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Matteo Veronesi Il cordone dargento * Frammenti per la sorella

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Matteo Veronesi

Il cordone d�argento

*

Frammenti perla sorella

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Il presente volume, in edizione fuori commercio di centocinquanta esem-plari numerati, è stato impresso nel mese di Luglio 2003 dalle GraficheVeronesi di S. Lazzaro di Savena (Bo)

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Il cordone d�argento

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Ecclesiaste, 12, 6

(�) prima che si spezzi il cordone d�ar gentoe la lucerna d�oro s�infrangae si rompa l�anfora alla fontee la carrucola cada nel pozzo (�)

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POESIA, MORTE, MENZOGNA. NOTE PER UN PROLOGO

�Il poeta è un fingitore�, scrive Pessoa in Autopsicografia, uno dei testi piùalti del Libro dell�inquietudine. Egli �finge così completamente / che arriva afingere che è dolore / il dolore che davvero sente�.

Menzogna � per quanto sublime � è la poesia. La �bella menzogna�, ilvariopinto tegumentum che ancora in Dante copriva la �veritade�, le dulcissimaeveritates di un sapere posato su fondamenti divini, e universalmente condivisoda tutta un�epoca e una società, oggi, in questo mondo adulto, secolarizzato,disincantato, non è � per citare il Mallarmé, postumo e baluginante, dei Propossur la poésie � che �gloriosa menzogna�, che si ripiega su se stessa, solo sestessa significa e giustifica.

Finché un giorno non arriva la morte, questa nera madre del dolore �questa presenza fatta d�ombra e silenzio e tremori a fatica sopiti, che si annida� ospite discreta e impercettibile, oggi il più possibile esorcizzata, celata, ri-mossa, per paura o pudore � fra le pieghe dei giorni, e cresce e cresce con ilfluire del tempo, fino a che in un momento sboccia, come un nero fiore.

Ma la Morte può essere madre anche della poesia, che è tanto spesso, comesappiamo, sorella del Dolore.

Sembra banale scomodare Foscolo � ma quel vate cieco che abbraccia leurne e le interroga non può forse essere prosopopea della poesia che traealimento dalla morte, come l�erba pascoliana che �cresce sopra le fosse�, sim-bolo inquietante della prossimità e, quasi, della sinistra promiscuità di vivi emorti?

Prima ancora, risalendo a ritroso le vie tortuose del classicismo e dellaclassicità, Orazio: �monumentum aere perennius� � sì, la poesia che vince ilsilenzio di mille secoli, che �scioglie all�urna un cantico / che forse nonmorrà� � ma, poi, si rifletta sulla fosca ambiguità di quel �monumentum�, cheè sì opera d�uomo eretta orgogliosamente a vincere l�oblio, ma è anche sepol-cro, quasi a dire che la poesia non muore perché è già morta nell�atto stessodel suo prendere forma, dell�assumere quella forma che la rinchiude in sestessa, che ne fa una realtà a sé, algida, disincarnata, minerale quasi, stretta �come le statue di Rodin secondo Rilke � �nel puro cerchio di solitudine in cuitrascorre i suoi giorni�; e proprio a quel carme di Orazio si richiama oggi ildiscusso storico della �condizione postuma della letteratura�.

E, su questa scia, ecco i maestri della modernità sgranare come un rosario leloro visioni e i loro sogni e le loro fatate analogie. Mallarmé � il �calme bloc ici-bas chu d�un désastre obscur�, tragico emblema della solitaria e disanimatapurezza dell�estetico, il �temple enseveli�, putrido e melmoso, da cui sorgel��idolo Anubi� dal muso fiammeggiante. D�Annunzio, che parrebbe per

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antonomasia poeta della vita, della voluttà, della gioia di godere e creare �eppure ecco, nel Piacere, la piramide di Caio Cestio, e in Alcyone l�asfodelo eil colchico, e la Morte che dell�arte è �la sorella eternale�, e con i suoi �silenziipiù intenti� e le sue �braccia più vaste� sopravanza la vita in forza eternatrice efacoltà mitopoietica � fino a quei versi estremi sul mausoleo dei levrieri, ovead �essere Pan�, ad �essere Tutto�, non è più il Verso o il Poeta, ma la Morte. Einfine Valéry, proprio il �grand poète hermétique� accolto dallo scriba delVittoriale � la Poesia �tombeau charmant�, �monument insensible�, �nouvellemort plus précieuse que la vie�.

