che vi sia una relazione verbo-complemento (zou yuan). In questo caso, dal momento che si tende a considerarli come un’unica parola bisillabica, viene naturale pronunciarli uniti. La stessa cosa vale anche per il segmento wo ye, nel quale entrambe le sillabe presentano una forte tendenza ad associarsi formando così un ritmo bisillabico. Questo tipo di struttura è soggetta alla modifica tonale che oramai conosciamo:

24 + 214 + 24 + 214.

2) 31 / 32 + 33 + 34 In questo tipo di struttura, ci troviamo di fronte a una successione di quattro

sillabe di terzo tono in cui il primo morfema può essere scisso semanticamente dagli altri tre che sono invece vicini per significato. La prima sillaba si trova anche ad un livello grammaticale diverso rispetto alle altre tre: queste ultime, invece, sebbene siano a loro volta situate su un diverso registro grammaticale, presentano una struttura più compatta. Quando si pronunciano, si divide sempre la prima sillaba da quelle che seguono.

you yu san chang you / yu san chang avere/una fabbrica di ombrelli (214+214+214+214 = 214+24+24+214) mai chulipin mai / chulipin comprare/dei prodotti scartati (214+214+214+214 = 214+24+24+214) xiao zhiyusan xiao / zhiyusan piccolo/ombrello di carta (214+214+214+214 = 214+21+24 + 214) jia milaoshu jia / milaoshu falso/topolino (mickey mouse) (214+214+214+214 = 214+2+24 + 214) qing laoshouzhang qing / laoshouzhang invitare/il vecchio capo (214+214+214+214 = 214+21+24 + 214)

Il tipo di struttura più frequente è generalmente quella Verbo + Oggetto, o meglio, Verbo + Modificatore + Oggetto (il verbo è sempre monosillabico).

Vediamo ora la regola del cambiameno tonale. Come regola generale, mentre la prima sillaba mantiene il terzo tono, le ultime tre sono soggette a due diversi tipi di modifiche. Possiamo infatti trovarci davanti ad un: 1) bisillabo + monosillabo, oppure ad un 2) monosillabo + bisillabo. Per cui, secondo quanto abbiamo analizzato in precedenza, eccone le regole:

1) 3° / [(3° + 3°) + 3°] 214 / 24 + 24 + 214 2) 3° / [3° + (3°+3°)] 214 / 21 +24 + 214

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3) (31 + 32 + 33) + 34 In questo tipo di struttura, ci troviamo invece di fronte a una successione di

quattro sillabe di terzo tono in cui i primi tre morfemi possono essere scissi semanticamente dall’ultimo che si differenzia per significato. Anche in questo caso, da un punto di vista grammaticale, il trisillabo non si trova allo stesso livello del monosillabo. In realtà anche i singoli morfemi del trisillabo presen-tano fra loro diversi livelli grammaticali, ma sono comunque strutturalmente più vicini. Quando si parla, dunque, si finisce sempre col dividere le prime tre sillabe da quella che segue.

In genere, la struttura più frequente per questo particolare tipo di costruzione è quella Soggetto + predicato. Il soggetto può essere sia monosillabico che bisillabico ed è sempre preceduto da un modificatore a sua volta monosillabico o bisillabico (questo è diverso dalla struttura Soggetto + Predicato di cui abbiamo parlato in precedenza). Quanto al predicato, si tratta in genere di un predicato aggettivale9.

Ad esempio: zhan lan guan / yuan “la fiera / (è) lontana” hu gu jiu / hao “la grappa con ossa di tigre / (è) buona” yusanchang / shao “la fabbriche di ombrelli / (sono) poche” xiaobaomu / hao “la giovanne baby sitter / (è) buona”

Vediamo ora la regola del cambiameno tonale. In genere, nel trisillabo, è solo l’ultima sillaba a mantenere il terzo tono, mentre ciò non vale per le prime due sillabe. Per cui, come abbiamo enunciato qui sopra, il trisillabo può essere soggetto a due tipi di modifiche: 1) bisillabo + monosillabo; 2) monosillabo + bisillabo. Ovverosia:

1) [(3° + 3°) + 3°] / 3° 24 + 24 + 214 / 214 2) [3° (3°+3°)] / 3° 21 + 24 + 214 / 214

1.5. Successione con più di quattro sillabe al terzo tono

Vediamo subito una lunga sequenza di sillabe tutte al terzo tono: zhong ma chang yang you wu bai pi hao ma Nella fattoria per la riproduzione della razza vengono allevati 500 ottimi cavalli