Ma la Poesia è, ancora e sempre, menzogna. Menzogna, peraltro, che forsesalva e redime, �inganno�, apáte � diceva il Sofista � pregna di giustizia esapienza, menzogna che illumina la verità che dimora, celata, sotto le tanteopache e severe superfici degli �invidiosi veri�.

Ma c�è, forse, qualcosa di spietato, di cinico, di inumano, qualcosa del-l��anima mostruosa� di Rimbaud, nel mio limare versi, e accordare sillabe, edosare analogie, e intrecciare echi e allusioni per chi saprà coglierli, anche eproprio �al punto�, di fronte all�evento più sconvolgente e insieme più profon-damente umano � all�attimo che illumina e confonde l�estrema fragilità, e insie-me l�aspra concretezza, del nostro essere uomini, e che dovrebbe invece ri-chiamare la parola al tempo, al corpo, alle cose, al calore denso e greve delsangue e del respiro.

Ma fu detto che la lingua della poesia � almeno di una certa poesia � èsempre, proprio in ragione della sua letterarietà ferma e dura, una lingua mor-ta. Io parlo di una morta e a una morta � a maggior ragione non posso usareuna lingua che non sia quella dei morti.

E poi, con questo richiamo ai Padri, con questo riparlare parole d�altri,velate dalla polvere dei secoli, il dolore s�inaridisce forse, ma nello stessotempo si eleva, si moltiplica, diviene di tanti, di tutti coloro per i quali la mia,la nostra tradizione significa qualcosa. Così può anche divenire più tollerabile,perché non più solo mio, e perché come attutito e affiochito dal manto polve-roso delle usate forme e delle parole consunte, ma ancora vive nella loromorte, avvolto dai balsami pietosi dell�eterea armonia, della sublimazione estetica- qualcosa come un suono cupo di lontane campane, sepolto nella nebbia.

Di tanto in tanto, nel grande mare grigio degli epigrammi di Marziale, affio-ra qualche verso che abbaglia e scuote: �Et latet et lucet Phaetontide conditagutta / ut videatur apis nectare clusa suo�. Proprio il poeta che cantava la vitae il piacere dalle mille forme, il poeta la cui pagina �sapeva d�uomo�, eternòquest�ape sepolta nell�ambra, chiusa per sempre nel frutto puro e immarcescibiledel suo lavoro paziente. Come quest�ape il poeta, che � dice Mallarmé - �siisola per scolpire la propria tomba�, per guadagnare l�eternità proprio nellamorte, nella solitudine ombrosa di un lavoro votato � specie oggi � al silenzio

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e all�oblio.Ho teso a sedare, nell�immobile vita delle forme, il fuoco del dolore � allo

stesso modo che il magma ribollente e il rovente silicio si acquietano e sirapprendono, e trovano infine pace nella perfezione gelida, nell�inumana, inor-ganica compiutezza del cristallo. Come il Filottete di Gide, perso tra i ghiacci diuna remota isola iperbòrea, ho cercato di mutare in canto le piaghe e i lamenti.

Qualcuno potrebbe parlare di Arcadia. E magari potessi essere un Arcade �udire, come Pier Jacopo Martello, �una voce tenera d�argento�, un �invisibileconcento� � e poco importerebbe se non fosse altro che la santa illusione delvento che soffia tra i lauri; o, come Faustina Maratti Zappi, illudermi di �udir levoci e scorger l�affannato fianco� del figlio morto, e poter sciogliere �tai carmi�� così lievi e dolci � �in tanto affanno�. Ma a volte il Nulla lacera la trama alatadelle sillabe, il velo variopinto e lieve in cui è stato avvolto � e rigurgita etrabocca, nero, e inonda gli occhi � e allora ci si ritrova nel vuoto, dispersi, esembra di precipitare.

E allora, qualche parola su Dio. Forse il modo meno ingenuo di pensarequell�Essere terribile e in fondo assurdo, quella Caligine infinita e minacciosa,sorda ad ogni lamento e ad ogni invocazione, non è lontano dal Dio come�nulla eterno� dei mistici, da Eckhart a Böhme, per arrivare, se si vuole, finoall��Infini-Rien� di Pascal. Un �nulla eterno� che giace avvolto in una �quietedeserta�, in un �silente deserto�, poiché non si può dire il nulla se non con ilsilenzio, con l�armonia silenziosa dei versi. E ci ha insegnato Heidegger cheproprio l�Essere � o, il che è lo stesso, il Nulla -, inaccessibili al logico e almetafisico, proprio al poeta dischiudono le loro porte.

Eppure � dicono ancora i mistici tedeschi - anche quell�essere soffre del suosilenzio e del suo vuoto - ha sete degli uomini, del loro sangue e delle lorosofferenze.

Ma il �nulla eterno� è anche quello degli atei. Ed è proprio nelle immense edeserte regioni del Silenzio � il silenzio del Dio e sul Dio � che l�ateo puòabbracciare il credente, il credente d�ogni fede. Ma mi chiedo se lo stessoateismo, quando profondamente sofferto e patito, nutrito d�angoscia e di spe-ranza, non possa forse essere una fede. Forse la speranza è già fede. �Fede èsostanza di cose sperate�.

�Lì, dove la Parola muore� � scriveva David Maria Turoldo rivolgendosi al�fratello ateo�, �nobilmente pensoso� �, �abbia fine il nostro cammino�.

E cominci, sempre nuovo, quello del lettore.E allora torniamo, per chiudere, a Pessoa.Coloro che leggono ciò che il poeta scrive �nel dolore letto sentono proprio

/ non i due che egli ha provato, / ma solo quello che essi non hanno�. Questoè quanto v�è di profondamente umano in ciò che fu detto straniamento.

Voglia il lettore � raro, distratto, forse assente � accogliere con benevolenza

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questa oggettivazione dura e gelida � ma conseguita dopo le tante pene delvivere e dello scrivere � di un dolore non suo. O forse un poco anche suo,proprio perché trasceso ed eternato dai versi.

Io non ho avuto maniche lavassero l�ombra dal mio visoné ho avuto occhi che nei miei occhi specchiasserola luce ardente del piantoe della gioia, né voci il cui profumosi confondesse con il mio respironé ho avuto cor pi in cui scioglier e l�angoscia

Io non ho avuto altro che le tenebredei libri chiusi, la polvere che serbai pensieri che il tempo ha suggellatocome carni velate dagli unguenti

E nell�oblio ho cercato la memorianel silenzio la voce, le mutearmonie dell�inchiostro �io ho cercato la vitanella morte

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Il grembo della grande madre accoglieora, madre, il tuo grembo, che imposealle mie carni questa forma fragiledi parole e di lacrime

Che possa ora il piantofarsi ritmo, musica il lamento �possano ancora questi versi lieviincantare l�abisso

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Di cinque in cinque, poi di dieci in diecianni, dicevi senza credercila malattia avrebbe fatto risuonaredagli abissi del corpole sue nere grida

Ma quando venne l�estate che scioglievale parvenze nel pianto della lucee fra le mura torride portavaun alito di vita dal lontano mare �incominciò a tremare la tua fiamma

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Credei che si potesseavvolgere la morte dentro un veloalato di metaforee gettarla lontano, via da menel limbo interminato del possibile

Ma ancora il suo murmure tornava a turbarela musica lieve dei giorni

E pensare non è se non pensare alla mortee perdersi nel pensierocome si perde il lampofra i deserti del cieloe la cenere nella ceneree l�anima nel nulla

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È bellissima, dicesti, una formaeburnea nel bianco delle coltrinon livida ma biancacome neve � quasitrasfigurate in pure gemme, o marmo, o gigliquelle carni antiche che la terraora confonde nel suo nero abbraccio

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Si sta spegnendo, spegnendocome una candela dicevicon un sorriso � ma tremava il tuo sguardoché forse in lei vedevidi te stessa la flebile figuradella tua sorte oscural�ombra labile

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Zia, ti salutano i tuoi bimbi �ma certo si perdeva quella vocenel buio della mente come un soffio d�organonel cielo cupo delle cattedrali

E allora, nell�estremo istante, vidistemperarsi la cera del suo visoe nel buio delle orbite splendere una lacrima

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AveMaria tentammodi mormorare dal fondo della tenebradeserta che celava il tuo martirio �ma tremava la voce, la preghierasi perdeva nel pianto

E dunque addio, madre, ti saluta il fruttodel tuo ventre che non seppe soffriretanto da espiare la tua colpa ignotae dare un senso al niente

Addio, madredolcissima, colmadella tua inutile grazia

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L�orologio, chiedevi, l�orologiogià sulla soglia oscura del deliriosolo un istante prima di lasciarequelle stanze che per tanti anni colmasticon il tepore opaco del tuo amore

Così te ne sei andata, ombra fra ombrecon quelle frecce inutili e quell�oro pallido �proprio allora che stavi per lasciarei sentieri del tempo, e sprofondarenella bruma infinita dell�eterno

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(per una preghiera ritrovata)