Dividiamo la frase per sintagmi applicando le regole precedenti:

9 In Occidente si dice anche “verbo attributivo”.

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zhong ma chang / yang you / wu bai pi / hao ma

In base alle regole sul terzo tono enunciate in precedenza, possiamo ormai suddividere i trisillabi e ricavare il valore dei toni. Per cui:

zhong ma chang �= 24 + 24 + 214 yang you ��= 24+214 wu bai pi ��= 24+24+214 hao ma ��= 24+214

In tal modo, per quanto lunga possa essere una successione di terzi toni, una volta apprese le regole sopra enunciate, potremo sempre determinare l’esatta pronuncia dei toni.

2. Cambiamento del tono neutro

Il tono neutro non è un quinto tono supplementare ai quattro toni, bensì rappresenta una modificazione particolare dei quattro toni. Esso segnala un’emissione vocalica lieve, di brevissima durata, sempre condizionata dalla sillaba precedente. Di norma, qualsiasi tono, in condizioni particolari, può perdere il suo tono originario e assumerne uno neutro. Ad esempio, sillabe come mā (mamma), zǐ (figlio), tóu (testa), shŏu (mano), se pronunciate isolatamente, possiedono un loro tono specifico fisso. Se invece le ritroviamo in una parola composta – come māma (mamma), érzi (figlio), shítou (pietra), bǎshou (maniglia) – esse diventano atone e assumono il tono neutro. L’altezza della pronuncia tonale è condizionata dalla sillaba precedente, ma a volte, essa può essere condizionata anche dal suo stesso tono originario (3° > neutro).

Nel paragrafo precedente, abbiamo studiato il cambiamento tonale di una sillaba al terzo tono seguita da una sillaba di tono neutro. Vediamo ora alcuni casi di modificazione di sillabe al primo, secondo e quarto tono seguite da una sillaba al tono neutro.

māma “mamma” bēizi “bicchiere” shēítou “pietra” tiáozi “bigliettino” gàosu “dire, raccontare” dèngzi “sgabello” niàntou “idea”

La regola del cambiamento tonale riguardante le sillabe al tono neutro prevede la perdita del tono originario e l’acquisizione di un tono breve e atono. Il suo valore dipende esclusivamente dal tono della sillaba che lo precede. Se

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questa è al terzo tono, al mezzo terzo o al quasi secondo, l’altezza toccata dal tono neutro è sempre alta. Ad esempio:

jiejie 214+214=21+0 (l’altezza reale del tono neutro è 4) “sorella maggiore”

jiangjiang 214+214=21+0 (l’altezza reale del tono neutro è 4) “raccontare un po’”

In questo caso, sebbene venga spontaneo pronunciare il tono neutro che

segue una sillaba di terzo tono come un primo tono, in realtà, è bene ricordare che il tono neutro è più breve e atono rispetto a questo.

Se invece la sillaba precedente il tono neutro è al primo, al secondo o al quarto tono, normalmente l’altezza toccata dal tono neutro è piuttosto bassa. Anche qui, dunque, sebbene risulti facile pronunciare il tono neutro che segue una sillaba al primo, secondo o quarto tono come un quarto tono, è bene sapere che, in realtà, il valore non è lo stesso. Ad esempio, con tiaozi, dengzi, il valore della frequenza tonale è molto basso.

3. Cambiamento del quarto tono

Come abbiamo già detto, la lingua cinese è una lingua tonale. Tuttavia, come in tutte le lingue, oltre ai toni e alle loro modificazioni, possiede anche un’accentuazione e un’intonazione della frase. Lo studioso Xu (1983)10, nel suo studio sulla lingua cinese ha dimostrato come proprio l’accento detenga un posto rilevante nella formazione delle parole del cinese moderno.