Misura, chiedevial tuo santo, le ore e i minutiprima che venga il lampoferoce della fine �prima che cada il buio, e inizil�oscuro viaggio

Forse era solo il ritmo stentodi quei poveri versi il cordoned�argento che ancora ti tenevalegata al tempo

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Il gatto non veniva più ai tuoi piedicome prima, non ti invocava più con le sue tiepideparole senza forma

Forse sentiva stringersiintorno alla tua luce il cerchio d�ombrain cui è chiusa ogni sorte

Chissà se vi siete ritrovatioltre la carne, oltre il temponella casa del nulla -se ora accarezzi la sua piccola ombrae leggi in lettere di luceo di tenebra il senso senza finedi quel muto richiamo

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Vorrei vedere un�altra volta il mareandare al fiume gemevitra i morsi dell�arsura

E certo rivedevichiare rive lontane ove posastile belle membra un tempo �in quelle ore in cui tuo solo portoera dolce e lontanol�oblio del Lete

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Che cosa strana sembra essereciò che gli uomini chiamano piacere

Fedone 60b

Il più grandedei piaceri è la finedel dolore mormoravicon un sorriso stanco, quando ancora tenevi la tua viacelata, con amore, ai nostri occhi

E ancora suona nel buio della mentel�antica oscurità di quelle sillabe �Hos átopon, sorrideval�Antico, tò hedú, ma doleva, all�altroestremo della vita, tò algheinón � e dileguae si disperde il soffiodi quella pena vestita d�armoniae dolce come il miele o il sonno, e tenuetrema nella memoria la tua immagine

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There�s no darknessbut in ignorance

Shakespeare, The Twelfth Night

Non v�è altra tenebra � citavicon un sorriso � che nell�insipienza �ma qual è quella tenebra ove ora tu giacipiù nera ancora della terra nerache avvolge nella sua profonda quietele tue carni piagate

Come Malvolio io non possoche gridare alle tenebredi questo sordo inferno � e la sola rispostaforse dimora avvoltanel cupo riso feroce del buffone

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Al tuo ultimo respiro una colombasi posò sul davanzale, esitò, inquietae volò via

Così anche tu te ne sei andataalta sulle nubi con la tua anima chiarae mi hai lasciato solo con il vuotodelle mie braccia, il bianco delle paginela solitudine gelida del canto

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Dopo il funerale un passeroè entrato dalla finestra e ha volato e volatoe si è posato sulle cose a te care

Dicesti una volta che invidiavila levità ineffabile del volo

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(Natale)

Le luci intermittenti spargono sui piccolivolti di pietra il loro tenue sanguee dolce manca il tuo sorriso alla falsasorpresa dei doni, agli antichiprofumi della cena

Come ogni anno precipitano i giorniverso la fine, oltre l�angolooscuro dei mesi, e in sé si consumadi sé paga l�inerteebbrezza del riposo

Ma il Natale ha gettato sulle lapidiil suo velo impalpabile di ghiaccioe ha vestito di nebbia i nostri passi

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Vorrei posare, sul marmo che velala tua forma che lenta si disperdeil sangue mite delle prime roseil lungo dolce oblio del loto, il lievepuro manto del giglio, l�enigma della fosca passiflorae il pàmpano che sempre si rinnovae la carne impalpabile del colchicoche veste i prati quando l�estate muore

E mai nient�altro ti saprò donareche questi aridi fiori fatti d�ariae suono e vuoto e colore senza vitae nutriti di veglia e solitudinequesta corona di musiche e silenzigià vizza al primo fuoco del mattino

perché tu veda il colchico fiorir e

D�Annunzio

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Se mai una notte tu dovessi vagarefra le lapidi, spettro impauritosmarrita la via, non uditoil debole richiamo dei compagnieternamente eguali nell�obliodiscendi pure sul mio sonno, e destami

Ci sarò io allora a stringerenon so come, la tua immagine vacuae a prenderti per mano, a ricordartii nomi delle stagioni e dei ventie del fuoco, e degli astri, e delle età senza numeroche già furono, un tempo, intrecciatial tuo e al mio, così dolci e labili

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(per una cornice)

Come rubare al tempoe alla polvere se non in questolieve artificio il fermo simulacroche di te mi rimane, chiusonell�istante perpetuo dello scatto -come gemma nel fregio delle orel�immagine lontana e dolce che volestilasciare agli occhi tremulidi chi ti amava

Mi sorridano, tra i riflessi, la quietedelle labbra, il puro specchiodello sguardo, l�etereotepore delle carni � e si accenda il sempre nuovostupore del ricordo, e la memoria abbia lucedai limpidi sorrisi dell�argento

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Il vuoto che si schiudeoltre il tuo viso � il bianco della fotogelida aureola di silenzio e luceche cinge il breve girodel chiaro sguardo e della carne fragile -che altro è se non l�icona labiledel tempo senza fine che ha confusol�esile trama dei tuoi giorni � nera selvafitta d�echi, ove sola, sulle sogliedel nulla, respira la memoria

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Il ciclamino, il fioreche nel suo giro fragiledi colore e profumo chiude il cerchiodelle ere e degli astri, e col suo muto palpitofa eco al chiaro riso delle stelleignaro di mesi e di stagioniè fiorito ai confini dell�inverno

Forse c�era in quel madido visodi petali e steli, in quelle tenere urnein quel fragile donodi tua madre, madre di mia madrecome un�eco ostinatadel vostro e tuo generare, un�improntadel seme remoto d�ogni nascita e vita

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Un bagliore rapitoal sole rischiara la tua lapidecome una stella stretta fra i signacolivuoti del nulla

E nelle notti d�inverno, quando il geloe le tenebre stringono il tuo visonella piccola immagineda quel baleno avrai calore e lucecome un cuore stremato ancora bevela dolcezza di un ultimo sorrisoche brilla in fondo alla memoria, eterno

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Davanti alla tua lapidenon c�è preghiera � non sannopiù le mie labbra sciogliere alle nubiil muto grido dell�ansia, l�immensavertigine della domandae della lode

In questo giorno, in questodue novembre che stringeanime e corpi nel suo freddo abbraccionon c�è voce né gestoche varchi il cielo, che smuova il grigio veloche riempie gli occhi di tristezzase non quello, pietosoe tremulo, della mano che disperdeun po� di polvere dall�oro del tuo nome

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Per te forse la vitaera pianto, lamento ogni risveglio �ed era, credo, quell�oscuro maleche ti aveva, giornodopo giorno, consunta, ed era, infine, solol�amore per la vita o il freddo baciosublime della morteche ti poteva salvare

E a te sia pace, ora che giace il tuo gemitonel silenzio effigiatodel marmo e il gelido mantodella pietra nasconde ai tuoi occhila luce grigia dell�alba

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Ogni volta che sento lo stesso amaro profumodei serti che cingevano il tuo sonnoio rivedo le lacrime di ghiacciosul tuo viso già perso nella mortee il cupo avorio delle tue carni stancheda cui le mie germinarono un giornocome fiori di sangue, nel mistero

E sento ancora lo strido della fiammala morsa ardente dello zinco � ancora vedoil tuo volto sparire nelle tenebre

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Senti, senti com�è tenera e tiepidala mia pelle, dicevirisplendente nel buio del mio sogno -e nella luce del giardino fiorivala nuova primavera del tuo viso

Quanto è amaro il solequando muoiono gli astrie si spengono i sogni �amaro come la morte che ti invidiaa questi occhi stanchi di vegliare

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Se tu potessi tornareal focolare stanco dei miei giornio potessi io gettarei dadi del ricordo, del rimpiantooltre il mio tempo e spazio d�uomo, nel tuo spazioe nel tuo tempo, fusinel fuoco senza fine del mio amore �tu tornare come tornavano, invocatein sangue e grida, fatti ora lieve anelitole ombre degli antichi, o come Orfeo io varcarela soglia estrema, armato del mio incanto �se potessimo, così ancora un pococontro la luce dei giorni scorgeremmo la tramadella nostra esile favolae parleremmo ancora, dolcemente, insiemee le nostre parole scalderebberoil cuore oscuro del nulla

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Se pure c�è un piacere nel ricordoe uno spirito abita le cosenel vento greve e nella luce stancadi questi giorni deserti, ch�io possaudire ancora l�eco dei tuoi passie inseguire il soffusofruscìo della tua ombrae rivivere i tuoi istanti ad uno ad unoe ad uno ad uno respirare i tuoi respiri

Che cos�altro restanella cieca deriva se non questamemoria che respira nella carnequesta oscura eternità di corpi

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(per il dono degli occhi)

(�)les étoiles brillent encoreet les yeux se sont remplis d�ombre(�)

Sully Prudhomme

Dov�erano gli occhi tuoi che viderotante volte l�aurorae seppero lo stupore, il piantole dolci ire nutrite di premuraora rabbrividisce l�ombrae sussurra la polvere