3.1. Successione di due quarti toni

Ora, in presenza di una successione di due sillabe al quarto tono, si possono verificare due casi: 1) se l’accento non ricade sulla prima sillaba, quest’ultima si modifica in mezzo quarto tono (53) mentre la seconda sillaba rimane invariata. Ad esempio:

dahui (riunione, assemblea) banshi (fare degli affari, sbarigare le faccende...) re’ai (amare) yueju (opera cantonese) diandong (automazione elettrica) zhengque (corretto) kuaisu (veloce) kuoda (allargare)

10 Xu Shirong (1982, ved. Wang Zhenkun 1983: 236-254).

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fangda (ingrandire) huayàn (fare un esame chimico o medico)

2) Se invece l’accento ricade proprio sulla prima sillaba, ecco che quest’ultima rimane invariata, mentre la seconda sillaba si modifica in tono neutro (0). Ad esempio:

kàntou (una cosa interessante da vedere) 51+35 = 51+0 kànjian (vedere) 51+35 = 51+0 kàndao (avere visto) 51+35 = 51+0

Da ciò, possiamo osservare che, nel primo caso, il primo morfema – che determina o modifica il successivo – è subordinato rispetto al secondo morfema, che costituisce invece il nucleo principale su cui ricade l’accento: ecco perché la pronuncia della prima sillaba è meno accentata rispetto a quella che segue (51). Nel secondo caso, invece, il secondo morfema è complementare al primo, su cui ricade l’accento: ecco perché la pronuncia della seconda sillaba è atono rispetto a quella che la precede (51).

3.2. Successione di tre o più quarti toni

In presenza di una successione di tre o più quarti toni, come nel caso visto in precedenza per i terzi toni, dobbiamo cercare di raggruppare le sillabe a seconda del loro significato. Si vedano gli esempi che seguono:

a) 1. fujiaoshou = fu / jiaoshou (professore associato) (51+51+51=53+53+51) (non dà enfasi alla prima sillaba) (51+51+51=51+53+51) (dà enfasi alla prima sillaba) 2. furedai = fu / redai (tropicale) (51+51+51=53+53+51) (non dà enfasi alla prima sillaba) (51+51+51=51+53+51) (dà enfasi alla prima sillaba) 3. fuzuoyong = fu / zuoyong (effetti negativi) (51+51+51=53+53+51) (non dà enfasi alla prima sillaba) (51+51+51=51+53+51) (dà enfasi alla prima sillaba) b) 1. fugaimian = fugai / mian (copertura) (51+51+51=51+53+51) (dà enfasi alla prima sillaba) 2. sidaogang = sidao / gang (quattro righe) (51+51+51=51+53+51) (dà enfasi alla prima sillaba)

Per quanto riguarda il gruppo a), laddove non volessimo sottolineare con un’enfasi particolare il primo morfema, allora il tono delle prime due sillabe si modificherebbe in mezzo quarto, mentre il terzo rimarrebbe invariato. Vicever-sa, se volessimo proprio enfatizzare il primo elemento, allora il suo tono

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rimarrebbe invariato (51), il secondo si modificherebbe in mezzo quarto (53), mentre il terzo manterrebbe il quarto tono.

Per quanto riguarda il gruppo b), se l’accento ricade proprio sul primo morfema, quest’ultimo mantiene il quarto tono, il secondo si modifica in mezzo quarto, mentre il terzo rimane invariato.

In presenza, invece, di una successione di quattro quarti toni, normalmente, possiamo suddividerli in due unità. Ad esempio:

duihao / ruzuo (prendere posto con il numero del biglietto) 51 + 51 + 51 + 51 > 53 + 51 + 53 + 51

È chiaro che il cambiamento del quarto tono non è particolarmente evidente e percettibile, per cui in genere non vi si dà molta importanza. Tuttavia, studiando questo fenomeno con attenzione, potremo capire meglio le regole che stanno alla base di una corretta pronuncia.

4. Cambiamento tonale dei numeri “1 (yi), 7 (qi), 8 (ba) e negazione bu (non)”

Il cambiamento dei morfemi yi qi ba e bu è molto rilevante nella lingua parlata. Vediamone subito le caratteristiche.

4.1. Cambiamento tonale di numero uno (yī)

Il tono originario di yī è il primo e mantiene sempre il primo tono quando viene pronunciato isolatamente, in chiusura di un enunciato, in un’espressione numerale ordinale. Ad esempio:

yī, èr, sān ... (uno, due, tre...) wàn yī … (in caso) dì yī (il primo)

Variazioni di yi: 1) Se yī precede una sillaba al quarto tono, si modifica in secondo tono

yiding (55+51=35+51) certamente yiwan (55+51= 35+51) diecimila

2) Se yī precede una sillaba di primo, secondo e terzo tono, si trasforma in quarto tono.