Ma per opera d�uomo essi sarannoun�altra volta vivi, specchiodi un�altra anima, lucedi un altro amore �e sarà d�altri lo sguardoin cui si frangeva il mio dolorecome un raggio di sole nel diamante

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Dove andranno a finire le viteche sfioro per un attimo � una parola, un gestoun sorriso, un saluto, un silenzio � prima che il tempo giriun altro angolo e scendala lunga notte degli anni

Forse saranno pallidi angeliesili larve cui tu solasaprai dare luce, nel tempoche si stende oltre il tempo

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Mater, te appello, quae curam somno suspensam levas

(in Cicerone, Tusculanae, I, 44)

La notte ha rinnovato il tuo doloree la tua morte, come in un ritonella luce deserta del mio sogno

E che altro è la notte se non il regnotenebroso del pianto e del tremore -ma tu non sei più quinon è più qui il tuo respiro che su di me scendevanelle mie lunghe veglie di bambinoa disperdere il velo delle lacrime �non è più qui il tuo sorriso e la tua voce

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Oggi la pioggia tiepidaha lavato la mortevia dal viso del mondo, ed ora il soleindora le sue spoglie

Ma quanto è breve questa primavera -sul suo tepore scendeil lungo gelo del mio disincanto

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La vitanella morte, fu scrittola morte nella vita �e si disse dell�arida fedeche le fa simili

Da un capo all�altro tu sei passataper il sentiero d�ombranel silenzio

E mi chiedevo che cos�altro maifosse il tuo tempo, come ogni altro tempose non un lembo esile di luceteso sulle brume del duplice mistero

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Il tuo spasimo estremo era lo stessoda cui in principio ebbe luce il mio sguardoe sangue la mia carnee riflessi il cristallodella mia anima

Era scritto nella tua sorteche la vita nasce dal dolorecome il sole sorge dalle tenebree la musica respira nelle pieghesegrete del silenzio

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Ciò che non more e ciò che può morire

Paradiso, XIII, 52

E forse nella notte senza fineche si celava dietro le tue palpebresi scioglieva la corolla degli istantiaboliti in altri istanti

La bianca gioia lontanadelle tue nozze, i voltiacerbi e cari degli alunni, la penasterminata delle tue carni che con lo stesso duolodi quei momenti m�ebberodonato le mie � e le ansie vane e i pianticonsumati nel buio, e le lente stazionidel tuo lungo sfiorire - tutto, nell�attimoche d�ogni attimo è principio e fine, tuttociò che non muore e ciò che può moriredisperso nella quietedeserta del dio muto

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Te ne sei andata sola verso il Solocol passo incerto del sacerdote che indugiafra i simulacri

E ora forse specchiatel�una nell�altra le vostre solitudini �sola tu come in vita, con quella tua fredda animatroppo limpida e dura per il mondoe solo Lui, sordoai pianti e agli inni, personella sua quiete deserta, chiusonel suo eterno pensarsi

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Ora è venuto il tempo della quietela pallida stagione del silenzioche abbraccia il pianto e il sanguecol suo amoroso velo

E verrà forse il tempodell�ironia, dell�angelo malignocon il suo ombroso sorriso e la sua alalieve e rapace come la danzadei pugili o il passodella pantera

Fino a che venga il tempo che cancellaogni altro tempo, il nero che scontornaogni parvenza, e dal cuoredel tempo erompa il nulla

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La stagione di ciò che non so diredi ciò che ha mille nomi e non ha nomeè scesa sui tuoi giorni, e li fa oscuri

Coronato di brume è il sentieroche porta fino a tenella tua patria che non è più di questo tempodi là dall�orlo argenteo che l�eternatenebra ricinge

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Come l�edera figlia del silenzioe del buio che avviva le muradei cimiteri e reca in quella quieteil verde riso della primaveracosì è questo mio canto che vivenutrito dalle tenebre e dal nulla

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Come pensare, come dire il nulla �la nera rosa in cui tu ora ti chiudila luce inabitata in cui respiri �come rubare sillabe alla quietestelle all�abisso

Fissare le parolefino a che non dispaiano allo sguardo -finché non scenda dalle loro piagheil miele del silenzio

Tempo è che si quietiil mio canto, e le parolesi spengano alle soglie del mistero

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Ma quando la tua carne sarà polveree il tempo avrà sepolto la tua vocee gli istanti illuminati dal ricordosprofonderanno in un oscuro maredove avrai vita dove avremo vitafuori che in questi poveriframmenti di un canto feritosimili a schegge risorte da un naufragioo fiori nati tra le pietre e il fango

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Frammenti perla sorella

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PICCOLO PROLOGO

Questi frammenti sono quasi una giunta al Cordone d�ar gento, raccoltaispirata alla morte di mia madre.

Versi che si sono aggiunti ai versi, come il lutto si è aggiunto al lutto, aldolore il dolore.

Alcuni frantumi, isolati e dispersi, della precedente raccolta sono confluitiin quest�altra corona di componimenti, che per questo può aver perso qualco-sa in organicità e coerenza (almeno ove si escluda la coerenza profonda chepuò loro derivare da legami celati, fatti di tenui affinità e sottili continuitàsemantiche o foniche, al livello, cioè, di quella che i francesi chiamano �laprofondeur de la surface�); frammenti lirici riemersi da stratificazioni pregresse,un po� irrelati � senza avere nemmeno l�audacia e la follia rivelatrici dell��écritureautomatique�.

Ma gli eventi hanno sconvolto la struttura della mia poesia così come quel-la della mia esistenza; né la scrittura � pur con la sua superficie levigata epolita, con le sue linee sicure e nette - è sempre in grado di sublimare orimuovere la sofferenza. Da ciò i soprassalti, gli sconvolgimenti, i sommovimentiche agitano i versi.

Un precedente disegno del Cordone d�argento contemplava certi versi (inveroun po� pretenziosi e leziosi) in cui era prospettata una sorta di intreccio tra laTrinità teologica, la �trinità dell�amore�, e la �trinità del dolore� che mi univaalla sorella ed al padre. Proprio ora che un�altra morte ha infranto (almenosulla terra) anche questa fragile trinità, o ne ha lasciato solo il dolente ricordo,la traccia tenue e tiepida, parte di quei versi ha trovato ricetto in questo nuovoinsieme di testi: una struttura fragile e direi imponderabile come ciò che èaccaduto, e intimamente segnata dallo strappo e dal trauma, dalla musica lace-rata e ferita dello schianto e della mortale quiete.

Imola, ottobre-novembre 2002

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Non c�è niente, non c�è niente, dicevi, chiusanella stanza, e la tua voce aveva la dolcezzainumana del soffio d�organoche si spegne, sospeso nell�incensoo della luce che lenta cede all�ombra

E intanto, celata ai nostri occhiversavi in terra il silenzioso fuocodi una tua chiusa pena �poi ti gettasti, muta, fra le nerebraccia del vuoto

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Tu sei morta ogni giorno, per anni, e forsesono io che ti ho uccisa, per odioo per amore

Hai bevutocome un veleno il nulla che ti ho dato - hai vagatonel mio deserto di sguardinegati e di silenzi e di risaamare più del piantoe dell�amore

Di morte parole, mie e d�altri, per anniho fatto avaro schermo al tuo dolore -velo sui miei occhiall�oscuro alfabeto dei tuoi giorni

Che tu possa, nel cuoredella luce o del nulla, nel remotogiardino ove fiore ora respiridonarmi il bacio estremo dell�oblio

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Io sonofelice gridavifra le lacrime, un giorno, io sonofelice

Ma cos�erala felicità che volevi � non questafelicità di noi di quaggiù, materiatad�incontri e di sorrisi e di sguardi, segnatadal ritmo franto dei giornie delle attese

Tu cercavi la gioiache splende oltre il buioe oltre la luce, l�amoreche non chiede un volto o una voceper essere vivo

Eppure io ancora non ti so perdonared�averli cercati in quel gesto infinitoardito e vile che abbagliaogni ragione e ogni amore, e consumanascita e morte in una sola fiamma

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Ho scritto sei pagine in sei mesi. Ho cercatoin lungo e in largo un codice per i miei pensieri.Ma non ho trovato altro che un�immensa,variopinta nostalgia.

(da una pagina di diario ritrovata)

Nelle notti serene il silenziodella casa si addensava sul fremitodelle tue dita � sulla puntadello stilo che ostinato scalfivail cupo specchio della solitudinee tentava l�alfabeto fumoso delle ore

Ma quale alfabeto, quale traccia scrutarese dietro ogni segno come dietro un velo si celail volto evanescente della Madre

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(per un�altra pagina di diario)

Il santuario, credevicinto di nubi, forgiatodalla pietra e dai secoli � il santuarioavrebbe acceso nel gelido cristallodella tua anima un fiorire di parole �e invece nulla, nulla era sgorgatonemmeno un nudo suono era discesosulla pagina prigioniera del suo vuoto