Prima del primo tono: yitian (55+55=51+55) un giorno yiban (55+55=51+55) metà

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Prima del secondo tono: yipai (55+55=51+55) una fila Prima del terzo tono: yichi (55+55=51+55) uno chi yi benshu (55+214+55=51+21+55) uno libro yiliangchaye (55+214+214+55=51+214+21+55) mezzo etto di tè

3) Se invece yī si trova all’interno di una costruzione con verbo ripetuto, assume il tono neutro:

xiang yi xiang (214+55+214=214+0+214) pensarci un attimo kan yi kan (51+55+51=51+0+51) dare un’occhiata

4.2. Cambiamenti tonali di numeri sette (qī) e di numero otto (bā)

Il tono originario di qī e di bā è il primo. Qi e ba mantengono sempre il tono originario se vengono pronunciati isolatamente, se si trovano in fine frase o quando precedono una sillaba al primo, secondo e terzo tono. Ad esempio:

qī, bā ... (sette, otto ...) dìqī, dìbā … (il settimo, il ottavo) shíbā (dicciotto) qījīn, bābǎi (sette jin, ottocento) yiqiqiyi nian (nel 1771) gěi qī ge (dare sette) (* in questo caso il numero 7 potrebbe essere

pronunciato anche con il secondo tono)

Se tuttavia precedono una sillaba di quarto tono, essi possono mantenere sia il loro tono, che modificarsi in secondo tono.

qiwan (settanta mila) bawan (ottanta mila)

4.3. Cambiamento tonale di bù

Il tono originario di bù è il quarto. Esso mantiene sempre il tono originario quando viene pronunciato isolatamente, se si trova in fine frase o quando precede una sillaba al primo, secondo e terzo tono. Ad esempio:

bù (no) pianbù (proprio no) ni qu bù (ci vai?) Prima del primo tono: bù duo (non molti) Prima del secondo tono: bù cheng (non va bene) Prima del terzo tono: bù shao (tanto)

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Quando invece lo si ritrova prima del quarto tono, si modifica in secondo tono:

bù qù > (51+51=35+51) non andare bù duì > (51+51=35+51) non giusto

Laddove invece lo si ritrova all’interno di una costruzione verbale, assume il tono neutro:

chàbuduō (51+51+55=51+0+55) quasi yòngbuzháo (51+51+35=51+0+35) non è necessario dăngbuzhù (214+51+51=21+0+51) non riuscire a bloccare bāobuhăo (55+51+214=55+0+214) non riuscire a chiudere un pacco

Conclusione

In questo articolo, abbiamo parlato di alcuni cambiamenti tonali fondamentali (senza menzionare tuttavia il sandhi tonale degli aggettivi ripetuti che, per motivi di spazio, rinviamo a un altro studio). È tuttavia doveroso sottolineare che le regole di modificazione di cui abbiamo parlato avvengono nel limite di una “normale” velocità di pronuncia dei toni e che tale velocità non conosce dei criteri specifici fissi. Se infatti nel corso di una conversazione la velocità può essere abbastanza sostenuta, durante una lezione o una conferenza, essa può risultare notevolmente rallentata. Il criterio velocemente normale è dunque piuttosto relativo.

Questo breve studio si limita, a dare una tipologia di sequenze tonali lineari e delle conseguenze che tali implicazioni hanno sul sandhi.

Nella fonologia degli ultimi venti anni si è molto discusso dell’isomorfismo o meno delle gerarchie sintattiche con quelle fonologiche, con risultati che hanno mostrato come fenomeni di ritmo, di velocità di enunciazione, o di negligenza di articolazione possano anche superare i condizionamenti delle gerarchie sintattiche.

Sarà interessante studiare in futuro i condizionamenti morfosintattici delle sequenze ed il problema della loro costituzione che in questo contesto abbiamo voluto presentare ed analizzare brevemente.

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Note

1. Si deve precisare che la trascrizione fonetica adottata con il Pinyin non mostra le variazioni del sandhi tonale, pertanto i toni si presentano sempre nella loro forma originaria. Inoltre, sempre secondo tale trascrizione fonetica, non c’è alcun diacritico sulle sillabe con tono neutro (in alcune grammatiche il tono neutro è anche trascritto con uno zero sopra la lettera). Nel presente lavoro seguiremo le convenzioni del Pinyin in fatto di sandhi tonale.

2. Si è già accennato della presenza del tono neutro in cinese. Questo non è sempre uguale, ma può avere delle deboli variazioni a seconda dell’altezza tonale della sillaba precedente.