Forse è in quel bianco nullain quella pace ghiacciata che ora giaceper l�eterno velatala tua voce

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Detr� e� mi cór � propi int e� fôndu j�è la mórt � ch�la cruv e� mônd

Lino Guerra

Stanotte la tua animasi è fatta neve nel mio sogno � spogliadi candore e di gelo che avvolgevale forme e le parvenze, e le annullava

Forse era la tua sortescritta col sangue fra gli abissi e gli astrifra le valli gelide del cielofattasi bianca tenebra a confonderel�esile trama dei miei giorni

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Io guardo nostro padre, il suo doloreè come il muto gridodella statua, l�orma neradella folgore sull�antica pietra -al mio dolore è comeuno specchio, come brinanell�alba si disperdel�arido cristallo del suo pianto

Ma quanto è cosa più profonda e atrocela musica che giace fasciata dal silenzioil travaglio del seme che non germinaoppresso dalla pietra, l�eco muta del lamentoche non ha nome

Sapessimo ogni giornocelebrare in silenziola comunione della nostra penanutrirci insieme di questo pane amaro -ora che non resta se non la cieca lucedell�assenza, l�immensoansito del vuotola musica oscura del ricordo

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Perdonami se avròla crudeltà di continuare a vivere - se viverepuò dirsi questo uguale scendere di giornicome di foglie aride o stilledi una fontana mortacome questi occhi che non sanno piangere

Perdonami se nel buio non vedròbrillare ancora quel tuo sguardo chiaroche nel sorriso nascondeva l�ombradi un�ombra � se non udrò gocciare nel silenziodel cuore le tue ardenti lacrime di porpora

Perdona � ed io ti saprò perdonared�essere stata, nella vitae nella morte, nel quieto fluiredei giorni come sull�orlodi quell�estremo passociò che io dovevo essere

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L�abisso della tua mente e del tuo cuoretroppo stanchi era forse lo stesso abissoinfinito del pensiero che se stessoeternamente pensa e si nascondeal di là delle nubi, oltre i cielioscuro al nostro sguardo di cenere e di nebbia

Quel pensiero forse ha avuto seteun giorno del tuo sangue, e bramadel tuo respiro e famedelle tue pure carniche ora la terra abbracciae in sé confonde � e in te, nella tua morteha avuto fuoco e linfa, e orainsieme vi parlatein qualche luogo, nel cuoreoscuro di ogni mortee di ogni vita

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Quante cose hai perduto che poteviavere � fosse stato anche soloper le luci della sera, per i porticiper il sorriso delle commesse che d�un tratto si accendetra i riflessi dell�oroe della seta � e per le nevi lontane, per le spiaggedi ghiaia, per il sole che gronda sulle soglieincerte dell�aurora

Fosse stata anche solo la fugace e mitericchezza di noi poveri, le esili pieghe luminosedella materia e del tempo che la memoria rapisceper fare parolae figura, per sempredi ciò che hai perduto

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In certe chiese d�oriente le ragazzemorte anzitempo discendono in terracon il velo e con l�abito biancocome se un dio le avesse tolte in sposecome se il loro incompiuto amoreancora chiuso nel boccio avesse a durarepuro, in eterno

E forse addio cantano le compagnein uno di quegli idiomi che hanno dolci chinedi tenui suoni e brevifremiti d�ali e punteacute di diamante � addiodolce amica, dolce sorella nostraovunque tu sia ora ti sia lievela terra come quel velo lieve, tiepide le nottinell�abbraccio perenne della seta

Così voglio pensarti anch�io, sorellabiancovestita nella tua dimora d�ombra �bianca come il silenzioche ti avvolge, come il vuoto che hai lasciatocome le pagine mai scritte � biancasposa del nulla

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Ognuno uccide la cosa che ama �quante volte era risuonatooscuro in fondo all�animaquesto verso con il suo duro sensoche in sangue e lacrime ora si è disciolto

Ognuno uccide la cosa che ama � e sono io quel vileche ti ha ucciso con i suoi sguardi amarie le parole gelide taglienti

Come un diamante inutile, sepoltotra la polvere e il fangoche per sé solo splendeti ho nascosto il mio amore

E anche adesso, alle porte del buiosu questa soglia tremula di piantoe di rimorso, io non so versareil sangue della mia anima trafittasopra il sudario del tuo sacrificio

A te volino allora questi versiscolpiti come lamed�alabastro che sorgano da un maredi silenzio e di nebbia, ovunquefuori dal mondo � ovunquetu sia ora, che possa esserti sacraquesta estrema menzogna

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